Anna Di Qual

Aulo Magrini: la vita di un partigiano

 

(in «Qualestoria», XXV, 2, 2007, pp. 35-75)

[ nota redazionale: l'impaginazione è da rivedere ]



1 - Luint e la profuganza
2 - Gli anni universitari: Padova e Firenze
3 - Il ritorno in Carnia. L'esperienza della Pro Camia: l'analisi del problema igienico-sanitari
4 - Val Pesarina 1928 - 1943: tra famiglia, lavoro e ideali politici
5 - Luglio '43 - luglio '44: un anno da partigiano. Organizzazione, lotta armata ed idee per il futuro
6 - ll dibattito sulla morte
7 - La memoria di Aulo Magrini


Luint e la profuganza

Luint d’Ovaro, in posizione rialzata sulla destra del Degano, è una piccola frazione di una quarantina di case. Fra queste si distingue per l’insolita mole la grande casa Lupieri-Magrini, un’ottocentesca abitazione padronale alpina dall’architettura semplice e dalla nobiltà degli esterni. La famiglia, di origine trecentesca, è benestante grazie ai possedimenti in Carnia, in Friuli e nell’istriana San Vincenti. Nel corso dell’Ottocento un suo insigne membro, Gian Battista Lupieri1, medico socialmente e politicamente impegnato, conferisce al casato un’impronta di impegno civile e politico, di professione medica e di sentimenti patriottici antiaustriaci.

È qui che il 25 settembre 1902 nasce Aulo Luincio Magrini, ultimo dei quattro figli di Arturo e Lucrezia Zanier. I primi anni di vita Aulo li trascorre dunque nella grande casa di Luint, con i genitori, i fratelli maggiori Eugenia, Ermanno e Aurelia2 e la nonna paterna3.

Il dottor Arturo, già medico condotto a Forni Avoltri e Rigolato, in questi anni libero professionista, è un liberale di vecchia data. Uomo molto colto, fin da ragazzo aveva trovato nel nonno Lupieri un punto di riferimento non solo affettivo, ma anche di emulazione nell’impegno sociale e nella vita politica4. Si dedica, infatti, alla politica sia a livello locale, rivolgendo la sua attenzione allo sviluppo agricolo della Carnia, fondando la latteria sociale di Luint, partecipando al dibattito sul cooperativismo, sia diventando consigliere provinciale e candidandosi, poi senza successo, al parlamento. Severo nelle vesti di genitore, Arturo rappresenta a livello familiare un’importante memoria del secolo ormai terminato. Forte è nella casa di Luint il ricordo della figura del nonno Giobatta Lupieri o anche del padre, Antonio Magrini5.
Un ricordo particolare è riservato anche al fratello Giulio che, studente universitario, si era arruolato volontario, sulle orme dello zio Giulio Cesare6, nell’esercito regio nel 1866 per morirvi di tifo. Il dottor Arturo dunque trasmette ai figli l’atmosfera della casa di Luint e i suoi valori: la fede nell’unità e nell’indipendenza nazionale, l’amore per la tradizione medica, una particolare attenzione per la precaria condizione della popolazione carnica e l’inclinazione agli interessi intellettuali e culturali, nonostante la lontananza e l’isolamento del paese rispetto ai centri urbani7.


La madre Lucrezia, invece, originaria di Rigolato gestisce materialmente la piccola azienda agricola di famiglia e, con la nonna Eugenia, è portatrice di una cultura popolare. Italo Guidetti, amico di Magrini fin da ragazzo, ricordandolo a tre anni dalla morte accenna, anche se retoricamente, alla madre, che «crebbe Aulo e gli altri figlioli ad una scuola concreta di operosità, di rudezza parsimoniosa […] soprattutto nel dedicarsi e compiacersi - nonostante la sua agiatezza - dei lavori agresti più umili e faticosi, insegnando con ciò la santità del lavoro»8.


Da questo ambiente Aulo si separa nel 1914 per iscriversi al Liceo Classico Jacopo Stellini di Udine9, che frequenta fino alla seconda liceo. Scoppia nel frattempo la prima guerra mondiale, che vede la stessa Udine diventare capitale di guerra e che per la famiglia Magrini si rivelerà un penoso calvario.
Nel 1916, infatti, il secondogenito Ermanno, arruolatosi nell’esercito, dopo un breve corso per allievi ufficiali, viene inviato con il battaglione Tolmezzo al fronte sul Pal Piccolo, dove muore in combattimento a fine marzo10.
Ma ancora più gravi disgrazie sconvolgono la famiglia. Il 24 ottobre 1917, con la disfatta di Caporetto, la linea del fronte arretra di 130 chilometri e l’Italia in breve perde 308 comuni, occupati dagli eserciti centrali. In Carnia la notizia della rotta militare arriva con i primi profughi provenienti dalla zona del vecchio confine e, di fronte alla minaccia di ritornare ancora una volta sotto una dominazione straniera, l’unica soluzione per molta gente appare l’esodo11.
Anche la famiglia Magrini il 29 ottobre decide di lasciare le proprie terre per sfuggire all’imminente arrivo «dei barbari ». Partono da Luint su un carro il dottor Arturo, la moglie Lucrezia e Aurelia. Eugenia, la primogenita, resta, invece, a casa, «fra i suoi compaesani per assisterli e rincuorarli in quest’ora tragica»12. Sul carro manca anche Aulo, con il quale la famiglia non ha modo di comunicare né di conoscerne il destino in quanto questo si trova a Udine.
In difficili condizioni climatiche i Magrini, a tratti in carro a tratti in treno, attraversano il passo della Mauria per arrivare fino a Belluno e dirigersi quindi a Bologna. Accidentalmente, il dottor Arturo a Padova si separa dalla restante famiglia; l’imprevisto dà vita a un’odissea in cerca della moglie e della figlia. Il ricongiungimento avviene ad Imola il 7 novembre: «Ho ricucito finalmente la mia famiglia», esclama sollevato Arturo nel suo diario. Aulo verosimilmente lascia Udine13 assieme ad altri studenti ed al preside del liceo e, seguito un percorso diverso che lo porta in Brianza14, giunge in Emilia Romagna.
La famiglia ricomposta si stabilisce quindi ad Imola, dove il dottor Arturo lavora come medico all’ospedale militare e si impegna nell’opera di assistenza dei profughi; Eugenia, raggiunti i familiari, riparte nuovamente come volontaria crocerossina. Aulo, invece, riprende le lezioni presso il Liceo classico Torricelli di Faenza, dove si diploma nel 1919 15.

