Nel campo più particolarmente politico propugniamo la formazione di una Unione Federale Europea, onde assicurare la pace ed unificare i mercati del nostro continente, e la costituzione dello Stato sulla base delle autonomie locali, come condizioni necessarie allo sviluppo di una vera democrazia
Finestrella in Carnia, n°10 del 21.6.1945
Romano Marchetti
Autori: Tiziana Barbolan – Anna Brunetti – Rudy Della Pietra - Sara Del Negro – Chiara Gortani – Azzurra Lazzara - Laura Merluzzi – Michela Merluzzi – Marco Nettis – Pavoni Gessica – Stefania Primus – Katia Sandri – Sonia Santoni della classe 5B dell’Istituto Tecnico Commerciale ‘M. Gortani’ – Tolmezzo, Anno scolastico 2002-2003
Coordinamento: professore Ermes Dorigo
Come una prefazione
Il Lavoro condotto dalla classe VB dell’Istituto Tecnico Commerciale “M. Gortani” di Tolmezzo (UD), coordinato dal prof. Ermes Dorigo, e che ha dato luogo all’elaborato Piccola patria e grande patria nel concerto europeo ed internazionale costituisce un’esperienza didattica significativa sotto vari punti di vista.
In primo luogo colpisce, per così dire, l’eterogeneità degli approcci storici e culturali. Nell’introduzione la classe VB enuncia i punti di partenza del loro percorso di approfondimento, che non è difficile immaginare scaturiti da una lezione o una discussione in classe; la legge costituzionale di modifica del titolo V della Carta, da un lato, e la proposta di istituire la “Provincia della Carnia” dall’altro. Questi elementi conducono ad una riflessione sulla storia della Carnia che però non viene condotta, secondo un’impostazione tradizionale, scandendo semplicemente il percorso storico-politico, legislativo ed istituzionale del distretto, bensì calando tale processo storico nella vicenda politica di alcuni personaggi significativi della storia carnica del Novecento: Michele Gortani, Fermo Solari, Bruno Lepre, Romano Marchetti.
Di ognuno di essi viene tracciato un breve profilo biografico che viene inserito sullo sfondo delle vicende che condussero dall’epoca del cooperativismo novecentesco, attraverso l’esperienza per più versi unica del Governo della Zona Libera della Carnia e del Friuli dell’autunno del 1944, alla nascita in età repubblicana della Comunità Carnica e quindi delle Comunità Montane ed ora dei Comprensori. Da questi passaggi storici il discorso si apre ad una dimensione più ampia, che comprende l’evoluzione della regione nelle sue specificità storiche, culturali e linguistiche, anche in relazione con i Paesi confinanti e con la complessa formazione storica della Regione friulana e giuliana.
Su questa linea, che rappresenta il filo conduttore della ricerca, vengono inseriti alcuni temi paralleli, ad esempio il ruolo per i processi storici esaminati di giornali quali Carnia, Lavoro e Alpe Carnica, oppure la questione della legge per la maggiore età e per il voto ai diciottenni, per il quale fu decisivo il ruolo dell’on. Bruno Lepre, e ancora la legislazione sulla montagna o i valori civici della libertà secondo la visione di Antonino Caponnetto.
Il lavoro esaminato, il cui ambito rientra appieno nei programmi ministeriali, appare in conclusione apprezzabile sotto ogni punto di vista, tanto storico-culturale che didattico, e le sue ricadute in termini formativi non potranno che essere positive.
Andrea Zannini
Professore associato di Storia Moderna presso l’Università degli Studi di Udine
Docente di Didattica della Storia presso la SSIS di Udine
20 novembre 2003
INDICE
Dal presente al passato al futuro p. 3
Biografie p. 5
1. La complessità del Friuli-Venezia Giulia p. 6
2. Il Governo civile della Zona Libera della Carnia p. 11
3. La Comunità Carnica p. 14
4. Le leggi per la montagna p. 17
5. La legge per la maggiore età e il dritto di voto ai diciottenni p. 20
6. Il significato della libertà p. 23
Fonti bibliografiche p. 26
DAL PRESENTE AL PASSATO AL FUTURO
Echeggia malinconica una luce
di stelle alle remote meravigliate
cime della Carnia
Pier Paolo Pasolini
L’approvazione della Legge Costituzionale del 18 ottobre 2001, n° 3 «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione» ( la cosiddetta ‘Legge sul Federalismo’) e la proposta di istituire la ‘Provincia della Montagna’ in Carnia (alcuni pensavano anche, in via subordinata, al Circondario, previsto dall’art. 129, ora abrogato:«Le Province e i Comuni sono anche circoscrizioni di decentramento statale e regionale. Le circoscrizioni provinciali possono essere suddivise in circondari con funzioni esclusivamente amministrative per un ulteriore decentramento».) hanno attirato la nostra attenzione e ci hanno portato sia ad approfondire il ruolo della Costituzione nella società, sia a portare in luce dei personaggi della nostra terra, che hanno avuto un ruolo importante nella nascita e nella vita della Repubblica.
Questo ha fatto sì che potessimo applicare concretamente le conoscenze che abbiamo acquisito grazie all’indirizzo di studi che frequentiamo, caratterizzato in maniera significativa dalle materie giuridiche, e grazie al progetto Educazione alla legalità , che il nostro Istituto attua da un decennio, richiamandosi alla Circolare Ministeriale n° 302 del 25 ottobre 1993 “Educazione alla legalità”, che recita che la scuola «ha il dovere di promuovere prima una riflessione e poi un’azione volta alla riaffermazione dei valori irrinunciabili della libertà, dei principi insostituibili della legalità... per creare persone sempre più coscienti dell'importanza che, per la vita del Paese, rivestono la correttezza dei rapporti giuridici, la salvaguardia dei diritti individuali, il rifiuto di qualsiasi forma di contiguità tra società del diritto e società della sopraffazione».
Questa iniziativa, costituita da una serie di incontri con autorità istituzionali della regione, allo scopo di avvicinare i giovani ad esse, ha registrato, ultimamente, la presenza del Procuratore aggiunto del Tribunale di Udine, del Procuratore presso il Tribunale dei Minori di Trieste e del Procuratore della Repubblica, del Vice-Questore del Commissariato di Polizia e della Direttrice della Casa Circondariale di Tolmezzo: ideale continuazione di due importanti incontri, avvenuti nella metà degli anni Novanta, con Maria Falcone, sorella di Giovanni, il magistrato vittima della mafia, e con Antonino Caponnetto, il magistrato che ideò il “pool antimafia”, per combattere l’organizzazione criminale, che uccise i giudici Falcone e Borsellino, e che sottolineò con forza l’importanza della Costituzione nel corso del suo intervento:
È la carta fondamentale, nella quale sono descritti i diritti e i doveri dello Stato verso i cittadini, dei cittadini verso lo Stato, questo patto fondamentale che i cittadini hanno stretto con lo Stato e che non si può ignorare. In America insegnano il preambolo della Costituzione americana ai ragazzini delle prime elementari, proprio a significare che non è possibile essere buoni cittadini, se non si conosce la Costituzione, se non si conoscono questi diritti-doveri fondamentali del cittadino. Per questo l’America, per concedere la propria cittadinanza agli stranieri li sottopone a un duro esame. Cosa gli chiedono? Gli chiedono di dimostrare la conoscenza della Costituzione americana. Mi sembra un concetto così ovvio, eppure i paesi occidentali non ci sono arrivati, carichi ancora di tutta la loro vecchia e spesso polverosa concezione dei rapporti tra Stato e cittadini. Ecco, nella pragmatica moderna America - non c'è bisogno di sottolineare anche i difetti di quella società - in questo rapporto tra cittadini e Stato credo che diano a tutta la nostra antica e sofisticata cultura dei grossi punti. Ecco perché bisogna anche insegnare la Costituzione.
Per illustrare poi la partecipazione della Carnia alla storia Repubblica, abbiamo individuato quattro personaggi che, pur rimanendo legati alla propria terra, hanno dato il loro contributo, mediante iniziative all’Assemblea Costituente e in sede parlamentare, a creare l’Italia di oggi.
Michele Gortani, cattolico e democristiano; Fermo Solari, laico, prima azionista e poi della sinistra socialista di Lombardi; Romano Marchetti, rimasto sempre fedele agli ideali di Giustizia e Libertà; Bruno Lepre, azionista e poi socialista riformista: essi, pur ispirandosi ad ideologie diverse, avevano in comune la consapevolezza che una vera classe dirigente deve essere un modello per la comunità che amministra, dimostrare spirito di servizio, informare e coinvolgere i cittadini sui problemi della cosa pubblica, educarli e, anche, farli crescere, come dimostra la creazione e la grande diffusione dal 1945 al 1967, dei periodici Carnia, Lavoro, Alpe Carnica, dai quali abbiamo attinto molte informazioni. Non siamo riusciti, e ci dispiace, ad approfondire l’importante apporto di alcuni esponenti comunisti.
Queste diverse ideologie confluirono nella Carta Costituente che, oltre ad essere “scritta”, “lunga”, “votata” e “rigida”, rivela anche di essere “mista”, poiché tesa a conciliare principi, ideologie e concezioni economiche diverse, come ad esempio il rapporto tra privato e pubblico, come disciplinato dall’art. 41 ( “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali.”), o il diritto di proprietà definito dall’art.42 ( “ La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.” ).
Nel nostro percorso di ricerca – anch’essa ‘mista’, in quanto si rivela un lavoro a più mani: individuale, di gruppo, collegiale, al quale il professore ha cercato di dare uniformità -, abbiamo anche scoperto che questa generazione di politici era molto più attenta e preoccupata ai problemi dei giovani, a cui cercavano di prospettare delle soluzioni, lavorative e ideali, per il loro futuro, partendo sempre dall’esperienza carnica ed estendendola al contesto nazionale. La legge per il diritto di voto ai diciottenni ne è la testimonianza, poiché l’iniziativa di Lepre partì da un discorso tenuto nel 1968 ad Ampezzo e rivolto ad una folla di giovani, ai quali promise, appunto, la maggiore età e il diritto di voto a diciotto anni.
Nella società del consumo di oggi, invece, gli ideali svaniscono e la classe dirigente attuale è piuttosto assente, lasciandoci in balia di un presente vuoto, anche se adesso, però, e questa esperienza ce l‘ha insegnato, noi sappiamo che senza passato non c’è futuro, non c’è identità individuale né identità collettiva e neppure un vivere civile fondato su valori condivisi.
Per questo motivo, vogliamo concludere questa introduzione con le parole, da noi condivise, di Michele Del Gaudio, che così scrisse rivolto a noi giovani:
Per invitarvi allo studio della Costituzione ho in particolare incominciato a girare le scuole di tutta Italia, per farvi capire che la cosa più importante nella vita sono i sentimenti e gli ideali, per diffondere tra voi una coscienza collettiva della legalità. Non mi importano le vostre scelte future, ideologiche e partitiche, ma mi sta a cuore che da destra o da sinistra voi abbiate, quando vi sedete al tavolo della politica, un denominatore comune, la cultura della legalità.
