L’AVANZATA DEL SOCIALISMO
2.1. La Società Operaia di Mutuo Soccorso ed Istruzione.
Nel capitolo precedente si sono individuate le cause attraverso le quali le idee socialiste poterono penetrare nelle comunità montane della Carnia - più specificatamente nella Val Pesarina - e originare un movimento politicizzato dei lavoratori.
Questo ebbe come elemento di fondo e coesione “l’esistenza nei paesi d’emigrazione, specialmente Germania ed Austria, di una classe operaia fortemente organizzata in sindacati, con chiaro intento socialista”.
Si è accennato anche a personalità che non conobbero la via dell’estero, ma che ricoprirono in loco ruoli fondamentali per la divulgazione delle idee progressiste come quella del Dottor. Luigi Grassi Biondi, che fu di vitale importanza per fare del comune di Prato Carnico “il faro portante e l’esempio della Carnia, che segnò tappe di avanguardia nei confronti di altri comuni”.
Dobbiamo quindi iniziare con l’analizzare più a fondo la Società Operaia di Mutuo Soccorso ed Istruzione in quanto fu in essa che si delinearono i primi segni di conflittualità tra le forze sociali cosiddette d’avanguardia (circolo socialista, gruppo anarchico) e quelle conservatrici (clerico-liberali) e da dove “l’ala operaista” prese coscienza della sua identità.
Il fenomeno del mutualismo ritardò a manifestarsi in tutta la provincia friulana (la prima Mutua si costituì a Udine nel settembre 1866 sotto l’egida del commissario governativo Quintino Sella ) all’interno di un contesto nazionale che lo vedeva già come punto di riferimento per il nascente proletariato urbano e rurale.
Queste forme associative si dedicavano non solo al mutuo soccorso ma anche all’organizzazione di cooperative di consumo e di produzione. Alcune di esse miravano addirittura a promuovere scioperi ed elaboravano programmi di lotta attiva e di resistenza contro il padronato, altre furono organismi interclassisti in cui predominò il ceto borghese che “esercitò il suo potere secondo uno spirito filantropico ed con intento strumentale: favorire sotto la protezione governativa quelle forme associative fra gli operai, le quali possono migliorare le condizioni di vita, al fine di evitare che situazioni di miseria troppo esacerbata possano indurre malcontento e diffondere idee sovversive.”
La Società Operaia di Prato Carnico che “appena sorta crebbe a meraviglia e lo mostra l’aumento annuale dei soci (vi si iscrissero subito oltre 100 soci, uomini e donne, ed il numero degli iscritti aumentò gradatamente sino a raggiungere i 350)” sorse secondo il Fabian nel 1888 (dai documenti risulta però attiva dal 1892) per iniziativa di “Patrizio Cleva e Giacomo Solari, ardenti repubblicani ed anticlericali reduci dalle lotte per l’indipendenza italiana”; la sua attività fu lunga (si concluse nel 1943) e costellata da forti mutamenti. Fin dalla sua formazione si dichiarò neutra, ma “i festeggiamenti della gran data del XX settembre con relativi abbasso ed evviva” facevano intuire posizioni di parte, “merito specialmente del medico locale, un razionalista socialistoide meridionale”.
Fu costituita da operai, artigiani e commercianti, e anche se la parte possidente del luogo “aveva concepito la creazione dell’operaia, non tanto quale strumento di elevazione civile dei valligiani, quanto quale mezzo di contenimento della crescente pressione operaia, di cui temeva la politicizzazione”, essa fu comunque “il prodotto di un’ampia consultazione popolare, interessante gli stessi emigranti e fu, in questo senso, indice ed insieme coefficiente di una maturità associativa diffusa ed ormai consolidata.”
Le Società Operaie ebbero quindi notevole importanza in quanto rappresentarono il primo atto associativo di una nuova forza sociale -la classe operaia-, “che consentì loro di riunirsi e discutere, in un ambito di legalità, dei loro problemi, maturando una nuova esperienza o confrontandola con quella che avevano acquisito nelle regioni di emigrazione.” Le società operaie di mutuo soccorso ed istruzione che si erano ovunque costituite ed affermate, rappresentarono “la prima tappa, l’anticamera, l’infanzia del socialismo.” Si è già accennato come ad Ampezzo la costituzione di un Circolo Operaio Democratico d’impostazione socialista fu tentata nel 1896 (ed i promotori rischiarono subito il domicilio coatto), mentre “quella di Prato è del ’98,” e come questi tentativi vennero stroncati dalla repressione governativa per riprendere ai primi del ‘900. La società Operaia di Mutuo Soccorso ed Istruzione a composizione mista di Prato Carnico nacque per “tener d’ora innanzi sempre vivo e tenace quel legame di fraterno affetto che si estrinseca nel più dovuto dei modi: il mutual soccorso.” L’operaia vantava al “l marzo 1898, 186 soci”, molti di essi furono operai emigrati, per lo più muratori come dimostrano le sottoscrizioni in una lettera proveniente da Pittsburg negli Stati Uniti d’America in data 30 luglio 1891:
Onorevole signore!
Ricevei lo statuto della società operaia di mutuo soccorso di Prato Carnico da Lei speditomi, ed il piacere che provai mi fece traballare il cuore d’allegrezza. Anche i compaesani che mi circondano per quanto ne ho potuto riconoscere ne sono contenti del fatto, dimostrandosi pronti a porvi le loro firme, come si vede dall’elenco qui unito, elenco compito alla meglio ma di migliore espressione come fosse fatto a colonne.
