Giacomo Scotti

Dossier Foibe


Il Dossier Foibe di Giacomo Scotti (Manni, 2005) si concentra sugli avvenimenti verificatisi nelle regioni di confine dello stato che occupa la penisola italiana tra il settembre e l'ottobre del 1943. Le due parti in cui il volume è ripartito sono precedute da una prefazione di Enzo Collotti e sono dedicate rispettivamente ad un inquadramento storico della vicenda, cui fa séguito una esposizione evenemenziale, e ad un esame critico delle fonti più citate sul tema.
La politica dello stato che occupa la penisola italiana perseguita dal 1920 al 1943 nei confronti delle popolazioni croate del confine orientale è argomento essenziale del primo capitolo del volume: snazionalizzazione forzata, alienazione culturale, cancellazione delle testimonianze storiche, cambiamento di toponimi e cognomi, deferimenti in abbondanza al "tribunale speciale" e, con l'aggressione alla Yugoslavia del 1941, fondazione di campi di concentramento e scorrerie della milizia politica con la connivenza, se non con l'aperto sostegno, delle forze armate. La testimonianza di Raffaello Camerini riportata dall'A. attesterebbe il fatto che l'utilizzo delle profonde cavità carsiche come destinazione per i corpi di persone sottoposte a fucilazione previo (nel migliore dei casi) un processo sommario sarebbe stato intrapreso fra il 1940 ed il 1941 dalla milizia politicizzata e che successivamente gli insorti del settembre 1943 non abbiano fatto che riprenderne l'esempio. 