(Per non interrompere la continuità del flusso della trattazione, abbiamo preferito collocare le biografie all’inizio e non inserire delle Note, ma di rinviare alle Fonti bibliografiche)
MICHELE GORTANI
Nato a Lugo, in Spagna, nel 1883, si laurea appena ventunenne in scienze naturali e intraprende una rapida carriera accademica. Dopo alcuni anni trascorsi nelle università di Perugia, Bologna, Torino, Pisa, Cagliari e Pavia, dal 1924 è titolare della cattedra di geologia all'Università di Bologna, dove insegna fino al 1958.
Parallelamente all'attività di docente e scienziato si svolge il suo impegno politico e sociale. Nel 1913 viene eletto deputato nel collegio di Tolmezzo; partecipa quindi come volontario alla prima guerra mondiale, per assistere poi, dopo la ritirata di Caporetto, i numerosi profughi carnici sparsi per l'Italia. Durante il periodo fascista si dedica prevalentemente all'attività didattica e scientifica e negli anni Trenta dà vita all'Associazione Pro Carnia.
La seconda guerra mondiale lo vede prodigarsi in favore della popolazione della sua terra, angariata da fascisti, nazisti e cosacchi (tragiche vicende raccontate nel libro Il martirio della Carnia). Nel 1947 diviene presidente della Comunità Carnica, carica che ricoprirà fino alla morte. Deputato all'Assemblea Costituente, fa inserire negli articoli 44 e 45 della Costituzione i due commi che prevedono provvedimenti a favore della montagna e dell'artigianato; come senatore lega invece il suo nome alla legge 991 per la montagna del 1952.
Michele Gortani si spegne a Tolmezzo nel 1966. Tre anni prima aveva visto avverarsi il suo sogno, alla cui realizzazione si era applicato per un quarantennio, con l'inaugurazione a Tolmezzo del Museo Carnico delle Arti e Tradizioni Popolari, uno dei maggiori musei etnografici d'Europa.
FERMO SOLARI
«La storia di Fermo Solari è quella di un uomo che dalla povertà è arrivato alla ricchezza, dall'oscurità di modeste origini paesane alla ribalta nazionale di un partito. E, una volta raggiunto questo traguardo, si è dedicato completamente ad un ideale politico».
Fermo Solari (1900-1989), uomo di forte personalità ebbe natura di vero protagonista e come tale visse la lunga stagione politica e sociale che dagli anni bui del fascismo ha portato alla rinascita democratica dell'Italia, passando attraverso l'esperienza - vissuta in prima persona - della Resistenza. Tra i fondatori del Partito d'Azione e organizzatore del primo raggruppamento partigiano “Giustizia e Libertà”, poi vice-comandante generale del Corpo Volontari della Libertà, egli fece parte, tra l'altro, della Consulta Nazionale; senatore socialista dal 1953, ebbe anche un ruolo di primo piano come imprenditore, fondando già nel 1947 a Udine la fabbrica di orologi Solari, che diffonde ancor oggi in tutto il mondo i suoi teleindicatori e orologi di controllo.
BRUNO LEPRE
Bruno Lepre, nato ad Ovaro l’l1 febbraio 1920, residente a Tolmezzo, iscritto al P.S.I. dal 1946 proveniente dal P.d.A. ha fatto parte del C.L.N. della Carnia, ambiente dove bisognava lottare per il riscatto dei montanari attraverso concrete iniziative di sviluppo socio economico. Molta parte della sua produzione legislativa nasce da questo difficile ambiente: la riforma delle servitù militari, la nuova legge della montagna del 1972, le leggi per la ricostruzione e lo sviluppo del Friuli terremotato e quelle per le grandi infrastrutture, che hanno contribuito a liberare dall'emarginazione queste terre e le loro genti. Direttore del settimanale Lavoro, che dal numero 14 sostituì Carnia e uscì fino al 1° giugno1946. Dalle prime elezioni amministrative Consigliere Comunale e Vice Presidente della prima Giunta della Comunità Carnica. Dal 1960 Consigliere Provinciale, Assessore e Vice Presidente della Provincia di Udine dal 1964 al 1968, quando è stato eletto Deputato e dal 1972 Senatore; dal 1988 al 1993 Consigliere della Regione Friuli-Venezia Giulia. Sottosegretario all’Interno nel IV e V Governo Rumor, presidente della Commissione Difesa del Senato dal 1980 al 1983. Presentatore di varie leggi tra le quali quella del 1975, legata al suo nome, che ha concesso la maggiore età ed il diritto di voto ai diciottenni, e quelle che hanno concesso l’esonero militare ai giovani terremotati del Friuli ed il servizio civile sostitutivo.
ROMANO MARCHETTI
Nato nel 1913 a Tolmezzo*, si si è laureato in Agronomia a Firenze, specializzandosi poi in Agricoltura tropicale. Combattente nella lotta di Liberazione dalla dominazione nazifascista e cosacco-caucasica, è stato nel 1944 tra i padri costituenti ad Ampezzo della Giunta Civile di Governo della Zona Libera della Carnia. A guerra appena finita, il 19 maggio 1945 vede la luce ad opera sua il settimanale Carnia. Simbolo dell’autonomismo carnico, europeista ante litteram, è un “libero pensatore”, che ha profuso le sue energie per lo sviluppo culturale, sociale ed economico della Carnia, promuovendo, ad esempio, nel 1981 il convegno Una proposta di sviluppo e di autonomia per la Zona Alpina (istituzione del Circondario come dall’art. 129 della Costituzione); con altri, la creazione in collaborazione con l’Università di Trieste del Centro Botanico sul monte Pura ad Ampezzo; l’istituzione a Tolmezzo con l’Università di Udine del Centro Plurilinguistico Internazionale e diverse cooperative di lavoro.
*Figlio di Sardo Marchetti, il direttore didattico che, come ha scritto Claudio Magris sul Corriere della Sera del 27 febbraio 1993,”bocciò” Mussolini maestro a Tolmezzo nel 1907; “Il Sig. Benito Mussolini non fu un maestro senza una naturale disposizione all’arte educativa, ma senza metodo, mancante di quei mezzi e abilità che sono istromenti indispensabili all’educatore, senza la chiara visione di quanto deve impartire nella scuola, disorganico nel procedimento; il sig. Benito Mussolini (pur riconoscendogli il suo lavoro) ha ottenuto frutti scarsi. Avrebbe potuto raggiungere un profitto molto migliore se avesse dato alla scuola buona parte delle sue non comuni risorse intellettuali”.
1. LA COMPLESSITÀ DEL FRIULI - VENEZIA GIULIA
Il Friuli è una delle più interessanti regioni d’Europa sotto il profilo culturale e sociale, come importante crocevia di popoli che la storia ha portato a incontrarsi e a scontrarsi. Piccola porzione d’Italia e d’Europa, il Friuli è caratterizzato dalla presenza di ben quattro lingue, italiano, friulano, sloveno e tedesca. La nostra, è una regione di confine. Con i vicini slavi e austriaci abbiamo condiviso comuni problemi e interessi. Le nostre culture si sono fuse tra di loro in una mescolanza originale ed esclusiva. Zona di frontiera, nella quale lingue ed etnie hanno educato al rispetto reciproco; il riconoscimento della diversità diventa motivo di crescita e di arricchimento. In passato la convivenza ha assunto aspetti problematici: spinte nazionalistiche e istinti prevaricatori hanno infiammato le diverse etnie. Una profonda conoscenza di radici e storia comune ha portato al superamento della barriera razziale, favorendo un’ accettazione reciproca e un equilibrio armonico.
Abbiamo deciso di iniziare con questo scritto di Fermo Solari, Non siamo stati eroi, ma semplici cittadini, sia perché è la trascrizione di un dialogo con i giovani del 1988, quindi è come se parlasse direttamente a noi; sia perché affronta senza retorica il tema della Resistenza e della Lotta di Liberazione, nella quale ricoprì il ruolo molto importante di vicecomandante del Corpo Volontari della Libertà; sia, infine, perché evidenzia la peculiarità dell’intreccio, che caratterizza la nostra terra, tra l’essere friulano e italiano.
Un vecchio friulano come sono io, le cui spalle sono sul punto di sopportare ottanta anni di vita, può raccontare qualcosa di interessante ai giovani, giovanissimi, suoi conterranei? La nostra è una terra di frontiera, segnata dalla sofferenza per il passaggio di tante e tante guerre e invasioni e migrazioni, per le tragiche calamità naturali, per le ingiustizie degli assetti sociali. La nostra gente è stata in gran numero costretta a partire per l’estero, a cercare in paesi diversi e lontani, con lingua e costumi diversi, un lavoro per vivere. Ho girato il mondo e ovunque ho incontrato friulani, gente che ha penato molto ma ha tenuto duro. Non voglio dire che i friulani siano meglio degli altri. Siamo come gli altri, generosi o egoisti, democratici o autoritari, di sinistra o di destra, come tutti gli altri. Ma siamo da sempre su una frontiera e questo ci ha posto dei problemi. Metà della nostra linea di frontiera è con l’Austria, cioè con il grande mondo tedesco, l’altra metà è con la Jugoslavia, cioè con il grande mondo slavo. E noi siamo un pezzo dell’Italia, sia pure con caratteristiche nostre originali.
Questo senso della frontiera anche io l’ho vissuto come un problema. Mi sono sempre sentito friulano ma sono andato per l’Italia e per il mondo a studiare, a lavorare, a produrre e, quando è stato il momento, a lottare per la libertà. Ma sono poi sempre tornato a casa, a ritrovare le mie radici. E mi sono sempre chiesto: essere friulano, appartenere cioè a una terra di frontiera con caratteristiche sue proprie, vuol forse dire sentirsi estraniati dall’Italia e doversi chiudere in se stessi nel disinteresse verso il paese di cui siamo parte? Oppure, "proprio perché friulani", vuol dire guardare al di là dell’Italia, a qualcosa di più grande e importante, al posto che noi occupiamo nel mondo per la nostra storia politica e culturale? Ho sempre creduto e credo ancora che la seconda domanda sia quella giusta. E ho sempre cercato di seguire la strada segnata dalla nostra tradizione.
Voglio darvi un esempio, quello che considero il più illuminante della mia vita. Nel 1941 e più ancora nel 1943, è suonata per noi l’ora della lotta armata contro i nazisti che avevano invaso l'Italia (e grande parte del resto d'Europa) e contro la dittatura fascista che li aiutava. lo, questa lotta, l'ho cominciata qui in Friuli, facendo propaganda clandestina fra i reggimenti alpini che erano in movimento verso il fronte russo, dove venivano mandati a combattere, verso il quale non avevano ragioni di inimicizia, dove si sapeva che andavano a morire. lo, come altri friulani, con mezzi clandestini, ho tentato di aprire gli occhi ai comandanti, agli ufficiali, perché capissero che quella guerra portava l'Italia al disastro. Anche la guerra partigiana armata l'ho cominciata qui, in Friuli, e subito il nostro problema di terra di frontiera si è posto in modo drammatico. E allora ho capito che, per la mia esperienza di friulano, cioè di nativo e di cittadino di una regione di frontiera, dovevo partecipare alla lotta guardando ai problemi del mio paese, dell'Italia, ma guardando anche fuori dei suoi confini, per unirsi in un mondo di pace non più lacerato dalle guerre.
Non siamo stati eroi, ma semplici cittadini amanti dell'indipendenza, della libertà, della democrazia, della giustizia sociale. Questi erano i nostri ideali.