Scrissi anche nel contorno e nelle diverse parti che si trovano gli altri compaesani in quest’America, non sapendo che ancor loro avessero ricevuto lo statuto e nel manifestarmi questo mi risposero che riuniranno ove si trovano il loro voto per poi spedirglielo. Mediante la di Lei efficacia e quella di molti altri collaboratori, non dubito punto che la predetta società non venga effettuata. Anzi ne sono pienamente convinto che al tempo determinato l’onorevole società avrà messo le sue radici e sarà impiantata issando per tal mondo la bandiera di fratellanza.
Nel caso vi siano ciascheduno dubbioso ed in risolvibile, col tempo e coi fatti si accorgeranno quali benefizi producono queste società in modo che la loro incredulità svanirà da loro cuori come la nebbia dal ciel sereno.
Dietro mio parere sarebbe da aggiungere un articolo duodecimo dello statuto che: tutti isoci che per negligenza non avessero pagato le rate dovute a termine del medesimo articolo, di non usufruire nessun dei vantaggi e benefici nel caso si ammalassero durante la loro morosità di pagamento.
Al termine della lettera Martin Lugano invitava ad attuare alcune modifiche statutarie riguardanti il periodo di versamento delle quote associative. Traspare da questa missiva la sincera adesione agli ideali di fratellanza che gli emigranti, seppur lontani, portavano verso la comunità; non è un caso infatti che oltre alla sua firma ne seguirono altre sette tutte di compagni muratori. Si sottolineava, fra le righe, la spinta a voler costruire qualcosa di solido, di sicuro che potesse assicurare migliori condizioni di vita ai lavoratori, riguardo per esempio alla cassa malattia.
Nel suo statuto la mutua si prefisse di “concedere un minimo di assistenza ai soci in caso di malattia, mediante la corresponsione di sussidi giornalieri che possono andare, salvo qualche particolare caso, fino a 60 giorni”.
Essa ebbe notevole importanza per quanto riuscì a fare per ovviare alla mancanza di legislazione sociale e specialmente alle lacune inerenti l’assicurazione sul lavoro, “si pensi che allora il contributo annuale dei soci era di ben…L.5, e di esso ben…L.2 furono sempre regolarmente versati alla Previdenza Sociale quale contributo assicurativo: in grazie di ciò, nonostante la modestia di tali versamenti, molti vecchi iscritti hanno goduto e pochissimi restano ancora in godimento di una sia pure minima rendita pensionistica;” A tutto ciò si aggiunse anche l’indennità per malattia come dimostrano le centinaia di certificati medici che arrivarono alla società stessa.
Contro il parere contrario di “soci moderati,” l’organizzazione sostenne economicamente dal 1904 la locale sezione del Segretariato dell’Emigrazione nata lo stesso anno: “nell’anno 1904 la sezione era stata sussidiata dalla Società Operaia, o meglio, questa aveva creduto opportuno di iscrivervi tutti i suoi soci emigranti il che diede motivo agli strilli ed alle lagrime di tutte le oche clerico-reazionarie e pseudoliberali della società, e questa fu una minaccia per la sua esistenza.” La reazione dei conservatori fu dovuta al fatto che la sezione nacque sotto l’egida del Circolo Socialista il quale decise che la sua organizzazione doveva essere “indipendente dalla società di mutuo soccorso” e i suoi lavori dovevano essere coordinati da 8 membri nominati dal circolo stesso. Al V congresso degli emigranti che si svolse a Gemona il 29 gennaio 1905, furono presenti infatti ben otto sezioni locali del Segreatariato tra cui Prato Carnico, Paluzza, Treppo Carnico , Lauco, Ampezzo e Forni di Sopra per la Carnia.
Particolare attenzione fu inoltre riservata ai problemi dell’istruzione, “quasi tutti gli statuti prevedevano la possibilità di interventi per la costituzione di scuole serali di lingue straniere e di indirizzo tecnico-professionale.”
Come fosse importante per la popolazione di Prato la formazione professionale e quindi la possibilità di qualificarsi come lavoratori fu espresso da una relazione dell’anno scolastico 1908-1909 della Scuola Serale di Disegno Applicato alle Arti e Mestieri, relazione rivolta alla società di Mutuo Soccorso ed Istruzione: “ (…) ’iscrizione per l’anno corrente ai diversi corsi, ebbe luogo il primo dicembre ed al 7 della stagione ebbero principio le elezioni regolari con 75 alunni così divisi: 19 nel corso preparatorio; 22 nel primo e 34 nel secondo così ripartiti: 30 muratori; 26 scalpellini-muratori; 18 falegnami e 9 fabbri (…).” Il relatore continua poi sottolineando che : “ (…) la scuola non ha risorse bastevoli ad un incremento maggiore necessario per renderla veramente adatta al suo scopo, perciò se vorrà incoraggiarci con un sussidio più generoso, questo consiglio direttivo sarebbe d’idea di prendere per il disegno ed arti applicate una persona veramente tecnica”.
L’incoraggiamento richiesto alla Società di Mutuo Soccorso ed Istruzione sottolineava l’impegno che tutta la comunità riversava per costruire una scuola professionale dignitosa nel comune e la possibilità di preparare operai qualificati sempre più richiesti all’estero. Le scuole professionali andarono ad affiancarsi a quelle private e poi statali, che in Carnia potevano vantare, rispetto ad altre province, un’elevata alfabetizzazione. Così “nel censimento del 1871, primo eseguito sotto il nuovo regno, i due distretti di Ampezzo e di Tolmezzo si presentavano sui più alti gradini nella scala della istruzione popolare, nella stessa provincia di Udine, la quale pure teneva un buon posto tra quelle del Regno.”
