Uno degli episodi meno conosciuti della seconda guerra mondiale è
costituito dall'occupazione del Friuli da parte di popolazioni cosacche,
avvenuta tra l'estate del 1944 e la primavera del 1945.
Di fronte al diffondersi del movimento partigiano, che nel giro di alcuni
mesi, tra la primavera e l'estate del 1944 aveva portato alla costituzione
di due "Zone Libere", i nazisti decisero di far scendere in
Friuli le popolazioni cosacche. Queste, durante l'occupazione tedesca
dell'Unione Sovietica (1941-1943), avevano accolto i nazisti quasi come
liberatori, poiché si sentivano oppresse da decenni dal regime
di Stalin che tendeva a negare qualsiasi rivendicazione autonomistica.
I cosacchi avevano alle spalle una secolare tradizione di indipendenza,
di gelosa difesa dei propri costumi e delle proprie tradizioni, elementi
tutti che il regime comunista tendeva a non riconoscere e anzi a reprimere.
Migliaia di cosacchi erano stati spostati dai nazisti in altre zone della
Russia Bianca prima e della Polonia poi; nelle nuove sedi di alloggiamento
era stata incoraggiata la ricostituzione di un esercito cosacco (la ROA)
e, dopo uno specifico proclama di Rosenberg del novembre 1943, era stata
espressamente promessa ai cosacchi la nascita di uno stato indipendente
che, si diceva, se non avesse potuto ricostituirsi nelle terre di origine,
sarebbe stato formato in altre zone occupate dal Reich.
La situazione ebbe un rapido sviluppo nell'estate del 1944, quando le
stesso Himmler autorizzò l'insediamento delle popolazioni cosacche
nell'Italia del nord, in Friuli. Il trasferimento avvenne attraverso convogli
ferroviari, fino alle stazioni di Carnia e di Gemona. In breve tempo arrivarono
oltre 22.000 tra cosacchi e caucasici, delle quali però le formazioni
armate, atte ad essere impiegate in funzione antipartigiana, erano una
minima parte. Si trattava perlopiù di civili, in gran parte donne,
bambini, anziani. L'impatto con la popolazione friulana fu abbastanza
traumatico: colpirono i costumi, gli atteggiamenti, le usanze di popoli
così diversi, sbrigativamente denominati "mongui" (mongolici),
per i tratti somatici presentati da alcuni gruppi etnici (oltre ai cosacchi
del Don, del Kuban e del Terek, di religione ortodossa, vi erano infatti
rappresentate diverse altre stirpi, in massima parte di religione mussulmana:
caucasici, kabardini, Osseti, azerbaigiani...). Le autorità naziste
non avevano preparato piani particolari di accoglimento, per cui i nuovi
arrivati dovettero arrangiarsi a procurarsi cibo e alloggio per sé
e per gli animali al seguito (numerosissimi i cavalli, ma anche cammelli
e dromedari). I cosacchi si assestarono nella zona compresa tra i paesi
di Carnia, Gemona e Osoppo, occupando alcuni edifici pubblici, come le
scuole, e allestendo dei variopinti accampamenti.
Col 2 ottobre 1944, le forze nazifasciste (reparti della Wehrmacht, delle
SS, battaglioni della Milizia per la Difesa Territoriale, formazioni cosacco-caucasiche)
diedero attuazione all'Operazione Waldlaüfer, sferrando un attacco
in forze contro i gruppi partigiani che avevano dato vita alla "zona
libera" in oltre 50 comuni della Carnia e dell'Alto Friuli. Dopo
una serie di combattimenti protrattisi per diverse settimane, i partigiani
vennero costretti dalle preponderanti forze nemiche ad abbandonare le
posizioni conquistate ed arretrare. Alla fine di ottobre, infatti, risultavano
occupate le valli del Tagliamento, del Degano, del But e del Chiarsò;
in una seconda fase (tra la fine di novembre e l'inizio di dicembre) l'offensiva
nazifascista interessò anche le valli dell'Arzino e del Cellina.
Fu così che, nei paesi privati dalla presenza partigiana, vennero
fatti affluire a decine di migliaia i cosacchi. In alcuni casi (nei comuni
di Trasaghis e Bordano), l'occupazione determinò lo sfollamento
forzato della popolazione civile; negli altri comuni i cosacchi attuarono
una "coabitazione imposta", andando a occupare gli edifici pubblici
e parte delle case. Essi andarono infatti ad abitare nelle medesime case,
spesso usando la medesima cucina e la stessa stalla dei carnici e dei
friulani.