Dopo la guerra di liberazione ci fu l'Assemblea Costituente che approvò la Costituzione repubblicana, da cui siamo retti. In sé per sé, la Costituzione è democratica, tutela tutte le libertà, è socialmente avanzata. Dovreste impararla a memoria, cari ragazzi, ed in primo luogo l’art. 3 che recita: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà, l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese."
Domandate ai vostri padri quali ostacoli si sono rimossi per ottenere una vera libertà ed una vera uguaglianza, cioè un'effettiva giustizia democratica! In realtà la nostra Costituzione è ancora tutta sulla carta; poco è mutato rispetto al passato: le ingiustizie sociali sono restate, il godimento effettivo dei diritti di libertà è ancora limitato per la parte più povera del popolo; c'è insicurezza nel futuro; la società è dominata da egemonie e da privilegi inaccettabili.
In questo sta la ragione delle inquietudini, anche drammatiche, che scuotono il nostro paese. La mia generazione e quella che mi ha seguito, lasciano in complesso, a voi, cari ragazzi di oggi, una pesante eredità, fatta di incertezze per il futuro (non lo si dice mai abbastanza), di contrasti profondi per il presente, e alcuni giovani reagiscono – purtroppo - con la follia del terrorismo. Malgrado questo, io sono certo che la stragrande maggioranza dei giovani è convinta - e deve essere convinta - che la lotta per la democrazia e per la giustizia sociale si combatte giorno per giorno, con le armi pacifiche del confronto, ma anche nella chiara, inequivocabile contrapposizione con chi frena il progresso, conservando privilegi che ripugnano alla coscienza civile, e chi invece sente che è profondamente giusto battersi per una effettiva giustizia sociale, per un mondo di pace e di libertà.
L’insistenza sulla ‘friulanità’, sulla ‘frontiera’ e, come dirà ampiamente nel suo intervento alla Camera nell’ottobre 1962 - riportiamo sotto uno stralcio - sulla questione di Trieste, delle minoranze tedesca e, soprattutto, slovena rivelano la complessità della nostra regione. Nel primo dopo guerra mentre il Friuli trovava una sua collocazione nel nuovo assetto nazionale, nella Venezia Giulia il clima politico denunciava un inasprimento. Con il Trattato di Pace erano stati inglobati nel territorio italiano parte del territorio sloveno e i suoi abitanti, suscitando in essi un forte spirito irredentistico, mentre la Jugoslavia avanzava pretese nazionali sulle città che le erano state sottratte. (ricordando inoltre la marcia di D’Annunzio e dei suoi legionari sulla città di Fiume)
Alle richieste che venivano poste dalle minoranze slovene giunse ben presto, a modo suo, una risposta dalla repressione fascista, che praticò una politica di snazionalizzazione del confine orientale, con lo scopo di colpire soprattutto Sloveni e Croati, e con la quale vennero soffocate tutte le iniziative autonomistiche. Molte dunque le contraddizioni che esplosero inesorabilmente durante il secondo conflitto mondiale. Già nel 1942 era attivissimo il movimento insurrezionale sloveno a direzione comunista. Ma il movimento antifascista reagì massicciamente contro la Germania che manifestava intenzioni di annessione rispetto alla regione, organizzando un’attiva lotta partigiana.
Dopo la firma dell’armistizio italiano l’8 settembre 1943 Trieste finì nelle mani dei Tedeschi, e fu liberata solamente 2 anni dopo da truppe italo-jugoslave. Con il trattato di Parigi (1947) Trieste fu sottratta dall’Italia, e venne creato un territorio autonomo detto Territorio Libero di Trieste. Nonostante questo territorio dovesse essere amministrato da un governatore, che incontrasse il favore dell’Italia e della Jugoslavia, fu diviso in zona A, che spettava agli anglo-americani, e la zona B comprendente Capodistria spettante alla Jugoslavia. Grazie al Memorandum di Londra (1954) la zona A passò sotto l’amministrazione italiana, e nella zona B, si consolidò la presenza jugoslava. La questione è stata definitivamente risolta col trattato di Osimo del 1976:
In questa Regione si tratta di legare, di conciliare, direi di combinare assieme le diverse situazioni del Friuli e della Venezia Giulia. Si è detto molto della eterogeneità, dell’incompatibilità di interessi tra le province della Regione, e noi respingiamo questa tesi, d'accordo con il relatore:, senatore Pagni: «Si vuole, qui, soltanto respingere l'obiezione che le innegabili diversità esistenti fra le economie delle tre Province... presentino aspetti antitetici e concorrenti tali da creare una vera e propria incompatibilità con quella concezione unitaria, che costituisce il necessario presupposto della Regione. La sua attuazione rappresenterà, invece, il modo migliore per ricomporre, in un’unica entità territoriale e giuridica, genti fra loro prossime”.
Questa eterogeneità, del resto, è perentoriamente documentata e dimensionata dagli squilibri di reddito esistenti nella Regione, anche se dobbiamo guardarci dal confrontare il reddito pro capite di Trieste, che è un reddito «cittadino», con quello della provincia di Udine fortemente influenzata dai bassi redditi delle zone montane.
Ma, se tale è l'eterogeneità, dobbiamo forse concludere che rappresenti un ostacolo obiettivo alla creazione della Regione, o che siano fondati i motivi manifestati da qualche parte che le zone povere finirebbero col «pesare» su quelle progredite, con l'effetto di frenare queste ultime senza trarne consistenti vantaggi? Noi crediamo fermamente di no..
Bisogna ricordare che la nostra regione confinava con la cosiddetta “cortina di ferro”, che Gorizia era una città divisa in due da un reticolato come Berlino. Già nel 1941, prevedendo la divisione dell’Europa in due blocchi contrapposti, che sarà stabilita nella Conferenza di Yalta, Solari aveva fatto circolare con lo pseudonimo di Fresol un opuscolo dal titolo Per una democrazia socializzata, in cui delineava una terza via per il nostro Paese tra il sistema economico liberale e quello collettivista, che avrebbero caratterizzato per decenni la divisione politica e militare dell’Europa fino alla caduta del comunismo, simboleggiata dall’abbattimento del Muro di Berlino nel 1989; ora il Friuli-Venezia Giulia dovrà ridefinire la sua ‘specialità’, in quanto non più regione di frontiera, ma regione-ponte verso l’Est, i Balcani e la Mitteleuropa:
Data l'insufficienza dei sistemi economici fin qui adottati, ognuno dei quali rispose ad esigenze storiche ormai superate, si rende necessaria la ricerca d'una nuova via che sia la più rispondente alle nostre esigenze di Libertà e di Giustizia. La nuova via da seguire deve, a nostro avviso, tener conto col liberismo dei valori legati all'iniziativa dell'individuo e col socialismo dei valori che superano l'individuo e lo inquadrano opportunamente nel corpo sociale. La terza via, fra socialismo e liberismo, parte insomma dal presupposto che la persona umana si afferma con l’'affermazione dell'attività individuale, chiusa però dentro i limiti che sono imposti dall'esistenza e dal rispetto delle sfere di attività delle altre persone. (…) In sintesi, diciamo pertanto di non essere propensi per un'economia liberista, perché riconosce solo i valori individuali e nega quelli collettivi, e neppure per un’economia socialista, perché nega la persona riconoscendo solo la collettività; siamo invece per una economia basata sulla personalità che implica l'affermazione di sé nel rispetto degli altri.
Pensando a questo, i padri costituenti previdero per essa uno Statuto speciale (Art.116: “ Alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto Adige, al Friuli – Venezia Giulia e alla Valle d’Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia, secondo statuti speciali adottati con leggi costituzionali”; così modificato dalla Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 all’art. 2: “Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale”); ma mentre gli Statuti delle altre quattro regioni furono approvati nel 1948, per quello del Friuli-Venezia Giulia bisognerà aspettare la Legge Costituzionale 30 gennaio 1963; addirittura per le Regioni a Statuto ordinario si arriverà al 1970.
In Friuli la ‘friulanità’ ha assunto la forma del cosiddetto “autonomismo”, fondato soprattutto sul riconoscimento del ‘friulano’ come lingua e forma evidente della specifica identità, del quale è considerato ‘padre Tiziano Tessitori (1895-1973), che aveva iniziato la sua attività politica nelle file del Partito popolare di don Sturzo. “Al governo con De Gasperi - come scrive il suo biografo Michele Meloni - nella stagione della "rinascita", senatore e ministro, penalista e storico, Tessitori ha legato in maniera indissolubile il suo nome alla Regione Friuli-Venezia Giulia, della quale, appunto, è considerato uno dei "padri fondatori”. Un padre per alcuni aspetti ''incompreso" – aveva sempre ritenuto necessario allestire una struttura politica e amministrativa più duttile e dinamica, fondata sul presupposto che le sue componenti territoriali, anche tanto diverse tra loro (Trieste e il Friuli), richiedevano e richiedono il massimo di autonomia per poter convivere sotto un unico statuto - , nel cui disegno politico di allora si riconoscono molte proposte di adesso, non ultima una certa idea di autonomia, indispensabile per poter coniugare rispetto delle differenze territoriali e unità statale.”
Anche Pier Paolo Pasolini, fino al 1949 a Casarsa, dove fonda l’Academiuta di lenga furlana, interviene sulla questione nel Quaderno romanzo n°3 (giugno 1947) con un articolo dal titolo Il Friuli autonomo, in cui privilegia soprattutto la ‘specialità’ della lingua:
Noi abbiamo l’inopportuno candore, di confessare qual’è il nostro interesse, che è poi il nostro primo argomento per spalleggiare la causa dell'autonomia. Non denaro, né ambizione, ma una poetica. Una poetica della poesia dialettale come antidialetto, cioè come lingua... Lingua ladina, dunque, non dialetto alpino.
L’art. 6 della Costituzione recita: «La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche»; per quanto riguarda la nostra regione, alla X delle Disposizioni finali e transitorie si legge che “Alla Regione del Friuli-Venezia Giulia, di cui all’articolo 116, si applicano provvisoriamente le norme generali del Titolo V della parte seconda, ferma restando la tutela delle minoranze linguistiche in conformità con l’articolo 6”. La Legge 15 Dicembre 1999, n. 482 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”, che pur ribadisce all’art. 1 che “La lingua ufficiale della Repubblica é l'italiano”, riconosce nell’articolo 2 la specificità del friulano (“In attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo”) e permette di attivare tutte le iniziative per la sua tutela e valorizzazione, ad esempio in ambito scolastico, come prevede l’art. 4, di cui riportiamo solo i primi due punti:
1. Nelle scuole materne dei comuni di cui all'articolo 3, l'educazione linguistica prevede, accanto all'uso della lingua italiana, anche l'uso della lingua della minoranza per lo svolgimento delle attività educative. Nelle scuole elementari e nelle scuole secondarie di primo grado é previsto l'uso anche della lingua della minoranza come strumento di insegnamento.
2. Le istituzioni scolastiche elementari e secondarie di primo grado, in conformità a quanto previsto dall'articolo 3, comma 1, della presente legge, nell'esercizio dell'autonomia organizzativa e didattica di cui all'articolo 21, commi 8 e 9, della legge 15 marzo 1997, n. 59, nei limiti dell'orario curricolare complessivo definito a livello nazionale e nel rispetto dei complessivi obblighi di servizio dei docenti previsti dai contratti collettivi, al fine di assicurare l'apprendimento della lingua della minoranza, deliberano, anche sulla base delle richieste dei genitori degli alunni, le modalità di svolgimento delle attività di insegnamento della lingua e delle tradizioni culturali delle comunità locali, stabilendone i tempi e le metodologie, nonché stabilendo i criteri di valutazione degli alunni e le modalità di impiego di docenti qualificati.
