Giovanni Maria Pace

Nazisti, l'elenco della vergogna

 

Quanti furono i criminali di guerra compromessi con il regime hitleriano finiti in Argentina?
Ecco il rapporto finale della commissione che ha indagato quei fatti
Nel 1945 furono processati e condannati a Norimberga i più alti gerarchi del nazismo, da Goering a Hess, da Keitel a von Ribbentrop. Dopo la punizione esemplare dei protagonisti il mondo dimenticò però i comprimari, che pure erano stati gli ingranaggi senza i quali la macchina dello sterminio non avrebbe potuto funzionare. Quanti erano questi gregari?
Certamente molti, se solo nelle zone di occupazione occidentali vengono arrestate, all'indomani della resa tedesca, 182.000 persone sospettate di partecipazione a crimini nazisti (e 5000 condannate). Ma ciò che più conta è che, confusi nella massa degli assolti dopo sommario esame e degli sbandati che vagavano per l'Europa, ci sono personaggi "minori", per modo di dire. Parliamo dei Mengele, degli Eichman, dei Priebke, dei Klaus Barbie nonché di Walter Rauff, l'inventore dei camion-camera a gas; Eduard Roschmann, l'ex comandante del ghetto di Riga giunto nel '48 a Buenos Aires da Genova con un passaporto della Croce Rossa intestato a Federico Wegener; Fridolin Guth, implicato nel colpo di stato del '34 a Vienna che costò la vita al cancelliere Dolfuss e torturatore in Francia. Queste figure intermedie possono contare sulla tolleranza delle autorità alleate che nel clima di incipiente Guerra Fredda consentono di fatto agli ex nazisti di occultarsi in patria o di emigrare in paesi lontani. Nessuno meglio degli hitleriani può infatti difendere l'Occidente dal bolscevismo.




Tra il '45 e il '48 sono centinaia di migliaia le persone di lingua tedesca che si muovono lungo la rat-line, la "via dei topi" che dall'Europa continentale conduce a Genova e agli altri imbarchi per il Sud America, soprattutto per l'Argentina, dove molti "ex" trovano una seconda patria. Dei criminali di guerra approdati nel paese, l'Argentina ne estrada ben pochi: Juan Bohne, il terminatore di handicappati, dementi e altri "inquinatori" della razza; Eduard Roschmann, comandante del ghetto di Riga; Bilanovic Sakic, responsabile del campo di concentramento di Jasenovac, nella Croazia ustascia; Josef Schwammberger, comandante altoatesino del ghetto di Przemsy e da ultimo Erich Priebke (Adolf Eichmann, l'ideologo della "soluzione finale", non viene estradato ma rapito dai Servizi israeliani). Si tratta di un piccolo gruppo, a fronte del quale c'è il gran numero di coloro che rimangono impuniti, dei manovali dell'Olocausto che in Argentina riprendono una vita tranquilla col beneplacito dell'esordiente regime peronista e il viatico di Washington.


La presenza nazista in Argentina è stata per lunghi anni accantonata dagli uni ed esagerata dagli altri a seconda delle circostanze e dello schieramento politico. Ora uno studio pluridisciplinare e approfondito fornisce di questo inquietante capitolo della storia nazionale un quadro molto più obiettivo. É il rapporto finale della Comisiòn para el Esclarecimiento de las Actividades del Nazismo en la Argentina (Ceana) a suo tempo istituita presso il ministero degli Affari Esteri dal presidente Menem e di cui è coordinatore scientifico lo storico Ignacio Klich dell'università di Westminster in Gran Bretagna".



Professor Klich, si stenta a capire perché dei criminali di guerra siano riusciti a vivere indisturbati in Argentina.


"Produrre prove di colpevolezza utilizzabili in giudizio non è facile, guardi il caso recentissimo di Konrad Kalejs, il nazista lettone ritenuto corresponsabile della morte di trentamila ebrei ma che l'Inghilterra ha dovuto rilasciare. I dati necessari a inchiodare i colpevoli vanno cercati con perizia, ciò che non sempre è stato fatto dalle stesse organizzazioni ebraiche".


"C'è confusione sulla dimensione del fenomeno, nel senso che sulla diaspora dei nazisti circolano le cifre più stravaganti, vedi i sessantamila criminali di guerra che secondo l'ex funzionario del dipartimento americano della Giustizia John Loftus sarebbero stati nascosti dagli Alleati in Argentina. Dal canto suo il Centro Wiesenthal ha segnalato alla nostra Commissione, nel 1998, ventidue nomi di criminali residenti nel paese, ma a tutt'oggi l'elenco rimane privo di conferma. La Ceana si è invece basata solo su documenti o testimonianze attendibili".


Quale conclusione avete raggiunto?


"Abbiamo ricavato una lista di 180 individui - criminali di guerra condannati o sospettati, o collaborazionisti - approdati in vario modo in Argentina. Di questi, una trentina sono tedeschi, più di cinquanta di origine croata, e circa cento tra francesi e belgi. Da notare che i criminali gerarchicamente più importanti (e meno noti) non sono arrivati dalla Germania ma da altri paesi, mi riferisco a Pavelic e Ostrowski".


Perón cercava tecnici tedeschi, operai specializzati e, con minore interesse, laboriosi contadini italiani. Come mai accettò due feroci capi di stati filonazisti come il croato Ante Pavelic e il bielorusso Radislaw Ostrowski?


"L'Argentina non era mai stata favorevole all'immissione di gente proveniente dall'Europa orientale e dai Balcani. Se Perón accolse quei due lo fece per intercessione o pressione di qualcuno, cioè per via di condizionamenti venuti da fuori".