Una coscienza scolastica che ebbe origini lontane nell’ambito ecclesiastico e che determinò “il sorgere di scuole private, gestite da parroci e cappellani e frequentate da giovani di buona famiglia o stretti da vincoli di parentela o di amicizia.” Allora “l’istruzione popolare era quasi per intero nelle mani del clero (51 maestri sacerdoti sopra un totale di 64)” e “la maggior parte degli insegnanti era priva di patente con stipendi di meschinità irrisoria (lo stipendio massimo allora veniva retribuito dal comune di Tolmezzo e saliva a 600 lire; il minimo da quello di Forni Avoltri e scendeva a lire 69,16);” ciò non tolse il fatto che “nell’inverno ben oltre la metà, e nell’estate ancora oltre il 40% dei ragazzi fra i 6 e i 12 anni frequentassero la scuola.”
Con l’unificazione dell’Italia vi fu una progressiva laicizzazione dell’istruzione di Tolmezzo, Paluzza e Prato Carnico dove “dei 129 insegnanti solo 20 sono sacerdoti, rispetto ai 34 del 1876 ed ai 51 del 1867,”e “gli stipendi nella media erano cresciuti, raggiungendo ormai 464 lire.”
In seno all’operaia si venne a creare anche una banda musicale, la Fanfara, costituita nel febbraio 1901 “con 17 membri e docente provvisorio Canciano Q. Nicolò.” Per ottenere un concerto della banda musicale bisognava fare richiesta alla Società la quale attraverso il consiglio direttivo ne stabiliva il costo e la possibile disponibilità.
La Società oltre che un punto di riferimento di natura assicurativa, previdenziale e scolastica per i lavoratori, fu quindi anche promotrice di momenti ricreativi per la popolazione. I numerosi spartiti musicali tra cui Il Valzer Sempre-Allegri, la Polka-Fatina, la Mazurca-Costanza, la Vita è Bella, insieme alle tantissime marce, indicano il gusto per il ballo e l’associazionismo di allora; tra di essi vi sono anche L’inno dei Lavoratori, Il Canto del Lavoro e L’Internazionale che stavano a sottolineare come i canti politici incitanti all’unione e alla lotta per la libertà del lavoratore fossero parte integrante del tessuto socio-culturale della comunità pesarina.
Banda della Società di Mutuo Soccorso
Nonostante questi sforzi accadeva spesso che la struttura e la gestione della Società si preoccupasse più “dell’accumulo e del consolidamento dei fondi sociali che del livello quantitativo e qualitativo delle prestazioni erogate”, che i prestiti venissero concessi “a tassi certamente non agevolati” e che si prevedesse anche che “il riparto attivo residuo di ogni anno” venisse assegnato a ciascun socio come “capitale proprio che però non poteva essere prelevato che dopo 25 anni dalla sua iscrizione nella società”.
La funzione finanziaria della Società Operaia fu una delle cause che alimentò lo scontro fra i soci socialisti e i clerico-conservatori, portando verso una definitiva scissione dell’organizzazione stessa.
A tal riguardo sono interessanti le informazioni che ci vengono fornite dai diari di Don Antonio Roia e dalla stampa cattolica; in data 9 gennaio 1901 si legge che il Circolo Educativo Democratico aveva deciso “d’istituire un magazzino cooperativo di consumo per conto proprio opinando che il cosiddetto cattolico non corrisponda allo scopo per cui è stato istituito,” quindi si decise che venisse “a tener loro conferenze sull’organizzazione e protezione degli operai l’avvocato Rondani.”
Il segretario del circolo Giuseppe Giorgessi richiese al presidente dell’Operaia, il Cav. Roia Osvaldo Davanzo, che “essendo questa composta in massima parte di operai pareagli bene s’invitasse il Rondani a tenere uno o due discorsi nelle sala della Società.”
Il presidente espresse il fatto al consiglio di amministrazione che decise di non pronunciarsi ma “di deferir ciò all’assemblea generale;” la stessa “ebbe luogo il 23 dicembre e fu burrascosa”. Fin dal principio non si fece cenno alla richiesta del Giorgessi fino a che “Giosuè da Bola membro del club (così venivano chiamati i vari gruppi politici!) domandò se mai per caso fosse giunta alla presidenza lettera del tal e tal tenore.” A questo rispose il geometra Damiano Polzot che “cominciò a dire ch’essi sono istruiti abbastanza e non hanno alcun bisogno che vengano dei socialisti a dar loro lezioni.”
Per tutta risposta “la montagna -un buon gruppo di operai socialisti di Truia- chiese la votazione della proposta del circolo socialista”; venne quindi stabilito di votare la petizione Giorgessi per alzata di mano e “furono ad essa favorevoli 26, contrari 19,” ma allo scioglimento della seduta il “Polzot domandò che si votasse per appello nominale.” In questa maniera molte furono le persone che trovandosi oramai sull’uscio votarono inconsapevolmente ad una domanda della quale rimasero molto sorpresi non sapendo di che si trattasse; ne scaturì “un pandemonio vedendo i socialisti valida la prima votazione, ed i liberali del club pro patria ritenendola nulla perché l’oggetto non era stato messo all’ordine del giorno.”
La seduta si concluse con l’annullamento dell’assemblea e le dimissioni del presidente Cav. Osvaldo Roia Davanzo, “mentre la domanda di ammissione alla Mutua presentata dal Giorgessi non fu accolta.” Comunque dalla capacità creativa del Circolo Democratico, nel 1901 nacque “il Magazzino Cooperativo Popolare, (società anonima cooperativa di produzione e consumo),” una tra le prime iniziative a carattere economico nella valle.