La ricchezza della nostra regione sta nella diversità di caratteri e di parlate, nella nostra identità pluralistica e, paradossalmente, nella nostra unità. Oggi risulta fondamentale tutelare queste singolarità che rischiano di disperdersi nell’oceano dell’omologazione. Valori come il culto della casa (del fogolâr), della famiglia, del lavoro, dell’onestà del senso del dovere collettivo, rischiano di essere travolti dalle correnti oggi prevalenti. La diffusione della lingua friulana ha il merito di conservare la cultura e la tradizione. Sarebbe auspicabile una tutela maggiore per una lingua che racchiude le nostre origini e radici, testimonianza di una storia millenaria. Lo Stato in questo senso si è mobilitato istituendo l’ insegnamento della lingua ladina nelle scuole elementari, ma solo una maggiore autonomia e valorizzazione locale sono i presupposti necessari alla sopravvivenza e sviluppo del friulano.
All’interno della regione, nel nord-ovest prealpino, c’è una terra, la Carnia dove noi viviamo, percorsa nella sua storia da una costante volontà di autodeterminazione e di autogoverno, che ha mantenuto una sua specifica identità culturale e territoriale, come sottolinea Romano Marchetti sul
n° 3 di Carnia del 2 giugno 1945 nell'editoriale dal titolo Lunga vita al Comitato della Carnia:
La Carnia è una piccola regione: la lingua, il sentimento, le consuetudini dei suoi figli, i problemi di carattere industriale, commerciale, agricolo, pastorale, identici - o quasi - in ciascuna delle valli, ne fanno un'unità distinta dal Friuli non scindibile in parti più piccole. I problemi della Carnia in Friuli sono poco sentiti perché non sono gli stessi; inoltre Udine è troppo lontana anche in chilometri da tali problemi.
Giosuè Carducci, nel suo soggiorno in Carnia nell’estate del 1885, forse aveva colto proprio questo aspetto associativo e partecipativo della nostra popolazione e lo fissò in una delle sue più belle poesie, Il comune rustico.
Di questa ‘piccola patria’ ci occuperemo, e di quei personaggi che, a livello nazionale, hanno sempre agito e operato, ispirandosi ai suoi problemi e ai suoi valori e sempre attenti ai giovani e al loro avvenire, chiarendo che anche noi condividiamo, quanto scrive ancora Marchetti in Carnia (Governo di Domani del 23.6.1945 e Autonomie del 21.7.1945), che amare la propria terra non significa chiusura, ma apertura verso gli altri com’è nella tradizione degli abitanti delle zone alpine:
… assicurare la più completa e libera esplicazione delle proprie attività agli enti locali: comune, provincia, regione. In questi circoli autonomi vi deve essere piantata la radice di una sana e rigorosa vita politica rispetto a cui lo Stato significa allargamento, completamento, coordinamento. Le autonomie locali, infatti, dovranno riaffermare nei rapporti politici le autonomie giuridiche delle diversità come l’unità statuale deve riflettere e sancire l’unità morale della Nazione.
L’autonomia locale, quando non sia manifestazione di isolamento campanilistico, è semplicemente un corollario dei concetti di libertà e di democrazia.
2. IL GOVERNO CIVILE DELLA ZONA LIBERA DELLA CARNIA
Le Cooperative assumono fin dall’inizio del Novecento, quando erano presenti circa 120 di queste associazioni, un ruolo considerevole per quanto concerne l’evolversi della società in Carnia; infatti, la costituzione di tali associazioni hanno creato in questa zona una partecipazione attiva a livello economico, sociale, amministrativo e politico. Le Cooperative si sono diffuse allo scopo di creare degli strumenti di progresso, favorendo il miglioramento della qualità della vita delle popolazioni montane, combattendo la povertà e l’usura presenti sul territorio carnico.
Tra queste sono ancora presenti la Cooperativa Carnica di Consumo, fondata nel 1906 dai socialisti, e diverse Casse Rurali e Artigiane, fondate dai cattolici - la prima nel 1900 -, che nel 1994, dopo la fusione, hanno assunto la denominazione di Banca di Credito Cooperativo della Carnia, modificando lo statuto sociale in linea con le disposizioni contenute nella Legge Bancaria d.lg. n° 385/1993.
Durante il periodo fascista, però, queste associazioni vennero represse, in quanto il regime non riconosceva il diritto di associarsi liberamente come previsto all’art. 18 (“I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale”), mentre la nostra Costituzione riconosce ad esse all’art. 45 un ruolo fondamentale: “La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità”.
La formazione della Giunta di Governo della Zona Libera rappresenta il punto d’arrivo di questa tradizione cooperativistica e un modello per la successiva creazione della Comunità carnica.
La Zona Libera della Carnia e del Friuli fu una vera e propria isola democratica in un territorio invaso ed annesso alla Germania dopo l’8 settembre 1943. Il primo obiettivo dei dirigenti politici e militari della Resistenza carnica e friulana fu quello di costituire nuovi e legittimi organi di potere locale - i sindaci e le Giunte comunali - per gestire la normale attività amministrativa. I Sindaci e le Giunte comunali popolari dovevano essere eletti dalla popolazione. Così, dalla fine di agosto a tutto settembre, nei comuni della Zona Libera si svolsero le elezioni, le prime libere elezioni in Italia dopo venti anni di regime fascista. Si votò per capifamiglia, secondo la tradizione delle latterie sociali, l'unico modo possibile in quelle circostanze, e votarono anche le donne se ricoprivano tale ruolo.
Le Giunte comunali, composte da un numero variabile di persone, da cinque ad undici, avevano il compito di amministrare la vita del Comune, di costituire la Guardia del Popolo (cioè la Polizia Municipale), di amministrare i beni pubblici, di organizzare il servizio di alimentazione, di contribuire alla lotta, dando aiuto alle formazioni partigiane. Le Giunte rappresentarono un successo non solo per l’affermazione di principio costituita dal fatto che erano state liberamente elette dalla popolazione, ma per come funzionarono: tenevano pubbliche sedute alle quali partecipava la comunità, che poteva così discutere i problemi che direttamente la riguardavano.
Verso la metà di agosto del 1944 scaturì l'accordo sulla necessità di costituire un Governo della Zona Libera della Carnia e del Friuli, cioè un Governo civile unico di tutta la zona liberata. Esso fu costituito ad Ampezzo il 26 settembre del ‘44. La Giunta era composta da cinque rappresentanti dei partiti antifascisti ed era allargata, con funzioni consultive non deliberative, ai rappresentanti, delle formazioni partigiane e delle organizzazioni di massa, cioè i Gruppi di Difesa della donna, il Fronte della gioventù e i Comitati dei contadini e degli operai.
Aveva così inizio un'esperienza di alto valore politico e civile che, a detta anche degli storici, non ebbe eguali in nessuna delle repubbliche partigiane sorte in altre zone d'Italia nella primavera-estate del ‘44 e che ebbe il carattere peculiare di un'esperienza di autogoverno caratterizzata da autonomia di decisione, dalla facoltà di legiferare e di operare autonomamente, senza interferenze da parte dei comandi partigiani.
Fu un'esperienza breve - durò infatti dal 26 settembre al 10 ottobre, (giorno in cui il grande rastrellamento scatenato da nazisti, fascisti e cosacchi pose fine a questa esperienza) - ma di grande significato per l'intensa azione di riorganizzazione civile che fu proposta. Non dimentichiamo che l'azione di governo della Giunta della Zona Libera fu svolta in una zona annessa al III° Reich, strategicamente essenziale per le comunicazioni ed i trasporti da e per la Germania; assegnata infine a orde disperate di cosacchi e caucasici, che si erano qui insediati con le loro famiglie e ai quali era stato promesso che, a guerra finita, la Carnia sarebbe diventata la loro patria, la Kosakenland.
In quelle condizioni difficili si svilupparono concetti di democrazia che sembravano ormai dimenticati dopo venti anni di dittatura, e quelle esperienze anticiparono principi che furono poi ripresi nella Costituzione dell'Italia repubblicana.
Vediamo, come esempio, due decreti, relativi alla riforma tributaria e alla giustizia.
Nel primo caso la Giunta di Governo elaborò un decreto di carattere finanziario, con il quale vennero abolite tutte le imposte e le tasse esistenti e venne fissata un'imposta straordinaria sul patrimonio, la cui consistenza doveva essere accertata dalle Giunte popolari comunali. L'imposta era progressiva e partiva dal 2% per i patrimoni di 200.000 lire per giungere all'8% per quelli di un milione; per noi è una anticipazione di quanto previsto all’art. 53 della nostra Costituzione: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.
Per quanto riguarda la giustizia fu decretata l'istituzione del Tribunale del popolo, che doveva giudicare tutti i reati che non avevano carattere politico o militare, cioè i reati comuni. L'importanza del decreto sulla giustizia risiedeva soprattutto in due principi fondamentali: il principio della gratuità della giustizia e l'abo1izione della pena di morte per tutti i reati comuni (Art 27, comma 4°: “Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”).
Un primo provvedimento, però, fu il decreto sulla riapertura delle scuole elementari. Data l'impossibilità concreta di stampare un nuovo manuale scolastico, i giovani del Fronte della Gioventù, ovviamente i più interessati ai problemi della scuola, suggerirono l'adozione provvisoria del libro Cuore di Edmondo De Amicis.
Romano Marchetti, interpellato dal nostro professore sul motivo di questa scelta, ha risposto così: «Cosa vuoi che ti dica? L'indicazione non era così ingenua come può oggi apparire: dopo un ventennio di esaltazione della forza e di educazione allo spirito guerriero fra i giovani (si ricordi il motto di Mussolini “Libro e moschetto fascista perfetto") il libro di De Amicis diventava un testo di tutto rispetto ed apprezzabile per il richiamo ai buoni e semplici sentimenti ed anche un segnale di continuità con la storia risorgimentale, rispetto alla quale, per noi, il fascismo rappresentava una parentesi degenerativa».