Il secondo capitolo espone le vicende successive al 25 luglio e all'8 settembre 1943: l'insurrezione popolare toglie le armi ai reparti in colliquazione e pone spicciativamente le basi per le epurazioni prima di venire a sua volta repressa dal massiccio intervento tedesco e collaborazionista nella zona, reso ancora più determinato dalla costituzione della regione in "Litorale Adriatico" direttamente annesso al Reich. Alle poche centinaia di epurati, in grandissima misura compromessi con il potere o comunque con lo stato che occupa la penisola italiana, la repressione nazionalsocialista rispose con migliaia di uccisi ed altrettanti deportati, dissanguando letteralmente il territorio. Il ritiro tedesco lasciò a presidiare la zona elementi rabbiosamente politicizzati, che dall'ottobre del 1943 intrapresero con abbondanza di saccheggi la caccia agli slavocomunisti.
Il terzo capitolo intitolato "La parola ad un informatore ustascia" riprende un resoconto destinato ai vertici dello stato collaborazionista di Croazia e redatto da Nikola Zic, pubblicista e professore croato collaboratore dei servizi d'informazione croati. La trattazione definisce più in dettaglio i rapporti esistenti tra le varie nazionalità, e soprattutto l'orientamento politico ed il relativo peso delle formazioni armate. Particolare attenzione viene messa da Scotti nel sottolineare le potenzialità della decisione presa a Pazin nel settembre del 1943 e più volte ribadita da parte del Movimento Partigiano di Liberazione di considerare come un dato di fatto il passaggio di tutta la regione sotto la sovranità jugoslava, così come la scarsa preparazione organizzativa e politica dimostrata dagli insorti. Il rapporto di Zic elenca anche una serie di massacri indiscriminati attribuiti a collaborazionisti russi, cechi e polacchi inquadrati nella 162ma Turkmenishe infanteriedivision; secondo Scotti, il fatto che i tedeschi avessero proceduto a fucilazioni di "ribelli" nelle stesse cave di bauxite usate dagli insorti per eliminare i prigionieri sarebbe stato provvidenziale per la successiva "storiografia" propagandista, che ha avuto buon gioco in più di un caso nell'attribuire ai partigiani anche parte delle vittime della repressione tedesca. In chiusura vengono riportati scritti dal diario di un certo Giorgio Privileggio in cui l'autore non fa cenno alcuno alle divisioni pur presenti nel movimento partigiano ed in cui si nota, cosa evidente anche negli annunci mortuari pubblicati nell'ottobre 1943 dai quotidiani di Pula e Trst, che la grande maggioranza delle vittime dell'insurrezione era rappresentata da "squadristi", "legionari fiumani" ed altri esponenti del potere politico. Nulla di pianificato risulterebbe nei massacri né sarebbe evidente una loro matrice meramente nazionalistica; le testimonianze che li attribuiscono ad una "reazione scomposta di elementi locali" decisi a vendicarsi di vent'anni di torti continui sono secondo Scotti numerose e concordi.
La prima parte del volume si chiude con un capitolo dedicato all'analisi approfondita di un volume di memorialistica pubblicato nel 1986 da Dusan Diminic, che Scotti indica come "il diario di un comunista croato". Testimone dello sbandamento dell'8 settembre 1943, Diminic percorse le strade comprese tra Rijeka e Pazin e nel suo memoriale non nasconde affatto i disaccordi che esistevano all'interno del movimento di liberazione: un tema che ricorre in tutto il libro; ad esempio, l'A. considerava praticamente un problema il comitato di liberazione di Rovinj, che almeno all'inizio non comprendeva croati. Non si fa mistero alcuno neppure della scoperta intenzione croata di considerare un fatto appurato l'annessione dell'Istria. Uno degli "elementi locali" propensi alla vendetta è identificato con precisione da Diminic in Matteo Stemberga, definito da Scotti "contrabbandiere" ed "autoproclamato capo della polizia", responsabile di decine di fucilazioni arbitrarie nella zona di Labin prima di essere a sua volta ucciso. Dominic rileva il comportamento poco lineare delle improvvisate "commissioni di inchiesta" e la fine affatto chiara cui andarono incontro alcuni esponenti comunisti non croati come Lelio Zustovich.
Secondo Scotti esiste una buona concordanza tra le fonti nell'indicare in circa quattrocentocinquanta le vittime degli improvvisati tribunali organizzati nei giorni dell'insurrezione, la cui attività fu particolarmente intensa a Pazin. La stampa collaborazionista di Pula e di Trst avrebbe dato il massimo risalto alle esecuzioni sommarie, iniziando immediatamente ad accusare gli slavocomunisti di aver agito per ripulire etnicamente l'Istra "salvo poi tirarsi la zappa sui piedi quando, pubblicando un elenco di quattrocentodiciannove vittime vere o presunte", i giornali della Repubblica Sociale e quelli a servizio dei tedeschi in Istra e a Trst le qualificarono nella maggior parte con gli appellativi di "squadrista", "fascista", "commissario" e "agente di P.S." riconoscendo esplicitamente la "precisa matrice di regime" dei cosiddetti "infoibati".

Agli "infoibati" è dedicata per intero la seconda parte del volume, occupata pressochè per intero da una rassegna della letteratura più diffusa sull'argomento. Scotti sostiene che a fronte di una storiografia degna di questo nome, concorde nell'indicare in poche centinaia il numero di questo genere di vittime, fin dal 1944 andò diffondendosi una massiccia opera di propaganda collaborazionista dai toni granguignoleschi, che arrivò presto a quantificare trentamila vittime.

In questo senso Scotti indica come importante il "lavoro" di Luigi Papo, che ascrive con disinvoltura al numero degli "infoibati" tutti i morti ammazzati in Istra, qualunque ne fosse il motivo, dal 1941 al 1945, e che redasse puntigliosi elenchi nei quali non mancano né i nomi ripetuti, né i nomi di vittime tanto in salute da poter rilasciare a guerra finita dichiarazioni sul trattamento ricevuto nei campi di prigionia degli "slavocomunisti"... La storiografia meno ansiosa di prestarsi alle istanze della propaganda riconobbe le mistificazioni come tali fin dal loro primo abbozzo e sottolineò sempre l'oggettiva mancanza di qualunque tentativo di porre in atto un'operazione di pulizia etnica su vasta scala.
Tra le varie liste di vittime redatte nel corso degli ultimi decenni, Scotti considera con particolare attenzione quella di duecentotrentasette nominativi pubblicata dal croato Antun Giron, rilevando come molti cognomi, palesemente e malamente tradotti, risentissero della alienazione culturale imposta dallo stato che occupa la penisola italiana al tempo della sua dominazione in Istra, e come molte delle località di provenienza delle vittime fossero anche negli anni oggetto della trattazione popolati da maggioranze croate. Un modo per dire che la divisione in termini etnici tra vittime e carnefici che è alla base della propaganda non trova neppure conferme all'atto pratico.