L’opposizione del Polzot, “figlio di un carrettiere divenuto possidente per gli ampi margini di guadagno consentiti da questa professione,” fu una logica conseguenza rispetto ad un socialismo in continua crescita la cui propaganda anticapitalistica cominciava seriamente a far paura alla classe borghese e ancor di più ai clericali. L’invito del Rondani, che venne più volte da queste parti a fare propaganda, fu un esplicito atto politico più che economico; la Cooperativa socialista doveva rappresentare prima di tutto uguaglianza e solidarietà, ma anche nuovo bacino d’utenza, nuova linfa per il partito per renderlo più concorrenziale nelle elezioni amministrative, infondendo negli operai l’utilità della cooperazione al fine di sconfiggere lo sfruttamento padronale.
Ciò veniva espresso bene anche da due emigrati a Seitendorf (Schlesien) che, scrivendo alla Sezione Socialista, ricordavano come:
“i bravi compagni di Prato combattono coraggiosamente contro l’amministrazione clericale che attraverso le polemiche accese sente già il freddo della prossima strombatura, poiché nelle vicine elezioni siamo certi di mandare in consiglio un gruppo abbastanza numeroso dei nostri, senza dimenticare però che mentre ferve la lotta in questo campo conviene che i compagni non tralascino la necessità di una intensa propaganda per le nostre Cooperative di produzione e consumo, che sono per noi i più potenti strumenti di emancipazione……occorre che tutto il proletariato pratese si stringa attorno alle proprie cooperative con ogni sacrificio, affinché un giorno forti di capitali e di sviluppo commerciale possano veramente imporsi al mercato locale e funzionare da calmiere.”
La battaglia contro “l’aristocrazia commerciale paesana e all’alleanza prete-commerciante” fu il banco di prova in cui i socialisti provarono la loro forza; tentativo coronato quando nel 1906 venne fondata “in Villa Santina fra convenuti da ogni canale della Carnia una Società Anonima Cooperativa con sede in Tolmezzo, per quote, che si denominò Cooperativa Carnica di Consumo.” Di questa fu “animatore e presidente fino al primo conflitto mondiale” l’avvocato Riccardo Spinotti, “esponente di primo piano del partito”.
Scopo precipuo come osserva il Leschiutta fu “il miglioramento economico e sociale della Carnia da realizzare anche per il tramite dell’acquisto diretto dei generi di più largo consumo e svolgendo poi, nell’interesse dei soci, anche altri servizi commerciali al fine di compensare equamente, ed in misura proporzionale, capitale investito e lavoro prestato.”Le sue funzioni non si limitarono alla sola sede centrale, ma si svolsero attraverso numerose succursali in tutta la regione, in modo da decentrare quei benefici che i pochi grossisti raggruppavano a tutto loro vantaggio a Tolmezzo; gli stessi socialisti di Prato vi aderirono mandando “come rappresentante della sezione il compagno Leita Giacomo.” A Villa Santina lo Spinotti fu anche tra i fondatori della “Federazione delle Sezioni Socialiste della Carnia e del Canal del Ferro” insieme ad altre personalità di rilievo del socialismo friulano come “Giovanni Cleva, Renzo Cristofoli, Vittorio Cella, Giovanni Mazzolini”; non è un caso che alla stazione a ricevere i compagni ospiti del convegno ci fosse “la brava fanfara di Prato Carnico, il paese che per primo fu baciato dalla rossa aurora del socialismo e che marcia agli avamposti del progresso della Carnia”.
2.2. Il dottor Luigi Grassi Biondi e il Circolo Socialista.
I primi contrasti tra socialisti e i così chiamati “lor signori” del comune di Prato Carnico si ebbero all’interno della benemerita con “il dottor Libero Grassi Biondi medico condotto che allievo del Rapisardi, assieme ad altri uomini di cultura locali, iniziò l’attività d’indottrinamento culturale e sociale” nella vallata.
La Società Operaia vedeva schierarsi due ali contrapposte: da una parte quella progressista rappresentata dal medico condotto, dall’altra l’ala conservatrice appoggiata dalla borghesia locale. Quest’ultima esprimeva nel geometra Damiano Polzot e nell’avvocato Cav. Osvaldo Roia Davanzo quell’ “oligarchia che spartiva, assieme al prete, il dominio della comunità pesarina.”
Le fonti e la documentazione inerenti al medico non forniscono granché sulla sua attività precedente alla fondazione della Sezione Socialista, ma dai pochi dati a disposizione si può dedurre che si formò nell’ambito di ambienti repubblicani e progressisti.
Nato in Sicilia nel 1857, compì i suoi studi liceali sotto la guida del poeta “Mario Rapisardi (Catania 1844-1912), positivista, ateo, anticlericale;” a Napoli fu alunno di medicina “dell’illustre clinico Antonio Cardarelli (Civitanova del Sannio 1832-Napoli 1927)” e giunto nella Val Pesarina (non vi sono notizie riguardo della data di arrivo) fu “tra i fondatori in qualità di socio contribuente dell’Operaia, alla quale prestò spontaneamente e gratuitamente l’opera quale medico senza averne obbligo di sorta.”
Nell’aprile del 1901 il quotidiano di Udine Il Paese indisse una campagna per raccogliere fondi al fine di erigere un monumento a Felice Cavallotti (Milano 1842-Roma 1898), lo stesso giornale pubblicava un elenco di pratesi che avevano versato dei soldi e “fra i nominativi figurava, come maggior contribuente, Grassi Biondi ed accanto a lui tutti i membri del direttivo del circolo.”
