Italo Guidetti

Ricordando Aulo Magrini


Questo scritto è del 1947: ne riproduciamo ampi stralci

In Aulo Magrini, Commissario Politico della Brigata "Garibaldi", caduto in combattimento contro i tedeschi presso Piano d'Arta nel luglio 1944, la Carnia tutta riconosce una delle figure più luminose, se non la più luminosa, dei suoi combattenti per la Liberazione: il generoso "medico dei poveri" che prodigò senza risparmio e senza compenso tanto del suo sapere e della sua opera a pro dei diseredati, l'uomo che - esperto conoscitore dei bisogni e degli interessi camici - li interpretò e li difese apertamente anche durante il periodo fascista, sempre, anche durante la breve epoca della Carnia partigiana. [...]


Ma noi ravvisiamo in Aulo Magrini colui che incarnò più squisitamente l'anima socialista, la sintesi indissolubile del sentimento col pensiero e del pensiero con l'azione; colui che amò gli umili, gli oppressi, la gente del lavoro, non di un amore ingannevolmente sentimentale e praticamente inane, bensì di un amore che si traduceva in odio per l'ingiustizia, per il privilegio, per il delitto sociale che vi si concreta e vi si fa carne viva e dolente; colui che questi sentimenti tramutò in passione inesausta, in religione e milizia di socialismo, fino al sacrificio supremo.
Per Aulo Magrini infatti, come per l'Apostolo dell'Unità Italiana, il mondo non è uno spettacolo, è un'arena di battaglia nella quale tutti devono compiere, «soldati o capi, vincenti o martiri», la loro parte; per Lui, come per Mazzini, l'azione crea l'azione, l'azione s'insegna con l'azione; l'educazione non si fa coi libri, con la scuola, con la propaganda, bensì con l'azione, l'uomo deve agire perché deve, «senza guardare alla riuscita rapida o lenta», deve combattere sempre, combattere in tutti i modi, rinnovando l'azione senza disanimarsi per le sconfitte, anzi traendone nuova coscienza e nuova forza.
Per Aulo Magrini (come per il grande Genovese) noi siamo quaggiù per trasformare, non per contemplare il creato; l'uomo deve tendere a cangiare il mondo, e non può cambiarlo se non quando egli lo merita, e non può meritarlo che combattendo, purificandosi col sacrificio, nelle forti opere, nei santi dolori; anche per lui l'uomo tanto più vale quanto più fa, e la virtù non è l'ideale astratto o la convinzione teorica che noi ce ne foggiamo, o la predicazione moralistica che siamo pronti ad ammannire agli altri, o la presunzione per cui ci presentiamo come specchio agli altri o amman­tiamo coi colori della santità i nostri peggiori istinti, le nostre povere azioni: la virtù è il sacrificio e la capacità del sacrificio: « Ilo sacrificio solo é santo!»


Ebbe insomma Aulo Magrini il senso profondo, predominante della serietà della vita e misurò sé stesso e gli uomini dalle opere e non dalle parole, col metro dell'armonia fra la pratica e la dottrina: ciò che derivò dal suo temperamento e da un'educazione famigliare severa, realistica, materiata di esempi e volta ad affilare la sua sensibilità al contatto perenne della vita.
Furono le tradizioni e l'ambiente famigliare che svilupparono in lui i germi della sua natura volitiva, alimentata da un'intelligenza duttile e da una sensibilità vera, cioè capace d'immedesimarsi delle sensibilità altrui, talvolta per accarezzarle , talvolta per fustigarle, sempre per rispettarle educandole.
Fu l'indimenticabile Mamma sua, l'inconfondibile signora Lucrezia che, dotata d'una intelligenza chiara e d'una volontà diritta, lineare, quasi maschile, crebbe Aulo e gli altri figlioli a una scuola concreta d'operosità e di rudezza parsimoniosa che non poterono non influire sullo svolgimento del loro temperamento naturale: sopratutto col dedicarsi e compiacersi - nonostante la sua agiatezza - dei lavori agresti più umili e faticosi, [...] insegnando con ciò la santità del lavoro in tutte le sue forme, l'abitudine del riporre il nostro valore non in ciò che possediamo o rappresentiamo nella scala sociale, ma in ciò che operiamo e in ciò che siamo, infine l'umiltà nel giudicare degli altri e la concreta fraternità con loro.
Ma altri impulsi ad una formazione della personalità nell'azione e nel sacrificio venivano ad Aulo Magrini dai suoi ascendenti famigliari prossimi: un fratello di sua nonna, Giulio Lupieri, appena ventenne, era fuggito nascostamente dalla famiglia, e si era recato a combattere per la difesa della risorta repubblica di Venezia capeggiata dal Manin, nel 1849, e vi era caduto in una sortita dal forte di Marghera; un fratello di suo padre, Giulio Magrini, si era arruolato volontario nel '66 ed era morto all'ospedale militare di Udine in conseguenza delle lunghe, penose marcie, dei bivacchi notturni in paesi umidi e malsani, dei trasporti di materiale e d'altre fatiche superiori alle sue forze di studente diciannovenne, appena uscito dagli studi in cui aveva dimostrato di brillare: caduto dunque, anche lui, per l'indipendenza d'Italia!
