Pieri Stefanutti * 1944-45: l’occupazione cosacco-caucasica della Carnia e dell’Alto Friuli |
1) LE MOTIVAZIONI DI UN SINGOLARE STANZIAMENTO “Litorale
Adriatico”, così lo avevano definito, riprendendo un vecchio
mito asburgico, i nazisti che, dopo l’armistizio dell’8 settembre
1943, avevano occupato il Friuli, Trieste e l’Istria, istituendovi
l’OZAK (Operationszonen Adriatisches Küstenland,
Zona di Operazioni del Litorale Adriatico) una sorta di protettorato,
retto dal gauleiter Friedrich Rainer. Come in
altre zone occupate (un’esperienza analoga si era avuta nel Trentino-Alto
Adige con l’Alpenvorland), il presidio dei principali centri
abitati e la difesa degli obiettivi di carattere militare era stata affidata
alla Wehrmacht, mentre l’opera di repressione contro atti
di sabotaggio era demandata alle SS (il capo della Polizia a Trieste era
Odilo Globocnick, che aveva già avuto esperienze
“significative” nel protettorato nazista istituito in Polonia).
Nel Litorale Adriatico, per mesi, venne dunque attuata ogni forma di azione
punitiva per reprimere la diffusione del movimento della Resistenza che
pure, nonostante ciò, trovò modo di consolidarsi e di ottenere
anche significative affermazioni, come la costituzione, nell’estate
del ’44, di due Zone Libere, quella del Friuli
Orientale e quella della Carnia. Ma chi erano i cosacchi e come era accaduto che essi avessero aderito alle ideologie naziste? Per trovare delle risposte adeguate alle scelte adottate dai cosacchi negli anni della seconda guerra mondiale, bisogna risalire piuttosto indietro nel tempo, all’epoca della costituzione in comunità organizzate di queste popolazioni, alla nascita di un comune sentire incentrato sui concetti di specificità e di autonomia. Dal XV al XVII secolo in Russia, sotto gli Zar, vigeva infatti la dura condizione dei servi della gleba, per sfuggire alla quale alcuni coraggiosi, amanti della libertà, cercarono di allontanarsi, lungo i fiumi e le pianure sconfinate, sino alla periferia dell’impero, dove non arrivava il potere feudale né quello centrale a imporre le regole. “Kazak” o “Cosacco”, è un termine che deriva dal turco e significa “uomo libero, errante”: così vennero quindi definiti quegli uomini forti andati alla ricerca di nuove terre, dove insediarono le loro stanitse, villaggi che costituivano contemporaneamente un’organizzazione economica, di autogoverno e militare, rette da un capo espressamente nominato, l’Ataman, per difendersi dalla ferrea autorità del potere centrale e dalle scorrerie dei popoli d’oltre Caucaso. Quando il potere zarista comprese che gli insediamenti cosacchi alla periferia dell’impero potevano costituire un avamposto contro gli attacchi esterni, le scorrerie dei popoli tartari e turchi, venne loro assegnata una funzione di privilegio, delegandoli però alla difesa dei confini. I cosacchi, fuggiti dalle imposizioni dello stato russo, vennero così integrati in quello stesso stato e, col tempo, diventarono una sorta di fedelissimo braccio armato del potere, sino a costituirsi in corpo specializzato da utilizzare nelle campagne belliche (nel 1812 furono tra i principali artefici dell’esito disastroso della campagna napoleonica in Russia) ed anche uno strumento di repressione verso le frequenti rivolte contadine. Abbattuto il potere zarista con la Rivoluzione del 1917, spazzata via la servitù della gleba, fuggita la nobiltà ed arrivati al potere i bolscevichi, i cosacchi vennero puniti per il loro ruolo di servitori dello Zar e combattenti con le Armate Bianche. Un decreto del 1923 proibiva espressamente l’uso del termine “cosacco”; contemporaneamente veniva radicalmente mutata la toponomastica dei territori abitati dai cosacchi, abolendo i termini specifici che li potessero richiamare. Con la salita al potere di Stalin prese avvio un percorso di repressioni, deportazioni in Siberia, esproprio e collettivizzazione delle terre, con eliminazioni fisiche dei principali responsabili del popolo cosacco, al fine di annullarne il concetto di nazionalità. Con l'invasione e l'occupazione dell'URSS da parte delle truppe naziste (1941-1943), diverse popolazioni della Russia meridionale trovarono apparentemente accolte le proprie rivendicazioni autonomistiche. Facendo quindi leva sul sentimento antibolscevico di queste popolazioni, i nazisti riuscirono così a trovare dei nuovi alleati. Furono infatti attorno al milione i russi inquadrati nell'apparato militare tedesco: migliaia di esuli zaristi fuggiti all'epoca della rivoluzione bolscevica, centinaia di migliaia di prigionieri di guerra (spinti, più che da ragioni ideali, dal contingente desiderio di uscire dai lager), i componenti di comunità e gruppi etnici (quali appunto i cosacchi) ostili al bolscevismo che avevano seguito, anche fisicamente, le sorti delle armate tedesche. Tra gli esempi più noti, la costituzione di due divisioni cosacche inquadrate direttamente agli ordini del generale tedesco von Pannwitz e l’Armata Russa di Liberazione (ROA), comandata dal generale Vlasov.