I cosacchi, che erano divisi in più eserciti, indicati col nome
del fiume che attraversava le terre di origine (Don, Terek, Ural, Kuban…)
occuparono la parte meridionale della Carnia, con sede di comando a Tolmezzo;
i caucasici si stabilirono nella fascia settentrionale, con sede di comando
Paluzza; un contingente georgiano si stanziò nel paese di Comeglians.
Per sette mesi, dunque, in Carnia e nell'Alto Friuli, in quella che poteva
forse rappresentare la “terra promessa” dai tedeschi, la Kosakenland
in Norditalien, nacquero centinaia di "stanitse", (presidi a
costituzione mista civile e militare), in villaggi regolati alla maniera
cosacca, con bazar, adunate, cerimonie religiose ortodosse o mussulmane...
Nelle zone occupate dai caucasici, Paluzza diventò sede del Comando
caucasico e del tribunale popolare, a Treppo si istituì un ospedale
con 35 posti-letto, con un reparto di chirurgia, uno di medicina e uno
di malattie infettive; a Cercivento venne istituito un ricovero per invalidi
di guerra; Sutrio diventò sede di una scuola caucasica in Casa
Del Moro, così come Paluzza. Ligosullo addirittura ospitò
un teatro, mentre a Sutrio venne istituita un’orchestra ed una scuola
di ballo. A Paluzza, inoltre, venne allestita una tipografia dove si stampava
un giornale in caratteri cirillici, Kazac'ja Zemlja (Terra cosacca) che
usciva due volte alla settimana. Nella valle del Tagliamento, a Villa
Santina, trovò sede la Scuola Allievi Ufficiali mentre Verzegnis
ospitò la residenza del capo supremo delle forze cosacche, l'atamano
Krassnov. L'intenzione di trasformare l'occupazione cosacca in qualcosa
di definitivo traspare dal tentativo attuato dai cosacchi di ribattezzare,
quantomeno nelle zone meridionali, i nomi dei paesi con le città
russe di provenienza: così Alesso divenne Novocerkassk, Trasaghis
Novorossijsk, Cavazzo Krassnodar.
Dappertutto, la popolazione locale dovette subire pesantemente l'occupazione
e, soprattutto, il prelievo sistematico di generi alimentari e di foraggio
per il sostentamento delle migliaia di cavalli cosacchi.
Alla fine di aprile del '45 le sorti della guerra volsero a favore degli
alleati: al progressivo ritiro dei tedeschi e all'intensificarsi delle
azioni partigiane fece da contraltare la ritirata delle popolazioni cosacche.
attuata in maniera convulsa in lunghe carovane che presero la direzione
dell'Austria.
Esauritasi l'illusione di dare vita a una "Cosacchia" in Friuli,
i popoli provenienti dal Don e dal Caucaso andarono incontro a una nuova,
bruciante delusione: arresisi agli Inglesi, furono da questi consegnati
alle truppe sovietiche e, in quanto giudicati traditori, destinati a migliaia
a una lunga detenzione nei gulag staliniani. Parecchi cercarono di sottrarsi
a tale sorte, taluni preferendo il suicidio nelle acque del fiume Drava,
altri trovando rifugio lontano dalla terra d'origine (consistenti gruppi
cosacchi si ricostituirono, per esempio, negli Stati Uniti, nel Canada,
in Australia, in Israele).
La dispersione e la prigionia non riuscirono però a cancellare
il senso di identità e di appartenenza del popolo cosacco che riuscì
a conservarsi sino a poter riemergere in forma non più clandestina
dopo il crollo dell'Urss.
Quanto al Friuli, il ricordo dell'occupazione rimane nella memoria degli
anziani e si concreta attraverso alcune sparute testimonianze materiali
(icone, armi, oggetti di vita quotidiana…) sopravvissute al tempo
e ai danni del terremoto del 1976. Se, sul piano umano, individuale, non
furono rari gli episodi di amicizia avviati tra friulani e cosacchi, storicamente
il peso dell'invasione rappresentò un fardello che fece fatica
a essere superato.
(Pubblicato su "Patria Indipendente" 23 giugno 2001)
QUI una piccola Bibliografia |