Furio Honsell - Sindaco di Udine

La strage dell'11 febbraio 1945


Il 7 febbraio 1945 i GAP della zona di Udine e della Bassa danno l'assalto alle carceri di via Spalato, a Udine, e liberano 73 prigionieri politici, 2 sacerdoti e 3 militari inglesi.
L'azione, organizzata da Valerio Stella "Ferruccio" e da Alfio Tambosso "Ultra", e comandata da Gelindo Citossi "Romano il mancino", è clamorosa ed ha una vasta eco.
Per reagire all'incredibile smacco i tedeschi mettono in atto una feroce rappresaglia e l'11 febbraio vengono fucilati, presso il cimitero di Udine, 23 prigionieri.

Carissimi partigiani, carissimi deportati e tutti i loro familiari, carissimi concittadini di Udine, di una città Medaglia d’Oro per la Lotta di Liberazione contro il nazifascismo,

prendo la parola oggi in occasione del 64° anniversario della Strage dell'11 febbraio 1945 con commozione, riconoscenza e ammirazione fortissimi e sinceri verso tutte quelle donne e quegli uomini ricchi di ideali che seppero comprendere la tremenda barbarie del fascismo e del nazismo, ne subirono la spietata ferocia ma decisero lo stesso di agire con coraggio per cambiare la società nella quale vivevano e fare la Storia.

Non dobbiamo dimenticarlo mai e soprattutto non dobbiamo farlo dimenticare ai nostri figli e alle future generazioni.

Carissima mamma, …la mia coscienza è pulita, non mi hanno accusato di altro che di aver indossato la divisa dei partigiani. … e pensa con orgoglio a me perché ho fatto il mio dovere e faccio l’ultimo sacrificio per la Patria, per i santi ideali della verità, della libertà, e della civiltà.”
Cos’altro c’è da dire concittadini, come si può esprimere qualcosa di più alto di più forte di più intenso di più commovente di più perfetto di quanto scrive alla sua mamma Luciano Pradolin (Goffredo) di anni 23, poche ore prima di essere fucilato alle ore 6 dell’11 febbraio 1945 qui, presso il muro di cinta del cimitero di Udine, da un plotone di volontari fascisti, con altri 22 partigiani?

Lottare e morire per la Verità per la Libertà e per la Civiltà. Non si può aggiungere altro. Goffredo aveva già compreso tutto e lo sapeva “In realtà mi dispiace lasciare la vita, particolarmente ora che avevo capito il grande scopo ed il grande significato”, dice più avanti nella sua lettera.

Se oggi possiamo ritrovarci qui come Cittadini Liberi di una Repubblica Democratica è solo grazie al sacrificio di uomini e donne come i ventitre martiri ed eroi il cui sangue ha benedetto questa città il cui sacrifico è uno dei eventi fondanti della nostra comunità libera e civile, della nostra Repubblica. Ventitre giovani partigiani osovani e garibaldini: Carlo, Michele, Osvaldo e Reno Bernardon, Antonio Chinese, Pietro Dorigo, Attilio Giordano, Luigi Klede, Lino Iuri, Fernando e Francesco Lovisa, Fortunato Maraldo, Giovanni Maroelli, Bruno Parmesan, Osvaldo Petrucco, Vincenzo Pontello, Luciamo Pradolin, Renzo Serena, Renato Stabile, Adelchi Tommaso, Gino e Giovanni Zambon.

L’ignobile ufficiale nazista che comandava il plotone vigliaccamente disse alla fine della fucilazione, al cappellano del cimitero: “Portate via quella roba”. Sette tra quei giovani avevano meno di vent’anni. Tutti gli altri eccetto uno meno di trenta. Tutti erano innocenti, colpevoli se non di aver indossato la divisa da partigiano di essersi opposti alla violenza e alla barbarie dell’idea folle del nazifascismo. E la loro esperienza ci tocca il cuore e la mente. In quel libro straordinario, ancora troppo poco letto nelle scuole italiane, “Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana” compaiono le parole di addio tragiche e nobili di tre di questi eroi. Gesuino Manca detto Figaro, Bruno Parmesan e appunto Luciano Pradolin.
Come devono essere state drammatiche quelle ultime ore tragiche e come emerge forte il loro coraggio e la loro umanità. Sono uomini come noi, e però sono anche degli eroi. “Non ho fatto del male a nessuno”, “sono innocente” ai loro cari si giustificano. Soffrono soprattutto per il dolore che arrecheranno ad essi con la loro morte, ma non hanno un dubbio, sono fermi nei loro ideali. Si fanno quasi una colpa di morire. Sono giovanissimi eppure sono dei giganti. Immaginateli per un istante, qui questi giovani, così intelligenti e coraggiosi, cantano l’inno di Mameli, fucilati spietatamente solamente per il motivo di lottare per la libertà, per la verità, per la civiltà. Una storia agghiacciante e angosciante quelle del loro processo, senza capi da’accusa, senza documenti, ad opera di un tribunale nazista, un’attesa inutile di una grazia, un’esecuzione repentina ad opera di volontari fascisti di Salò, al comando di un nazista.