Il rapporto tra questo e la Società venne ad un certo punto ad incrinarsi; per comprenderne le cause ci viene in aiuto una sua lettera datata 26 agosto 1898, nella quale traspare in maniera evidente un tono di accusa e di risentimento verso la Società in cui lo stesso medico aveva riposto molte sue energie: “In questi giorni sono venuto a conoscenza che io sono stato fatto segno a biasimi ed a critiche malevoli da parte di alquanti socii e di alcuni consiglieri della Società Operaia, per essere intervenuto a qualche riunione del consiglio di Amministrazione” e continuava affermando che trovava i lagni ed i brontolii manifestati a questo riguardo fuori posto. Tra le righe si intuisce, seppur il medico parli in prima persona, l’esistenza di una contrapposizione di pensieri all’interno della Società evidenziata dal fatto “che certi socii e consiglieri hanno la pretesa che io non debba esprimere francamente e lealmente le mie opinioni nell’assemblea, come qualunque altro socio, sia perché foresto, sia per non urtare gli interessi di certe poco lodevoli coalizioni che dovrebbero essere estranee alla natura ed allo scopo della Società Operaia”.
Il dottore dopo aver sottolineato come su di esso ricadesse “maggiore responsabilità quando i soci per una ragione o per l’altra non vedono soddisfatte le loro assurde pretese da parte dell’amministrazione”, denotava come egli venisse “fatto segno continuamente ad ire ed a rancori, alimentati, quel che è peggio, da qualche membro dell’amministrazione”, soltanto per il fatto di difendere quelle che venivano chiamate prescrizioni statutarie. Da questo si capisce che il dottore fosse a conoscenza, o avesse intuito, delle irregolarità da parte dell’amministrazione, e per questo doveva essere assolutamente tagliato fuori perché persona scomoda.
Infine dopo aver ricordato la sua “disinteressata e del tutto a base di abnegazione” verso la Società Operaia concludeva che in seno ad essa si era “infiltrato il volgare sentimento del campanilismo ed il gretto principio dell’egoismo e dell’interesse” e che la sua opera “per quanto di lieve importanza, viene ricompensata con una buona dose di ingratitudine”.
Per tutto questo richiedeva di essere cancellato “scarso numero dei soci contribuenti” e di non volere più prestare “il servizio di medico per conto della Società Operaia”.
Il nocciolo della questione stava nei bilanci e nell’utilizzo dei fondi di gestione della Mutua stessa. La popolazione a suo tempo aveva aderito in maniera entusiastica alla fondazione e alla crescita dell’associazione, la quale grazie ad un “accurato ed efficiente sistema di riscossione delle quote associative e ad un oculata gestione contabile, godeva di un capitale mobile abbastanza cospicuo.”
Si poté così formare una solida base per fronteggiare le spese istituzionali e “assumere iniziative nel settore dell’istruzione, potenziando la scuola serale gratuita ai soci, e nel settore ricreativo organizzare la banda musicale.”
Queste attività non impiegarono però tutte le risorse finanziarie, in quanto nelle casse “permanevano discreti avanzi di gestione,” che via via aumentando “venivano messi in usufrutto mediante la loro concessione sotto forma di prestito a privati secondo un interesse variabile dal 5% al 7%. Ebbene i beneficiari di questi prestiti erano in genere soci esercenti attività commerciali o comunque dotati di una discreta rendita scelti dalla coalizione con fini eminentemente speculativi e non certo di mutuo soccorso.”
I sostenitori si videro così raggirati dai lor signori che “sfruttavano la Società Operaia prendendone i capitali al 4 e 5 per cento per ridarli poscia agli stessi soci della Società Operaia al 10 e 12 e più per cento” trasformando la Mutua in una vera e propria finanziaria che riponeva i suoi investimenti in una fascia sociale che certo con i più bisognosi aveva poco a che fare.
La stessa Banca Cooperativa creata nel 1898 la quale “non era la soluzione radicale originariamente sostenuta dall’ala avanzata dei soci, ma era un primo modo per far interessare l’Operaia al problema degli emigranti,” si vide rappresentare nelle sue massime cariche di vicepresidente e presidente proprio dal geometra Polzot e dal cav. Roia Davanzo. La coalizione moderata andava così ad assumere un peso ancora maggiore nei rapporti di forza all’interno dell’Operaia, ponendo le mani su quella che poteva essere la soluzione a tanti problemi economici dei lavoratori. In questa situazione Luigi Grassi Biondi decise di scendere direttamente in campo e di rompere ogni indugio unendosi direttamente alle forze socialiste.
L’analisi del registro dei verbali del Circolo Socialista informa che l’8 marzo del 1902 il medico ne divenne “presidente per alzata di mano,” dimostrando il suo impegno in prima persona contro quelle persone che lo stesso riteneva grette ed egoiste.
Con la sua direzione, la Sezione Socialista non attuò mutamenti politici di rilievo ma il programma del neopresidente volle prima di tutto rimettere in sesto il bilancio della sezione “la quale dopo un’iniziale periodo di attività, segnava il passo per difficoltà finanziarie,” - e se non altro avviò “una più consapevole rispondenza fra la politica locale del circolo e quella provinciale e nazionale.”
