Uno degli episodi più dolorosi della seconda guerra mondiale
in Friuli ebbe luogo ad Avasinis, piccola frazione del comune di Trasaghis:
il 2 maggio 1945, mentre Udine e tanti altri paesi friulani festeggiavano
già la Liberazione, con un drammatico “colpo di coda”,
elementi nazifascisti penetrarono in paese e compirono una strage indiscriminata,
di cui fecero le spese 51 persone, tra le quali numerose
le donne, i vecchi e i bambini.
Il fatto veniva alla fine della lunga occupazione cosacca, cominciata
nell’ottobre del ’44 quando, per debellare il movimento
partigiano che in zona aveva avuto una particolare diffusione, migliaia
di cosacchi del Don erano stati mandati a presidiare i paesi, in qualche
caso anche costringendo la popolazione civile ad un duro e totale sfollamento.
Nella primavera del ’45, dopo sette mesi, quando le sorti della
guerra stavano volgendo a favore degli alleati, si assistette all’avanzata
delle forze angloamericane e, contemporaneamente, al riorganizzarsi
delle formazioni partigiane e all’inizio della ritirata di tedeschi
e cosacchi.
La ritirata dei cosacchi nella zona fu soprattutto la conseguenza di
un massiccio bombardamento alleato sul paese di Alesso (26 aprile) che provocò diverse decine di vittime tra gli occupanti
e la partenza della maggior parte dei cosacchi in lunghe carovane dirette
in Austria. Nei giorni successivi i cosacchi rimasti nei paesi vennero
fatti prigionieri dalle formazioni partigiane (era rimasto ad operare
in zona soprattutto il Btg. Friuli delle formazioni Osoppo)
e concentrati ad Avasinis.
Nella mattinata del 1° maggio transitò nella zona una imponente
colonna nazista, integrata da formazioni cosacche, proveniente dallo
Spilimberghese. Nel corso del tragitto i nazisti uccisero alcuni partigiani:
Gino Bianchi “Ero”, ad Avasinis (fatto segno in lontananza
da colpi d’arma da fuoco), Provino Tomat “Fiume” ad
Alesso (freddato, assieme a una ragazza che si trovava a passare nelle
vicinanze, probabilmente in reazione all’uccisione di un graduato
tedesco) e Oddone Stroili “Tobruk” a Cavazzo (che, individuato
da un delatore, venne catturato, obbligato a portare sulle spalle un
carico di munizioni e quindi ucciso). Fecero anche prigionieri
diversi civili, mettendoli alla testa della colonna, per scongiurare
attacchi e ritorsioni e conducendoli sino a Tolmezzo.
Durante il pomeriggio di quella giornata un’altra squadra, probabilmente
appartenente al Btg. Karstjäger delle Waffen SS,
arrivò a Trasaghis, forse per individuare una più sicura
via di ritirata o, più probabilmente, per eliminare la minaccia
partigiana e garantirsi un ripiegamento senza ostacoli.
La formazione attivò sin da subito delle postazioni con mortai
su un colle davanti al paese di Avasinis, effettuando anche delle perlustrazioni
fin nelle vicinanze del paese e preparando un’azione di accerchiamento
delle postazioni partigiane (elementi tutti che portano a pensare ad
una lucida preparazione dell’attacco). Nella prima mattinata del
giorno successivo, i nazifascisti, divisi in diverse squadre, diedero
l’assalto ad Avasinis.
Invano, per un breve periodo, le formazioni partigiane presenti in loco
tentarono di contrastarla: dovettero ritirarsi dopo aver perso un partigiano,
colpito mortalmente da schegge di mortaio e a seguito dell’azione
di accerchiamento compiuta dagli attaccanti.
La squadra nazista (una formazione composta, oltre che da tedeschi,
da altoatesini, istriani e probabilmente anche friulani) penetrò
in paese e diede attuazione ad una strage indiscriminata.