A questo punto, per onestà intellettuale, e per non dare adito a false supposizioni di preclusioni ideologiche, avendo scelto motivatamente alcuni personaggi e non altri, ci pare corretto sottolineare l’importanza avuta dai rappresentanti del PCI nella lotta di Liberazione e nella costituzione della Zona Libera e lo facciamo ancora, grazie alla sua disponibilità, con le parole di Romano Marchetti: «Ai comunisti della Garibaldi-Carnia va il mio riconoscente ricordo per il notevole contributo dato alla guerra di Liberazione e soprattutto alla creazione della Giunta Civile della Repubblica democratica nella Alpi e Prealpi Carniche che, secondo alcuni storici (prof. Dondi dell’Università di Bologna) è stata la più perfetta e democratica tra tutte; in questo caso grande merito ebbe il comunista dott. Gino Beltrame; per il ruolo principe nella costituzione dei Sindaci della liberazione, nonché dei CLN comunali, di vallata, della Carnia, che ne furono premessa: in questo caso emerge soprattutto la figura di Tranquillo De Caneva. Ritengo mio dovere ricordare almeno alcuni dei comunisti della Garibaldi, che si distinsero particolarmente: Augusto Nassivera (Nembo), che si era messo in luce a seguito della Festa degli alberi a Forni di Sotto, strappando dall’aiuola quell’albero che, in omaggio al fratello Arnaldo, Benito Mussolini aveva comandato venisse piantato in ogni comune: nel 1945, partigiano tra i primi, divenne comandante garibaldino; il dott. Aulo Magrini (Arturo), sacrificatosi per difendere i propri compagni, di cui già tanto s’è detto e scritto, che aveva fatto pure parte della rete pro-resistenza, creata in Carnia da osovani nell’inverno ‘44/’45; Italo Cristofoli (Aso), pure lui comandante partigiano della Garibaldi, ucciso in azione a Sappada: era di Pradumbli, paese famoso per il gruppo di anarchici che lo caratterizzava; Tranquillo De Caneva (Ape), cui ho già accennato, dopo il 1945 fu emigrante, minatore e poi responsabile di livello nella CGIL, tanto da venir chiamato a Roma da parte di Togliatti, per dirigere il settore Assistenza, in seguito fu anche Consigliere regionale; naturalmente non si può dimenticare l’azionista Elio Martinis (Furore). Non è il caso di passare sotto silenzio anche alcuni che, all’inizio osovani, passarono poi nelle file della Garibaldi, come Decio Deotto e Giovanni De Mattia (Lupo). Credo infine che la propaganda comunisto-garibaldina abbia avuto il merito di riscattare molti giovani, plagiati dall’ideologia fascista, dando loro una piena dignità umana e civile, anche se in qualche modo condizionata da un credo fideistico».
3. LA COMUNITÀ CARNICA
Sono soprattutto Romano Marchetti, d'ispirazione azionista, e Bruno Lepre, socialista, espressione degli ideali antifascisti che avevano animato la Resistenza carnica e sostenuti nelle loro analisi e proposte dall'esperienza democratica di autogoverno della Zona Libera, quelli che con maggior passione e chiarezza d'intenti affrontano il problema di un organo di autogoverno e di coordinamento dei Comuni della Carnia. Entrambi sono accomunati dalla volontà di accentuare e salvaguardare i caratteri di autonomia e di autodeterminazione della nuova istituzione, in una visione, proiettata su scala nazionale, di uno Stato non più centralistico e burocratico, ma fondato sulle autonomie locali e sulla partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica; questi principi trovano il loro referente e antecedente nel cooperativismo di inizio secolo in Carnia, oltre che nell’ideologia di alcuni partiti.
Il tema della cooperazione e del suo rilancio, per le sue implicazioni economico-sociali, legate appunto all'autogoverno e all'autodeterminazione, viene particolarmente dibattuto su Carnia che, per essere espressione di un'unica posizione politica, è più libera e radicale rispetto alle posizioni che si esprimeranno su Lavoro, frutto delle mediazioni e dei compromessi politici tra i partiti del Cln della Carnia.
Sul n. 28 di Lavoro del 10 novembre 1945 esce, firmato congiuntamente da Marchetti e Lepre, un brevissimo articolo, intitolato Comunità Carnica, in cui si sostiene la necessità di creare un organo che sulla scia della vecchia Pro Carnia propugni e risolva i vecchi e i nuovi problemi della Carnia. Tale tesi viene ripresa e trattata in forma più estesa e approfondita da Bruno Lepre nel n. 33 dello stesso giornale, in data 15 dicembre 1945, nell'articolo intitolato: Comunità Carnica. Cosa vogliamo e dove vogliamo arrivare:
Molto s’è parlato sul nostro giornale della Comunità Carnica, ma io credo che gran parte dei Carnici non sappiano che cosa essa sia. Esisteva negli anni ‘30, in Carnia, un Ente che studiava e propugnava tutti i problemi della regione. Questo Ente era la Pro Carnia. Però questo Ente con tutta la sua buona volontà non poteva risolvere i problemi perché privo d'una base giuridica, ma doveva limitarsi a delle constatazioni e a delle proposte. Doveva insomma gridare le nostre necessità e implorarne dagli Enti superiori la soluzione. E questa voce, questo nostro appello accorato il più delle volte si smorzava prima di arrivare a chi doveva intenderlo. Era insomma questa Pro Carnia un ottimo architetto che progettava molto bene la casa nelle sue minime finiture ma che poi non poteva costruirla perché privo di mezzi. E questo non era debolezza dei valorosi uomini che l’hanno costruita, tra cui ricorderemo l'indimenticabile dottor Aulo Magrini, ma era un difetto istituzionale dell'Ente stesso. E questa Pro Carnia si vide privata delle sue già deboli forze con l’'accentuarsi del principio dello Stato accentratore dell'ultima dittatura. Abbiamo detto che la Pro Carnia ha dovuto limitarsi alla propugnazione dei nostri problemi, perché l'Ente era privo di una solida base giuridica che gli desse la forza per realizzarli. Vediamo ora come si può formare questa solida base giuridica che ci darà la forza di rendere reali i nostri progetti e guardiamo un po' al vicino Cadore che ha già la sua brava Comunità Cadorina. In Cadore, a quanto c'è dato di sapere, la Comunità è costituita da una specie di intesa fra vari Comuni i quali si sono impegnati a deliberare in comune sui problemi di comune interesse. E l'Ente pur non avendo una forza giuridica propria la trova nel fatto che i singoli Comuni si riservano di emettere le medesime delibere per i problemi comuni. Quindi la forza giuridica della Comunità Cadorina poggia sulla reale forza giuridica dei singoli Comuni aderenti. Però porta a un grave inconveniente, perché qualora uno dei Comuni aderenti per contrasti di interessi particolari della sua amministrazione si rifiuta di emettere la delibera comune, questo rifiuto comporta praticamente l'annullamento della delibera e spezza quindi la coalizione. Se noi portiamo in Carnia una Comunità di questo tipo, noi troveremo sempre gran parte dei Comuni benestanti contrari alla risoluzione in comune dei problemi del misero Comune di Enemonzo per esempio o contrari per contrasto d'interessi alla rinascita di Forni di Sotto che importerebbe uno sforzo comune. Da ciò deriverebbe il fatto che la Comunità perderebbe la sua funzione istituzionale che è quella di risolvere con una vasta e obiettiva visione tutti i problemi della regione. Così si rende necessario il bisogno di spostare il centro di gravità giuridica dai Comuni carnici alla Comunità Carnica. Bisogna insomma che i Comuni, per quanto concerne i problemi generali della regione rinuncino un poco alle proprie personalità, per rafforzare quel consesso equilibrato e sereno che è la Comunità Carnica.
L’l1 marzo 1946 presso la sede della Cooperativa Carnica a Tolmezzo si svolge una riunione dei sindaci e dei presidenti del Cln della Carnia, alla presenza del vice prefetto della Provincia, del governatore alleato e del direttore dell'Ufficio provinciale del lavoro, ai quali vengono esposti i gravi problemi dei vari Comuni; in tale occasione Marchetti, “vivamente applaudito”, rilancia nuovamente l’idea della Comunità Carnica.
Sul n. 15 di Lavoro del 13 aprile 1946, dando la notizia che “un milione duecentoventimila metri cubi di legname sono stati asportati a danno della regione”, per cui, secondo l'articolista, la Carnia è trattata dal governo come una "colonia", si ribadisce che “sulla nostra rovina solo la Comunità Carnica può salvarci”.
Finalmente nella riunione del 20 maggio 1946 si arriva all'approvazione dello statuto della "Libera Comunità Carnica", del quale viene data notizia sul n. 21 di Lavoro del 25 maggio 1946:
Lunedì scorso, ha avuto luogo la riunione per l'elaborazione del progetto per la Comunità Carnica. In detta riunione abbiamo avuto un magnifico esempio di democrazia manifestato nella lotta delle tendenze e nella sintesi di chiusa che ha preso il meglio delle varie correnti. Le tendenze fondamentali erano tre: una tendenza che voleva concepire la Comunità come una semplice associazione di Comuni, un’altra che la voleva svincolare dai Comuni creando un corpo a sé che sostituisse la Prefettura nella estrema valorizzazione autonomistica. C'è stata poi una tendenza di centro la quale assorbendo le due tendenze ha stabilito che la Comunità fosse inizialmente un'associazione di Comuni, associazione però che lasciasse la strada aperta a tutte le future possibili soluzioni fino a giungere in un domani ad un autogoverno carnico inquadrato nella visuale autonomistica del futuro Stato italiano. Questa tendenza è stata quella che praticamente ha dominato e ha informato lo spirito dello statuto, tendenza realista e concreta nel senso che l'autonomia tipo Val d’Aosta non ci verrebbe concessa dallo Stato nello spirito delle leggi attuali, tendenza che non esclude successive battaglie e che non vuol essere rinuncia a un'autonomia assoluta, ma che, per evitare una dispersione delle forze, vuol creare un consorzio di Comuni Carnici che è il logico presupposto, nell'amalgama degl'interessi e dei problemi comuni, per una successiva evoluzione autonomistica.
Michele Gortani non partecipa direttamente e in prima persona al dibattito che si svolge all'interno del CIn, ma lo segue a distanza con attenzione, anche perché il riferimento ideale alla Pro Carnia lo riporta, indirettamente, al centro dell'attenzione; infatti negli anni Trenta era stato proprio lui l’animatore e il Presidente di tale associazione.
“Apprezza anche – abbiamo letto nella sua biografia - quel certo entusiasmo giovanile di cambiamento e rinnovamento che anima le pagine di Carnia e Lavoro, ma lo inserisce, realisticamente, nel nuovo quadro internazionale e nazionale che si è determinato dopo Yalta e che in Friuli-Venezia Giulia, data la frontiera con la Jugoslavia di Tito, si avverte con maggior tensione e preoccupazione, e che sarà destinato ad accentuare le divisioni e le opposizioni fra le forze dell'antifascismo. Si dedica con la consueta passione all'insegnamento universitario e intanto matura la sua adesione alla Democrazia cristiana, cioè a una proposta politica di centro, oltre che ispirata a principi religiosi, che ben s'incontra col suo atteggiamento psicologico e culturale di rifiuto di ogni estremismo, sia esso comunista o capitalista. Con questi intenti e con queste idealità partecipa alla campagna elettorale per la Costituente”.
Per quanto riguarda la Comunità Carnica, Gortani fa la sua comparsa in prima persona nella riunione allargata del 5 agosto 1946, quale membro della giunta esecutiva per la costituenda Comunità Carnica. In tale occasione, tra le altre modifiche allo statuto, si provvede ad eliminare dalla dizione "Libera Comunità Carnica" la parola "Libera". “ Una cancellazione significativa – leggiamo ancora nella biografia -. Infatti non solo, così facendo, si attenua la derivazione e il legame con la Zona "Libera della Carnia”, cioè con la rottura col passato, ma si mettono anche in secondo piano le spinte autonomistiche e le sottolineature di autodeterminazione e di democrazia diretta. Per Gortani la democrazia è essenzialmente democrazia delegata, da attuarsi e realizzarsi attraverso la mediazione di un ceto politico formato dagli uomini migliori di una terra e di una nazione, che devono agire come classe dirigente non come classe dominante per l'interesse della collettività e della gente comune che, secondo lui, non è in grado di esprimere autonomamente dal basso progetti politici e organizzativi, ma che, se non adeguatamente guidata, potrebbe trasformare la libertà in licenza. Anche se uomo di partito, nella concezione di questa classe dirigente ideale permane in Gortaní una visione universalistico-umanitaria, che sogna una comunione d'intenti per il bene comune anche in uomini appartenenti a schieramenti ideologici diversi, purché accomunati dallo stesso amore per la propria gente e la propria terra: nemico degli ideologismi e più attento e partecipe dei problemi concreti della gente; carnico e italiano, mediatore incessante tra le esigenze del centro (dello Stato) e della periferia (della Carnia)”.
