Fernando Tambroni fu Ministro dell'Interno dal 1955 al 1959 e proseguì con gli stessi metodi del suo predecessore, il famigerato Mario Scelba: alle proteste si risponde in un solo modo, coi manganelli della Celere, e, se occorre, con le pallottole. ("Che cosa fa quel Mario Scelba / con la sua celere questura / ma i comunisti non han paura..." faceva una canzone).
In una situazione politica particolarmente confusa, con la formula centrista di governo ormai inadeguata e quella di apertura a sinistra ancora improponibile, è proprio Tambroni, nell’aprile del 1960, ad essere chiamato alla guida del governo, ma non può che formare un monocolore democristiano. Al momento dell'insediamento Tambroni ottiene la fiducia solo grazie ai voti determinanti del Movimento Sociale Italiano. La DC è dunque in debito coi fascisti e permette loro di tenere il proprio Congresso a Genova, Medaglia d’oro della Resistenza.
Per il MSI è una grande occasione: poter finalmente assumere una dignità politica finora impossibile, dato che sono passati pochi anni dalla fine del regime. I dirigenti del MSI, però, vogliono strafare, e non rinunciano ad abbinare all'indubbio successo politico - parlamentare la provocazione: non solo intendono svolgere i loro lavori nella città (unica in Europa) che vide le truppe tedesche arrendersi ai partigiani (il generale Meinhold aveva firmato la resa nelle mani dell'operaio comunista Remo Scappini), ma annunciano che sarà presente al congresso il boia Basile, l’ultimo prefetto fascista di Genova, responsabile della fucilazione e della deportazione di molti antifascisti.
In città la notizia crea un forte clima di tensione: il congresso dovrebbe iniziare il 2 luglio nel centralissimo teatro Margherita, e nelle sedi sindacali, nelle sezioni dei partiti, si discute animatamente sulle iniziative da prendere. CISL e UIL esitano, ma la Camera del Lavoro non ha dubbi su quelli che sono i sentimenti dei lavoratori e lancia un appello alla mobilitazione: il 15 ed il 25 giugno si svolgono due cortei di protesta, e la polizia interviene duramente.
Ma iIl movimento, invece di arretrare, si allarga ulteriormente, ed il 29 giugno trentamila genovesi partecipano alla manifestazione in cui parla Sandro Pertini.
La CGIL proclama uno sciopero generale in tutta la provincia ed il giorno seguente un corteo di 100 mila persone sfila per il centro: Genova è presidiata dalla Celere e dai Carabinieri e l'imponente manifestazione sembra potersi concludere senza incidenti.
Evidentemente, però, la volontà politica della DC è quella di cercare la prova di forza, e la polizia prende a pretesto i fischi che partono dai dimostranti per iniziare le cariche: le camionette della Celere si avventano sulla folla e ingaggiano la loro solita scorribanda, con caroselli particolarmente violenti in Piazza De Ferrari.
La gente risponde: i giovani con le magliette a strisce, i "camalli" con i loro temibili ganci da lavoro, gli operai del ponente, non si fanno intimidire, ed è ancora vivissimo il ricordo del luglio '48, quando, alla notizia dell'attentato a Togliatti, Genova insorse e ci vollero tutta la fermezza e tutto il prestigio di Giancarlo Pajetta (che era stato vice comandante delle Brigate Garibaldi) per convincere i partigiani - che praticamente avevano assunto il controllo della città - a smobilitare.
Così racconta il segretario del sindacato dei portuali: “Il successo della polizia durò poco, solo un quarto d’ora. Dopo di che ci fu una silenziosa reazione popolare: appena svanito l’effetto dei lacrimogeni, i lavoratori, e i portuali in particolare, iniziarono a tornare verso piazza De Ferrari. Gradualmente la polizia cominciò a ritirarsi perché non riusciva a tenere tutte le strade… e poi, come nel film di John Ford Ombre Rosse, ci fu un urlo immenso nella piazza e da via XX Settembre almeno 5000 manifestanti entrarono in piazza.”
Gli scontri proseguono per tutta la giornata e il clima rimane tesissimo.
La CGIL proclama un nuovo sciopero generale, proprio per il 2 luglio, chiedendo energicamente che il congresso venga vietato.
Il governo non sente ragioni e Tambroni in persona ordina un afflusso straordinario di agenti: in oltre settemila vengono schierati in città per permettere lo svolgimento del raduno fascista.
La mobiltazione operaia e partigiana si rafforza, assumendo tratti insurrezionali simili a quelli del '48: nei cantieri, nelle officine, nel porto, i lavoratori si organizzano e vengono addirittura allestiti una ventina di trattori per contrastare gli schieramenti della polizia.
La Resistenza si ricompone: i partigiani che hanno sconfitto i tedeschi sono ancora giovani e preparati, in grado di far assumere alla rivolta di piazza caratteri di uno scontro violentissimo.
Sono ore frenetiche, perché Genova potrebbe diventare il detonatore di un'esplosione generale, cioè della guerra civile (ma, naturalmente, c'è ancora qualche imbecille che - ad esempio ignorando la tragedia della Grecia nell'immediato dopoguerra - sostiene che fu il PCI a non voler "andare fino in fondo", come del resto nel '45 e nel '48, quasi che fosse possibile la rivoluzione in un paese pieno di soldati americani e, soprattutto, ben lontano dall'avere un'anima sovversiva, al punto che la DC ed i suoi alleati hanno potuto conservare la maggioranza elettorale per 45 anni!).