Non basta: altri stimoli Aulo riceveva nella sua fanciullezza, nell'ambiente stesso della sua famiglia, dai fratelli: Ermanno, morto combattendo e incitando i suoi Alpini in un'epica battaglia di sei giorni contro gli austriaci, nel marzo del 1916, sul Pal Piccolo [...](alla cui volta era partito animosamente sorridendo da Udine «quasi a convito o a danza, non a morte» andasse, pensai col poeta io che accolsi, solo, quell'ultimo sorriso e ancora me ne sento distillare nel cuore la dolcezza!); Eugenia, volontaria crocerossina durante la guerra mondiale, anch' essa morta in seguito ai disagi ai quali si era spontaneamente sobbarcata.
È dunque certo che l'educazione e la tradizione famigliare conferirono a temprare la personalità di Aulo; ma questa era già radicata in lui, nella sua sensibilità profondamente, nobilmente umana.
Egli ebbe un vivo bisogno d'indipendenza, di sincerità con sé e con gli altri, un bisogno sempre presente di discrezione e di delicatezza che qualunque osservatore un po' attento e spassionato riusciva a scoprire attraverso le sue tendenze ad avvicinarsi e a solidarizzare con tutti, nonostante e a dispetto dei suoi atteggiamenti duri, spavaldamente sbarazzini, talvolta violenti e apparentemente intolleranti. Ecco perché nessuno rimase mai offeso delle sue escandescenze verbali o polemiche o dei suoi atti energici o dei suoi rilievi ed osservazioni: gli è che rispettò sempre le personalità altrui, appunto perché sentì profondamente la propria e la necessaria indipendenza di tutte, e addolcì sempre col sorriso sincero che sa e perdona le virulenze del rimbrotto e le violenze inconsapevoli!
Per questa sensibilità assetata di schiettezza e di verità congiunta con una volontà possente e con un'intelligenza capace di distinguere e di sintetizzare, Aulo Magrini ebbe un'anima criticamente aperta a tutti i problemi contemporanei e sopratutto operò, offrendosi sempre allo sbaraglio, per la loro soluzione.
Ebbe a dispetto tutte le ipocrisie sociali, tutte le menzogne di gruppo, di casta, di corpo, il fariseismo ed il pedantismo delle oligarchie e delle burocrazie, coi loro premi offerti alla mediocrità, alla bassezza, al servilismo, coi loro incoraggiamenti allo spionaggio, alla delazione, alla calunnia, a tutte le viltà e a tutte le ignominie di gruppo; disdegnò le altezzosità e le sicumere esclusivistiche, gli utilitarismi abitudinari dei soddisfatti della vita sociale, degli animali di gregge che ignorano gli urti intimi della sensibilità e del pensiero, che vivono unicamente preoccupati per se stessi, per la loro famiglia, per il loro piccolo posto o il loro piccolo commercio, che si compiacciono soltanto dell' ombra che proiettano quando il sole della stima pubblica li illumina, e che potrebbero assumere quale norma di vita il proverbio cinese «Impicciolisci il tuo cuore».
Il suo cuore era troppo grande!
Ebbe in uggia lo snobismo col suo sfoggio di superbia insolente e di fatuità nobiliare e borghese, col suo corteggio di passioni astiose e vili: la gioia gustata allo spettacolo della sofferenza altrui, la curiosità indiscreta, la mania di spiare e d'inquisire, la denigrazione gregaria, l'ipocrisia sofistica e bacchettona e sopratutto l'orgoglio idiota.
Perciò sorrise, con interiore benevolenza, delle verniciate svenevolezze, dei vellutati sdilinquimenti delle persone «a modo», dell'implacabile serietà e dell'aria pontificante degli attori della commedia sociale, dell'affettazione di rispettabilità e di onorabilità dei beati della società, dei cocciuti della conservazione e del privilegio.
Aulo Magrini, insomma, fu per temperamento un «ribelle» - nel senso più alto della parola - fu un avversario deciso delle intelligenze pecorili, delle emotività ottuse, delle immaginazioni deboli e lente; fu un dissociatore delle verità tradizionali, un intuitivo che solleva con disinvoltura il velo delle menzogne sociali, ma sopratutto, un combattivo, dotato d'immaginazione serena, armonica e creatrice, che vede la Verità come una verità tutta penetrata di vita, tutta fremente d'energia e d'azione, e perciò tende ineluttabilmente a creare nuovi valori sociali, ad instaurare una verità e una giustizia nuove, con lo slancio del forte che non ha bisogno di obbedire, né di comandare, per essere qualche cosa.
Ma fu un ribelle che, ricco di tutte le sfumature della sensibilità do­minata da un'intelligenza discriminatrice, ignorò il risentimento e il rancore individuale, non accarezzo mai sentimenti di vendetta e indulse sorridendo a tutte le debolezze umane particolari.
Per tutte queste peculiarità psicologiche Aulo Magrini amò sempre fin dalla prima infanzia, mescolarsi ai figliuoli della gente del lavoro, condividere i loro giuochi, i loro esercizi e i loro sforzi, quasi per compenetrarsi della loro anima e apprendere, attraverso il rispetto per loro, il rispetto per se stesso, e formare mediante la comunione con coloro che hanno la vita più dura, il senso severo della vita.