In pratica, abbiamo osservato che Gortani, circa le funzioni e il significato politico della Comunità Carníca, non vedeva in questo organismo un’ipotesi di Stato delle autonomie locali, anche antagoniste al potere centrale, ma uno strumento di decentramento amministrativo, che attenuasse il centralismo e permettesse allo Stato di essere più vicino e aderente ai problemi delle varie regioni geografiche italiane; un organo retto e guidato da una classe politica che fosse in grado di mediare i bisogni locali con gli interessi nazionali. Per questo alla Costituente votò con convinzione l’art. 5: “
La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo, adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze della autonomia e del decentramento”.
In data 27 maggio 1947 il prefetto di Udine, Vittadini, approva con decreto la costituzione del “Consorzio denominato Comunità Carnica”. Il 12 giugno 1947 una maggioranza formata da democristiani e socialdemocratici elegge Presidente della Comunità Carnica Michele Gortani, carica che egli conserverà fino alla morte.
4. LE LEGGI PER LA MONTAGNA
La montagna rappresenta più di un terzo del territorio italiano ed è caratterizzata da molteplici problemi. Ancora oggi, come in passato, si assiste ad un fenomeno migratorio che sta raggiungendo livelli allarmanti provocando un eccessivo spopolamento dei territori montani. Spesso la causa di ciò è riconducibile alla mancanza di agevoli vie di comunicazione, che tendono ad emarginare le popolazioni montane dai grossi centri urbani. Questi ultimi, infatti, soprattutto dai giovani, vengono visti come punto di attrazione della vita sociale, capaci di offrire innumerevoli servizi di ogni genere. Inoltre non si possono dimenticare le condizioni nelle quali riversano oggigiorno certe zone montane: isolamento e abbandono sono spesso la conseguenza del loro degrado.
Alla soluzione d tali problemi Michele Gortani ha dato un contributo fondamentale.
Nel 1946 egli partecipa attivamente alla campagna elettorale per la Costituente, nella quale risulterà eletto deputato per la Democrazia cristiana.
Nel palazzo di Montecitorio il 13 maggio 1947 si discute in aula l'articolo 41 della Carta costituzionale: l’onorevole Gortani insieme ad altri deputati, non soddisfatti del testo concordato, insiste perché la Costituzione contenga un riferimento chiaro ed esplicito alla "montagna". Come primo firmatario, richiesto dal presidente dell'assemblea se intenda mantenere il suo emendamento, prende la parola Gortani per confermare la sua volontà di mantenerlo, ottenendo l'appoggio di Antonio Segni, a nome del gruppo di maggioranza relativa, cui segue quello, quasi unanime, dei presidenti degli altri gruppi parlamentari:
Onorevoli colleghi, vi è in Italia una regione che comprende un quinto della sua popolazione, che si estende per un terzo della sua superficie e in cui la vita di tutti i ceti e categorie si svolge in condizioni di particolare durezza e di particolare disagio a confronto col rimanente del paese. Questa regione, che non ha contorni geografici ben definiti, ma si estende ampiamente nella cerchia alpina, si allunga sulle dorsali appenniniche e si ritrova nelle isole maggiori, risulta dall'insieme delle nostre zone montane. È una regione abitata da gente laboriosa, parsimoniosa, paziente, tenace; che in silenzio lavora e in silenzio soffre tra avversità di suolo e di clima; che rifugge dal disordine, dai tumulti e dalle dimostrazioni di piazza, e ne è ripagata con l'abbandono sistematico da parte dello Stato. 0 meglio, della montagna e dei montanari lo Stato si ricorda, di regola, e si mostra presente, quando si tratta di imporre vincoli, di esigere tributi o di prelevare soldati.
Matrigna la natura, al nostro montanaro, e matrigna la patria; e tuttavia è pronto, così per la patria, come per la nativa montagna, a sacrificare, ove occorra, anche se stesso. Perché la montagna è la sua vita, e la sua patria è la sua ragione di vivere. E in lei non ha ancora perduto la sua fiducia. Facciamo che non la perda. Ad ora ad ora voci si sono levate in favore della montagna: voci altruiste reclamanti giustizia, e voci utilitarie reclamanti la restaurazione montana come fonte di pubblico bene. Ma le une e le altre sono cadute o nell'indifferenza o nell'oblio. E intanto le selve si diradano, inselvatichiscono i pascoli, cadono le pendici in crescente sfacelo; le acque sregolate rodono i monti e alluvionano e inondano le pianure e le valli; intristiscono i villaggi a cui non giungono le strade né i conforti del vivere civile; la robustezza della stirpe cede all'eccesso delle fatiche e delle restrizioni, e la montagna si isterilisce e si spopola. Ora è tempo che al montanaro si volga con amore questa Italia che si rinnova. Noi chiediamo che nella nuova Carta costituzionale, dove tante sono le norme ispirate all'amore e alla giustizia, ci sia anche una parola per lui. A tal fine abbiamo presentato questo comma aggiuntivo all'articolo 41; «Nel medesimo intento» (cioè di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e stabilire equi rapporti sociali) “la legge dispone provvedimenti in favore delle zone montane”.
Con tale emendamento, divenuto l'ultimo paragrafo, esso diventerà l'articolo 44 della Costituzione.
L'impegno di Gortani non si ferma qui e il giorno successivo, il 14 maggio 1947, insieme agli onorevoli Franceschini, Di Fausto e Andreotti, preoccupati che nella legge fondamentale dello Stato non venga inserito un riferimento esplicito all'artigianato, presenta un ordine del giorno, che egli stesso illustra e propone di aggiungere: “Apposite provvidenze legislative assicurano la tutela e lo sviluppo dell'artigianato”.
Con l'aggiunta di questo comma l'articolo, che durante la discussione aveva il n. 43, diverrà l’articolo 45 della Costituzione italiana
Il comma dell'articolo 44 che prevede «provvedimenti in favore delle zone montane» permette a Gortani, nella sua veste di senatore, durante la legislatura 1948-1953, di essere uno dei protagonisti dell'approvazione della legge numero 991 del 25 luglio 1952, considerata la prima legge organica promulgata in Italia a favore della montagna.
Un altro carnico fu tra i protagonisti della formulazione e approvazione di una nuova legge sulla montagna, istitutiva delle Comunità montane (L. 1102 del 1971), Bruno Lepre, che così scrive nelle sue Memorie di un socialista della montagna:
Durante l'inverno del 1970 fino alla primavera del 1971 fui fortemente impegnato nella Commissione competente a predisporre una nuova legge della montagna; legge che era fortemente sentita, in particolare nella mia Carnia, dove sull'esempio dell'autogoverno della Zona Libera, avevamo dato vita alla Comunità Carnica, che fu, con mio grande orgoglio e soddisfazione, il modello di riferimento per l'organizzazione amministrativa dei territori montani con la costituzione delle Comunità Montane. Mi impegnai insieme ad altri amici deputati con grande determinazione per questa nuova legge, che doveva sanare le gravi insufficienze della Legge 991/1952, che pur aveva avuto il merito di porre il problema della montagna come problema nazionale.
La legge - una legge all'avanguardia a livello europeo - dopo un iter travagliato, fu approvata, realizzando gli obiettivi dell'autogoverno attraverso un Ente o un Consorzio di Comuni in grado di programmare le necessità delle vallate ed i relativi piani, anche se la parte finanziaria rimaneva quasi tutta da scrivere.
Ebbe l’onore di aprire la discussione generale in Aula. Riteniamo opportuno riportare qui di seguito una parte del suo intervento:
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale. Il primo iscritto a parlare è l’onorevole Lepre. Ne ha facoltà.
LEPRE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole ministro, la nuova legge della montagna che, la Camera si accinge a votare e che il gruppo socialista confida sia ulteriormente migliorata, è uno strumento da tempo atteso dalle popolazioni montanare afflitte dallo spopolamento e dal fenomeno dell'emigrazione, e condannate, se non si pongono urgenti rimedi, al loro definitivo svuotamento come entità socio-economiche. Non starò a dire dei sacrifici che questa gente ha affrontato in pace e in guerra, gente sobria che finora però ha ottenuto solo l'elogio dei governanti e non una politica di salvaguardia di quei grandi valori umani che proprio la montagna raccoglie; né dirò che questa brava gente ha fatto le barricate a difesa della patria nelle guerre del Risorgimento, nella grande guerra, in Grecia, in Russia, nella lotta di Liberazione, sacrificando quasi tutta la sua gioventù: forse ha il torto di avere silenziosamente taciuto e sofferto anche quando la dimenticanza dello Stato ha assunto atteggiamenti veramente provocatori. Dirò soltanto che quando si difende la montagna si difende anche il suolo attraverso la vigile sopravvivenza delle sue popolazioni e si difende quindi l'intero territorio dello Stato.
È necessaria una legge che affronti il problema della montagna in tutta la sua interezza. Si tratta, ripeto, soprattutto di un problema di contenimento dell'esodo emigratorio interno ed estero che, in chiave programmatoria, vada a rimuovere le cause di questo spopolamento.
Nella mia terra, la Carnia pur confinante con il terzo Reich, nel 1944, in una terra circondata dal ferro e dal fuoco nemico si è saputa creare una zona libera, dandosi un proprio governo della Carnia libera, il cui tribunale ha pronunciato, in territorio occupato, la prima sentenza con la formula: “In nome del popolo italiano”. Questa Carnia, che aveva eletto le prime giunte comunali democratiche, forte di questa esperienza, ha creato nel 1945-46, ad iniziativa del CLN carnico, la Comunità Carnica, primo esperimento in Italia di consorzio di tutti i comuni della montagna friulana, creato proprio al fine di unire tutti gli sforzi per tentare una concreta rinascita della montagna friulana. Direi che il tipo di comunità montana prospettato dal disegno di legge oggi al nostro esame, trova il suo modello nello statuto e nell'organizzazione della comunità carnica. Se ciò è motivo di orgoglio per questa gente, resta l'amara constatazione che questa comunità ha condotto una battaglia generosa sì, ma anche contro i mulini a vento, perché priva di riconoscimento, di attribuzioni e poteri, non concessi dalla legislazione dello Stato. Ecco l'esigenza di valorizzare, le Comunità Montane.
Con delibera legislativa dell’attuale Giunta Regionale n°86-ter del 29 luglio 1999 sono state soppresse le Comunità Montane in Friuli Venezia Giulia e sostituite con i Comprensori montani.