Di lì a poco si giunse all'attuazione pratica delle direttive, con l’autorizzazione al trasferimento di 4.000 caucasici (distinti burocraticamente in 2.000 “armati” e 2.000 “familiari”) e 18.000 cosacchi (poi saliti a 22.000: 9.000 “armati”, 6.000 “vecchi”, 4.000 “familiari” e 3.000 “bambini”) nel Litorale Adriatico. Ebbe così inizio l'Operazione Ataman, con la preparazione dei vagoni (furono necessari più di 50 treni merci militari) che avrebbero portato, dopo un viaggio di settimane, i cosacchi in Italia. 2) CENNI SULL’ATTIVITÀ DELLA RESISTENZA NEL FRIULI Già nei giorni immediatamente successivi all’armistizio dell’8 settembre 1943 si erano costituite le prime formazioni partigiane, soprattutto nella zona delle Prealpi Giulie e a ridosso del confine con la Jugoslavia, sul Collio Goriziano. Erano spesso gruppi spontanei, male armati; le formazioni maggiormente organizzate erano della Brigata Garibaldi “Friuli” che però, dopo un imponente rastrellamento tedesco del novembre ’43, abbandonarono la zona delle Prealpi Giulie per trasferirsi un gruppo nella zona di Cormons (Btg. Mazzini), l’altro (Btg. Friuli) sulle Prealpi Carniche, nella zona del Monte Cjaurleç. Fu tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera che i Battaglioni si rinforzarono, grazie soprattutto all’arrivo di numerosi giovani che, per sottrarsi ai bandi di arruolamento della Rsi, salivano in montagna per entrare nelle forze partigiane, organizzate in una decina di Battaglioni. Nello stesso periodo andavano costituendosi anche le formazioni della Brigata “Osoppo” i cui ispiratori erano rappresentanti della DC e del Partito d’Azione, col sensibile appoggio del clero: un’iniziativa nata con l’intento di dare vita a una formazione armata contro tedeschi e fascisti, coinvolgendo quei settori della popolazione che non si riconoscevano nelle formazioni garibaldine, di ideologia comunista. Nell’estate del 1944 si ebbe dunque la massima espansione del movimento partigiano in Friuli: grazie al continuo afflusso di giovani combattenti, le Brigate poterono trasformarsi in Divisioni. Alla fine dell’estate si conteranno tre Divisioni: la “Garibaldi - Friuli” (in Carnia e nelle Prealpi Carniche, con 5 Brigate), la “Garibaldi-Natisone” (nelle Prealpi Giulie, con 2 Brigate) e la “Osoppo-Friuli” (nelle Prealpi Giulie, in Carnia e in Val Cellina, con 5 Brigate). La continua opera di sabotaggio agli impianti tedeschi e l’eliminazione di decine di presìdi nazifascisti portarono alla liberazione di svariate zone, con la conseguente costituzione di due “Zone Libere”, quella del Friuli Orientale e quella della Carnia. La Zona Libera del Friuli orientale comprendeva una superficie di 70 Kmq, con circa 20.000 abitanti distribuiti su sei Comuni a nord-est di Udine; quella della Carnia comprendeva una superficie di oltre 2.500 Kmq, con circa 90.000 abitanti distribuiti su 38 comuni (oltre alla Carnia, zone dell’Alto Pordenonese e alcuni comuni della provincia di Belluno). Quella Carnica fu la più estesa tra le zone libere che vennero a costituirsi nel nord Italia durante l’occupazione tedesca e fu quella che maggiormente riuscì a darsi un’organizzazione democratica: vennero organizzate libere elezioni, costituita una Giunta di Governo, presi importanti provvedimenti in materia di scuola, giustizia, riforma tributaria, politica economica. 