Duemila sopravvissuti
al genocidio del regime ustascia fanno causa allo Ior:
rivendicano il
tesoro depositato, o donato per grazia ricevuta, da Pavelic al Vaticano
Una bomba che esplode
scuotendo il Vaticano: George Zivkovich, classe 1937, serbo di religione
ortodossa, residente in California, si è recentemente rivolto ai
tribunali americani citando in giudizio la Santa Sede, e più precisamente
l'Istituto per le opere di religione, lo Ior, cioè la banca vaticana
già protagonista di numerosi scandali negli ultimi decenni. Zivkovich,
che, ragazzo, era scampato al genocidio serbo perpetrato dagli ustascia
croati negli anni 1941-1945, rivendica il tesoro che l'ex dittatore Ante
Pavelic aveva lasciato in custodia, o donato per grazia ricevuta, al Vaticano
nel '45. Lo affiancano nell'azione giudiziaria circa 2.000 compatrioti.
Il regime ustascia,
portato al governo in Croazia in quegli anni, grazie all'invasione delle
forze dell'Asse, fu il più feroce espresso dai nazifascisti. Più
feroce ancora di quello hitleriano, ed è tutto dire: in quello
stato che contava poco più di sei milioni di abitanti, un terzo
dei quali serbi di religione ortodossa, gli ustascia massacrarono un milione
di questi unitamente a 50 mila ebrei e 30 mila zingari, cioè il
20 per cento della popolazione. All'eccidio parteciparono numerosi sacerdoti
e frati cattolici con la complicità di vescovi, con la connivenza
del Primate, arcivescovo Stepinac, recentemente beatificato, il tutto
con l'implicito beneplacito di Pio XII.
Crollato il suo regno,
Pavelic scappò insieme ai suoi gerarchi e a 500 religiosi cattolici
fra i più compromessi nell'eccidio, trovando rifugio a Roma dove visse per tre anni nascosto nel Collegio di San Girolamo degli Illirici,
in Via Tomacelli, edificio protetto dalla extraterritorialità vaticana.
Non giunse a mani vuote, ma, come tutti gli ospiti che si rispettino,
portò un dono: l'oro, i gioielli e i titoli rapinati alle vittime.
Anche a Stepinac aveva lasciato un presente, trentasei casse d'oro, che
l'arcivescovo si fece incautamente scoprire un anno dopo dal governo di
Tito. Il Vaticano ricambiò il munifico omaggio facendo
fuggire questo criminale in Argentina nel 1949, vestito in abiti
talari e munito di adeguato passaporto.
Con le stesse modalità la Santa Sede aiutò a fuggire
duecento ustascia e cinquemila delinquenti nazisti, l'aristocrazia
del crimine, fra i quali il Dottor Mengele, Walter Rauff,
Adolf Eichmann, Erick Priebke, Franz
Stangl.
A capo dell'Organizzazione di soccorso vaticana, che attivò
quella che gli alleati denominarono rat line,
la via dei topi, vi erano Draganovic, monsignore ed ex colonnello ustascia,
e il vescovo Alois Hudal, titolare in Roma della chiesa di Santa Maria
dell'Anima, uomo di fiducia di Papa Pacelli.
Le memorie di Hudal pubblicate
in tedesco dopo la sua morte, rappresentano la più dettagliata
documentazione della via dei topi: "compito svolto per incarico
del Vaticano", come egli afferma.
Dell'oro croato nascosto
in Vaticano correvano voci fin dall'immediato dopoguerra nell'ambiente
dei servizi segreti. Gli ustascia emigrati in Argentina si confidarono
con le autorità di quel paese, attivando la stessa Evita Peron,
subito partita per l'Italia allo scopo di convincere Pio XII a rispettare
gli impegni presi con Pavelic di restituirgli una parte del bottino. Evita
tornò a Buenos Aires a mani vuote perché l'oro non era stato
restituito, ma affidato in gestione al vescovo Alberto di Jorio, presidente
dello Ior, e al suo alter ego Bernardino Nogara.