Studiò medicina, forse anche perché la professione di medico, e di medico condotto in contatto quotidiano con le masse della miseria e della sofferenza gli, avrebbe permesso di sentir prorompere in sé più forte la ribellione contro l'ipocrisia di una società civile che crede di pagare Ogni suo debito porgendo la mano (con leggi protettrici sull'infanzia, sulla maternità, sulla vecchiaia) a uno su cento dei miseri ch'essa medesima atterra, contro l'aberrazione di una carità che va a cercare miserie e dolori a migliaia di miglia lontano da quelli che le gemono inutilmente d'intorno, contro l'ingiustizia d'un mondo che vitupera l'inerzia in coloro in cui fu spento dalle fatiche precoci l'amore del lavoro, e dice causa unica della sua miseria i vizi che semina egli stesso e punisce senza pietà i delitti a cui è indotta tanta gente da un' ignoranza e da una corruzione di cui non ha colpa.
Ecco perché nessuno che l'abbia avvicinato può dimenticare la pungente sarcastica amarezza che traspariva dal volto di Aulo quando egli accennava di sfuggita al contrasto fra i mezzi che la scienza medica gli suggeriva e gli ostacoli posti dalla miseria e dall'abbandono in cui si dibattevano i suoi ammalati.
Poi, da queste esperienze dirette, vissute nel suo cuore vibrante e rimeditate dal suo sereno intelletto amplificatore, egli fu tratto ad esaminare, attraverso letture, l'indigenza delle classi inferiori in tutti i paesi, in tutti i suoi svariati aspetti, in tutte le sue conseguenze funeste, a conoscere le forme più inumane e pietose della fatica, gli orrori delle miniere, delle risaie, degli opifici avvelenati, delle terre malariche, le moltitudini condannate all'ozio e alla fame, le generazioni infantili falciate dalla morte che sta in agguato dietro il lavoro, i milioni di tane oscure (simili alle casupole della sua Carnia entro le quali egli si aggirava per recarvi illusori consigli!), dove innumerevoli uomini si ammucchiano, si ammorbano e si imbestiano, e, davanti a loro, il povero cibo cui si pasce una moltitudine di gente che lavora per un consorzio civile dal quale pare segregata e reietta. E ravvisò nell'alcoolismo, nella tubercolosi, nelle degenerazioni conseguenti alle fatiche delle donne della sua Carnia, nell'emigrazione forzata dei lavoratori camici con tutte le sue pene e i suoi effetti sulla famiglia e la regione, una rappresentazione in iscorcio dell'immane quadro della sofferenza di tutte le classi lavoratrici del mondo. E sentì, come il Fausto di Goethe, pesare sulla sua fronte e schiacciare il suo cuore tutte le miserie dell'umanità.
Sentì per un istante, talvolta, ripetute volte, ma non amò mai far trapelare agli altri questo struggimento intimo, che pure fu la fonte perennemente zampillante della sua volontà di lotta politica e sociale. E sopratutto non vi si ripiegò sopra, facendosene come un'aristocrazia di sofferenza, poiché egli era un ribelle reattivo, un essere che pur amando la maestà delle sofferenze umane sapeva l'abnegazione del silenzio e si volgeva alla solidarietà operante, all'azione generosa. E siccome l'azione - specialmente collettiva - presuppone oltre ad un fine l'indagine sui mezzi coi quali agire, ecco che egli fu portato anche dalla sua abitudine mentale scientifica a ricercare le cause di questi mali, collegando i fatti ai fatti e risalendo a una sintesi che fosse condizione per l'attuazione dei fini.
Ecco dunque che al suo intelletto flessibile, plastico, dissociatore delle correnti d'idee stabilite s'offerse, chiarificatrice, la concezione critico - pratica del Marxismo, intesa a disegnare realisticamente le linee della società attuale e a mettere a nudo le leggi che la regolano, inquadrate entro una visione di tutta la storia passata come una successione di lotte di classi e un antagonismo di dominatori e dominati, di oppressori ed oppressi e una serie di rivoluzioni che hanno sostituito nuovi dominatori ai precedenti, sboccanti alla lotta attuale del proletariato contro la borghesia, lotta che non è che «un moto storico spontaneo che si svolge sotto i nostri occhi».
Il Marxismo, col suo realismo scarnificatore, che non predica esigenze morali storicamente vuote, che vede negli ideali il prolungamento degli interessi, nell'altruismo una espansione della vita la quale è anzitutto egoismo, nella storia una serie di liberazioni e di espansioni degli egoismi individuali, rispondeva egregiamente al suo bisogno incoercibile di verità senza veli, alla sua congenita repulsione per ogni menzogna convenzionale, al.suo istintivo disprezzo per i falsi ammantamenti di moralità e per le tronfie facili predicazioni dei soddisfatti della società. Quella concezione, col flagellare sferzantemente il falso idealismo di cui si abbella la società attuale, tutta intesa al guadagno, tutta penetrata dal calcolo egoistico, tutta imperniata sulla libertà di commercio senza scrupoli, sul nudo interesse, sullo sfruttamento palese della classe detentrice dei mezzi di produzione; con lo strappare il velo di tenero sentimentalismo entro cui s'avvolgono i rapporti fra uomo e uomo nel mondo capitalistico presente, quella concezione veniva incontro al suo idealismo assetato di vero ed eversore di fantocci.