3) L'ARRIVO DEI COSACCHI IN FRIULI Le truppe cosacche e caucasiche giunsero in Italia, con migliaia di cavalli, carriaggi e masserizie, attraverso la linea ferroviaria Villach-Tarvisio, a partire dal 20 luglio 1944, con una serie di arrivi di convogli che si protrasse in maniera continuativa sino al 10 agosto, per poi assumere carattere di sporadicità. La principale località di smistamento fu Stazione per la Carnia, tra i paesi di Venzone ed Amaro, dove giunsero complessivamente una cinquantina di treni; altri contingenti fecero scalo alle stazioni di Pontebba e di Gemona. Da Carnia le truppe si mossero inizialmente in due direzioni: a nord verso Amaro e a sud verso Osoppo. Prima dell'occupazione dei paesi, per circa un mese e mezzo, i cosacchi stazionarono dunque nella piana di Amaro, tra il Tagliamento ed il paese e a Osoppo, attorno alla storica fortezza. Altri gruppi presero stanza a Gemona occupando, sotto il controllo tedesco, alcuni edifici pubblici, come le scuole. Nella stessa Gemona venne fissata inizialmente la sede del comando del generale T. I. Domanov. Migliaia di persone provate dal lungo, estenuante viaggio, cercarono una sistemazione provvisoria in diverse località, tentando di provvedere autonomamente alla soluzione delle necessità più impellenti, giacché praticamente nulla era stato predisposto per garantire mezzi di sostentamento e di assistenza adeguati. Fu così che reparti a cavallo cominciarono a battere le campagne e i centri abitati, razziando tutto quello che poteva servire a garantire un minimo di sopravvivenza. Profondo stupore destarono dunque fra i friulani questi nuovi venuti, come descritto da Mario Pacor: “Si presentavano per lo più nei paesi del Friuli e della Carnia a cavallo, suonando il corno, lanciando primitive urla di guerra, sparando all’impazzata e agitando le sciabole, quelli che le avevano. Erano infatti vestiti e armati nei modi più vari, molti in uniformi grigio-verdi tedesche con appena qualche variante cosacca, ma armati di moderni fucili e mitra, altri in più pittoresche quanto assurde uniformi dell’antica cavalleria zarista, con grandi colbacchi di pelo in testa, cartucciere intrecciate sul petto, lunghe bande azzurre o rosse alla cucitura dei pantaloni, con spade, pugnali e pistoloni variamente istoriati. Ai drappelli militari facevano seguito carovane di carriaggi sui quali viaggiavano donne, vecchi e bambini, e tra un carro e l’altro o al loro fianco cavalli, qualche mucca, qualche capra, a volte perfino cammelli o dromedari”. Fu insomma l’aspetto umano, la variegata panoramica offerta dall’aspetto dei civili cosacchi, più che il lato strettamente militare, a colpire, come traspare, per esempio, dalla stupita descrizione dei cosacchi fatta dal parroco di Buia: “Sui carri, tipici carri primitivi, stretti, sconnessi e sgangherati su cui stanno le più disparate cose, utensili e pignatte, damigiane e fusti, casse e sacchi, fieno e patate, pannocchie da scartocciare, tralci di uva, pagliericci e coperte e indumenti d’ogni sorte, tutto ammonticchiato alla meglio; e gente, uomini di tutte le età, con barbe incolte, parecchie donne, alcune famiglie con i piccoli, in male arnese, merci che lasciavano un tanfo nauseabondo al loro passaggio. Molti dei carri sono coperti con pelli di bovini, di recente macellazione, con tappeti e corsie, con teli da tenda, con copriletti… Gli uomini indossano le divise più disparate, in maggioranza hanno il copricapo dei cosacchi, berretto nero di pelo con la parte superiore rossa, blu, verde…”. La qualità e la quantità delle formazioni cosacche giunte in Italia suscitarono un palese disappunto da parte degli stessi tedeschi, i quali avevano sperato di poter disporre di reparti militari in assetto di guerra da impiegarsi immediatamente nelle azioni contro le forze partigiane e, viceversa, si trovavano di fronte a contingenti nei quali erano predominanti i civili. In una relazione da Berlino, un alto funzionario nazista scrisse infatti: "Ci si aspettava brigate e reggimenti cosacchi bene organizzati, che potessero essere immediatamente impiegati nelle lotte contro le bande. Non era noto a sufficienza che si trattava di profughi, i quali erano da diversi mesi in cammino dall'est a piedi e per ferrovia, con attrezzature, armamento ed abbigliamento di emergenza, e che nelle carovane si trovavano le famiglie dei cosacchi in armi... Ne risultarono grandissime difficoltà nell'acquartieramento e