La cronaca di quei terribili momenti traspare dalle parole del Parroco
di Avasinis, don Francesco Zossi, testimone diretto della strage ed
egli stesso gravemente ferito dai colpi sparatigli contro dalle SS:
«Scene di orrore e di morte avvengono ovunque. Si sentono urla, grida spasimanti, voci strazianti
invocanti pietà. Là due giovani ragazze uccise dopo essersi
da esse fatto servire il pranzo e dopo sevizie, vecchi freddati nella
sedia accanto al focolare, mamme assassinate coi bambini in braccio,
uomini fatti uscire di casa, derubati del portafoglio e poi freddati,
persone raccolte in una casa o costrette in qualche andito falciate
col mitra, pacifici vecchi che, non sapendo dare ragione di quanto avveniva,
erano sulla via colpiti a morte, là una donna colpita e non ancora
morta cui hanno tagliato il dito per prenderle l'anello, una quantità
di persone sequestrate e chiuse quali ostaggio in due case di via Piloni,
i vivi rintanati nelle cantine, nei fienili, tra le travi delle soffitte
fino nei camini, i meno rimasti in casa a placare l'ira con l'offerta
di ogni cosa pur di avere salva la vita.»
Dopo il ritiro
della squadra autrice del massacro, avvenuto nella mattinata del 3 maggio,
le formazioni partigiane attuarono delle perlustrazioni e stabilirono
dei posti di blocco nei quali incapparono una trentina di nazifascisti.
Questi, ritenuti (pur su base indiziaria) responsabili della strage,
furono condotti ad Avasinis ed uccisi dalla popolazione sulla piazza
del paese o dai partigiani lungo i greti del Leale e del Melò.
Nel clima concitato di quei momenti, di fronte al dolore ed alla rabbia
conseguente all'eccidio di Avasinis, con la gente in preda a "un
animo terribilmente scosso, che non vedeva più ragione o virtù",
come scrisse don Zossi, si ebbero anche delle dure ritorsioni contro
i prigionieri cosacchi, che dal paese erano stati trasportati in alcune
basi partigiane in montagna.
Le vittime della strage di Avasinis, sepolte in una fossa comune in
cimitero, sono state periodicamente ricordate attraverso commemorazioni
svoltesi il 2 maggio di ogni anno.
Il "senso della memoria" si è concretato attraverso
l'erezione di un monumento-ricordo, inaugurato nel decennale della strage
e poi, nel 1995, attraverso la trasformazione del vecchio cimitero in
un monumento-memoriale a imperituro ricordo dell'episodio.
Sul dramma occorso al paese di Avasinis sul finire della guerra, si
è innescato per decenni un dibattito, anche serrato: le formazioni
partigiane sono state accusate di aver agito senza lungimiranza, talvolta
addirittura di avere apertamente provocato la reazione nazifascista
e la strage conseguente. In realtà, molto spesso l'indagine obiettiva
è stata messa in secondo piano rispetto a un preconcetto discorso
ideologico.
Indagini serie e circostanziate non sono mai state compiute da parte
della magistratura: dopo le risultanze del lavoro di alcuni ricercatori,
alcuni anni addietro, l'Amministrazione comunale di Trasaghis aveva
segnalato al Dokumentationzentrum di Vienna, il celebre istituto
diretto da Simon WiesenthaI
che ha offerto un contributo notevole alla ricerca dei nazisti responsabili
di misfatti compiuti nel corso dell'ultima guerra, il fatto che, a tanto
tempo di distanza, non fossero stati compiuti passi significativi nell'individuazione
dei responsabili dell'eccidio di Avasinis.
Il Centro viennese, non disponendo di alcuna documentazione al riguardo,
ha segnalato il fatto alla magistratura tedesca, che ha deciso di aprire
un'inchiesta ufficiale.