Comunque abbiamo ritenuto importante sottolineare l’incessante, ed allo stesso tempo efficace, impegno dimostrato dai nostri due esponenti politici, Michele Gortani e Bruno Lepre. Infatti è a loro che bisogna attribuire il merito di aver promosso ed attuato delle disposizioni sulla tutela delle zone montane, oggi sempre più dimenticate e trascurate, come si è visto nel 2002 che, pur essendo ‘l’anno della montagna’, è passato quasi nell’indifferenza generale e non ha prodotto quasi nulla di concreto, almeno nella nostra regione.
5. LA LEGGE PER LA MAGGIORE ETÀ E IL DIRITTO DI VOTO AI DICIOTTENNI
Bruno Lepre, che sempre nella sua attività politica ha rivelato una grande sensibilità ed attenzione per i giovani, ricorda nelle sue Memorie:
Dopo sette anni si profilava un ulteriore tentativo di rinvio, questa volta a mezzo di una proposta democristiana, che chiedeva l'assorbimento della normativa approvata nel contesto del diritto di famiglia, il cui iter parlamentare era orinai alle ultime battute.
Io reagii a questo tentativo con una dura risposta sulla stampa, che fu particolarmente evidenziata dal Corriere della sera, quotidiano che riportò con un evidente interesse i vari passaggi della proposta alla Camera prima e al Senato poi, schierandosi apertamente a favore dell'approvazione della legge. Diversi servizi, sempre sul diritto di voto ai diciottenni, apparvero su L'Espresso; questo settimanale seguiva con favore tale iniziativa e con costanza anche per la cortesia del suo direttore, Eugenio Scalfari, che era stato deputato del PSI con me nella legislatura 1968/72 e che mi aveva fatto un'intervista sull'argomento, quando rivestivo la carica di Sottosegretario all'Interno.
La stampa nazionale era ormai dall'estate del '74, dopo il referendum del 12 maggio sul divorzio, che seguiva e dava ampio spazio a questa proposta di legge; e i giovani, confermando che ormai i tempi erano maturi per una sua rapida approvazione, scendevano nelle piazze a reclamare questo che consideravano un loro sacrosanto diritto; di queste manifestazioni cercarono di approfittare politicamente gli attivisti radicali e comunisti, ma si mossero strumentalmente e troppo tardi, quando ormai la Commissione Giustizia aveva già licenziato il provvedimento per il dibattito in Aula.
Si arrivò finalmente in Aula ed il 18 gennaio 1975 Lepre pronunciò un breve intervento sulla sua proposta di legge:
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione del disegno di legge nel suo complesso. È iscritto a parlare per dichiarazione di voto il senatore Lepre. Ne ha facoltà.
L E P R E. Signor Presidente, signori Ministri, onorevoli senatori, il mio breve intervento è per motivare il voto favorevole del Gruppo del PSI al disegno di legge che, modificando l'articolo 2 del codice civile, abbassa da 21 a 18 anni l'età utile per conseguire la maggiore età e con essa la capacità di esercitare tutti i diritti civili; per riflesso essa attribuisce ai giovani diciottenni anche il diritto di voto, poiché l’articolo 48 della Costituzione riconosce un tale diritto a tutti i cittadini che hanno raggiunto la maggiore età.
Il disegno di legge è nella sostanza quello che proposi, a nome del PSI, il 14 novembre 1968 alla Camera e che ottenne, in sede referente, l'approvazione unanime della Commissione giustizia di quel ramo del nostro Parlamento nell’aprile 1971 e che fu presentato all'esame dell'Assemblea di Montecitorio nel luglio 1971, da una relazione di completa adesione stilata dall'onorevole Maria Eletta Martini.
Ed è lo stesso testo che ho riproposto al Senato nel giorno inaugurale di questa legislatura.
Pur conscio delle difficoltà che si incontrano nel nostro paese quando si portano avanti problemi come questo, che sono i problemi delle libertà civili e dell'ammodernamento della nostra società, ero convinto che i tempi della loro proposizione fossero più che maturi, quasi venticinque anni dopo la Liberazione dell'Italia.
Confortava questa mia tesi il fatto che già all'epoca della Resistenza, quando eleggemmo le giunte comunali nel territorio amministrato dal governo della Carnia libera, sorta per eroico sacrificio dei partigiani delle divisioni Garibaldi e Osoppo e delle sue valorose popolazioni, fu pacifico che ai giovani diciottenni competesse e il diritto di votare e il diritto di essere candidati ed eletti.
Ora alla mia parte politica pare che il nostro disegno di legge, integrato dall'utile apporto della analoga proposta presentata nel luglio scorso dal senatore Petrella e da altri colleghi del Gruppo del PCI, realizzi con maggiore completezza anche i contenuti della proposta di legge costituzionale già approvata dalla Camera per la quale noi riconfermiamo il voto positivo, proposta che tende un po' a svecchiare i quadri dell’elettorato attivo e passivo, in adeguamento alla crescita culturale del paese, che ha trovato verifica positiva nelle generose battaglie di civiltà portate avanti in questi anni proprio dai giovani operai e studenti nella fabbrica, nella scuola e nella società: nel senso che il cittadino può essere elettore ed essere anche eletto solo se allo stesso si riconosce la piena maturità e la completa disposizione di tutti i diritti civili e non solo di quelli politici ed elettorali.
Mi pare questo il messaggio della Costituzione che, indicando nell'articolo 48 il requisito della maggiore età per avere diritto al voto, ha sanzionato la non divisibilità della maturità civile da quella politica, messaggio confortato, dal 1969 in poi, dalla analoga strada scelta dalla Germania Federale, dall'Inghilterra, dagli Stati Uniti, dalla Repubblica di Francia.
E bene si è detto qui che queste iniziative non vanno considerate e interpretate come un dono ai giovani, ma come presa d'atto della comunità che il suffragio universale è carente nella storia d'oggi, se si escludono i giovani diciottenni dalla partecipazione e dal voto.
I giovani che, oltre ad essere l'eterno volano dinamico del progresso sociale fuori di ogni compromesso, hanno anche il merito di aver ideato una società più civile, ci hanno dato la visione di una scuola sempre più vicina interprete della domanda del paese reale e di un sindacato che, uscito dal ghetto della mera rivendicazione contrattuale, prospetta tutte le esigenze dei lavoratori che sono sì di salario decente, ma che sono anche di scuola aperta, di servizi sociali adeguati, di cultura e informazione volte ad accrescere la libertà dei cittadini.
Sono queste squisite conquiste dei giovani nelle generose battaglie di questi anni, conquiste e prospettazioni con le quali la democrazia e le stesse forze politiche devono fare i conti, se vogliono marciare coi tempi, che legittimano il riconoscimento della loro maturità e il dovere della comunità di arricchirsi del loro apporto generoso e puro che reclama un nuovo modo di essere e di esprimersi della società e dei suoi quadri dirigenti.
La partecipazione giovanile impone anche un modo di essere più serio, un metodo meno levantino di affrontare i problemi della nostra società e rappresenta una condizione moralizzatrice e per il paese e per gli stessi partiti politici.
E la valutazione della ricchezza del loro contributo ci deve spingere a fare una politica per i giovani, soprattutto per quelli che fuggono dal meridione e dalle montagne del nord. Ciò significa soprattutto il posto di lavoro vicino a casa, per dare modo alla loro presenza di garantire la crescita libertaria e democratica del paese. Bisogna pensare anche a quella grossa bomba che potrebbe scoppiarci tra le mani e che è rappresentata dalla paurosa disoccupazione intellettuale, se è necessario anche rivedendo la politica della scuola e dell'università di questi ultimi anni.
E quando finalmente il 6 marzo 1975 la legge viene approvata, confessa:
Ritornai commosso col pensiero alle elezioni comunali nella Zona Libera della Carnia, quando erano stati elettori anche i giovani e le donne carniche, che godettero nel 1944 di quel diritto di voto che le donne italiane ebbero solo il 2 giugno del 1946; a quella domenica 12 maggio 1968, quando ad Ampezzo, già capitale della Repubblica Partigiana, nella sala grande di un albergo mi ero impegnato a tanto di fronte ad una piccola folla di giovani entusiasti; e dedicai dentro di me questo ideale monumento alla memoria di tanti giovani, alpini e partigiani caduti per la libertà e la democrazia.
Nel 1998, invitato nella nostra scuola a parlare, tra l’altro, della riforma del diritto di famiglia, dopo avere illustrato il percorso di questa legge – il testo è riportato nel libro realizzato dagli allievi della 5B di allora, Giovani e… Jovanotti in Carnia -, alla domanda: “Guardando ai giovani di oggi, lo rifarebbe?”, ha risposto: “Senz’altro, anche se un maggior spirito di sacrificio ed un maggior impegno e responsabilità civile da parte dei giovani non guasterebbero”.
I giovani, al giorno d'oggi, considerano i diciotto anni come il raggiungimento di una meta: da quel momento in poi si diventa titolari di autonomia e di diritti e doveri. Tuttavia il diritto al voto per molti è considerato una cosa futile, non importante. Riflettendoci meglio, però, si comprende che attraverso il voto si esprime il proprio pensiero e che poter scegliere i propri rappresentanti, amministratori e politici, non è cosa da poco. La nostra generazione è stata accusata in più occasioni di essere disinteressata alla vita politica, ma ci si è accorti, specie negli ultimi tempi che non è così. Un esempio sono le manifestazioni a cui partecipiamo con molti nostri coetanei; ciò significa che, a nostro modo, tentiamo di capire e di proporre soluzioni ai numerosi problemi presenti oggi nel nostro paese e non solo.
Questo abbassamento della maggiore età si può definire come una conquista per il popolo italiano. Con questa legge le giovani generazioni assumono subito le loro responsabilità. Infatti, con l’arrivo dei tanto attesi diciotto anni si acquista la capacità d’agire, che indica “l’attitudine di un soggetto ad acquistare, esercitare o disporre dei diritti e ad assumere degli obblighi”.
6. “IL SIGNIFICATO DELLA LIBERTÀ”
“Voi siete nati in un paese che avete già trovato libero e democratico; per me non è stato così, io sono nato sotto una dittatura. La nostra democrazia è la più bella che ci sia al mondo. Ecco perché dovete difendere questi valori contro chiunque attenti ad essi; e state in guardia, perché è stato difficile conquistare democrazia e libertà: So quanti sacrifici, quanto sangue sono costate la conquista della democrazia e della Costituzione, una intera generazione, ci è voluto tanto sangue. La Costituzione è un pezzo di vita, è un pezzo di storia, ci sono grumi di sangue dentro questa Costituzione: cercate di non dimenticarvene. E cercate di tenere sempre presente che, così come avete trovato democrazia e libertà, senza nessun impegno a difenderla da parte vostra, potreste anche, in un domani, perderla facilmente”.
Stimolati da queste intense parole di Antonino Caponnetto, abbiamo ritenuto opportuno concludere, proponendo un ampio stralcio dello scritto, che dà il titolo a questo capitolo, di Italo Guidetti, apparso sul n°5 di Carnia il 16 giugno 1945, perché ci sembrava giusto sottolineare che la libertà, la giustizia, la democrazia non sono valori dati una volta per tutte, ma che bisogna lottare giorno dopo giorno, per conservarli.
Per maggiore chiarezza e per evidenziare i concetti più importanti, abbiamo deciso di dividere il testo in paragrafi.