nell'approvvigionamento..". L'arrivo delle formazioni cosacche non costituì, inizialmente, un fattore pienamente valutato da parte delle forze della resistenza che, probabilmente, non riuscirono a valutare interamente il carattere antipartigiano dell'iniziativa. Contro i convogli e le tradotte giunte in Friuli attraverso la ferrovia non venne praticamente tentato alcun attacco o sabotaggio. Solo in un secondo momento, di fronte al concretarsi dell'insediamento, con la stabilizzazione dei centri di raccolta, vennero avviate alcune azioni di sabotaggio. L’azione più importante avvenne nella notte tra il 26 e il 27 agosto del 1944 quando i partigiani garibaldini dei Btg. Matteotti e Stalin sferrarono un attacco contro i cosacchi attestati nelle scuole di Campagnola di Gemona. 4) L’ASSALTO ALLE ZONE LIBERE Alla
fine di settembre la 305° Divisione tedesca, appoggiata da tre reggimenti
cosacchi e da alcuni battaglioni fascisti attaccarono la Zona
Libera del Friuli orientale. Dopo combattimenti protrattisi per
alcune giornate, i partigiani si ritirarono verso il Collio goriziano;
tedeschi e cosacchi, pur vincitori, infierirono contro i civili, ritenendoli
responsabili dell’appoggio dato al movimento partigiano, provvedendo
ad incendiare diversi paesi (il bilancio complessivo sarà di 690
abitazioni e 436 rustici distrutti, 35 civili assassinati, 220 –
tra partigiani e civili – catturati e deportati nei campi di sterminio).
Nei paesi occupati dai cosacchi, gli abitanti furono presto obbligati a cedere metà delle stanze di ogni abitazione. I rapporti tra i carnici e gli occupanti furono inizialmente difficili, giacché si dovette dare in tempi brevi risposta alle necessità dei nuovi arrivati: alloggiamento, approvvigionamento di derrate alimentari, ricovero e mantenimento del bestiame e degli animali giunto al seguito dei cosacchi.., il tutto aggravato da un atteggiamento di tracotanza assunto dagli occupanti. Così descrisse l’insediamento Michele Gortani: “I nuovi venuti penetravano da padroni in tutte le case, secondo il loro capriccio, e di solito preferendo quelle abitate a quelle disposte esclusivamente per loro. Trattavano gli abitanti come soggetti al loro servizio. Usavano spesso di sedersi a tavola all’ora del pasto e appropriarsi il poco che le famiglie avevano preparato per sé. Rovistavano a piacere per ogni dove, rubando qualunque cosa li talentasse, dagli oggetti di valore alle vesti, dalle lenzuola e coperte ai viveri di ogni specie, dagli animali da cortile alle masserizie. Mostravano una predilezione particolare per le pecore, delle quali non una venne risparmiata. Per i loro cavalli innumerevoli, non contenti di lanciarli al pascolo giorno e notte negli orti e nei campi, saccheggiavano sistematicamente le provviste di fieno che le nostre donne avevano con aspre fatiche trasportate dalla montagna fino in paese, per l’alimentazione del bestiame durante l’inverno”. Successivamente poté subentrare un periodo di relativo assestamento, cosicché la convivenza forzata tra occupanti e popolazione carnica poté instaurarsi lungo criteri di maggiore vivibilità e reciproca comprensione. Il problema più rilevante fu comunque quello dell’approvigionamento, come testimoniato anche dal diario del parroco di Invillino, in Carnia: “Eran arrivati come zingari con una lunga teoria di carri traballanti trascinati da cavalli ridotti all’osso e con unamandria di vacche altrettanto magre ed affamate. La preoccupazione della sopravvivenza degli animali li costrinse alla ricerca affannosa di fieno. Durante tutte le stagioni, anche d’inverno, le magre vaccherelle gironzolavano per la campagna mentre i padroni, ogni volta che se ne presentasse l’occasione, tentarono di appropriarsi del prezioso alimento ovunque lo trovassero. Alla popolazione venne imposta ripetute volte la ingiunzione di versare contribuzioni di fieno per parecchie centinaia di quintali…”.