Secondo le conclusioni di Scotti (1) la maggioranza delle vittime dei processi sommari era costituita da appartenenti all'apparato politico-statale, collaborazionisti e spie, (2) che la maggior parte degli episodi efferati avvenne senza e spesso contro le direttive dei massimi organismi del movimento partigiano, (3) che una discriminazione tra vittime e carnefici su un piano esclusivamente etnico non trova conferma nei dati disponibili e (4) che i materiali pubblicati sono spesso pesantemente distorti da intenti propagandistici molto chiari.



Intervista a Giacomo Scotti

Cosa furono le foibe e quante furono le vittime delle violenze avvenute tra il ´43 e il ´47 a Trieste, in Istria e Dalmazia? 

Oggi il termine di infoibati viene esteso a tutti quindi anche alle persone che furono catturate in combattimento negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, per esempio i repubblichini della Repubblica di Salò che operavano in Istria al servizio della Gestapo e dei nazisti, o in generale i caduti italiani negli scontri con i partigiani nel territorio dell´ex Venezia Giulia, quindi Istria e Quarnero. Qualche centinaio di loro morì di stenti, o di malattie nei campi di prigionia nei dintorni di Ljubljana, e anche questi vengono messi tra gli infoibati. I veri infoibati che sono stati fucilati e i cui corpi sono stati gettati nelle foibe sono verosimilmente alcune centinaia. La storiografia dell´estrema destra parla tuttavia di parecchie migliaia. 

In Italia si parla per l´appunto di una cifra che arriva in certi casi alle 10.000 persone e oltre. Questa cifra dunque secondo te non è corretta? 

Non secondo me ma secondo gli storici triestini che potremmo definire di centro, come Galliano Fogar, e perfino secondo alcuni esuli istriani, come per esempio l´ex sindaco di Trieste, che hanno scritto libri sull´argomento. Ci sono state due fasi. Dopo la capitolazione italiana dell´8 settembre 1943 in Istria c´è stata una sollevazione, un´insurrezione di contadini che hanno assalito i Municipi, hanno assalito anche le case dei fascisti, di coloro che facevano parte della milizia volontaria della sicurezza nazionale, degli agenti dell´OVRA (la polizia segreta fascista, ndr) ammazzandone parecchi nelle loro case, e alcuni gettandoli nelle foibe. L´insurrezione istriana durò dal settembre fino al 4 ottobre del ´43, quindi circa 30 giorni. Dopo sono arrivati i Tedeschi e hanno messo a ferro e fuoco l´Istria. Le vittime dell´insurrezione erano per la maggior parte gerarchi fascisti, ma ci sono andati di mezzo anche degli innocenti, ci sono state rese di conti fra gente che aveva dei conti da regolare. Tuttavia non si può parlare di odio antiitaliano, in un certo senso non si facevano distinzioni. Prima ancora che calassero le grosse divisioni tedesche in Istria, i comandi italiani di Pola, ad esempio, avevano consegnato ad un battaglione di Tedeschi di 350 uomini una guarnigione di 15.000 soldati. I Tedeschi avevano messo questa gente nei vagoni per deportarli in Germania. I partigiani slavi, partigiani per modo di dire, questi insorti che avevano preso i fucili gettati via dalle truppe italiane oppure i propri fucili da caccia, hanno atteso questi convogli diretti in Germania nella stazione di Pisino, nel cuore dell´Istria, assalendo due treni e liberando circa 3.000 marinai italiani, cadetti. Migliaia e migliaia di soldati italiani, non solamente di stanza in Istria ma anche provenienti dalla Croazia, disarmati, dopo l´8 settembre, che attraversavano l´Istria interna per andare a Trieste, non quella costiera, popolata in gran parte da popolazione italiana, ma l´Istria interna popolata quasi esclusivamente da popolazioni slave, sono stati accolti e rifocillati da queste popolazioni, che li hanno protetti per non essere presi dai Tedeschi che nel frattempo, ad ottobre, erano calati in gran numero da Gorizia e dal Brennero. Ci sono anche documenti, anche per esempio dell´episcopato di Trieste, che attestano questa solidarietà, quindi è falso sostenere che tutte le vittime erano italiane e che dall´altra parte c´erano solo i barbari slavi. 

