[...] Il lavoro di Cernigoi, anche se affronta la questione foibe
nel solo territorio della provincia di Trieste, era più
che necessario. L’autrice non nega la realtà delle foibe,
né gli eccessi e le vendette personali, ma attraverso una ricerca
rigorosa riporta il fenomeno fuori dal mito, presentandoci sull’argomento
un lavoro agile, ma organico e completo. I risultati immediati del lavoro
[...] sono tutt’altro che disprezzabili (tenuto conto poi del fatto
che i media locali ne hanno costantemente taciuto) avendo infatti costretto
Pirina a ritirare “spontaneamente”dal commercio il suo “Genocidio”
per correggerne gli “errori”. Ma è stata anche messa
in serissimo dubbio l‘esistenza di infoibati in quella che è
la foiba-simbolo di Trieste, quella di Basovizza (lo
Šoht), dichiarata monumento nazionale non molti anni fa e sulla quale
si svolgono ogni anno celebrazioni, alle quali partecipano autorità
e picchetti d’onore militari.
I meriti maggiori del libro sono però due: l’aver affrontato
la questione di chi e quanti fossero gli infoibati nella zona
di Trieste e la ricostruzione, breve ma esaustiva, della storia
dell’utilizzo propagandistico delle foibe. Il curriculum
di squadristi, aguzzini, spie e altro, nonché la presenza tra gli
uccisi di diversi sloveni, smentisce nel modo migliore la tesi degli infoibati
uccisi solo in quanto italiani e chiarisce i veri motivi del fenomeno
foibe.
Per quel che riguarda il numero degli infoibati si tratta
di ristabilire semplicemente la verità storica - quella di un fenomeno
limitato - di fronte alle cifre iperboliche letteralmente inventate dagli
ambienti nazionalisti e (neo)fascisti.
La ricostruzione delle vicende dell’uso propagandistico del tema
foibe dimostra come la cosa venga da lontano e come quella intorno alle
foibe sia stata, e sia tuttora, una operazione di vera e propria “dezinformacija”,
di guerra propagandistica, e lascia intravedere, per gli ambienti in essa
coinvolti (X Mas), collegamenti con altre operazioni (per es. Gladio).
E risulta molto più plausibile anche l’ipotesi che la costante
riproposizione delle sparate propagandistiche sulle foibe faccia parte
di un progetto politico molto più ampio (comprendente per esempio
l’insediamento massiccio di esuli a Trieste) per mantenere alta
la tensione nazionale in queste terre di confine.
Ed è proprio a partire da questo ultimo tema, che indica prospettive
di ricerca tutte da percorrere, che vorrei fare alcune considerazioni
generali più ampie. Contro il revisionismo, ormai
divenuto dottrina semi-ufficiale anche della sinistra di governo, non
serve a mio avviso cercare di difendersi, come fanno parte degli ex comunisti
locali sulla questione delle foibe, vantando meriti patriottici e scaricando
le presunte responsabilità sui comunisti sloveni e croati, facendo
così il gioco di chi vuole ridurre tutto a contrapposizione nazionale,
A mio avviso la sfida del revisionismo va accettata ritorcendogli contro
i suoi stessi argomenti, come ha fatto l’autrice di questo libro,
e abbandonando l’impostazione oleografica della Resistenza. La Resistenza
non è stata infatti solamente lotta di liberazione nazionale, ma
anche lotta per il potere da parte della classe operaia e delle altre
classi subalterne.
Nella Resistenza c’era chi lottava per questi obiettivi e chi (per
sua stessa ammissione) c’era entrato per impedire che tali obiettivi
si realizzassero, se necessario anche con le armi e con l’aiuto
dei fascisti, e riconsegnare il potere nelle mani di quella borghesia
che il fascismo lo aveva finanziato e messo al potere. Come dimostra anche
la vicenda delle foibe, i connubi con i fascisti sono continuati anche
nel dopoguerra, tanto che lo stesso assioma secondo il quale la Repubblica
sarebbe nata dalla Resistenza va messo in discussione, viste le persecuzioni
dei partigiani comunisti e le stragi di operai e contadini attuate da
quella stessa Repubblica (con largo ricorso a personale fascista) fin
dall’immediato dopoguerra (per non parlare delle successive “Stragi
di Stato”).
Alla luce di queste considerazioni e di quanto dice questo libro, risulterà
forse più chiaro come mai ogni anno rappresentanti ufficiali delle
istituzioni repubblicane si rechino alla foiba di Basovizza ad onorare
la memoria di “martiri dell’italianità” del tipo
di quelli che ci descrive Claudia Cernigoi. Ed i primi a sentirsi offesi
dal fatto che l’italianità venga rappresentata da “martiri”
di tale risma, dovrebbero essere proprio quegli italiani che desiderano
rispettare se stessi ed essere rispettati dai popoli vicini.
Trieste, giugno
1997
Sandi Volk
ricercatore storico
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