Ma gli veniva incontro, il Marxismo, anche col criterio realistico di spiegazione dell'evoluzione storica come determinata dallo scaturire spontaneo di nuovi bisogni e di nuove aspirazioni dallo stimolo naturale delle condizioni esistenti, in un processo per cui l'uomo cerca di continuo, con la stessa soddisfazione dei bisogni sentiti, il pungolo di bisogni nuovi; dell'evoluzione storica generata da bisogni diversi e quindi da interessi opposti, i quali si proiettano in principi ed ideali contrastanti, e quindi in classi antagoniste e continuamente in lotta.
Gli veniva incontro, il Marxismo, colla sua visione realistica del diritto, il quale è tale in quanto conquista attiva di una esigenza che si fa valere - esigenza di tutta una classe organizzata che, stretta in unità di volere, lotta compatta per i suoi interessi, per il suo programma ideale, per la sua emancipazione che è insieme emancipazione degli strati sociali superiori ed emancipazione dell'umanità.
Gli veniva incontro, il Marxismo, col concetto sociologicamente attivistico dell'educazione e della morale, intese non come il risultato di una predicazione verbale voluta e sistematica, di una inculcazione dogmatica e autoritaria di principi, di norme ed imperativi astratti rivolti all'individuo, ma come svolgimento ed effetto di azione storica, mossa dalla coscienza e volontà delle classi; la quale determinando spostamenti, evoluzioni e riconfluenze di interessi e forze economiche e quindi di rapporti sociali, orientando verso nuove vie e dilatando visuali di individui e di gruppi e arricchendone i cuori, trasformando istituzioni civili, economiche e politiche, creando un nuovo clima morale - cioè una nuova serie di valori - promuove e sviluppa le trasformazioni delle coscienze nei limiti consentiti dalle incoercibili resistenze individuali.
Questa concezione della storia, del diritto, della morale e dell'educazione rispondeva dunque mirabilmente al temperamento scetticamente idealistico di Aulo Magrini, incline a scrutare a fondo i fatti, a guardare il mondo dal punto di prospettiva della volontà di cambiarlo, a giudicare gli uomini e gli eventi in funzione degli atti e dei risultati. Ma sopratutto rispondeva alla bontà perdonante del suo cuore, alla sua generosità espansiva verso il prossimo, perché - col depersonalizzare la morale, col porre la priorità della vita sociale su quella individuale, col riconoscere in fondo ad ogni anima umana una barriera inaccessibile - gli permetteva di combattere senza odio, di deprecare senza imprecare, d'incuorare alla lotta senza acrimonia.
Il Marxismo, poi, rivelava al suo intelletto scientificamente indagatore le ragioni più profonde dello sfruttamento palese della borghesia contemporanea, disarticolando le molle più riposte dell'ingranaggio capitalistico e risalendone la formazione storica: colla teoria «plusvalore» e la «tendenziale» legge «bronzea» del salario e la conseguente formazione delle armate di riserva industriale e le crisi di sovraproduzione generatrici delle crisi di disoccupazione.

Aulo Magrini sentì allora con cuore assetato di verità e di giustizia l'iniquità di un capitale che, nato sull'appropiazione violenta della terra, si ingrandisce sempre più nutrendosi di lavoro non remunerato, l'iniquità di una libera concorrenza che deprezza la mercé - lavoro in ragione dei lavoratori e dell'impiego di macchine più perfette e di mezzi tecnici più economici, l'iniquità di una libera concorrenza che pone in perpetuo contrasto l'interesse personale con l'interesse collettivo, che «sperpera un tesoro di tempo, di forze e di ricchezza trascurando ogni utile ad altri che non frutti a chi la produce, arricchendo gli uni con le spoglie degli altri, mantenendo la società in uno stato perpetuo di affanno e di violenza in cui si logorano le più nobili facoltà e si scatenano le più tristi passioni umane.»
Egli vide allora che non esiste una vera libertà di contratto fra chi compra il lavoro e chi lo vende, che il denaro frutta denaro «mantenendo dinastie di parassiti, vittoriosi fin dalla nascita nella lotta per l'esistenza e conquistatori senza lotta fino alla morte». Vide che il profitto capitalistico deriva dal solo fatto che gli imprenditori hanno capitale stabile o mobile mentre coloro che «trovando già tutto posseduto al loro apparire nel mondo, nascono servi o mendichi» sanno di non potere mai raggiungere i profitti e crearsi le fortune; vide insomma che il capitale è una specie di talismano magico la cui presenza od assenza trasforma la condizione, anzi la vita intera degli uomini.
Ecco che allora Aulo Magrini, col suo idealismo concreto e storico, col suo spirito di magnanimo ribelle, intuì il carattere etico - oltre alla necessità storica - della lotta contemporanea della classe lavoratrice. Classe che non vuole più essere strumento del capitale individuale e perciò economicamente e politicamente soggetta; che non vuole più essere considerata come mezzo di produzione e di ricchezza, ma come fine a sé, come persona, come anima senziente, volente e intelligente. Classe che dalla sua condizione di servitù oppressiva si erge ad affermare la dignità della natura umana, dell'uomo ideale che è in ogni suo membro, che è in ciascuno di noi quando vogliamo essere uomini veri, tendere a Dio, quando vogliamo esprimere il meglio di noi stessi, espandere al di fuori tutta la nostra fioritura interiore.