Nel mese di agosto del 2002 sono venuti in Italia il responsabile dell'inchiesta,
un commissario della Bayerisches Landeskriminalamt, la Polizia
bavarese cui, per competenza territoriale, sono state affidate le indagini,
assieme al consulente storico Carlo Gentile, uno studioso italiano che
vive e lavora in Germania e ha compiuto diversi studi sui crimini di
guerra nazisti.
Dopo un colloquio a Padova col Procuratore militare Sergio Dini, essi
si sono recati ad Avasinis, effettuando un attento sopralluogo sui luoghi
della strage, individuando tempi e modalità delle azioni belliche
e, infine, soffermandosi commossi davanti al monumento che reca le immagini
fotografiche delle 51 vittime innocenti dell'eccidio.
Nei mesi successivi, oltre alla prosecuzione delle ricerche in Friuli,
le indagini sono state incentrate, in Germania, sugli interrogatori
di alcuni superstiti dei Battaglioni SS sui quali vertono i maggiori
indizi di responsabilità, nella speranza che un impegno coordinato
possa portare, pur a distanza di tanti anni, nuovi indizi sulle cause
e sulle responsabilità della strage.
da:
PATRIA INDIPENDENTE, 11 maggio 2003
È
stato aperto in rete un blog sulle vicende
della strage nazista di Avasinis: nelle intenzioni dei promotori,
la creazione di uno spazio
telematico ove trovare informazioni e occasioni di discussione
sulle tante problematiche ancora aperte.
http://blog.libero.it/2diMaj
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Il DVD è edito dal comune di Trasaghis e dal Centro di Documentazione sul Territorio, con il contributo della Provincia di Udine e della Comunità Montana del Gemonese.
Consulenza storica: Pieri Stefanutti
Coordinamento territoriale: Walter Rodaro
Regia, riprese e montaggio: Dino Ariis e Renata Piazza
Le interviste del 1990 sono state filmate da Giovanni Nanni Stefanutti
Il filmato, della durata complessiva di oltre un'ora e mezza, utilizza materiale ricavato da tre
interviste realizzate nel 1990 (a testimoni ormai deceduti) e sei interviste realizzate nel 2005, per
giungere, attraverso l'incrocio delle testimonianze, alla ricostruzione dei fatti.
Il video nel riportare al dramma della giornata del 2 maggio 1945, implicitamente, associa il caso
di Avasinis al dolore di tutte le vittime della guerra e della violenza.
Le testimonianze iniziali, nel capitolo "L'inizio del terrore", ricostruiscono i momenti antecedenti
alla strage, mentre la parte più corposa del filmato è rappresentata dal capitolo "Anatomia di un
massacro", dove le testimonianze vengono a ricostruire dettagliatamente i momenti di terrore.
Viene poi revocato, nel capitolo "Quando cessarono gli spari", il momento della sospensione delle
uccisioni e la graduale, drammatica scoperta dell'entità della strage e quindi, in "La pietà e le
lacrime", i testimoni rievocano la pietosa fase del recupero delle salme e del loro trasporto in una
fossa comune nel vecchio cimitero accanto alla chiesa. Nel capitolo "La rabbia e la vendetta", le
testimonianze rievocano le ore convulse seguite alla strage con le esecuzioni sommarie di sbandati
nazisti e cosacchi.
Il video si chiude col capitolo "I dubbi e le certezze", dove una selezione di testimonianze porta
infine a riflettere sugli elementi acquisiti e su quelli ancora in dubbio relativamente alle
responsabilità dell'eccidio e all'identificazione del reparto autore del massacro. In questa sezione è
compresa anche un'intervista al giornalista Franco Giustolisi, autore del libro "L'armadio della
vergogna" che si sofferma sul "caso" di Avasinis nella più vasta problematica delle indagini sulle
stragi naziste in Italia.
Il video consente dunque
di riflettere e di avere nuovi elementi su uno degli episodi più gravi e meno conosciuti della storia
della seconda guerra mondiale nella nostra Regione e assume pertanto un importante significato
sul piano storico.
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