Con l’adesione al Circolo del dottor. Luigi Grassi Biondi l’amministrazione del comune, in prevalenza costituita da ceti conservatori e dai clericali capeggiati dal parroco don Pietro Maria Piemonte, cominciò a prendere in seria considerazione il pericolo dell’avanzata socialista e ad ostacolarla in tutti i modi. Iniziò immediatamente una campagna di boicottaggio e denigrazione verso l’attività del Grassi Biondi da parte dell’aristocrazia locale. Fintanto che egli non aderì al partito, fu “l’amico portato sugli scudi di tutti,” ma bastò che a Prato Carnico s’iniziasse “la rivoluzione d’idee” portate dai socialisti perché “le stupide preoccupazioni, le piccole beghe amministrative, le paure microcefaliche di tutti gli interessi dell’affarismo coalizzato si avventassero con ira feroce contro il nostro amico”. Furono svariate le inchieste aperte sull’operato del medico e si arrivò a inoltrare un’istanza di licenziamento all’Ordine dei Medici.
Contrariamente ad ogni aspettativa, l’ordine dei sanitari rispose con un sonoro schiaffo alla “borghesia idrofoba del comune in quanto la rivolta, la protesta solidale di tutta la classe dei medici alle arti con cui si è tentato di ferire la sua reputazione conquistata in un ventennio di professione” andava a porre sotto accusa lo stesso ostracismo dell’amministrazione comunale. Così tutte le organizzazioni sanitarie aderirono “al grave eccezionale provvedimento di boicottaggio,” verso il comune pesarino, anche se l’ordine dei sanitari faceva rimanere a disposizione di tutti “l’ingiustamente perseguitato medico condotto.” Riguardo la questione medica il circolo deliberò “d’incaricare una commissione fatta da rappresentanti d’ogni paese” affinché raccogliesse le firme dei “capifamiglia i quali, dato che il comune sia boicottato versino al dottor. Grassi Biondi una quota fissa” e di spedire “copia delle firme alla giunta amministrativa provinciale, munita di protesta.” A tal riguardo è interessante notare lo scontro che ci fu tra la Sezione Socialista e il comune per l’arrivo di un nuovo medico. Dopo “oltre due mesi” che il comune ne fu sprovvisto, circolava voce che dalle “tiepide aure della Toscana” stava arrivando un nuovo medico a sostituire il già “gratificato crumiro I” che aveva preso il posto del compagno Grassi Biondi rompendo il boicottaggio indetto dalle organizzazioni sanitarie; la cosa che fece andare sulle furie i socialisti è che “i forco – papisti battevano gran cassa per far sapere allo universo” che questo era uno di loro; le voci vennero accertate dopo che il circolo deliberò di “scrivere alla sezione di Pistoia per avere dei chiarimenti sulla condotta del medico locale Guido Fornai”. Appena questa giunse si decise “d’invitare il dott. Guido Fornai tramite raccomandata” a venire ad una riunione del circolo, cosa che avvenne il 19 gennaio 1907; alla riunione si diede lettura della lettera giunta da Pistoia e dopo “lunga e animata discussione”, il segretario Giosuè Fedeli “biasimava l’operato del Fornai come socialista iscritto al P.S.I. a concorrere come medico in un comune boicottato dalla classe medica”.
Il Fornai dichiarò che “dati i risultati d’inchiesta su gravi fatti d’immoralità del dott. Grassi Biondi, non appoggiava il boicottaggio proclamato dal consiglio dell’ordine dei sanitari”; la disapprovazione da parte del circolo verso l’operato del medico fu unanime e si decise di scrivere alla “direzione del P.S.I” per richiederne l’espulsione, visto “l’atto compiuto da crumiro in questo comune boicottato dalla classe medica”.
I socialisti diedero ragione “per una volta” ai loro avversari che il medico da loro chiamato fosse un socialista, ma sottolineando come “in seguito a proposta di questa sezione” fosse stato espulso dal Partito Socialista Italiano, “perché indegno di appartenervi”.
2.3 Le prime conferenze socialiste.
A Prato Carnico “nell’inverno 1901-1902, in seno al circolo socialista ebbero luogo diverse conferenze e dibattiti politici. Vi parteciparono come oratori: il socialista piemontese Rondani ed in seguito Podrecca, Ferri, Piemonte, Cosattini, Morgari, Merlin, Trampolini e Zavatteri”. Da queste conferenze si posero a confronto le diverse forze politiche del territorio, quelle clerico-liberale e quelle più progressiste; tra le prime conferenze che si possono ricordare vi fu il pubblico contraddittorio avvenuto il 12 febbraio 1901 in Val Pesarina tra l’on. Dino Rondani e il giovane avvocato democratico cristiano, Brosadola di Cividale.
Il modo in cui i socialisti prepararono l’accoglienza dell’illustre ospite che consisteva nel “provvedere per archi e festeggiamenti nonché tutto l’occorrente a ciò il deputato non abbia a lagnarsi” evidenziava come la venuta dell’esponente socialista doveva essere molto sentita dalla popolazione di Prato Carnico. Di tutt’altro avviso gli avversari clerico- moderati che, sentita la notizia sembravano non dargli molto peso in quanto “qui in paese non c’è grande aspettativa, e pochi sono quelli che s’interessano di questa venuta dell’…apostolo se si eccettua naturalmente quei cari soci che lo fanno venire”.