Aulo Magrini, tanto ricco di personalità e perciò tanto capace di sentire la personalità altrui, non poteva dunque non consacrare e impegnare tutte le sue energie, tutta la sua vita in questa lotta diuturna per la conquista della personalità dei lavoratori che costituisce l'essenza del socialismo marxista.

Aulo Magrini, tanto profondamente, intelligentemente umano, intese inoltre che la classe proletaria, pur rivendicando interessi proprf rivendica insieme interessi universali; pur tendendo alla riabilitazione della propria umanità, opera insieme per la riabilitazione completa dell' umanità; pur lottando per i fini suoi propri assolve una missione liberatrice del mondo, una missione di emancipazione universale, in quanto tende a cancellare ogni dominio di classi e a creare una società nella quale «il libero sviluppo di ciascuno sia la condizione del libero sviluppo di tutti.»
Pensate infatti a un' umanità consociata, fondata sulla dignità del lavoro, nella quale dilegueranno molte delle ragioni di cupidigia, di odio, di invidia che infuriano ora fra gli uomini e le nazioni! A una sola grande famiglia stretta da un patto comune, nella quale, cancellata la condanna dei «vinti fin dalla nascita», tolto di mezzo il privilegio, spezzata la schiavitù del lavoro e tutte le servitù conseguenti, appartenendo tutto il bene degli uomini a tutti gli uomini, ridondando il lavoro degli uomini (dei vivi e dei morti) a profitto di tutti gli uomini, non vivendo nessuno del frutto delle fatiche altrui, recando ciascuno il proprio contributo all'opera comune e ciascuno raccogliendo la sua parte di lavoro comune, ciascuno potrà godere di un'esistenza degna della civiltà in mezzo a cui vive e tutti della cultura spirituale e dei benefici della bellezza, dell'arte, della scienza, di tutto ciò che fa amare la vita; mentre l'individuo, disponendo di mezzi sociali uguali per l'ascensione nella vita, sarà veramente libero di espandere la propria natura, sarà davvero il fabbro della propria fortuna, avrà insomma (per dirla col Marchesi) il modo di «fecondare i gertni del proprio destino.»
Sicché l'umanismo realistico di Aulo Magrini ravvisò nella rivoluzione proletaria lo sforzo dei lavoratori per divenire esseri sociali e solidali, per assurgere a liberi cittadini, e d'altra parte vi presenti la tensione della storia per attuare i diritti universali dell'umanità attraverso l'arma degli oppressi, vindici naturali del principio di libertà; sentì perciò che il Socialismo è anche cocente e sapiente amore di rinnovare quest'antica terra, quest'«aiuola che ci fa tanto feroci», o almeno di alleviare il carico immane di angoscie e di vani odii e di sangue che essa trascina seco nei millenni.
Se, per questo suo umanismo profondo del cuore e dell'intelletto, intuì Magrini che il processo economico sociale moderno, figlio del libero scambio, conduce al vero cosmopolitismo, alla grande patria umana, sotto il fulgore del sole comune a tutti e padre della vita, per altro verso amò svisceratamente la sua piccola patria, la sua Carnia, e dei suoi problemi si interessò e si occupò e si preoccupò sempre, fino all'ultima ora della sua non lunga giornata terrena, colla sua costante aderenza al concreto dal suo immutato plinto di prospettiva di alleviare e di elevare la sorte della gente che concretamente soffre e lavora. Egli conciliò mirabilmente in sé il sentimento dell'umanità e quello regionale, l'amore per la società umana come somma di uomini reali con l'azione positiva a pro di coloro che ci stanno più dappresso: quasi a rappresentare in anticipo il necessario confluire di tutte le piccole patrie nella gran patria umana, simbolo della fraternità; quasi a provare che il supremo prodotto storico non è la patria ma l'uomo, e che quanto più i popoli si differenzieranno tanto più scopriranno in sé stessi l'umanità; quasi a dimostrare che la formica umana non deve portare un granello di meno alla sua tana, anche se vede l'infinito al di là del suo piccolo foro, anche se vede l'eterno al di là dell'istante che passa.
Aulo Magrini fu, dunque, comunista; e del suo partito egli fu l'alfiere e l'araldo, l'animatore infaticabile, l'ufficiale di collegamento e l'organizzatore, fin dagli anni dei suoi studi universitari, negli anni che seguirono immediatamente la prima guerra mondiale: organizzatore, sopratutto, dei lavoratori della sua Carnia alla cui redenzione egli anelava col cuore e con la volontà.
Quando, poi, cominciò la triste ventennale oppressione, subì dapprima persecuzioni molteplici, indi, costretto dalle necessità della famiglia e della vita piegò il corpo, non asservì l'anima. Quell'anima idealisticamente realistica, disdegnosa di ogni menzogna e di ogni servilismo, sempre pro­tesa a informare la propria vita alle sue idee, a suggellare con l'azione la sua fede e a giudicare gli uomini e le dottrine dal rapporto fra le idee e i fatti: quell'anima, pur non trascurando i compiti modesti e necessari della vita, pur consacrando la sua opera alla famiglia e alla più ampia sua ideale famiglia dei diseredati, fremette al dramma delle apparenze in cui l'Italia si cullava e dell'abisso al quale essa si avviava.