L'imponente mobilitazione popolare e le pressioni fortissime sul governo
hanno successo: all'alba del 2 luglio giunge in città la notizia che Tambroni ha deciso di vietare il congresso del MSI.
Genova antifascista ha vinto, ma in tutto il paese la situazione resta estremamente grave: a Roma un corteo guidato dai parlamentari comunisti e socialisti viene brutalmente attaccato dalla polizia e in alcuni quartieri gli scontri vanno avanti per ore.
A Reggio Emilia cinque operai, tutti iscritti al PCI, vengono uccisi dai celerini, e anche a Palermo e a Catania la polizia spara, facendo altre due vittime.
Ma la prova di forza tentata dai settori più irresponsabili della borghesia è avventurismo puro, perché potrebbe avere successo solo con un colpo anticostituzionale, e scatenando, appunto, la guerra civile.
Dopo circa due settimane dai fatti di Genova e dagli altri tragici episodi repressivi, Tambroni è travolto dalle proteste e rassegna le dimissioni.
qui le immagini di quei giorni
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Pino Cacucci
Genova 1960: scene da un'insurrezione |
qui
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Sandro Pertini
Genova 28 giugno 1960: discorso in piazza della Vittoria |
Gente del popolo, partigiani e lavoratori, genovesi di tutte le classi sociali. Le autorità romane sono particolarmente interessate e impegnate a trovare coloro che esse ritengono i sobillatori, gli iniziatori, i capi di queste manifestazioni di antifascismo. Ma non fa bisogno che quelle autorità si affannino molto: eccoli qui, sono i fucilati del Turchino, della Benedicta, dell’Olivetta e di Cravasco, sono i torturati della casa dello Studente che risuona ancora delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate sadiche dei torturatori. Nella loro memoria la folla genovese è scesa nuovamente in piazza per ripetere “no” al fascismo, per democraticamente respingere, come ne ha diritto, la provocazione e l’offesa.
Io nego la validità della obiezione secondo la quale il neofascismo avrebbe diritto di svolgere a Genova il suo congresso. Infatti, ogni atto di quel movimento è una chiara esaltazione del fascismo e poiché il fascismo, in ogni sua forma, è considerato reato dalla Carta costituzionale, l’attività dei missini si traduce in una continua e perseguibile apologia di reato, per contrapporre bestemmie ai valori politici e morali affermati dalla Resistenza.
Dinanzi a queste provocazioni, dinanzi a queste discriminazioni, la folla non poteva che scendere in piazza, unita nella protesta, né potevamo noi non unirci ad essa per dire no come una volta al fascismo e difendere la memoria dei nostri morti, riaffermando i valori della Resistenza. Questi valori sono: la libertà, esigenza inalienabile dello spirito umano, senza distinzione di partito, di provenienza, di fede. Poi la giustizia sociale, che completa e rafforza la libertà; l’amore di Patria, che non conosce le follie imperialistiche e le aberrazioni nazionalistiche, quell’amore di Patria che ispira la solidarietà per le Patrie altrui.
Ma perché, dopo quindici anni, dobbiamo sentirci nuovamente mobilitati per rigettare i responsabili di un passato vergognoso e doloroso, i quali tentano di tornare alla ribalta? Ci sono stati degli errori, primo di tutti la nostra generosità nei confronti degli avversari. Una generosità che ha permesso troppe cose e per la quale oggi i fascisti la fanno da padroni, giungendo a qualificare delitto l’esecuzione di Mussolini a Milano. Ebbene, neofascisti che ancora una volta state nell’ombra a sentire, io mi vanto di avere ordinato la fucilazione di Mussolini, perché io e gli altri, altro non abbiamo fatto che firmare una condanna a morte pronunciata dal popolo italiano venti anni prima.
Un secondo errore fu l’avere spezzato la solidarietà tra le forze antifasciste, permettendo ai fascisti d’infiltrarsi e di riemergere nella vita nazionale, e questa frattura si è determinata in quanto la classe dirigente italiana non ha inteso applicare la Costituzione là dove essa chiaramente proibisce la ricostituzione sotto qualsiasi forma di un partito fascista ed è andata più in là, operando addirittura una discriminazione contro gli uomini della Resistenza, che è ignorata nelle scuole.
Oggi le provocazioni fasciste sono possibili e sono protette perché i fascisti sono nuovamente al governo, si sentono partito di governo, si sentono nuovamente sfiorati dalla gloria del potere. Il senso, il movente, le aspirazioni che ci spinsero alla lotta, non furono certamente la vendetta e il rancore di cui vanno cianciando i miserabili prosecutori della tradizione fascista, furono proprio il desiderio di ridare dignità alla Patria, di risollevarla dal baratro, restituendo ai cittadini la libertà.
A voi che ci guardate con ostilità, nulla dicono queste spontanee manifestazioni di popolo? Nulla vi dice questa improvvisa ricostituita unità delle forze della Resistenza? Essa costituisce la più valida diga contro le forze della reazione, contro ogni avventura fascista e rappresenta un monito severo per tutti. Non vi riuscì il fascismo, non vi riuscirono i nazisti, non ci riuscirete voi.
Noi, in questa rinnovata unità, siamo decisi a difendere la Resistenza, ad impedire che ad essa si rechi oltraggio. Questo lo consideriamo un nostro preciso dovere: per la pace dei nostri morti, e per l’avvenire dei nostri vivi, lo compiremo fino in fondo, costi quello che costi”.
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