Nel maggio ´45 i partigiani jugoslavi occuparono Trieste. Quei 40 giorni vengono considerati e raccontati come il culmine delle violenze antitaliane. Come va inquadrato quel periodo? 

In Istria la caccia al fascista avvenne in quei trenta giorni del settembre, e poi non si è ripetuta più. A Trieste invece è avvenuta la seconda fase, quella appunto dei 45 giorni. Qui ci sono stati effettivamente episodi di pulizia etnica perché la cosiddetta guardia popolare - di cui facevano parte tra l´altro moltissimi Italiani, triestini, goriziani e friulani - e che a Trieste dava la caccia ai gerarchi, ai fascisti, ha colpito anche molti antifascisti la cui colpa era quella di battersi perché Trieste restasse italiana. Da una parte c´era l´idea di molti combattenti di costruire il socialismo fino all´Isonzo, però c´era anche molto nazionalismo da parte delle truppe di Tito arrivate a Trieste, che erano per la gran parte truppe della Quarta Armata, Dalmati. Erano circa 12.000 partigiani, anche se non si poteva più parlare di partigiani perché l´esercito cosiddetto partigiano era un esercito dei più potenti, che aveva ormai 800.000 uomini ben armati. Inoltre c´erano alcuni reparti del Nono Corpus sloveno, quindi uomini che avevano direttamente subito angherie dal fascismo. Non dimentichiamo che il fascismo oltre ad essersi annessi circa 600.000 Croati e Sloveni dopo la prima guerra mondiale, nella seconda guerra mondiale aveva occupato e si era annesso una parte della Slovenia, creando la provincia di Ljubljana, territori dove non c´era un solo Italiano. Anche una parte della Dalmazia era stata annessa dopo il 6 aprile ´41 all´Italia, era stata occupata e migliaia e migliaia di Dalmati Croati sono finiti nei ben 109 campi di concentramento in Italia. Quindi c´era rabbia, c´è stata anche vendetta, un revanscismo da parte di questi soldati e sono stati commessi crimini. Ho trovato un documento in questo senso, un telegramma di Tito inviato al comandante jugoslavo della piazzaforte di Trieste che viene rimproverato aspramente per non aver saputo controllare e moderare questo regime di occupazione, togliendogli addirittura il comando. Quanti siano stati i cosiddetti infoibati in questa fase non saprei dirlo non avendo studiato il problema direttamente, io mi sono occupato nei miei libri della storia istriana, però stando a storici triestini come Galliano Fogar che era un azionista, oppure Raoul Pupo, oggi professore universitario, si tratta anche là di alcune centinaia di persone finite nella foiba di Basovizza, che ora è diventata monumento nazionale italiano. Di fronte a queste vittime bisogna certamente inchinarsi. Però bisogna anche dire che quelli che parlano di 10.000 o 20.000 infoibati infangano le vere vittime perché con le menzogne finisce che la verità viene coperta e anche chi dice il vero non viene creduto. 

Dopo queste violenze ci fu l´esodo da Istria e Dalmazia. In questo caso si parla di 350.000 Italiani che sarebbero partiti dopo il ´45. Si tratta di cifre attendibili? 

