Per
l’estensione di questo studio sono state essenziali alcune persone
che ritengo giusto ringraziare qui.
Innanzitutto Peter Behrens per il suo lavoro di ricerca ma soprattutto
per quello, a me terribilmente ostico, di informatizzazione; Samo Pahor
per l’indispensabile supervisione storica e Paolo Parovel per avere
messo a disposizione i dati delle sue ricerche.
Ringrazio inoltre il personale dell’Istituto per la Storia del Movimento
di Liberazione di Trieste, ed in particolare Galliano Fogar per la disponibilità
dimostrata; Nerino Gobbo, “comandante Gino” e Milka Cok, “Ljuba”,
per le interviste concesse; ed infine tutti coloro che a forza di ripetere
che queste ricerche dovevano per forza concretizzarsi in un libro, hanno
fatto si che questo libro si concretizzasse.
È da
ormai cinquant’anni che l’immaginario reazionario si trastulla
con il discorso del “genocidio” delle foibe, ma negli ultimi
anni il problema ha assunto rilevanza nazionale dopo la campagna stampa
attivata intorno all'inchiesta sulle foibe condotta dal Pubblico Ministero
di Roma Pititto e, più recentemente dall’estate del '96,
dopo gli interventi non solo locali ma anche a livello nazionale dei vertici
del PDS che, in una malintesa logica di “pacificazione”, hanno
raccolto gli inviti delle destre revisioniste che chiedevano, dopo il
processo Priebke, anche «giustizia per i crimini delle foibe»
. Dopo questa pubblica “assunzione di colpa”, da
parte del partito degli ex-comunisti (si noti però che queste “colpe”
il PDS le fa comunque ricadere su altri, non su se stesso!), anche i dibattiti
e le discussioni sulla revisione della storia hanno preso nuovo avvio,
ma questo problema lo approfondiremo in maniera più organica nell'ultimo
capitolo.
Lo spunto per questa nostra ricerca ci è stato dato dalle dichiarazioni
del PM Pititto, che intende chiedere il rinvio a giudizio per “genocidio”
di un numero imprecisato di persone, e che ha più volte asserito
che una delle “prove” basilari della sua inchiesta sono i
libri pubblicati dal pordenonese Marco Pirina.
È appunto partendo da uno di questi libri di Pirina (il numero
4 della collana “Adria Storia” ovvero “Genocidio...”,
che tratta anche della zona di Trieste), che abbiamo cercato di fare un
po’ di luce su tutto ciò che in questi anni è stato
detto a proposito (ed a sproposito!) sulle foibe.
Le pagine che seguono non vogliono essere un punto di arrivo ma un punto
di partenza per fare finalmente luce sulla questione foibe, al di là
delle facili retoriche, delle demagogie strumentali, degli pseudo-studi
condotti finora solo da una parte politica, in funzione meramente propagandistica.
Noi non affronteremo il problema “foibe” né da un punto
di vista politico né da un punto di vista etico: intendiamo semplicemente
fornire dei dati di fatto (sui quali non v’è possibilità
di intervenire polemicamente, perché si tratta appunto di fatti
dimostrati) allo scopo di ritrovare le vere dimensioni di quello che viene
spacciato come «genocidio di migliaia di infoibati perché
italiani».
In tutti questi anni a Trieste la destra ha continuato a perpetrare la
propria ideologia facendosi forte della lotta contro gli «slavocomunisti
infoibatori di italiani», mentre la sinistra non ha mai avuto
la volontà di prendere in mano i dati sulle foibe per cercare di
fare chiarezza, per ricercare la verità, per realizzare uno studio
serio, basato su dati incontrovertibili e testimonianze attendibili e
non su “voci” o “sentito dire”; uno studio che
dimostri cosa effettivamente c’è e c’è
stato nelle varie foibe; quanti siano realmente stati i morti e di questi
quanti i militari, quanti i partecipanti ai rastrellamenti, quanti i membri
della Guardia Civica, della Guardia di Finanza, dell’Ispettorato
di Pubblica Sicurezza e quanti i civili; e di questi quanti i collaborazionisti
e via di seguito.
Lo studio che presentiamo vuole appunto fare chiarezza sulla storia delle
nostre terre, vuole rendere giustizia ai morti di tutte le parti; vuole
mettere fine a quella continua creazione di elementi di tensione politica
in un’area di confine delicata come la nostra e, oltretutto, potrebbe
servire a liberare finalmente anche gli Sloveni e la sinistra tutta da
quel senso di colpa che si portano dietro come “infoibatori”,
accusa che viene loro mossa incessantemente da cinquant’anni senza
che d’altra parte si tenga minimamente conto dei vent’anni
di dominio fascista e snazionalizzazione forzata subita dai popoli “non
italiani” e dei successivi anni di guerra con massacri feroci perpetrati
contro le popolazioni dell’Istria, della Slovenia e di tutta quell’area
che una volta veniva chiamata Venezia Giulia.