La regia vaticana
nella via dei topi viene documentata per la prima volta da un rapporto
- top secret - inviato il 15 maggio 1947 dall'addetto militare Usa a Roma
Vincent LaVista, al Segretario di Stato americano George Marshall, che
dettaglia le responsabilità vaticane e la partecipazione di numerosi
sacerdoti all'attività illegale e clandestina.
LaVista informa che grossi quantitativi di oro, trafugato alle vittime,
sarebbero stati occultati nei Palazzi Apostolici. Questo documento segue
di poco quello dell'agente speciale del Tesoro Usa Emerson Bigelow, che
documenta come nelle casse vaticane sia finito un quantitativo d'oro per
un valore di 200 milioni di franchi svizzeri,
depredato dagli ustascia. Analoga affermazione viene dalle memorie di
James V. Milano, comandante del 430 distaccamento del controspionaggio
dell'Us Army's Counter Intelligence Corps, il quale aggiunge altri particolari
a quelli già noti.
Il 22 luglio 1997
il quotidiano francese Nice Matin, pubblica un articolo intitolato
"Oro croato al Vaticano?"
L'amministrazione americana
indaga su un trasferimento di ottocento milioni di franchi francesi",
nel quale è scritto: "Bill Clinton ha annunciato ieri
che il Dipartimento del Tesoro sta studiando il documento d'archivio che
rivela che la Santa Sede ha conservato dell'oro dell'antico regime fascista
di Croazia. Secondo il documento, diffuso da una rete televisiva americana,
una parte rilevante delle riserve d'oro del regime fascista croato, del
valore di circa ottocento milioni di franchi, sotto forma di lingotti
d'oro, sarebbe stato immagazzinato presso il Vaticano, verso la fine della
Seconda guerra mondiale, per evitare che venisse sequestrato dagli alleati...
Secondo voci insistenti queste riserve, essenzialmente costituite da lingotti
d'oro, in seguito sarebbero state dirottate, a cura del Vaticano, verso
la Spagna e l'Argentina. L'estensore del documento afferma comunque di
ritenere che queste voci siano state diffuse dal Vaticano per nascondere
la verità: secondo lui queste riserve non hanno mai lasciato la
città pontificia". La Santa Sede, attraverso il portavoce
del Papa, Joaquin Navarro Valls, smentisce tutto, definendo le notizie
riportate dal quotidiano francese "informazioni senza alcun fondamento."
La certezza che il
tesoro ustascia si trovi ancora in Vaticano riceve il crisma dell'ufficialità
il 2 giugno 1998 dal Rapporto Usa stilato dal sottosegretario di Stato
Usa Stuart Eizenstat, che afferma, fra l'altro, che gli archivi ustascia
furono portati in Vaticano, così come oro e gioielli. Aggiunge
che "anche se non ci sono prove dell'implicazione diretta del
Papa e dei suoi consiglieri, sembra inverosimile che essi abbiano del
tutto ignorato ciò che stava accadendo. Le autorità vaticane
hanno affermato di non avere trovato alcun documento suscettibile di fare
luce sulla questione dell'oro ustascia". La reazione ufficiale
di parte vaticana, espressa dal portavoce pontificio Joaquin Navarro Valls
è: "il segretario dell'Istituto San Girolamo, che era
all'epoca Krunoslav Draganovic, ha forse utilizzato quest'oro unicamente
a proprio titolo, senza l'autorizzazione dell'Istituto e senza che il
Vaticano lo sapesse".
L'avvocata americana
Keelyn Friesen, che coordina l'azione giudiziaria contro lo Ior e gli
altri accusati di complicità nell'imboscamento del tesoro ustascia
promossa da Zivkovic e dai suoi compagni, promette battaglia dura ed esige
giustizia. Una giustizia, che se deve suonare condanna per l'indegno agire
di uomini della Chiesa, chiama anche in causa tutti i successori di Pio
XII.
il
manifesto 18 febbraio 2000 |