Da parte di chi? Degli americani, del Vaticano? Intende dire che la Chiesa cattolica fu connivente?


"Sì, e qualcosa in più. Lo storico italiano Matteo Sanfilippo ha potuto provare l'intercessione del cardinal Tisserant a favore di cinque fuorusciti del regime di Vichy che si trovavano a Roma e che, tornando in Francia, avrebbero subito le conseguenze dell'aver collaborato coi tedeschi. É noto anche l'aiuto fornito a ex nazisti dal vescovo austriaco Alois Hudal, rettore del Collegio germanico di Roma e da padre Draganovic, l'ex colonnello ustascia divenuto capo di San Girolamo degli Illirici, sempre a Roma: troppi dati per ignorare che da parte di alcune personalità ecclesiastiche ci fosse l'intento di agevolare l'ingresso in Argentina di certi personaggi".


Emerge un ruolo di papa Pacelli nella vicenda?


"Difficile dirlo perché il papa non firmava, come non firma, le lettere della Segretaria di Stato. Quando si potrà finalmente accedere alla documentazione vaticana e dell'episcopato argentino la domanda troverà risposta. Per il momento si può solo ipotizzare che i Tisserant, gli Hudal, i Draganovic non agirono autonomamente ma come parte di una struttura, di un piano generale della Santa Sede".


L'aiuto più importante venne però dal regime peronista. É così?


Lo schema che vede il Vaticano e la Croce Rossa come promotori e Perón come esecutore di una politica immigratoria filonazista va rivisto. La responsabilità della venuta, per esempio, degli ustascia non si può attribuire esclusivamente all'Argentina, che li ha ricevuti, o al Vaticano. Nella partita ci sono altri giocatori. Padre Draganovic era stato un agente del controspionaggio dell'esercito degli Stati Uniti in Austria prima e in Italia poi. Quindi per chiarire le complicità che permisero a Pavelic e compagni di approdare sulle rive del Rio de la Plata occorre guardare non solo all'Italia e all'Argentina ma al contesto dell'epoca: con la Guerra Fredda, i nemici di ieri diventano gli alleati di oggi. L'ambasciatore degli Stati Uniti in Yugoslavia, che era stato incaricato d'affari in Argentina fino all'elezione di Perón, nel '47 va a Washington e tutto fa credere che ci sia un piano degli Usa e del Vaticano, d'accordo con l'Argentina, per favorire l'emigrazione degli ustascia e di altri ricercati".


Il quadro delineato dalla Ceana è dunque più complesso.


"La stessa definizione di "criminale di guerra" si dimostra elastica, e non solo nella logica peronista. Prendiamo il caso di Walter Schreiber, l'infettivologo che dirigeva la sperimentazione "scientifica" sui prigionieri dei campi di concentramento. Per posizione gerarchica è difficile non considerarlo responsabile di lesa umanità, ma non è mai stato formalmente incriminato. La ragione è che nessuno aveva interesse a farlo. Al processo di Norimberga, Schreiber è infatti testimone dell'accusa a favore dell'Unione Sovietica e più tardi viene utilizzato dall'Air Force americana come spia. Ora, questo medico può non avare compiuto personalmente esperimenti su cavie umane, ma indubbiamente è stato più importante di Joseph Mengele, l'"angelo della morte" di Auschwitz e suo probabile sottoposto. Eppure Mengele, il pesce piccolo, diventa agli occhi dell'opinione pubblica il simbolo stesso della degenerazione della medicina nazista, tanto che i giudici della Repubblica federale ne sollecitano l'estradizione prima dall'Argentina e poi dal Paraguay; mentre Schreiber, il pesce grosso, viene lasciato tranquillo per il resto dei suoi giorni".


Le vere cifre della fuga dall'Europa


Per mezzo secolo, sulla fuga dei nazisti dall'Europa e in Argentina si sono affastellate le cifre più incredibili, si è favoleggiato di sommergibili carichi di camerati e di tesori, si è ipotizzata l'esistenza di una rete di omertà, chiamata Odessa, per il trafugamento di SS in cerca di nuova identità: una mitologia ispirata dal favore con cui il primo peronismo accolse indesiderabili di ogni tipo, ma sottoposta a critica dalla storiografia più recente. L'avvocato difensore di Erick Priebke in Argentina, Pedro Bianchi, sostiene per esempio di essere stato testimone, nella sua qualità di giovane diplomatico, della consegna da parte di Perón di duemila passaporti in bianco (Llorente e Rigacci, El ultimo nazi, Editorial Sudamericana). Ma Ignacio Klich e i suoi colleghi della Commissione di indagine hanno consultato gli archivi del ministero degli Esteri senza trovare traccia di alcun Bianchi.


Anche sulle ricchezze trasferite dai nazisti circolano fantasiose ricostruzioni. Il Centro Wiesenthal ha rivelato che ai tempi di Perón venticinque tonnellate d'oro marchiate con la svastica sarebbero state spedite dall'Argentina al Paraguay per essere vendute. Ma la sola presenza certificata di oro nazista in Argentina è quella delle monete consegnate dall'ambasciata del Reich alla legazione svizzera e quindi al governo di Buenos Aires dopo la rottura dei rapporti diplomatici con l'Asse, avvenuta nel gennaio del 1944. Di altre transazioni in oro ad esempio tra Argentina e Portogallo "per riciclare danaro sporco", cioè proveniente da depredazioni naziste, mancano le prove.


la Repubblica 24.2.2000