L´esodo complessivo dall´Istria e dalla Dalmazia e da tutte le terre che sono state date alla Jugoslavia in virtù del trattato di pace del ´47 e della sconfitta purtroppo dell´Italia, dopo l´avventura nella quale l´aveva precipitata il fascismo, è stato di 240.000 persone. Negli ultimi dieci anni alcuni storici seri hanno studiato questa questione, dopo il crollo del comunismo, tra di loro addirittura uno storico anticomunista, Zeljavic. Sono andati negli archivi, hanno preso i registri dello stato civile che ogni comune nelle cosiddette province italiane dell´Istria e della Dalmazia aveva, facendo ricerca. La Dalmazia in definitiva era Zara, una città di 20.000 abitanti sotto l´Italia, una piccola enclave. C´erano poi la provincia di Fiume, che aveva tre comuni, con circa 50.000 abitanti, e la provincia di Pola, che ne aveva 300 e poco più. Se veramente fossero 350.000 gli esiliati, sarebbero il 90% della popolazione che viveva in quelle zone, compresi i Croati, e invece secondo il censimento fatto dieci anni dopo la fine della guerra c´erano ancora 180.000 Croati presenti e oggi, a 60 anni dalla fine della guerra, ci sono ancora 35.000 Italiani. Questi storici hanno preso in mano i registri dello stato civile e i registri delle Questure, che sotto l´Italia erano precisissimi segnalando addirittura chi era ebreo, chi era ariano, chi non ariano, chi era antifascista ecc. Sono dati italiani, dello Stato italiano che in base al trattato di pace l´Italia ha dovuto restituire alla Jugoslavia come preda di guerra. Nell´esodo inoltre sono scappate moltissime persone che non erano italiane, 20.000 Croati soltanto dall´Istria, perché non volevano il comunismo, non volevano restare sotto Tito. Molti Istriani poi, ad esempio, che lavoravano come ferrovieri a Trieste e in Italia e non volevano perdere il posto di lavoro, se ne sono andati. Ci sono molti motivi diversi, ma alla fine sono partite 240.000 persone. Tra queste c´erano, veniamo alle cifre, 44.000 funzionari che erano venuti dall´Italia negli ultimi 18 anni di presenza italiana in Istria, maestri elementari, insegnanti, questurini, carabinieri, finanza ecc. che si iscrivevano nelle liste della cittadinanza ma non erano autoctoni istriani o dalmati o fiumani. Non li voglio certamente togliere, ma questi erano 44.000. C´erano poi 20.000 Croati. Quindi quando si parla di Italiani bisogna fare attenzione. Parliamo degli Istriani, di qualsiasi nazionalità, non erano soltanto Italiani i profughi. 

Tu hai seguito un percorso contrario a quello di cui stiamo parlando, recandoti a vivere in Jugoslavia dopo la seconda guerra mondiale. Negli anni recenti per l´impegno pacifista che hai intrapreso nel corso delle guerre in ex Jugoslavia degli anni ´90 e anche in ragione della tua nazionalità italiana hai trascorso anni difficili... Come ti appresti a vivere questa giornata che in Italia è stata ufficialmente definita del ricordo, il 10 febbraio? 

Io e molti altri, quasi tutti gli Italiani qui, stiamo vivendo questi giorni con molto disagio, ci sentiamo veramente avviliti. Le destre, ovunque, i nazionalismi, ad esempio il nazionalismo dei dieci anni di Tudjman, durante il quale hanno cercato addirittura di chiuderci le scuole italiane, ci hanno perseguitato, ed ora questo nazionalismo da parte italiana, che è un´euforia insopportabile, con questi film che dicono menzogne, queste cifre che dicono menzogne, queste parate, ci avviliscono... Questi nostri vicini, amici con i quali viviamo qui nell´Istria, a Fiume, questi Croati, ci dicono: "Noi che abbiamo subìto un´aggressione durante la guerra, abbiamo subìto 360.000 morti dall´occupazione italiana, abbiamo subìto i campi di concentramento italiani... Invece di chiederci perdono ci attaccate ormai continuamente..." Come può fare un Italiano che vive qua a guardare in faccia questa gente? Con la quale ogni giorno vive? Dopo la morte di Tudjman di nuovo si era creato un clima di tolleranza, un clima di convivenza pacifica... Invece di dare agli esuli che hanno sofferto quella soddisfazione di essere ricordati al di sopra degli odi, al di sopra dei rancori, ora in Italia si sfrutta questa giornata per fare una campagna tremenda... Mi basta vedere la televisione, leggere i giornali - qui arriva il Piccolo di Trieste - per esempio il Piccolo ieri diceva che alla sala Tripcovich di Trieste è stato presentato questo film sulle foibe... 