Durante l’occupazione i Magrini subiscono pesanti perdite materiali: la casa di Luint viene saccheggiata, gli animali requisiti, l’officina idroelettrica, la segheria e i mulini, di cui erano comproprietari, vengono distrutti. E non solo: Eugenia, la secondogenita, muore a soli 23 anni ad Imola, alla metà del novembre 1918, «per male16 contratto in servizio»17.


Le onde degli austriaci, dei bosniaci, degli ungheresi e dei germanici hanno saccheggiate e devastate completamente le case dei profughi; hanno spogliato quelle dei rimasti fino ai più umili oggetti di biancheria personale; hanno depredato il bestiame; hanno sfruttato vandalicamente i boschi iniziandone e preparandone l’inverno imminente il taglio raso completo; hanno asportato macchinari, attrezzi, metalli; hanno compiuto con sistematica e selvaggia depredazione la brutale rapina dei sacri bronzi […] E non basta. La gente valida è stata internata; donne fanciulli e vecchi sono stati costretti a trascinarsi per centinaia di chilometri. Dopo gli orrori della fuga sotto l’uragano e la mitraglia, dopo la dispersione incredibile e la coartazione poliziesca, dopo gli stenti di un anno con un sussidio che appena permette loro di non morire, dopo il flagello dell’epidemia che ha fatto strage delle accolte di quei poveri corpi debilitati, si sono aggiunte le privazioni sempre maggiori per vertiginoso rincaro dei viveri, si è aggiunta ora la certezza delle devastazioni che li attendono, e sopraggiungono i rigori dell’inverno senza che per la maggioranza di essi nessun provvedimento intervenga a coprire le loro membra seminude. […] Io faccio appello al cuore dell’onorevole Orlando. Faccia, onorevole Orlando, che le provvidenze del Governo in questo ultimo periodo d’esilio siano larghe; faccia che un’oculata liberalità possa far dimenticare il passato… Ed accelerate, in modo ordinato ma rapido, il rimpatrio dei profughi18.

Così il parlamentare carnico Michele Gortani descrive alla camera dei deputati il 27 novembre 1918 lo scenario della Carnia all’indomani della fine della guerra. Distruzione, fame, drammatico isolamento dettato dall’interruzione delle vie di transito, totale disoccupazione, necessità di «restaurare l’ordine in tutti i comuni, far sentire ovunque e rigidamente l’impero della legge» - come denuncia il prefetto di Udine in una relazione del dicembre del 1918- e il bisogno di affrontare il problema agrario, forse quello più scottante19.
In queste condizioni si trova anche la famiglia Magrini che, dopo più di un anno di profuganza, rientra a Luint. Il traumatico impatto con la realtà di un Friuli devastato si somma alla pesante presa d’atto delle condizioni della proprietà e al dramma di aver perso due giovani figli. Difficile è riprendere nuovamente la vita, anche perché i tanto richiesti risarcimenti stenteranno sempre ad arrivare. Infatti, l’onorevole Girardini, alto commissario per i profughi, il 3 novembre 1918 firma le sue dimissioni indirizzate al Primo Ministro Orlando in quanto «da un anno uomini politici, studiosi, giornali, congressi, associazioni, chiedono la legge sul risarcimento dei danni e non l’hanno ancora ottenuta».
E alla fine del 1919, a quasi un anno dalla fine della guerra, gli unici provvedimenti adottati dal Governo Orlando a favore delle terre occupate sono l’istituzione del ministero delle Terre Liberate e la corresponsione dei sussidi ai profughi e alle famiglie dei militari. Gli effetti del provvedimento tardano però a raggiungere Luint: a fine 1921 lo stato di famiglia rilasciato dal comune di Ovaro che Aulo allega alla domanda di esenzione dalle tasse, lamenta che «per nulla ancora la famiglia Magrini fu risarcita»20, e ancora nel gennaio del 1923 il dottor Arturo rivolgendosi al rettore dell’università di Padova scrive di aver subito «enormi danni dalla guerra, senza essere ancora momentaneamente risarcito»21.

Gli anni universitari: Padova e Firenze


Nel frattempo il 1° novembre 1919 Aulo si immatricola alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’università di Padova. Frequenta le lezioni universitarie con regolarità, sostiene gli esami con ottimo profitto22 e viene annualmente dispensato dalle tasse non solo per merito e per il primo anno accademico anche in «qualità di profugo»23, ma anche per la precaria condizione economica in cui versa la famiglia24.
E questa situazione sembra aggravarsi di anno in anno: nella domanda di dispensa dalle tasse del 1922, infatti, Aulo scrive: «perdurando - forse più disagiate- le condizioni economiche degli anni scorsi». Alla fine del 1922, ufficialmente in data 10 febbraio 1923, Aulo, pur essendosi già iscritto al quarto anno, lascia, su pressione del padre, l’ambiente padovano per trasferirsi all’università di Firenze. Il motivo del passaggio è da ricercare nei risvolti politici di alcune amicizie che al padre Arturo risultano poco ortodosse. Aulo, infatti, già a Faenza sembra essersi avvicinato, dopo un primo contatto con il Comitato giovanile di propaganda repubblicana, alle idee comuniste.
È del 1919 una nota del dottor Arturo in un pro memoria sulle date nefaste della sua vita che dice con riferimento al figlio: «1919 - Bolscevismo in casa dall’ottobre 1917»25.
A Padova Aulo sembra approfondire queste convinzioni, suscitando una rigida contrarietà del padre, liberale di vecchia data, ostile sia al fascismo che al comunismo. Ciò che determina la decisione dello spostamento è l’incidente in cui Aulo rimane coinvolto, ferendosi ad un polso, durante una manifestazione studentesca antifascista a Padova. Segnalato quale elemento pericoloso, si rifugia per qualche giorno a Luint, temendo l’intervento delle Guardie regie26, quindi chiede il trasferimento. Incuriosisce a tale proposito la richiesta avanzata dal rettore dell’università di Padova di maggiori chiarimenti circa le ragioni dello spostamento. A questa Aulo, già a Firenze, in data 20 gennaio 1923, risponde:

Il sottoscritto non può che confermare in via assoluta le ragioni già accennate nella domanda: le sue condizioni familiari fanno sì che data la notevole convenienza di vita di Firenze rispetto a Padova egli debba per evidenti necessità economiche scegliere per sua residenza di studi Firenze per l’economia che gli è dato così di poter realizzare. Si permette di far notare che il fatto di aver egli chiesto e goduto negli anni antecedenti l’esenzione totale dalle tasse depone a favore di quanto afferma quanto al suo stato di famiglia. Aggiunge poi che studiando a Firenze si trova nella possibilità di fruire nei giorni in cui non è necessario per la frequenza la sua permanenza in città dell’ospitalità di stretti parenti che ha a Pisa e Pistoia: questa possibilità non gli era permessa a Padova.

Undici giorni dopo, il 31 gennaio, lo stesso dottor Arturo si rivolge al rettore, adducendo quale causa non solo le sterili motivazioni economiche della famiglia:

Indotto testé a trasferirsi a Firenze per i suoi studi da più ragioni d’ordine estraneo all’andamento scientifico, e cioè per ragioni economiche (essendo io un vecchio professionista che non lavora ed avendo subito enormi danni dalla guerra, senza essere ancora momentaneamente risarcito), poiché la vita a Firenze costa meno che a Padova; poiché presso Firenze ci sono parenti che eventualmente potranno assistere ecc. ecc. Altre ragioni interessano me come padre e medico a trasferire il figlio e cioè il clima di Firenze più adatto per mio figlio. Inoltre (e riservatamente) mi sorse dubbio che tra studenti padovani, amici di mio figlio, si inneggi aimè troppo a Bacco. Addotte le cause del trasferimento, debbo caldamente pregare l’eccel. Rettore a volere, colla possibile sollecitudine, concedere a mio figlio il congedo necessario per regolarità della nuova iscrizione. Credo mio figlio, troppo giovane e poco pratico d’ogni cosa del mondo, non abbia con tutta ordinanza espletato l’azione per il suo trasferimento da Padova a Firenze ed a ciò attribuisco il ritardo nel disbrigo dei procedimenti del caso.

L’ipotesi che dietro a quegli amici troppo inneggianti a Bacco vi sia una coloritura politica che vada oltre le idee liberali del padre viene confermata da un appunto familiare lasciato dalla sorella di Aulo, Aurelia, che dice: «A Padova trovò un ambiente turbolento dove cominciavano a prendere piede le idee comuniste […]. Aulo non esitò a mettersi nella corrente dei giovani più spinti e prese parte attiva alle dimostrazioni degli studenti. In una di queste dimostrazioni violente si ferì ad un polso». A Firenze la sua carriera universitaria prosegue brillantemente27.
Qui frequenta un gruppo di studenti friulani e carnici, amici probabilmente già dagli anni del liceo. Tra questi il compaesano Italo Guidetti, Egidio Feruglio, col quale nasce una profonda amicizia e che diventerà suo cognato, e Ludovico di Caporiacco, lontano parente, col quale condivide, invece, comuni interessi culturali e un legame di frequentazione familiare, ma una netta contrarietà di vedute politiche. Questi, infatti, aderisce fin dall’inizio allo squadrismo fascista, partecipando alla marcia su Roma; Aulo invece si dimostra dichiaratamente antifascista. Interessante è un passaggio di una lettera del 1921 di di Caporiacco a Feruglio in cui scrive:


Aulo, in rispueste a une nestre C.P. di auguri di Pasche mi-nd’à mandàde une cun su scritt «Berrei un litro di quel buono, se pattar potresti un tuono, e con ti duçh i fascisti» e Aurelia i-à zontât «e iò invecit ò bevaress il sanc di Lenin e compagni». Ciononostante o’ proviôt che ançhe Aulo un dì o chell altri al finirà par «saltare il fosso» e vignì cun nô.28
[Abetone 1923. Secondo da sinistra Aulo Magrini e secondo da destra Lodovico di Caporiacco. (in B. Agarinis Magrini, Lettere dall’Argentina a Egidio Feruglio, Pasian di Prato 2006, p. 172)]

La sorella Aurelia probabilmente si esprime in questo modo per le pene che l’adesione del fratello alla dottrina bolscevica provoca alla famiglia. Nell’appunto già citato Aurelia, ricordando quegli anni, continua:



Sebbene l’ambiente fiorentino fosse più tranquillo, anche politicamente, Aulo continuò non solo ad interessarsi alla politica estremista, ma, specie durante le vacanze si tenne a contatto con i compagni e in Carnia cercò e trovò seguito, specie fra gli operai…Divenuto più prudente, evitò di avere noie ma fu pur sempre vigilato,
tanto da essere controllato dalla polizia e da subire nel 1925 una perquisizione. Da questa ne esce pulito, grazie all’abilità della sorella, che prima dell’arrivo dei carabinieri nasconde la tessera di iscrizione al partito comunista di Aulo nel suo cestino del materiale da cucire.
Questo fatto viene riportato anche sull’«Emancipazione»29 di Trieste in data 23 maggio 1925:
Fede destinata a vincere. Nella frazione di Luint di Ovaro i carabinieri operarono una perquisizione nella casa del dott. Magrini, il cui figlio, Aulo, studente universitario, è gravemente sospettato cospirare contro il governo, non nascondendo egli la sua fede nella libertà e nell’idea di giustizia sociale. Nell’ampio edificio dei Magrini, che si distingue sul poggio di Luint come un castello, si rinnovano gli episodi di sessanta e di ottanta anni fa: allora i gendarmi austriaci consideravano quella casa un nido di cospirazione contro i dominatori, e ne perquisivano tutti gli angoli per trovare prove di reato. La famiglia del dott. Magrini e quella della sua consorte diedero combattenti a tutte le guerre per l’unità e l’indipendenza dal 1848 al 1918, e i nomi dei loro caduti attestano la fede che anima quella casa, dove il culto della libertà si trasmette di padre in figlio. È naturale che il giovane Magrini non traligni dalle severe tradizioni avite. Ed è quindi naturale che i carabinieri cerchino corpi di reato di cospirazione nella casa giustamente sospetta. Ma il corpo di reato come invano lo cercavano i gendarmi, così non lo trovarono i carabinieri: esso fu e rimane inafferrabile e sequestrabile: è pensiero, è sentimento, è fede30.


Dopo questo avvenimento, Aulo scrive all’amico Feruglio, in Argentina, confidandogli le sue preoccupazioni riguardo a future azioni fasciste nei suoi confronti e, forse spinto dalle serie circostanze, esprime la volontà di andare a esercitare la professione in cui si sta per laureare in regioni più disastrate quali la stessa Argentina o anche l’Africa.
Nella sua risposta Egidio Feruglio cerca di distogliere l’amico dall’intenzione impulsiva di lasciare l’Italia e lo avverte che i fascisti «dei dispetti non te li risparmieranno. Ho però fiducia – continua - che l’ambiente locale, così riservato e poco entusiasta nei riguardi della corrente dominante, serva da moderatore dei troppi animosi e dei provocatori, rari, io credo, tra i fascisti carnici»31.


Il 7 luglio 1925 Aulo si laurea con una tesi su L’ipertensione arteriosa32, ottenendo l’ottimo risultato di ottantotto novantesimi. Esprime sin da subito la volontà di rimanere a Firenze, dove poter intraprendere una carriera universitaria, ma ancora una volta il rigido padre esige il suo ritorno in paese.
Dopo aver sostenuto l’esame di stato nel novembre del 1925, concorre al posto di medico condotto a Forni Avoltri; ottenuto il posto, lo esercita fino al 1929.

Nell’ottobre del 1928 nella chiesetta di Santa Caterina a Luint, dopo un lungo fidanzamento, si celebra il matrimonio tra Aurelia, la sorella di Aulo, ed Egidio Feruglio, ormai promettente geologo, rientrato da pochi mesi in patria dall’Argentina dove si era recato come tecnico geologo presso gli Yacimentos Petroliferos Fiscales governativi. Pochi mesi dopo il matrimonio, nel marzo del 1929, la giovane coppia decide di intraprendere assieme la via dell’Argentina in quanto, come lo stesso Feruglio confida all’amico Desio, nonostante le difficoltà, «laggiù i mezzi di lavoro sono illimitati. Qui non c’è da fare per me. Troppe limitazioni. Preferisco per ora far ritorno in quel paese», per svolgere come capo della commissione per le ricerche petrolifere nuovi e più approfonditi studi33.

Nello stesso anno, il 20 maggio, muore ormai settantacinquenne il dottor Arturo. La morte del padre comporta per Aulo un doppio cambiamento: uno a livello familiare, assumendo dunque il ruolo di capofamiglia; l’altro a livello professionale. Da Forni Avoltri ottiene il trasferimento a Prato Carnico, dove prende in affitto una stanza nella frazione di Pieria, avvicinandosi così a Luint.
Prato Carnico, inserito nella Val Pesarina, distante una decina di chilometri da Ovaro, era noto, fin da fine Ottocento, come il centro della montagna friulana dove il movimento operaio era stato fra i più precoci e radicali, con la formazione della sezione socialista pesariana già nel 1900, una cooperativa di consumo, una sezione locale dell’emigrazione e della lega edile, la casa del popolo ma anche con un numeroso gruppo anarco-sindacalista separatosi dai socialisti nel 1910.
Una tradizione, questa, che aveva trovato ampia continuità nell’immediato dopoguerra, con la folta partecipazione dei lavoratori alle lotte del biennio rosso, e che aveva dimostrato la capacità di superare le diverse correnti (socialista, anarchica e comunista) nei momenti di maggiore tensione; come nel caso della difesa di Prato dalla ventilata spedizione dei fascisti all’inizio degli anni Venti. All’arrivo di Magrini a Prato Carnico ovviamente le cose sono ampiamente cambiate: il fascismo è al potere da sette anni ed è entrato anche nel paese, sebbene solo dopo la vittoria a livello nazionale. Indubbiamente però il ricordo di quegli eventi rimane saldo nella memoria collettiva dei pesariani tanto da determinare il modo di reazione della valle all’otto settembre 194334.