Senza la loro lotta coraggiosa, lo sappiamo con certezza, l’Italia non sarebbe rinata dopo la guerra come quella straordinaria comunità democratica di donne e uomini unita sui valori fondanti espressi in quel capolavoro di civiltà, di democrazia ma anche di lucidità razionale e letteraria che è la Costituzione della Repubblica Italiana: la centralità del parlamento, degli istituti di garanzia, dei diritti umani, sociali, politici e civili, e la prevalenza dell’interesse generale sui diritti individuali e la responsabilità verso le future generazioni.

La nostra Costituzione, il patrimonio di valori che in essa sono espressi sono il documento più alto che possediamo come cittadini italiani, è il documento fondante della nostra società civile. La verità, la libertà e la civiltà, per le quali si è sacrificato il partigiano Goffredo si sono concretate nella Costituzione.
Ha radici anche nell’illuminismo e nel Risorgimento, ma fu solo la Resistenza, che ne è l’ultimo atto, che seppe far maturare quella convinzione salda nei valori democratici. È solo grazie alla guerra di Liberazione che noi cittadini italiani abbiamo il privilegio di avere una Costituzione come quella che abbiamo. È dalla lotta partigiana che l’abbiamo ricevuta in dono. Dobbiamo difenderla sempre con il loro coraggio! È questo il modo più pieno per celebrare le tante vittime e l’eroismo dei caduti nella guerra di Liberazione.

Pensiamo che sia inattaccabile, ci illudiamo che sia ormai scontata e stabilita una volta per tutte, ma non è così. Ripetutamente in questi 64 anni è stata fatta oggetto di tentativi di alterazione e snaturazione. Dobbiamo stare in guardia, con la stessa dedizione con la quale stavano in guardia i giovani che scelsero la guerra partigiana, ed essere pronti ogni giorno a difenderla, è un patrimonio che dobbiamo conservare intatto per i nostri figli ma soprattutto dobbiamo ancora combattere quotidianamente per tradurla nei fatti, perché troppo spesso questa che è la prima legge non è applicata nella sostanza da tanti che ne avrebbero il potere. La Costituzione ci richiama forte a garantire diritti quali quello al lavoro, alla salute, all’educazione, alle pari opportunità di scelta perché tutti possano al meglio realizzare la propria personalità e le proprie aspirazioni, a non perseguire la guerra nemmeno quando è camuffata da azione di pace o di polizia internazionale, ci richiama a doveri quali quello dell’accoglienza verso i cittadini stranieri che nella loro patria non godono dei diritti che essa sancisce per noi, i doveri della tolleranza e rispetto delle culture e religioni diverse dalla nostra, sancisce l’uguaglianza della legge per tutti, l’equità sociale.

La costituzione deve essere alla base di ogni nostra azione come amministratori ma anche come cittadini. E la nostra Costituzione, lo ripeto perché questo è il motivo fondamentale dell’attualità imperitura della Resistenza, ha alla propria base i valori della lotta di Liberazione, di valori che si concretarono con il coraggio di tanti giovani uomini e donne, di tutta una popolazione, in un rifiuto della dittatura. La Costituzione è alla base di tutte le Leggi perché contrariamente alle altre che impongono ai cittadini-sudditi il volere dell’autorità la Costituzione invece nasce proprio per limitare questo potere dell’autorità e garantire i diritti.