Quell'anima si torse, fin dall'inizio, innanzi e quel gretto «contesto di pavidità conservatrici e di complicità ufficiali» che fu la marcia su Roma, gabellata idealmente per rivoluzione, drappeggiata del paludamento trionfale di una vittoria che non aveva avuto battaglie, contro nemici che non c'erano.
Quell'anima assetata, prorompente di sincerità e di positiva progressione e ascensione umana, spasmodicamente credente nel tenace candore e nella forte eredità di liberi sensi delle più umili classi, covò, struggendosi diuturnamente, tutta la falsità e l'avventatezza della morale, della letteratura, del giornalismo, della politica, della religione e del diritto nel ventennio fascista. La gonfia e sfacciata antitesi delle parole con le cose, il bagordo delle parole numerose, precipitate, avventate, colorite, la sonora e roboante tonalità dei discorsi, la vacua e verbosa celebrazione dei «radiosi destini» della nazione, le concionesche interrogazioni delle folle tumultuanti nelle piazze, le spagnolesche incitazioni all'intolleranza del «ritmo della vita usuale» verso i «moti di passione», gli slanci «dinamici», versole «mete grandiose», «l'impero», «la gloria.»
Mentre invece venivano sempre più decadendo la forza di carattere e le energie di resistenza dei cittadini, sola fonte e base dei veri destini della nazione; mentre le vecchie e le nuove ricchezze, abbandonate ad una sfrenata voluttà di vivere, rassicurate all'ombra di un regime protezionistico - corporativo - assolutistico - si ergevano «procaci di nuovi orpelli e audaci di gratuite speranze»; mentre l'incensamento e l'esaltazione usurpavano nome ed aspetto di forza; mentre, in un'atmosfera di «fiera coreografica di tutte le fedi» la coercizione si rappresentava come persuasione, il servilismo come volontà consapevole, la defezione e la rinuncia come rinsavimento ed evoluzione ragionata, il consenso e gli applausi strappati dalla paura o dalla necessità come spontaneità od entusiasmo!
Ma la magnanimità di Aulo Magrini, ribelle per intima essenza alle menzogne sociali e politiche, alle piatte viltà servili del conformismo funzionaristico, non potè non soffrire tutto l'intimo cruccio di una prassi politica ventennale fondata sull'apparenza, sulla duplicità, sulla inconsistenza, sull'equivoco e sul compromesso diseducatore, sulla tronfietà illusa e delusa: della prassi politica di uno Stato accentratore, poliziesco, militaristico, negatore delle libertà individuali, col suo sindacalismo asservitore, colle sue esplicazioni innaturali e false nel dominio demografico, economico, razziale, coloniale, e sopratutto colla sua politica estera di conquista, di asservimento e di egemonia e destinata, poiché non avrebbe potuto a lungo asservire ed opprimere, a farsi strumento e vittima d'oppressione e di conculcazione del «popolo signore» poiché non poteva affermare la sua egemonia, ad aggiogarsi al carro della «razza regale», a servire il suo inane e insano rinnovato sogno egemonico sull'Europa e sul mondo.
E, quando, finalmente, sulle rovine cruente e fumanti scaraventate sull'Italia da quell'innaturale asservimento al tedesco, spuntarono i primi fiori della libertà e la parte più consapevole degli Italiani s'adoprò a snebbiare e a riergere coscienze, e da questa antica matrice spontaneamente insorsero i primi gruppi dei partigiani opranti a riconquistare all'Italia la sua dignità interna ed esteriore, l'anima di Aulo Magrini che tanto a lungo aveva compresso il suo sdegno e tesoreggiato le sue energie di lotta e d'azione, rimbalzo d'un tratto diritta e serena, ardente e pugnace.

Aulo Magrini allora, a dispetto della dominazione nazifascista, si slanciò di nuovo allo sbaraglio, alla sua attività imperterrita e multiforme di proselitismo e di organizzazione, in un senso di dedizione assoluta e incondizionata a un'idea, a un dovere supremo, a un'opera meditata e metodica: come se un'ondata perennemente nuova di passione lo travolgesse; quasi egli sentisse, come l'eroe del Risorgimento, che «ognuno, non il suo destino, ma porta dentro il cuore il suo vessillo.»
Mirabile interprete della classe che incarna la missione storica dell'epoca contemporanea, egli intuì che la lotta per la libertà e per la riabilitazione interna coincideva con la lotta contro l'oppressione esteriore, che la libertà delle classi e la conquista della patria sono il risultato dello sforzo per rivendicare un diritto offeso, un possesso negato, che non v'è dignità d'uomini o di classi o di popoli dove la libertà «porta sulla fronte soltanto il segno del beneficio altrui».
Egli intuì, mazzinianamente ora, che la battaglia per l'emancipazione dei lavoratori non avrebbe potuto svolgersi se prima l'Italia non era; che combattere per la liberazione dallo straniero significava combattere per la libertà del proletario di conquistarsi la sua patria, per gettare le condizioni del costituirsi del proletariato in nazione: poiché il proletario, ora «senza patria», ora «senza umanità», traendo dalla consapevolezza della sua disumanità attuale il pungolo e il principio d'azione perla rivendicazione della sua umanità, opera insieme per la conquista reale di quella patria che nell'odierna costituzione sociale gli è negata.