L’esperienza della Pro Carnia: l’analisi del problema igienico-sanitario

Nel 1930 Aulo Magrini prende parte come ispettore, membro del Consiglio direttivo 35, ad un lavoro d’èquipe operante in Carnia promosso da Michele Gortani. Si tratta dell’Associazione Pro Carnia, fondata a Tolmezzo nel 1927, dichiaratamente apolitica, il cui scopo è riunire tutti coloro (enti, industriali, commercianti, privati) che hanno interesse allo sviluppo economico e soprattutto turistico della regione:

Promuovere e incoraggiare tutto ciò che può tornare utile alla prospettiva economica della regione, anche per diminuire la necessità dell’emigrazione degli operai: sistemazione dei boschi montani, utilizzazione delle acque, impianti industriali, intensificazione delle culture agrarie […], istruzione specialmente operaia e professionale36.

Oggetto di studio è dunque una regione che dalla guerra era stata in grado di risollevarsi soltanto parzialmente e con fatica, soprattutto grazie allo sbocco migratorio; che non aveva trovato nelle amministrazioni locali dei soggetti capaci. Una regione che era stata totalmente dimenticata dallo Stato e pesantemente colpita dalle scelte economiche nazionali del regime.
Gli anni 1925-26, infatti, con la «battaglia del grano», con la «quota 90», con la riduzione dei salari del 10-15% rappresentano per l’intera montagna l’inizio di una crisi estesa, con il conseguente e ulteriore impoverimento della popolazione. Questi anni di depressione mettono in ginocchio i già deboli equilibri carnici. A essere pesantemente colpiti sono i settori di primaria importanza nella ripresa dell’economia montana: l’allevamento bovino, la produzione casearia, il commercio dei legnami. Il tutto è aggravato anche dal pesante costo dei trasporti ferroviari, di gran lunga superiori rispetto alle altre regioni e il cui sviluppo era stato ampiamente negato dallo stesso governo – nel 1923 il governo fascista aveva sospeso il progetto di una linea ferroviaria Villa Santina-Calalzo - . A ciò si sommano negativamente le decisioni prese a partire dal 1927 sulla ristrettezza dell’emigrazione, da sempre praticata in Carnia come unico mezzo di salvezza dalla pesante disoccupazione (il censimento del 1931 annota che su 60.000 residenti in Carnia, 8000 sono emigrati temporanei, 18.000 sono disoccupati)37.

Di fronte a questa difficile situazione molteplici sono i settori che i soci o le persone incaricate dalla Pro Carnia studiano: trasporti, economia, turismo, istruzione, igiene e pubblica assistenza. Quest’ultima sfera viene trattata dal dottore Aulo Magrini, che intitola il suo intervento Il problema igienico-sanitario in Carnia, inserendosi così nella tradizione familiare di attenzione e denuncia delle precarie condizioni sanitarie del popolo carnico, inaugurata dal bisnonno Gio Batta Lupieri.38


Le condizioni sanitarie di una regione che come la Carnia presenta peculiari caratteristiche dal lato geografico, etnico, economico-sociale, demografico, non potrebbero esaurientemente illustrarsi e nei loro fattori e nello stato attraverso brevi cenni, ma solo attraverso una breve disamina accurata e completa.


Così esordisce Magrini nel suo intervento che prosegue con un’analisi sistematica dei vari aspetti determinanti le precarie condizioni igienico-sanitarie della regione. In primo luogo il clima alpino che se da un lato può contribuire a rendere più robusta la costituzione degli abitanti, dall’altra è anche causa di gravi conseguenze sulla loro salute. Passa dunque a una dettagliata panoramica socioeconomica.
«La regione - osserva Magrini - è povera e le scarse ed insufficienti risorse agricole» sono affidate alle mani di donne e bambini, in un continuo e deteriorante auto-sfruttamento. «Chi ha visto può solo rendersi conto delle gravissime conseguenze che dal lato igienico da questo stato di cose deriva»: madri incinte, con bambini in spalla, che si sottopongono, «come bestie da soma», a sforzi eccessivi già in condizioni normali così come gli stessi bambini, con conseguenze per lo sviluppo di questi. L’autore denuncia perciò le leggi che tutelano il lavoro delle donne e dei fanciulli, applicate nei grandi centri, ma «da noi lettera morta e ignorata».

Un altro problema «che ha esercitato ed esercita sulla salute della gente carnica una notevolissima influenza diretta ed indiretta, con conseguenze immediate e lontane» è l’emigrazione maschile, causa di «pericolosi focolai» di malattie contratte nelle precarie condizioni di lavoro e alloggio all’estero e importate nei paesi natii al momento del ritorno in patria; la conseguenza peggiore e più preoccupante è, a lungo termine, la perdita dell’età migliore e il depauperamento qualitativo della razza. Anche le condizioni degli abitati e delle strutture pubbliche sono oggetto delle attenzioni di Magrini che notifica:
l’assoluta mancanza di piani e norme per la sistemazione degli abitati o per lo meno la loro non osservazione hanno fatto sì che un vero stato di anarchia in fatto di edilizia regolasse le costruzioni: basta citare… l’addossamento di una costruzione all’altra spesso in immediata vicinanza se non in continuità con stalle, porcili, concimaie; così la deficienza numerica e di area delle finestre , l’uso di serramenti antiquati ed irrazionali, la errata distribuzione ed utilizzazione dei locali, la mancanza di impianti igienici i più elementari: basti dire che avviene troppo sovente di vedere una costruzione di notevoli dimensioni mancante di un gabinetto che deve poi appiccicarsi a far bella mostra di sé su una parete esterna magari con pavimenti e condutture di legno a delizia dell’olfatto e dell’igiene. Unica attenuante l’assenza o deficienza di sufficienti e razionali impianti di acquedotti (che là dove presenti risultano senza alcuna garanzia dal lato batteriologico) e fognature (assenti in metà dei comuni carnici) pubbliche.