Abbiamo assistito proprio alcuni giorni fa, qui a Udine e a Roma, ad un ignobile e vergognoso tentativo di violare due principi fondamentali della nostra Costituzione. Il primo principio è quello dei diritti fondamentali dell’Uomo e in particolare l’Art. 32 che garantisce oltre al civilissimo diritto alla salute, che nemmeno gli Stati Uniti hanno, anche il diritto di rifiutare le cure, e gli Art. 2 e 13 sulla libertà personale e di disporre del proprio corpo, come diritti inviolabili. Il secondo principio è la separazione dei poteri. Il governo ha cercato con un Decreto Legge di scavalcare il Parlamento, per azzerare una sentenza passata in giudicato. Il potere esecutivo ha cercato di usurpare sia quello legislativo che quello giudiziario.  I diritti umani e la separazione dei poteri sono invece le due cifre, i due principi della Costituzione. Come viene riconosciuto dalla prima costituente europea all’indomani della Rivoluzione Francese nella Déclaration des Droits de l’homme et du Citoyen: un paese che non riconosce i diritti dell’uomo e non attua la divisione dei poteri non ha Costituzione.
Per diversi giorni nelle scorse settimane la civilissima città di Udine ha dato dimostrazione di essere la Città del Diritto e dei Diritti, difendendosi da ripetuti e sempre più accaniti e incessanti assalti di ispettori e corpi speciali che avevano solo l’ordine di trovare un qualcosa, una qualunque cosa che potesse impedire ad un cittadino e a sua figlia di vedere attuata una sentenza passata in giudicato che era stata confermata senza alcuna incertezza in tutti i gradi di giudizio della magistratura italiana e della corte europea dei diritti dell’uomo.
Ma a Udine vivono ancora eroi civili, come il medico De Monte, la presidente Domenicali e a Roma abbiamo un presidente che è figlio della Resistenza e hanno saputo opporsi. Sono orgoglioso di averli conosciuti e di essere stato loro vicino.

Se ripetiamo le parole del partigiano osovano Goffredo, comandante del battaglione “Val Meduna” studente universitario di Tramonti di Sopra, poc’anzi ricordate non abbiamo null’altro da aggiungere.
Ma cari concittadini si deve invece agire. Perché molto c’è ancora da fare per difendere ciò che questi eroi ci hanno lasciato e per far crescere e diffondere i loro ideali. Gli unici per i quali valga la pena vivere.
La nostra Repubblica, la nostra Costituzione sono il frutto e il lascito più alto del loro sacrificio.

Abbiano l’obbligo morale ed etico di mantenere vivo il loro ricordo e di diffondere nelle scuole, nella società queste loro gesta e questi loro ideali. Questi non sono sufficientemente noti, e se lo sono vengono troppo spesso dimenticati. Ci insegnano che c’è una differenza tra giustizia e legalità. Perché anche lo stato più ingiusto può essere perfettamente legale, e noi dobbiamo saperlo riconoscere e non lasciare che ci confondano e confondano le idee dei nostri giovani facendo coincidere questi due concetti. La giustizia va oltre la legalità. Come ci insegna la Lotta di Liberazione, la giustizia deve anche andare contro la legalità alle volte, per trionfare. E la verità, la civiltà e la libertà, per citare ancora una volta le parole del partigiano Goffredo, stanno dalla parte della giustizia.

Quali storie di straordinario coraggio e volontà di libertà sono quelle della Resistenza!
La stessa vicenda all’origine di questa vigliacca e tremenda rappresaglia che oggi onoriamo, è esemplare. Fu un’azione che portò alla liberazione di un’ottantina di prigionieri, molti dei quali partigiani, incarcerati e torturati nelle carceri di Udine in via Spalato, il 7 febbraio del 1945. Fu opera dei “diavoli rossi” uno dei Gruppi di azione patriottica guidato da Romano il Mancino. È quello un episodio di una forza straordinaria, di una complessità etica e tattica affascinante. Mi appare oggi quasi come un racconto che ha la forza fondante del mito: accanto al cavallo di Troia di Ulisse, rimarrà nella storia lo stratagemma del partigiano Romano per forzare le porte del carcere di Udine. Come i miti dell’Iliade fondarono la civiltà greca, così questo fatto vero deve ben essere posto a fondamento della nostra civiltà figlia della Resistenza. È un episodio di un coraggio di una determinazione che sembrano di un’altra epoca, eppure sono a noi così vicini e rischiano di diventare così attuali.
Perché non insegniamo ai nostri figli queste storie, perché i nostri poeti non cantano le gesta di questi eroi? Grazie ANPI per tutto ciò che fai per mantenere viva questa memoria altissima.

Come primo cittadino di Udine Città insignita della medaglia d’oro al valor militare per la guerra di Liberazione a nome di tutto il Friuli, e soprattutto come primo cittadino di una giunta democratica di centro sinistra, sento fortissima la responsabilità di esprimere i valori fondanti della Resistenza e soprattutto della Resistenza Friulana, e di attingere ad essi come fonte di ispirazione per ogni nostra azione quotidiana di amministratori e cittadini.