La fiction di Rai Uno, Il cuore nel pozzo

Sì. Tutta la platea era formata soltanto da aderenti al Fronte della Gioventù, della Fiamma Tricolore, e di Alleanza Nazionale. Voi sapete benissimo che a Trieste Alleanza Nazionale non è quella di Fini, si vantano di essere i picchiatori di Via Paduina, insomma sono rimasti sempre i soliti. Ebbene a un certo punto un soldato, un repubblichino prende la pistola e ammazza due persone, due partigiani, li ammazza dicendo che con questo vuole evitare che la sua fidanzata venga uccisa da loro. Ebbene è scoppiato un applauso, di fronte alla morte di questi due partigiani, di questi due slavi, è scoppiato un applauso irrefrenabile. Quando uno Sloveno, esponente della minoranza slovena di Trieste, ha cercato di entrare nella sala per protestare, lo hanno preso per il collo gridando alla polizia italiana: "Buttate fuori questa gentaglia." Ecco questo è il clima che si è creato a Trieste e già da molti giorni... Il giorno della memoria viene celebrato il 10 febbraio, non ci siamo ancora ma è già un´ubriacatura di odio, di revanscismo, dove vogliamo arrivare con queste cose? La stampa di qui riporta queste cose. Oggi per esempio (5 febbraio, ndr) il Novi List di Fiume, che è il giornale a più grande tiratura in Croazia, titola: "Tutti gli italiani vittime, solo noi Croati e Sloveni siamo stati i carnefici." 

Nelle settimane scorse, in Croazia, c´è stato un attentato dinamitardo al monumento di Tito, nella nativa Kumrovec. Allo stesso tempo sono stati eretti [poi rimossi] monumenti ad esponenti ustascia del cosiddetto Stato Indipendente di Croazia di Ante Pavelic, Budak e Francetic. Nella Croazia del 2005 sono ancora forti i movimenti e le tendenze di estrema destra? 


La risposta te la posso dare citando i risultati delle recentissime elezioni presidenziali. A destra della candidata dell´HDZ si è schierato uno che ai tempi di Tudjman era tra i massimi esponenti dell´HDZ, un erzegovese, Ivic Pasalic, presentandosi come capo del Blocco Croato, che ha raccolto tutte le sedici associazioni degli ex combattenti della cosiddetta Guerra Patriottica, gli ustascia, insomma la crema della destra in camicia nera. Ha ottenuto solo lo 0.5% dei voti. Questa è la destra ustascia neofascista oggi in Croazia. Però è una destra che ha ancora appoggi nei servizi segreti del governo, l´HDZ non ha fatto pulizia nei suoi ranghi, ancora la polizia segreta tudjmaniana tira le fila nel sottosuolo. Tutti sanno dove si trova Gotovina [il generale ricercato dal Tribunale dell´Aja, ndr], ma nessuno lo va a prendere, la Croazia è diventata ostaggio di un cosiddetto eroe che sta facendo soffrire le pene dell´inferno alla Croazia che non può entrare in Europa finchè lui è latitante. Ma tutti questi alla fine raccolgono solo lo 0,5% dei voti, quindi la Croazia non è fascista, i fascisti sono pochi, però sono terroristi, mettono le bombe sotto i monumenti, provocano, sono una piccola minoranza di terroristi.

grazie a: http://www.osservatoriobalcani.org