Il tutto conduce alla scarsa igiene personale, dettata appunto dalla mancanza di locali appositi, anche negli ambienti scolastici, cui - propone- potrebbe porre almeno parziale rimedio la costruzione di bagni pubblici. Non diversa la situazione delle cucine «in cui il nostro popolo trascorre la maggior parte delle giornate» invernali. Nonostante i miglioramenti in luminosità e pulizia acquisiti negli ultimi decenni, continuano ad avere una scarsa aerazione, cosa gravissima in quanto «oltre alla permanenza di molte persone di ogni età, dal lattante al vecchi (con relativa pipa), e spesso di malati, si hanno le esalazioni più o meno piacevoli della cucina utilizzata spesso anche alla preparazione del cibo agli animali, ad asciugare panni, al riscaldamento». Mancano concimaie razionali, che provocano lo scorrimento di materiali attraverso gli abitati, con conseguente nascita di vivai di insetti. Del resto,


la provvidenziale legge intesa a regolare questo campo, il limite fissato della quale scade nel prossimo anno, è finora rimasta lettera morta se non addirittura ignorata: è urgente e necessario che i Comuni si facciano promotori di questo risanamento attraverso un’opera di persuasione, di propaganda, di aiuto e dal lato tecnico […] e dal lato economico.


Dichiara quindi la necessità di macelli pubblici che ovvierebbero all’assenza di pulizia di quelli privati, e ancora una doverosa riorganizzazione igienica dei caseifici. D’altronde,

non essendo nella quasi totalità dei Comuni possibile l’istituzione di un vero e proprio regolatore dell’abitato, sarebbe però urgente si provvedesse di autorità a far sì che in ogni comune viga e sia osservato il Regolamento d’Igiene ed annesso a questo si applichi un conveniente Regolamento Edilizio.


Affronta poi la sfera alimentare, mutata radicalmente nell’ultimo cinquantennio per i nuovi generi alimentari importati dagli emigranti. Un cambiamento rivelatosi tuttavia disordinato e disorganizzato, «senza che di pari passo procedesse l’educazione igienico- alimentare , mentre le peggiori condizioni di lavoro, le malattie sociali diffusissime, le intossicazioni croniche, (alcolismo), rendevano molto meno apprezzabile il vantaggio dell’indubbio miglioramento qualitativo e quantitativo», derivante dal relativo miglioramento economico. «E se da un lato possiamo rallegrarci della scomparsa di vari casi di pellagra imputabili ad un’unilaterale e deficiente alimentazione maidica, dall’altro dobbiamo tener conto di una notevole serie di affezioni dell’apparato digerente prima ben più rare ed ora più che frequenti».
Di qui la convinzione dell’utilità di educare le «nostre donne su quanto riguarda preparazione e scelta degli alimenti, ciò che attraverso alberghi, scuole, pratica dimostrazione è sperabile si possa ottenere».

L’autore dunque si volge a osservare il tema della natalità e della mortalità nella regione, indagando sulle più frequenti cause di morte e di invalidità e sulle malattie più diffuse. Tra queste, quelle infettive che continuano ad essere «considerate con troppa leggerezza» tra le quali dominante è la tubercolosi, e quelle parassitarie. In effetti, la tubercolosi era responsabile per il 15-20% della mortalità complessiva in Carnia, ma i provvedimenti per combatterla erano da lui considerati inadeguati: «Qui più che mai, dati i limitati attuali presidii terapeutici accessibili, la lotta è questione di denaro in quanto anche l’opera più assidua ed intelligente e la comprensione da parte del popolo, non bastano se i mezzi non permettono continuità e completa razionalità nell’azione». E dopo aver analizzato i numeri dei pazienti visitati presso il dispensario antitubercolare di Tolmezzo negli anni 1926-28, i ricoveri del Consorzio provinciale antitubercolare ed il numero delle persone accolte nelle colonie marine, conclude amaramente sottolineando «l’inadeguatezza dei mezzi di cui dispone questo benemerito Ente» e ammonendo:


Bisogna insistere sul fatto che moltissime delle forme subdole iniziali, in cui con adatti provvedimenti si potrebbero sperare notevoli vantaggi, sfuggono all’accertamento […]. La graduale applicazione della assicurazioni contro la tubercolosi e la possibilità di disporre di molto più larghi mezzi da parte del Consorzio antitubercolare restano l’unica grande speranza in questo campo.


Dopo aver preso in esame varie affezioni e aver proposto possibili soluzioni alla loro diffusione, Magrini affronta l’abuso di alcol, notando «l’uso notevole ed eccessivo delle bevande a forte gradazione», vista la composizione, prevalentemente femminile, della popolazione. Tenuto anche conto della qualità scadente delle bevande e l’abitudine di consumare nella giornata festiva quanto andrebbe dilazionato nell’intera settimana, elenca le conseguenze che ne derivano sulla salute (cirrosi epatiche, gastriti, miocarditi; turbe mentali e nervose; conseguenze anche sulla discendenza), ma anche quelle sul bilancio familiare: «molto si deve e può ancora fare in questo campo con una sana e realistica propaganda e con un’energica opera di controllo e repressione».

L’assistenza ospedaliera «rappresenta un altro grave aspetto del problema sanitario locale».
Due gli ostacoli principali: la lontananza dei paesi carnici dagli istituti ospedalieri e la questione finanziaria. Al primo, per Magrini, si potrebbe por rimedio con l’istituzione di un servizio di autoambulanze, progetto «più volte ventilato, …ma tuttora allo stato di idea». Del resto, «qui l’inefficienza è colpa e le amministrazioni devono provvedere dato che in Carnia è inutile attendere la beneficenza privata, la cui pianta non pare trovi adatto clima per vivere». Il secondo problema è legato alle spese sanitarie ospedaliere, alle quali i comuni si devono sottoporre ingentemente, senza usufruirne:


Ma si tratta di spese [quelle per i ricoveri provinciali] sacrosantamente necessarie che il condannare aprioristicamente sarebbe incivile e antisociale. Se invece osserviamo le spese sostenute fuori provincia dei nostri comuni per cure e ricoveri ad aventi domicilio di soccorso nei comuni stessi troviamo che relativamente sono alte», in quanto coloro che potrebbero usufruire di servizi ospedalieri al di fuori della provincia di Udine, per lo più lavoratori emigranti, se malati preferiscono rientrare al proprio paese… Viene fatto di chiedersi se sia giusto e logico i Comuni debbano sostenere questo aggravio per cure a persone che spesso appena in grado di produrre emigrano e sono altrove sfruttate, anziché porle a carico degli Enti o Privati per cui lavorano e dove anche per cause di lavoro ammalano. L’assicurazione malattia potrà radicalmente risolvere il problema per l’avvenire.