La libertà non è arbitrio
La libertà di un individuo termina dove inizia la libertà dell’altro. Inoltre, dobbiamo capire che, in primo luogo, bisogna essere liberi all’interno di noi stessi e che, in secondo luogo, non possiamo fare ciò che ci pare, senza regole e senza rispettare le persone che ci circondano.
Che cos'è la libertà? La libertà è sempre libertà di qualcuno, da qualche cosa, per qualche fine. Ognuno di noi desidera vivere, essere tutto ciò che può essere, e perciò non avere ostacoli alla propria libertà di movimento, di esercizio delle proprie funzioni, di esplicazione delle proprie possibilità. Ma, siccome in questo suo desiderio può ciascuno spingersi arbitrariamente tant’oltre da impedire l’esplicarsi delle uguali aspirazioni degli altri, oppure essere lui limitato o impedito nella sua espansione dalla volontà, o meglio dall'arbitrio altrui, ecco che la libertà viene ad apparirci come la facoltà di agire in conformità della propria natura entro i limiti concessi dall'uguale esplicarsi delle nature altrui. La libertà è, quindi, innanzi tutto, la sicurezza contro l’arbitrio dei propri simili; di qui la celebre definizione che ne diede la Costituzione rivoluzionaria francese del 1792: “La libertà consiste nel potere, che appartiene all'uomo, di fare tutto quello che non nuoce ai diritti degli altri”.
La libertà è libertà nella legge
La legge è nata per assicurare la sicurezza di tutti contro le prevaricazioni dei potenti e violenti. Tutti sono tenuti a rispettare la legge e questo garantisce la libertà di tutti gli individui, non solo dei più forti.
Siccome, poi. nei rapporti cogli altri uomini quali storicamente si determinarono, ciascuno venne accorgendosi che poteva talvolta sì affermare il proprio arbitrio o la propria prepotenza a danno degli altri, se più forte, ma poteva ugualmente, anche lui subire danni da altri più forti di lui, ecco formarsi gradualmente la coscienza, il desiderio comune di assicurarsi contro l'arbitrio di tutti, ecco cioè sorgere in tutti i membri di un dato gruppo storico la volontà comune di una legge che assicuri e tuteli la sicurezza di ciascuno contro le usurpazioni e le esorbitanze di ciascun altro. Infatti ogni membro del gruppo giunge a sentire che ciò che ha in comune gli altri è più profondo di ogni divergenza: la libertà non è sicura e non è goduta come sicura, se non nella misura in cui diventa una libertà comune, cioè la legge. La legge, nonché limitare, allarga la libertà, in quanto esprime la volontà e la saviezza comune, liberamente accumulata ed espressa, d'una determinata società, in quanto traduce, via via, il predominio di ciò che è la ragione comune sopra ciò che è velleità particolaristica di individui, di caste o classi. D'altra parte ciascuno obbedisce alla legge, riconosce almeno l’autorità della legge, poiché ravvisa in essa il palladio delle sue libertà, e, obbedendo ad essa, obbedisce alla miglior parte di se stesso, che è ciò che ha di comune con tutti.
Stato, diritti individuali, consenso
Gli individui si realizzano nello Stato; nella condivisione di una storia e di valori civili comuni - tutti sono uguali davanti alla legge -. In tale maniera, nell’unità e nell’uguaglianza, si realizzano sia le individualità delle persone che quelle delle culture regionali
Lo Stato moderno è lo Stato di diritto. superiore a tutti i cittadini, che coi suoi ordinamenti positivi annuncia una serie di diritti spettanti al cittadino come tale, e sulla base di questi diritti tutti i cittadini ugualmente protegge. La società moderna non conosce che individui. portatori di diritto e perciò atti a farli valere: in ciò appunto consiste la libertà. Individualità, diritto, libertà sono termini intimamente legati: il membro della società che, in quanto soggetto alle leggi dello Stato, è suddito, in quanto partecipa alla formazione delle leggi, attraverso i suoi rappresentanti, è cittadino che afferma la sua personalità, che da elemento passivo di un destino storico, da semplice prodotto e risultato di una evoluzione sociale, ne diviene il criterio e lo stimolatore. Il sistema rappresentativo e il principio dell‘ eguaglianza civile fra i cittadini sono il più degno ossequio reso alla personalità dell'uomo moderno. Le forme con le quali gli individui si associano, si organizzano, si disciplinano le maniere in cui costituiscono le loro gerarchie divengono sempre più consensuali, sono sempre più il prodotto della loro libera scelta, di una scelta che essi praticano fra le varie istituzioni politiche. La consensualità delle forme politiche è appunto la democrazia.
Necessità di una sicurezza internazionale
Uno Stato non vive isolato né deve presumere una sua qualche superiorità rispetto ad altri, ma deve perseguire una convivenza pacifica con gli altri Stati,operando per la giustizia e la prosperità dei popoli e risolvendo le controversie attraverso la mediazione politica e diplomatica di organismi internazionali, in questo caso l’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Infine, per essere liberi, non basta esse sicuri contro l’arbitrio mediante la legge, non basta essere signori di se stessi anima e corpo; occorre anche essere signori delle proprie condizioni di vita, occorre anche disporre della facoltà di determinare le leggi della convivenza sociale e le leggi e le norme del proprio lavoro: ecco i compiti dell'autogoverno nello Stato, nella Regione, nel Comune, nell'Associazione professionale, nella Fabbrica. Se non che per attuare e conservare le libertà individuali. e per attuarle gradualmente, per via sperimentale, occorre una sicurezza esterna, una sicurezza internazionale, fondata su una crescente eguaglianza di peso per tutti i popoli e su una crescente libertà d'accesso a tutte le condizioni di prosperità. Ecco il quarto coefficiente della libertà, che rivela l'intimo nesso fra la sicurezza nazionale e internazionale, che porta sempre più gli Stati moderni più evoluti, nei quali più si sono affermate le libertà individuali, a sentire il loro compito di “Stato-funzione” anziché di “Stato-potenza”, di Stato che serve l’umanità anziché di Stato nazionale irresponsabile, che presume d'imporre all'umanità i destini ch'esso vuole. Di qui gli sforzi della storia moderna, dal Trattato di Westfalia del 1648 (che, sostituendo all'ideale dell'egemonia dell'Impero il principio dell'equilibrio, pose il problema dell'indipendenza dei singoli Stati, ma anche della loro coesistenza entro il quadro d'una giustizia internazionale) al Trattato di Versailles del 1919 (che, fondando la “Società delle Nazioni”, pose il problema del superamento dello Stato nazionale e tese a creare un organo giuridico per migliorare, di comune accordo, nell'interesse generale, lo status quo, un organo che, accrescendo la giustizia nel mondo, ne accrescesse la stabilità e la prosperità, rimovendone i principali ostacoli, col dirimere le controversie internazionali), all'attuale Conferenza di San Francisco (che s'appresta a fornire a cotesto risorto organo della Società delle Nazioni la forza necessaria per l'attuazione delle sue funzioni); di qui, dicevo, gli sforzi della storia moderna per organizzare la sicurezza di tutti gli Stati nella libertà di ciascuno, ancora una volta la libertà di ognuno (Stato) nella legge comune (internazionale). Sicché, come nei rapporti interni la libertà deve riguardare tutti i cittadini e risolversi in un sistema protettivo di tutti gli individui. così nei rapporti Internazionali la libertà concerne tutti gli Stati e tende a proteggere tutti gli Stati.
Lo Statuto delle Nazioni Unite fu firmato il 26 giugno 1945 a San Francisco, a conclusione della Conferenza delle Nazioni Unite sull'Organizzazione Internazionale, ed entrò in vigore il 24 ottobre 1945..
FONTI BIBLIOGRAFICHE
La Costituzione della Repubblica italiana
B. LEPRE – R. MARCHETTI, Carnia–Lavoro, Centro Studi Carnia, Tolmezzo 1994, pp. 180 (ristampa anastatica). Il primo numero di Carnia, diretto da Romano Marchetti, esce il 19 maggio 1945, per quattro mesi col sottotitolo ‘Settimanale della 5° Divisione Osoppo-Carnia’; poi, come ‘Settimanale per tutti’; cessa le pubblicazioni con questo nome con il n° 13, ma continua sotto la direzione dei partiti che formano il CLN della Carnia con il nome Lavoro; dal n 14 al n 18 col sottotitolo ‘Settimanale economico-sociale della Carnia, Canal del Ferro e Zona pedemontana’; dal 19 al 45 diventa bisettimanale; dal 16 marzo all’1 giugno 1946, quando cessa le pubblicazioni, ha come sottotitolo ’Voce della Carnia - Settimanale politico-economico della Regione . Complessivamente escono, dei due giornali, 55 numeri con tirature che superavano le 10000 copie per ogni numero con punte di 25000.
Alpe Carnica – Carnia Domani, Comunità Montana della Carnia, Tolmezzo 1994, pp. 450 (ristampa anastatica a cura di E. Dorigo). Alpe Carnica esce dal 1952 al 1967 con una interruzione tra il 1957 e il 1961; la seconda serie è legata soprattutto alla nascita della nostra Regione Friuli-Venezia Giulia. Carnia Domani rappresenta il laboratorio della nuova emergente classe dirigente carnica.
G. RENZULLI, Economia e società in Carnia tra ’800 e ‘900, Udine 1978 (L’Autore riprende molti dati dalla tesi di laurea di B. Agarinis Magrini, Origini del cooperativismo e del mutuo soccorso in Carnia. 1880-1920 )
La figura e l’opera di Michele Gortani, a cura di L. Martinis, Tolmezzo 1986
M. DI RONCO, L’occupazione cosacco-caucasica della Carnia (1944-1945), Tolmezzo 1988
R. MARCHETTI, Un ricordo di Fermo Solari, in Almanacco Culturale della Carnia, n°V, Tolmezzo 1989/1990
N. DEL BIANCO, Fermo Solari, Studio Tesi - Civiltà della memoria, Pordenone 1991
E. DORIGO, Michele Gortani, Studio Tesi - Civiltà della memoria, Pordenone 1993
F. SOLARI, Non siamo stati eroi, ma semplici cittadini in F. SOLARI, Essere di sinistra, a cura di M. Tosoni, Udine 1993; ivi pure: Per una democrazia socializzata
M. MELONI, Tiziano Tessitori, Studio Tesi - Civiltà della memoria, Pordenone 1993
La zona libera della Carnia e del Friuli, a cura di Alberto Buvoli e Ines Domenicali, Tolmezzo 1994
P. P. PASOLINI, L’Academiuta friulana e le sue riviste, (ristampa anastatica) a cura di Nico Naldini, Neri Pozza 1994
M. DEL GAUDIO, Vi racconto la Costituzione, Editori Riuniti 1995
B. LEPRE, La Carnia e il Friuli in Parlamento, Tolmezzo 1996
B. LEPRE, Memorie di un socialista della montagna, Campanotto, Udine 1996
A. CAPONNETTO, Cari giovani, date ascolto ai valori!, in IL NUOVO fvg, Udine, 28 giugno, 5 luglio, 19 luglio 2002 (Il settimanale ha pubblicato in tre parti la trascrizione integrale dell’intervento di Caponnetto nella nostra scuola nel maggio 1995). Il testo integrale si trova su: www.globalocale.net/index.php
Internet: Vari siti
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