Il territorio dell’Alto Friuli e della Carnia
venne diviso sostanzialmente a metà: la parte settentrionale
(con sede di comando a Paluzza e giurisdizione sulle Valli del But, del
Chiarsò, del Degano, sulla Val Pesarina e la Val Calda) ai caucasici
(la Divisione Caucasica era comandata dal generale Klitsch)
e quella meridionale (con sede di comando a Tolmezzo e giurisdizione sulla
Carnia meridionale e le vallate delle Prealpi) ai cosacchi (la Divisione Cosacca era comandata dal generale Domanov); un contingente
georgiano, assegnato di rinforzo, si insediò nel mese di febbraio
nel paese di Comeglians.
Il proposito dello stanziamento duraturo viene chiarito dall'avvio, da parte dei cosacchi, di lavori agricoli nelle campagne dei paesi sfollati. Alcune testimonianze riferiscono di una sorta di divisione organizzata dei terreni, con l'assegnazione di fondi individuali alle diverse famiglie. Profonda curiosità destarono naturalmente gli aspetti legati alla diversa religiosità, a partire dalle funzioni in chiesa, allo svolgimento dei funerali (spesso con la deposizione e l’offerta di viveri sulle sepolture) o nello svolgimento di processioni epifaniche con abluzioni rituali nei laghi e nei corsi d’acqua. Per lo svolgimento delle loro funzioni religiose, i cosacchi, in qualche caso, giunsero ad occupare le stesse chiese cattoliche; più frequentemente requisirono un capace edificio pubblico (soprattutto scuole) per adattarlo a luogo d’assemblea religiosa. In numerosi paesi si venne a stabilire dunque una sorta di convivenza forzata che, in qualche caso, diede luogo anche a episodi di fraternizzazione tra occupanti ed occupati. Durante l'inverno le forze lavorative locali, bloccate le tradizionali attività, dovettero necessariamente aderire alle offerte di lavoro degli occupanti nazisti. L'organizzazione Todt, i cui aderenti indossavano una divisa color cachi, e quella parallela Enzian (i cui aderenti indossavano una divisa grigioverde con una fascia di riconoscimento al braccio) aprirono cantieri in diverse località, soprattutto per il miglioramento della viabilità, la costruzione di gallerie e rifugi antiaerei, l'allestimento di linee di fortificazione. Tutti gli uomini validi (compresi diversi partigiani che, dopo i rastrellamenti, avevano temporaneamente abbandonato la macchia) vennero reclutati, in una serie di cantieri allestiti nei diversi paesi. Va ricordato infine che il paese di Verzegnis si trovò ad ospitare la residenza del capo supremo delle forze cosacche, l'atamano Piotr Nikolaevic Krassnov, giunto in Carnia assieme alla moglie Lidia Fedeorovna nel mese di febbraio 1945. Il piccolo paese carnico diventò, in quei mesi, un punto di riferimento per la nobiltà cosacca, come ricostruito dal Carnier: “Principesse e dame, provenendo da Tolmezzo, Osoppo e da varie zone di insediamento, raggiungevano il quartier generale per porgere un saluto all’atamano e alla consorte. Krassnoff, tralasciando momentaneamente i suoi problemi, sapeva assum,ere un contegno cavalleresco, compiacendosi di quelle visite ch’egli accoglieva con rigorosa etichetta poiché riteneva che fosse suo compito ridare auge al mondo aristocratico russo vissuto per troppo tempo in esilio. Al quartier generale di Krassnoff si godeva, benché si fosse in tempo di dura guerra, di un lusso imperiale: una nostalgia che il nazionalsocialismo tollerava per i suoi fini politici e propagandistici”. 6) LA FINE DELL’AVVENTURA COSACCA Negli
ultimi giorni di aprile, a Campoformido, vicino a Udine, l’atamano
Krassnov ebbe un incontro col generale Vlasov, il comandante della ROA,
l’Armata Russa di Liberazione. Constatato l’esito sfavorevole