Ma la conquista di coteste umanità e patria effettive non si potrà raggiungere che attraverso la conquista del potere politico, dello stato, mediante l'elevarsi del proletariato a classe nazionale, il suo costituirsi in nazione.
Solamente quando i lavoratori avranno ottenuto quella concreta «cittadinanza nello Stato» che oggi non hanno, solamente quando codesta cittadinanza permetterà loro di tradurre in realtà positiva il loro diritto al libero esplicarsi della loro personalità, solamente allora la Patria sarà!
Pensava infatti Aulo Magrini, col Mazzini e con Marx, che finché uno solo degli uomini del lavoro non è rappresentato nello sviluppo della vita nazionale, finché uno solo di essi vegeti «ineducato fra gli educati» finché uno solo, capace o desideroso di lavoro, langua, per mancanza di lavoro, nella miseria, i lavoratori non avranno la Patria come dovrebbero averla, la Patria di tutti, la Patria per tutti: la quale dunque sarà vera quando, nella futura società del lavoro, sarà abolito ogni privilegio di classe, e tutti parteciperanno effettivamente al governo dello stato, e tutti avranno uguali diritti e perciò uguali doveri; quando sarà non più (come si era voluto che fosse nel recente, malaugurato periodo) «un'amazzone gonfia di boria, stoltamente fastosa in pubblico e crudelmente pitocca in casa, che si benda gli occhi con la bandiera e cerca la gloria nel sangue», bensì una madre amorosa, equanime con tutti i suoi figli, tutta volta a diffondere su di loro equamente la luce e il calore della civiltà. Una Madre patria volta ad estirpare la miseria, l'ignoranza e la fame, ad alimentare la forza di espansione del suo lavoro e la virtù del suo popolo di produttori, a estendere la cultura e la giustizia al maggior numero dei suoi figliuoli, a quella grande moltitudine che coltiva la sua terra, che mette in moto e spinge innanzi le sue industrie, che costituisce il nerbo dei suo esercito, che reca il maggior contributo air erario colla formazione delle ricchezze.
Una madre protesa ad innalzarsi nel mondo non in lotta di violenze ma in gara di civiltà, a concorrere alla grande cooperazione del Lavoro dell'Umanità con la somma delle sue facoltà distinte, in una repubblica delle nazioni retta dalle «semplici leggi della morale e del diritto, non dalla forza, ma dall'armonia e dall'integrazione reciproca degli interessi»; in un mondo nel quale vi sia «libertà per tutti, progresso per tutti, associazione di tutti»: «Proletari di tutti i Paesi, unitevi!»
Ecco perche Aulo Magrini potè scrivere, poco prima di morire, nel suo testamento spirituale alla moglie: «Ho creduto e credo fermamente in una società migliore e in un migliore prossimo avvenire di questa povera umanità»; parole che rivelano la pietà e la dolente e pugnace speranza che covano nel fondo di ogni anima squisitamente socialista.
Ecco perché Aulo Magrini fu partigiano e combattente contro i tedeschi e commissario politico della Brigata Garibaldi, continuando l'opera e la tradizione eroica degli antenati e del fratello Ermanno morti combattendo, anch' essi, per la patria «borghese» contro la potenza teutonica sopraffatrice.
Egli volle insegnare con l'esempio alle classi lavoratrici il dovere d'impadronirsi dei misteri della politica internazionale, (giusta l'indirizzo inaugurale del 1864, del Marx), per sottoporne la direzione alle «leggi della morale e del diritto», indirizzarne e rincuorarne la reazione a quella politica che «suscita l'uno contro l'altro i pregiudizi nazionali e profonde in imprese brigantesche il sangue e la ricchezza del popolo», esprimerne lo spirito profondo guidandole alla «grande missione della reciproca cooperazione» fra i popoli.
Egli anelò ad allacciare con un filo ideale la patria, ch'ei volle conquistare ai diseredati, con l'umanità ch'ei volle in essi risvegliare e per essi rivendicare.

Aulo Magrini dunque, pur essendo profondamente sé stesso si espanse si trasfigurò e si immedesimò cogli altri, fu l'uno e tutti, fu lui e la sua gente carnica, austera, tenace nell'operosità e nella coscienza dei suoi diritti e dei suoi doveri, dedita al concreto e alla creazione continua e metodica e rifuggente da ogni vana apparenza. Egli rappresentò il campanile e la patria, si confuse e amò confondersi nell'amore e colle opere, lui professionista, cogli artieri del martello e della vanga, riponendo appunto in questo suo «umiliarsi» la sua esaltazione; si sperse e volle sperdersi, lui commissario politico e suscitatore di partigiani, nella folla dei partigiani stessi, e, essenzialmente, svisceratamente uomo, dei lavoratori e dei partigiani sposò la causa e condivise la vita, riponendo appunto in questa sua discesa, in questo suo agguagliarsi nella pena e nel sacrificio la sua ascesa morale, la sua aristocrazia.