Le borgate fin dal mattino furono pattugliate dai carabinieri e da un delegato di P.S. per cui il comune sembrava in stato di assedio; all’arrivo del Rondani “buona parte della popolazione andò ad incontrare il deputato socialista a circa due chilometri del paese, salutandolo con interminabili applausi”, lo stesso si fermò “nella frazione di Avausa dove parlò sul tema Organizzazione Operaia”:
“…(..)..Spiegata la grande tela della dottrina socialista che ha per iscopo non già spezzare la proprietà ma nazionalizzarla, venne a proporre i mezzi di propaganda che sono: accrescere il numero degli elettori politici ed amministrativi per poi a suo tempo inviare al parlamento ed ai municipi rappresentanti socialisti: istruirsi ed educarsi alle nuove dottrine per procurarsi tutti gli agi della vita e migliorare materialmente, fisicamente e moralmente…disse che la carità è degradante per l’uomo e la rassegnazione predicata dai preti abominevole perché vieta le legittime e vantaggiose rivendicazioni della classe povera..(..).”
Anche se velatamente veniva portato un attacco alla religione e al clero, il rappresentante socialista preferì basare la sua propaganda sull’efficacia dell’organizzazione degli operai per la conquista delle istituzioni politiche; il socialismo poteva avverarsi solo attraverso la conquista del potere pubblico e il mezzo per riuscirci era quello di portare più socialisti possibili alla guida dei municipi e del parlamento. Per ribattere alla propaganda del deputato socialista fu invitato dal parroco locale (don Piemonte) e su espresso desiderio del Comitato Diocesano uno dei giovani democratico cristiani più preparati e vivaci, l’avvocato Brosadola di Cividale. Arrivato solo a pomeriggio inoltrato lo scontro si dovette svolgere la sera stessa a Prato e si ripeté il giovedì 14, presso la vasta sala della Cooperativa Cattolica di fronte “a grandissimo numero di operai, oltre circa 500 persone”:
“(…) alzatosi e salutato gl’intervenuti col saluto cristiano si chiamò fortunato di parlare agli operai che rappresentano la classe più bisognosa della società odierna, quella società che si vorrebbe riformare in modo ingiusto ed impossibile dai socialisti. Riassunta la storia della redenzione, fece conoscere a quale stato di abiezione era tenuto l’uomo fino a 1700 anni fa; e come Gesù Cristo lo abbia innalzato a quel grado in cui trovasi presentemente. Funeste conseguenze della rivoluzione francese e delle seguenti rivoluzioni perché allontanate da Dio e dagli insegnamenti del vangelo….(..).. necessità di ritornare, come colui che avendo deviato dal retto sentiero, deve rifare la strada abbandonata”.
Dalle parole del Brosadola si capisce come la coerenza dell’azione clericale, facendo un discorso rivolto solamente ai cattolici, dimostrasse che non era possibile risolvere la questione sociale senza ritornare ai principi del Vangelo, e quindi agli insegnamenti del Papa; Il Crociato non ci dà informazioni sulla risposta del Rondani, dice solo che quando egli prese la parola “ne seguì una lunga ed animata discussione a cui prese parte anche il parroco locale cantandole chiare”.
Che i contradditori comunque non sortirono gli effetti sperati da don Piemonte e dai clericali è dato dalle critiche feroci che gli vennero rivolte dai “così detti liberali”; questi si aspettavano una confutazione meno retorica dall’oratore cattolico, in quanto di fronte all’avversario “la sola religione ha scapitato anziché guadagnare”. Essi speravano che il Brosadola avesse insistito sulla necessità di convincere “quei cattolici che stupidamente non vanno alle urne a mettersi in pieno accordo coi moderati per la scelta di rappresentanti al parlamento di persone oneste che apporterebbero il benessere al popolo e anche studierebbero un modus vivendi colla chiesa” .
L’onorevole Rondani lasciò la Val Pesarina “seguito da più di 200 operai che lo acclamarono fino ad Ovaro”; lo stesso tornò in Friuli nel febbraio 1903 per tenere altre conferenze e non è un caso che il suo sforzo maggiore si concentrò in Carnia “dove la messe sembrava più promettente”. L’onorevole socialista ebbe accoglienze trionfali “lungo la via da Ovaro a Prato, di tratto in tratto facevano ala al passaggio della vettura schiere di bravi lavoratori pratesi salutando l’ospite col grido: viva il socialismo”.
Giunto a Prato Carnico tenne “nella sede del circolo socialista , un discorso di saluto e di augurio, affinché questo pioniere movimento socialista carnico sia l’esempio e lo sprone per un completo assidimento dell’ideale in tutta la Carnia”. Il giorno seguente nella “piazza del paese davanti a una folla di seicento persone (nei diari di don Roia le cifre sono ridimensionate a 150! ), l’onorevole, presentato dal medico dottor Grassi-Biondi, parlò in favore del divorzio”. Le conferenze poi si susseguirono a Villa Santina, ad Ampezzo, a Paluzza, a Tolmezzo, a Chiusaforte, a Roccolana, a Enemonzo, a Comeglians, con il risultato della “costituzione di ben nove sezioni aderenti al partito e alla federazione”.
2.4. La scissione della Società di Mutuo Soccorso.
Dal 1905 al 1907, si attuò “la progressiva conquista della Società Operaia da parte di quella che viene definita una maggioranza operaia”. I presupposti furono creati in seguito a operazioni eseguite senza autorizzazione assembleare come il riconoscimento della personalità giuridica della Società Operaia e le modifiche allo statuto provvisorio. Se ne hanno notizie già dal 28 gennaio del 1905 quando operai ed emigranti vennero chiamati ad accorrere “compatti e sereni alla Società Operaia” in difesa dei loro diritti e interessi, per combattere quella che veniva definita un’ “epica lotta” contro la “modificazione dello statuto proposta dai reazionari col motto: macchina indietro.”