Le
“prove” del “genocidio”
Gianni Bartoli,
già sindaco democristiano di Trieste (noto come Gianni Lagrima
dato che nei suoi comizi si metteva regolarmente a piangere ricordando
le terre perdute d’Istria e Dalmazia), pubblicò nel 1961
il “Martirologio delle genti adriatiche Le deportazioni nella
Venezia Giulia e Dalmazia”, libro che raccoglie 4.122 nomi di “scomparsi” (dalle province di Trieste, Gorizia, Istria,
Dalmazia...); questi nomi sono accompagnati da note biografiche che, pur
nella loro incompletezza, possono servire, se lette con un minimo di fantasia
e senso critico, ad inquadrare la realtà dei fatti. Dei militari,
ad esempio, è spesso indicato il posto in cui risulterebbero dispersi
(dispersi in combattimento, si badi bene, quindi non “infoibati”);
le indicazioni riferite ai “civili”, invece, possono spesso
essere d'aiuto per ricostruire la storia della persona scomparsa, che
da un’indagine accurata può risultare completamente diversa
da quella indicata da Bartoli .
Un altro discorso merita l’”Albo d’oro” di Luigi Papo, il quale riporta (salvo errori di computo nostri,
visto che lui non fornisce il totale), 20.712 nomi di
morti tra Trieste, Gorizia, Istria, Dalmazia e non meglio identificate
“terre irredente” (“Fronte russo”, “Fronte
greco”, Corsica...), in un periodo storico che inizia con il 10.6.40,
ed arriva fino a citare il generale Licio Giorgieri (ucciso dalle B.R.
il 28.3.87) ed il militare Millevoi Andrea (ucciso a Mogadiscio l’1.7.93).
[...]
Tra questi oltre ventimila nomi troviamo: tutti i caduti sui vari fronti
della seconda guerra mondiale, i deportati nei lager tedeschi, i partigiani
[...], i morti sotto i bombardamenti, nelle rappresaglie naziste, e le
“vittime degli slavi” [...]
Nell’insieme il libro di Papo è un elenco di nomi e dati
non sempre completi. Quanto alle introduzioni ed alle note, più
che della solita becera propaganda nazional/fascista non si tratta. Giova
forse ricordare che durante la guerra Luigi Papo si è reso responsabile
di rastrellamenti in Istria; fu arrestato dai partigiani per i crimini
di guerra da lui commessi e deportato a Prestranek in Slovenia, da dove
però venne rilasciato. Importante elemento dei servizi d'informazione
della Milizia repubblichina, collaborò, dopo la fine della guerra
con i servizi alleati ed i neocostituiti servizi italiani, occupandosi,
indovinate un po', di documentazioni sulle foibe... Logicamente non possiamo
attenderci da lui informazione storica imparziale.
Tuttavia, pur con tutte le duplicazioni e le inesattezze presenti nei
libri di Bartoli e di Papo, essi sono di gran lunga più accurati
degli elenchi pubblicati nei libri di Pirina, che riportano anch’essi
duplicazioni ed inesattezze (senza, tra l’altro, avere la scusante
che potrebbe avere Bartoli e cioè che ai suoi tempi non esistevano
i computer!), ed hanno inoltre il grosso difetto di non riportare la minima
nota esplicativa ai nomi trascritti. Si tratta cioè di un mero
elenco di nomi, a volte solo di cognomi, talvolta con l’indicazione
della qualifica e della data di “scomparsa” (ma tali indicazioni,
anche quando ci sono, spesso - come vedremo - non corrispondono al vero);
in ogni caso, Pirina non chiarisce cosa possa essere successo a questi
"scomparsi", limitandosi a scrivere “D” per deportato,
“S” per scomparso, “I” per infoibato...; però
non riporta alcun “R” (rimpatriato) se il “deportato”
ha poi fatto ritorno, come in molti casi è successo. Tutto ciò
serve solo a lasciar credere che tutti i deportati siano anche scomparsi
facendo lievitare le cifre dei morti.
[...] .
Ma neanche Pirina è uno “studioso” imparziale. Presidente
del FUAN (l’organizzazione universitaria neofascista) a Roma alla
fine degli anni Sessanta, fu anche presidente del “Fronte Delta”,
gruppo di estrema destra operante all’università “La
Sapienza” di Roma. Per l’attività in questo gruppo
fu incriminato per il coinvolgimento nel golpe Borghese; arrestato nel
luglio del 1975 fu rilasciato un mese dopo e poi prosciolto, come tutti
quelli coinvolti nel golpe. Alla fine degli anni Ottanta Pirina fonda
a Pordenone l’associazione “Silentes loquimur”, e, grazie
anche a finanziamenti pubblici, è riuscito a sfornare più
o meno un libro all’anno sui temi dei “crimini” compiuti
dai partigiani, testi di matrice tipicamente revisionista e comunque pieni
di inesattezze e falsi storici. |