E per suggellare con la vita e con l'azione questa sua aristocrazia istintiva, tutta compenetrata e protesa verso l'ideale dell'aristocrazia dell'avvenire (che scaturirà dall'inesauribile fonte della moltitudine del lavoro), per riscattare la patria da un giogo straniero e redimerla da un passato oppressivo, per ridonare la patria alle classi lavoratrici, per sospingerle ed affrettarle verso il loro avvenire, che sarà l'avvenire dell'Italia veramente «proletaria» finalmente rientrata fra le genti civili, per far riascendere all'Italia la scala dell'immortale giustizia sociale; per questo Aulo Magrini offerse sorridendo all'olocausto supremo la sua vita ancor ricca di speranze e di promesse, seminando avanti il verno della sua vita una primavera di germogli per la nuova umanità in cammino, insegnando (ancora una volta con Mazzini) che l'educazione si fa con l'azione, che l'Italia ha bisogno di uomini che «incarnino in sé una fede e la rappresentino negli atti, d'uomini che insegnino ai giovani con la loro vita l'armonia della pratica colla dottrina».
A questa morte Aulo Magrini marciò impavido, risoluto, ebbro della sua fede come gli eroi della Giovane Italia, pudicamente fiero della sua decisione benché straziato dalla pena che sapeva di arrecare ai suoi cari, perché egli sentiva che doveva prenderla, «per sé e sopratutto per i propri figli» (come scriveva alla moglie nel suo testamento spirituale): come trascinato da un irresistibile turbine intcriore, quasi egli udisse echeggiare nella sua anima profonda la voce divina che aveva parlato agli eroi mazziniani del Risorgimento, che aveva, forse incitato l'anima dei suoi antenati e di suo fratello Ermanno, la voce che diceva:

«...Quando son io
che mando, andate, senza mai sostare,
senza mai riposare. E dove, o Dio?
Tu che devi morire, uomo, a morire ! Tu che devi soffrire, uomo, a soffrire!»

Così cadde Aulo Magrini, lasciando dietro di sé una giovane sposa e quattro figlioletti, gioioso pur nella pungente consapevole tristezza della responsabilità ch'egli si addossava e del dolore che procurava, in un'azione partigiana a cui si era volontariamente offerto, la quale parve ai più allora e pare anche oggi ai ciechi o ai più o meno consapevolmente interessati interpreti infeconda, come vane apparvero ai miopi del loro tempo le gesta degli eroi d'ella Carboneria e della Giovane Italia, come vane appaiono agli occhi degli uomini del buon senso comune e della logica misuratrice tutte le imprese che non danno frutti immediati e concreti, anche se preparano e preludono ai grandi eventi della storia.
Cadde, attestando e suggellando colla morte la sua fede nella resurrezione e nell'avvenire del proletariato e dell'Italia: se è vero che ogni vita si corona nella morte e si deve giudicare alla luce della morte, se è vero che «nella morte si svela il mistero della vita, ia sua essenza celata e profonda.»
Egli che aveva concepito la verità come dura conquista, come fremito d'energia e d'azione capace di alimentare nobili impeti e di generare opere feconde, egli che misurò gli uomini e le cose dai frutti reali che essi danno, si avventurò all'estrema audacia, sapendo che l'azione insurrezionale educa il carattere e foggia le coscienze nuove, che ogni lotta è di per sé conquista, che ogni sconfitta è in realtà vittoria, quando siano sorrette dalla fede e s'irradino e si tramutino in energia e potenza d'azione per gli altri. Il suo trionfo fu nell'osare, non nel suo successo: il suo «vano» cadere avrebbe dovuto illuminare, nel buio dell'ora, la via ai lavoratori e agli Italiani; il suo martirio avrebbe dovuto scuotere, rianimare, orientare!...
Vera tempra d'eroe, se essere eroi significa sapere chi siamo e chi vogliamo essere, prendere coscienza di avere una missione, scoprire in noi una legge, perseguendole ostinatamente, disperatamente, fino al sacrificio della nostra esistenza temporale; se essere eroi significa vivere e sopratutto chiudere la vita in funzione e con l'anima assorta nell'umanità e nell'eternità, agire e volere come in sogno, al di fuori della realtà, dell'ordine
stabilito e dalle consuetudini comuni, con fede indomita nel sogno come se fosse realtà, con una tensione, con uno sforzo sovrumani per colorire, per permeare la realtà del proprio sogno; se essere eroi vuoi dire uscire da noi stessi, dalla casella sociale in cui siamo inquadrati per affrettare con l'esempio e col sacrificio il cammino dell'umanità progrediente, disprezzare le ricchezze e gli agi, allontanarci dolentemente ma meditatamente dalla casa, dalla sposa e dai figliuoli, strapparci alla tranquillità apparente della vita consueta per fremere le divine inquietudini dell'ideale, del periglio e della morte; se essere eroi vuoi dire irridere al buon senso degli uomini «saggi» che tarpa le ali alla volontà e congela il cuore nella morta gora della banale vita del gregge; se eroe è colui che affronta il ridicolo, l'odio é il disprezzo delle persone «assennate», per impregnare l'umanità del suo ideale, per lanciarla verso un migliore avvenire con la sua «follia», per dare un colpo di spalla al cocchio della storia; se l'eroe è sempre intimamente fanciullo, un fanciullo già uomo; se ogni vero eroe è padre di eroi, tende a. scuotere dal letargo e a rendere inquiete le anime, e a suscitare volontà d'eroismo; se ogni eroe muore, perché gli oggetti della sua fede vivano.
Il sacrificio di Aulo Magrini dimostrò che l'Italia e il proletariato erano degni di rivivere e di risalire nel cielo della storia.