Chiede dunque sia attribuita la massima importanza non solo al Consorzio antitubercolare, ma anche all’assistenza domiciliare («almeno finché una maggiore e migliore organizzazione ed attrezzatura permetta una ben più radicale e proficua opera attraverso reparti speciali e sanitari»). Ma anche quest’ultimo è un campo nel quale


pare si debbano imporre ancora limitazioni oltreché la sospensione dei ricoveri per le forme ossee…, mentre imitando le norme per l’assicurazione antitubercolare, si era ed esempio iniziata la distribuzione di buoni viveri agli ammalati a domicilio; ora ciò non può avvenire che dietro esame clinico-radiografico al dispensario. Cosa logicissima e giusta -prosegue-, ma di cui forse chi più ha bisogno sentirà prevalentemente il danno non potendo affrontare i disagi e le spese di viaggio fino al Capoluogo. Inoltre dal 1° gennaio 1930 le prestazioni dispensariali in Tolmezzo non saranno più gratuite che per gli iscritti agli elenchi poveri delle rispettive Condotte Comunali: gli altri ammalati ( e quanti sono?) dovranno pagare".


L’ultima problematica affrontata è quella dell’ospizio marino friulano. Nel 1928 questo aveva ospitato solo il 13% dei bambini della Carnia e del Canal del Ferro; la cosa suscita gli interrogativi di Magrini: «Quest’anno abbiamo avuto in Carnia un campeggio di Balilla; perché dalla Carnia l’ONB non può provvedere all’invio al mare dei piccoli della regione?». E laconico commenta che anche l’ONM e l’ONB mirano al taglio delle spese:


Si può dire che i piccoli paesi che non hanno la fortuna di avere dei patroni attivi ed anche influenti, risentono di più di questo stato di cose, tanto più grave in quanto anche in questa grande opera il vantaggio è più spesso sentito dai centri urbani o da chi vive a contatto coi medesimi: ciò a dispetto di tutte le belle parole riguardanti l’urbanesimo o la lotta contro lo spopolamento dei monti.Ed indubbiamente, ripeto, la Carnia va incontro ad un gravissimo decadimento demografico non solo dal lato quantitativo ma - e forse maggiormente - dal qualitativo.


Al termine della sua dettagliata analisi Magrini conclude individuando sei punti da sviluppare, che rappresentano le linee giuda di un programma di risanamento della condizione sanitaria carnica. L’intensificazione dell’osservanza delle disposizioni di igiene; la revisione dell’organizzazione e l’istituzione della Polizia Igienica e degli Uffici sanitari; la risoluzione del problema ospedaliero (spese, ricovero, ambulanze); la richiesta di un contributo dei comuni all’assistenza, con l’incentivazione di mutue sanitarie; il ricorso a privati ed enti pubblici per l’opera di assistenza e previdenza per le malattie sociali; e prima di tutto l’educazione all’igiene del popolo per mezzo di scuole, conferenze, dopolavoro.

L’intervento, che riscuote una certa diffusione e viene pubblicato in versione ridotta su «La Patria del Friuli»39, si inserisce nell’intento della Pro Carnia di promuovere lo sviluppo turistico della regione. Ben presto però l’attenzione dell’associazione va concentrandosi su un ventaglio d’ingenti problematiche che scavalca di importanza l’aspetto turistico. Nascono così studi che analizzano la grave condizione della montagna carnica, denunciando aspramente la mancanza di attenzione da parte dello Stato e delle amministrazioni locali. Sono descrizioni realistiche, prive di quella trasfigurazione della povertà carnica incentivata dal fascismo e ralizzata soprattutto dagli intellettuali liberali della Società Filologica Friulana, quale locus amoenus lontano dai mali della modernità e culla della vera civiltà friulana40.

Tra gli altri studi, spiccano quelli relativi alla rete viaria ed ai trasporti, di cui si evidenzia la «necessità di una razionale… e definitiva sistemazione dei mezzi di trasporto, sistemazione che in qualche caso richiede l’intervento dello stato, giacché tale sistemazione deve formare il caposaldo per risolvere il gravissimo problema della situazione economica»41; quelli dedicati alla situazione economica e all’istruzione, «settore gravemente in crisi, che per un anno e mezzo ha assorbito la maggior parte della nostra attività» e per il cui sviluppo si sollecita, tra l’altro, lo sforzo di portare a Tolmezzo un istituto magistrale ed un liceo scientifico.

Ma tutti questi studi, benché stampati ed ampiamente diffusi, rimangono inascoltati; tutte le proposte lettera morta. E, infatti, il presidente dell’associazione Gortani, nell’assemblea dei soci dell’11 luglio 1931, prima di rassegnare le dimissioni, così si esprime:


Se diamo uno sguardo allo svolgimento complessivo della nostra attività, dobbiamo constatare come, nonostante il buon volere, i nostri sforzi per il progresso della Carnia si siano pressoché sistematicamente infranti contro ostacoli sopra tutto di ambiente… Ci siamo dovuti persuadere, in particolare, che le difficoltà intrinseche alla soluzione dei problemi più importanti non potranno essere superate fin tanto che i dirigenti della Carnia non uniranno fraternamente tutte le loro energie; fin tanto, cioè, che i dirigenti tolmezzini non avranno ampiezza di vedute e di programmi, altezza di ispirazioni e idee, sollecitudine per il miglioramento spirituale e materiale della popolazione, desiderio intenso e fattivo del bene e del progresso di tutta la Carnia, così da lasciare da parte le scorie, da superare pregiudiziali di personalismi ed ideologie, e da raccogliere intorno a sé, in uno slancio di passione e di collaborazione fraterna, tutti coloro che possono dar opera al conseguimento di quei nobilissimi fini42.