della guerra, venne concordemente deciso che i cosacchi stanziati in Friuli
avrebbero dovuto ritirarsi in Austria dove, presumibilmente, si sarebbe
tentato di organizzare una resistenza. La maggior parte dei cosacchi, dispersi lungo tutte le vallate carniche, senza alcuna ratificazione di resa, iniziarono invece la ritirata verso la Carinzia: fra la fine di aprile ed i primi di maggio vennero organizzate delle lunghe colonne di fuggiaschi in direzione dell'Austria. I principali itinerari della ritirata furono quelli lungo la Val Tagliamento e lungo la Valle del But: entrambe le colonne confluirono nel paese di Paluzza da dove raggiunsero il passo di Monte Croce Carnico per poi scendere verso la vallata austriaca della Drava. Dopo il difficile superamento del passo di Monte Croce (l’ultimo transito è segnalato il 5 maggio 1945), i cosacchi furono concentrati nella cittadina di Peggetz, nei pressi di Lienz, ove, per circa un mese, venne allestito un campo di raccolta, sotto il controllo degli inglesi. Vennero loro requisiti cavalli e armi e, generalmente, tenuti in condizioni di isolamento. Gli accordi tra le grandi potenze prevedevano la riconsegna all'Unione Sovietica di tutte quelle formazioni e quelle popolazioni che si erano schierati a fianco del nazismo: ciò fu fatto senza tener conto di situazioni personali o di giustificazioni storiche collettive. In un primo tempo gli inglesi fecero arrestare i principali ufficiali cosacchi, poi, il primo giugno, venne dato l'annuncio ufficiale dell'imminente riconsegna di tutti i cosacchi all'Unione Sovietica, con il rimpatrio forzato. La notizia, sostanzialmente inattesa, fu accolta con scene di panico e disperazione; parecchi tentarono la fuga, trovando a decine la morte nelle acque della Drava. La maggior parte dei cosacchi venne deportata nei campi di concentramento sovietici in Siberia e condannata a lunghi anni di detenzione. I principali responsabili del movimento cosacco, tra i quali l’atamano Krassnov e il generale Domanov, vennero processati e giustiziati a Mosca nel 1947. I cosacchi che riuscirono a evitare il trasferimento in Unione Sovietica cercarono di trovare rifugio lontano dalla terra d'origine (consistenti gruppi cosacchi si ricostituirono, per esempio, in Germania, in Francia, in Israele, negli Stati Uniti, nel Canada, nel Sud America, in Australia). 7) SESSANT’ANNI DOPO… La
dispersione e la prigionia in Siberia non sono riuscite a cancellare il
senso di identità e di appartenenza del popolo cosacco che si è
mantenuto sino a poter riemergere in forma non più clandestina
dopo il crollo dell’URSS. Con la “perestroijka”
di Gorbaciov c’è stata infatti una prima liberalizzazione,
che ha consentito a diverse comunità cosacche di ricostituirsi
in krug (circoli associativi), di riprendere l’elezione
dei rispettivi atamani; qualche anno più tardi, con la presidenza
Eltsin, i cosacchi sono stati pressoché completamente riabilitati
e sono anche state loro restituite, in gran parte, le terre. Boris Eltsin
ha infatti promulgato, nel 1992, un decreto che includeva i cosacchi nell’elenco
di quelle popolazioni che avevano subito un’evidente oppressione
ed assegnava conseguentemente un compenso per le sofferenze subite in
epoca sovietica.
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P.A. Carnier, L'armata cosacca in Italia 1944-1945, Mursia, 1990
QUI una breve bibliografia * Pieri Stefanutti ha pubblicato
vari libri sulle vicende della prima e della seconda guerra mondiale nel
territorio dell’Alto Friuli e, in particolare, Novocerkassk
e dintorni, IFSML, 1995, espressamente dedicato all’occupazione
cosacca. |