Si è già potuto constatare come la Società Operaia venne utilizzata da parte di una minoranza per scopi che eludevano i suoi fini e come l’ala liberale vedesse l’istituzione come un bacino di sfruttamento per i propri interessi; don Antonio Roia scrive nelle sue cronache canalotte di come “nel seno della fin qui abbastanza prosperosa Società di Mutuo Soccorso” fosse nato un forte dissidio il quale poteva avere gravi conseguenze per l’istituzione stessa. La questione, scrive ancora il prelato, fu che “gli aggregati al club socialista vogliono che il capitale sociale s’impieghi in imprender lavori”, quindi la mutua come fornitrice di occupazione, mentre “gli altri che non vogliono esporlo a pericoli sono tenaci nel voler continuare nel vecchio sistema di darlo ad interessi per accrescerlo e far quindi la società sempre più forte”. Il tentativo di far riconoscere giuridicamente la Società e di cambiarne lo statuto rientrava nella continuità di questo disegno come conseguenza ineluttabile data la forte presenza in essa dei lavoratori politicizzati; i forti dubbi all’interno del circolo socialista si fecero sempre più insistenti: “noi non sappiamo quali ne saranno i vantaggi – e se i vantaggi saranno superiori agli svantaggi. Ma perché lor signori non ci hanno pensato prima? Nei tanti anni in cui vi hanno spadroneggiato? E perché tanta fretta? Dunque è probabile che gatta ci covi!”. La paura dell’avanzata socialista e la diffusione della nuova idea fra gli operai, mise in allarme i cattolici e i liberal-conservatori che nella modificazione dello statuto vedevano l’unico modo per poter dirigere la Mutua secondo una politica antisocialista.
In un’adunanza straordinaria del 5 marzo 1905, dopo una discussione “vivace e tumultuosa,” veniva respinta la proposta di Alberto Roia, “paladino delle istituzioni borghesi” e “liberale di nuovo stampo,” di far riconoscere giuridicamente la società. Fu invece votata a maggioranza la proposta del socialista Giacomo Leita che invitò l’assemblea a nominare una commissione che studiasse e riferisse entro il mese “sui vantaggi e i discapiti che la società potrebbe avere essendo riconosciuta.”
Il 23 dicembre 1906, dopo oltre due anni di lotte e “dopo che lor signori in mala fede l’avevano fatta indarno riconoscere dal tribunale di Tolmezzo, riconoscimento sconfessato dalla corte di appello di Venezia,” i socialisti pur essendo ancora portati a “non transigere sull’oggetto posto all’ordine del giorno della S.O. e di votare contro il riconoscimento giuridico,” decisero “nella comune idea di far riconoscere la Società.”
Questa che all’apparenza segnava “l’unione e la concordia dei soci, in realtà significava la fine della Società Operaia,” in quanto “tutti i compagni, tutti i lavoratori coscienti nauseati e sdegnati votarono tale incredibile e stupida proposta per mettere fine ad uno stato di cose che cominciava a diventare compromettente e pericoloso.”
Furono gli stessi lor signori, “gli sfruttatori i quali appunto perché da qualche anno non potevano sfruttare a loro talento la Società” che “deliberarono ed ottennero che si sfasciasse”. Infatti nell’assemblea del 23 dicembre venne votata un’altra delibera che dava modo “a ogni socio di poter svincolarsi dalla società stessa con diritto di percepire in contanti il dividendo al 31 dicembre 1907 in proporzione del capitale e degli anni pagati.”
La prima conseguenza fu che la “parte vitale e giovane” uscì dalla Società Operaia portando via con sé “gran parte del capitale sociale e creando soprattutto altra società.”
Questa si concretizzò nel nuovo sodalizio filo-socialista che s’istituì nel 1908 e che prese il nome di à di Mutua Assistenza fra i Lavoratori il quale mantenne il vecchio vessillo dell’originaria istituzione, ed ebbe come primo Presidente Giacomo Fabian, già menzionato come esponente di rilievo del movimento operaio di Prato.
L’indirizzo che si diede alla nuova associazione, fu quello di migliorare gli istituti di previdenza, continuare a combattere il crumiraggio, promuovere l’istruzione, la moralità e il benessere degli operai.
Grande importanza ebbe la delibera approvata all’unanimità, che venne presa riguardo all’“iscrizione collettiva dei soci alla Cassa Nazionale di Previdenza” così che “nelle contingenze della vita e nella vecchiaia i soci stessi godano la tranquillità e gli aiuti necessari e meritati”. La stessa più avanti venne allargata anche alle donne con il presupposto che esse fossero iscritte alla Mutua, o “sorelle o figlie o mogli dei soci operai”.
Con il nuovo sodalizio si accentuò quello sviluppo in ambito economico, sociale e politico che sarebbe stato necessario per moltiplicare i benefici degli operai; la scissione rese ancora più forte quel senso di unione della classe operaia pesarina, la quale vedeva nei puri lavoratori i suoi elementi costitutivi. Questa caratteristica segnò gran parte dell’evoluzione della sezione di Prato Carnico attraverso una forte componente classista e intransigente che ebbe non pochi problemi con le direttive più moderate e riformiste del partito provinciale e nazionale.
Da questo momento in poi la Società di Mutuo Soccorso collaborò attivamente insieme al Circolo Socialista per la conquista del comune, contrapponendosi alla politica liberale e ai suoi rappresentanti che sentirono “l’estremo bisogno dell’appoggio dell’altare” per costituire una nuova “associazione di mutua assistenza dei preti.” |