La Resistenza non deve essere relegata alla storia. È attualissima. Ragionate con me.
Perché combattevano i partigiani? Contro il Fascism., Per una società migliore, come scriveva alla moglie Aulo Magrini il “medico dei poveri” poco prima di cadere i combattimento, per una società libera, giusta, aperta. Per un’Europa diversa da quella che voleva il Terzo Reich basata sul razzismo, - sull’antisemitismo, sul tentativo di distruggere le identità nazionali e culturali dei paesi assoggettati, sugli stermini di massa dei “fuori posto” come ebrei e rom, combattevano per una società dove l’interesse supremo è quello collettivo e non quello individuale, una società  basata sulla responsabilità verso gli altri, verso i più deboli, verso le generazioni a venire.
Anche l’idea di Europa, unita nella diversità, capace di darci 60 anni di pace è nata nella guerra di Liberazione.

La scelta dei partigiani fu una scelta di coraggio, una scelta tra un’idea di società migliore che non avevano mai avuto modo di conoscere ma che credevano possibile, e una società che ebbero l’intelligenza e la forza di sentire come peggiore resistendo a tutte le propagande e indottrinamenti fascisti.
Vollero essere “attori e non spettatori”, come scrisse Pietro Benedetti in una delle più intense lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana. Quanto sarebbe stato più comodo aspettare e non agire! ma come dichiara Alfeo Martini in un’altra lettera “un bel momento bisogna passare dal pensiero all’azione, le parole non bastano più occorrono i fatti”.
I partigiani seppero scegliere, seppero soffrire e morire per progettare un futuro migliore per noi.
La Resistenza è stata la madre della nostra repubblica fondata sulla Costituzione, lo è stata non solo in un senso genericamente metaforico, ma anche in un senso molto più concreto e intenso grazie alle tante donne della Resistenza, così spesso dimenticate. Sono state loro le madri autentiche del nostro presente democratico. Votarono per la prima volta proprio nelle repubbliche partigiane, ma ebbero un ruolo fondamentale sia nel permettere un coordinamento tra le varie formazioni che nel garantire il loro approvvigionamento. È straordinaria l’epopea di quei gruppi di donne che organizzarono i trasporti dei viveri ai partigiani proprio quando il blocco delle autorità tedesche stava per rendere insostenibile la situazione alimentare, oppure di quelle che raccoglievano i bigliettini lasciati cadere nella stazione di Udine dai deportati e li facevano pervenire ai parenti. Le donne della Resistenza sono state le madri vere della Resistenza e della nostra democrazia. Va forte il nostro pensiero commosso e riconoscente a donne come Rosina Cantoni che ci ha lasciato pochi giorni fa, ma vive tra noi come modello eterno di forza, determinazione, intelligenza e umiltà.

Mi colpisce sempre la capacità di scelta individuale che seppero avere Rosina Cantoni e tutti coloro che vissero la Resistenza, dai capi delle formazioni partigiane al più umile e giovane bambino bruciato vivo nelle rappresaglie: avevano capito dove stava il meglio e per questo ebbero il coraggio anche di morire.
Per questo non si deve mai cedere alle ondate che a più riprese, e anche recentemente con sempre maggiore forza, tentano di azzerare le differenze tra chi ha combattuto tra le file partigiane e chi invece tra quelle dei nazi fascisti di Salò. Certo si deve avere pietà per tutti i caduti e carità per i loro famigliari, ma vi è una differenza abissale che non dobbiamo dimenticare mai tra costoro. La scelta è sempre individuale, è il momento eticamente più alto della vita: la riconoscenza, l’onore, l’ammirazione è nostro dovere tributarla solo ai partigiani donne e uomini. Sono loro che hanno fondato l’Italia democratica che hanno combattuto anche perché volevano progettare un futuro migliore.
E questa è l’ultima lezione che riceviamo da loro. Progettare il nostro futuro con coraggio, sempre. Oggi viviamo in un momento molto difficile. La propaganda, la pubblicità, la televisione ci propongono solo un modello culturale. Quello di un presente ipertrofico che spinge al saccheggio del pianeta, ad un individualismo miope, a coltivare l’interesse privato a discapito di quello collettivo. C’è invece una storia da comprendere, una responsabilità verso il futuro. Dobbiamo progettarlo come ci hanno insegnato i partigiani che hanno combattuto nella Resistenza, con fiducia, con speranza con coraggio da attori e non da spettatori.
Grazie partigiani delle divisioni Garibaldi e Osoppo, grazie donne della Resistenza, grazie a tutte le vittime per il vostro sacrificio.


Cari amici non stanchiamoci mai di progettare da protagonisti un futuro migliore.


Viva la Resistenza, viva la Costituzione, vivano i 23 martiri della strage dell’11 febbraio 1945 presso il muro di cinta del cimitero di Udine!

Udine, 15 febbraio 2009