Finiva43 a quattro anni dalla sua nascita un’esperienza che avrebbe lasciato un segno non solo in Magrini, ma anche in molti carnici, e che sarebbe riemersa durante la breve esperienza del Governo partigiano e più tardi, con la formazione della Comunità Carnia.


Val Pesarina 1928- 1943 tra famiglia, lavoro ed ideali politici


L’attività professionale conduce spesso Magrini a scendere a Tolmezzo, a frequentarne l’ospedale, gli uffici comunitari. Conosce in questi anni Margherita Regina, terzogenita del primario dell’ospedale e medico condotto di Amaro e Verzegnis, il dottor Umberto Cecchetti, che sposa il 24 aprile 1933 a Tolmezzo.

Pochi mesi dopo il matrimonio a Prato Carnico, dove Aulo si stabilisce con la sposa, accade un avvenimento singolare e di particolare rilevanza. Il 16 maggio, infatti, muore in un incidente stradale nella periferia di Parigi Giovanni Casali di Pesariis, il Palu?an, pronto a ritornare definitivamente al paese natale, dopo più di dieci anni di emigrazione. Il Casali nel corso degli anni aveva acquisito nell’intera vallata una certa fama come anarchico, ma soprattutto una grande stima in quanto punto di riferimento e aiuto per molti carnici emigrati in Francia. Alla volontà della moglie di riportare la salma in paese presto si aggiunge quella di alcuni compagni di lavoro e di ideali del defunto di fare della cerimonia una manifestazione contro il regime. Così il rito civile del 1° giugno, al quale partecipano più di un migliaio di persone, non risponde più solo alla spontanea pietas dei canalotti44 di accompagnare la salma lungo l’ultimo viaggio, ma, onorando apertamente un «rivoluzionario», assume anche i connotati di una dichiarazione di dissenso al potere costituito. Tanto più che nel cimitero, dove il corteo si riunisce, prendono la parola Osvaldo Fabian, Luigi D’Agaro, Odorico Gonano. Il primo a parlare, Fabian, dopo aver ricordato la laboriosità del defunto e aver fatto accenno alla Francia come «terra del pensiero e del progresso», rinnova l’impegno morale assunto dai compagni di non desistere dalla lotta; D’Agaro ripercorre la vita di Casali, di cui sottolinea la voluta emigrazione in quanto: «Tu hai avuto questi ideali. Non hai voluto cedere […]. Tu sei morto, ma le tue idee non moriranno»45.

Il regime non tarda a reagire: due giorni dopo l’episodio, i carabinieri di Ovaro procedono all’arresto degli autori della manifestazione per i quali viene deciso il confino. Il Prefetto di Udine, Temistocle Testa, interpellato dal Ministero, estromette il Segretario politico e il Podestà di Prato Carnico, che avevano partecipato taciti al corteo. Redige quindi un resoconto degli avvenimenti di Prato, da «sempre la roccaforte del comunismo e dell’anarchismo friulano al punto da essere spavaldamente appellato la Paterson del Friuli» «si è reso da tempo tristemente noto per l’indole ribelle dei suoi abitanti invasati da idee anarcoidi che acquisirono in lunghi anni di emigrazione all’estero», e propone il confino per nove dei tredici arrestati, già rinchiusi nelle carceri udinesi. Le richieste del Prefetto vengono ridimensionate dalla Commissione provinciale per il confino. Cinque sono le persone destinate all’isola di Ponza: Luigi D’Agaro, Osvaldo Fabian, Italo Cristofoli, Guido Cimador per i quali sono previsti cinque anni; un anno invece a Edoardo Monaci. Gli altri nove arrestati vengono rilasciati dopo una ventina di giorni, alcuni ammoniti, altri diffidati «a titolo d’esperimento». Con questo provvedimento l’obiettivo prefisso è di eliminare dal contesto pesariano cinque elementi che in loco sono considerati pericolosi. Sono coloro che hanno vissuto quell’epoca di lotte conclusasi nel 1922; rappresentano una memoria storica di classe che non vogliono disperdere. Uno degli scopi che gli organizzatori si erano posti nella realizzazione del funerale era proprio la volontà di trasmettere alle nuove generazioni un esempio concreto del comportamento politico della vallata prima dell’avvento del fascismo. L’atteggiamento dei canalotti, in un primo momento di paura, rivela un profondo senso di avversione per queste intimidazioni, come dimostrano altri esempi degli stessi anni o degli anni seguenti frutto del rifiuto, anche se istintivo e solo in parte cosciente, del regime fascista. La solidarietà dimostrata verso gli arrestati e le loro famiglie da parte non solo della vallata, ma anche dai centri di emigrati in Francia e America rappresenta ancora una volta l’implicito appoggio agli ideali dei condannati.

Anche Magrini, come tutta la popolazione di Prato Carnico, partecipa alla cerimonia, senza prendere parte all’organizzazione del funerale. Di certo è un avvenimento che segna profondamente la coscienza di tutta la comunità, compresa presumibilmente quella di Aulo, peraltro legato da amicizia a Luigi D’Agaro, uno dei confinati46.

A distanza di un anno il regime è ancora causa, seppur indiretta, di un allontanamento anche nella famiglia Magrini. Nell’aprile 1934 la sorella di Aulo, Aurelia, il cognato Egidio e loro figlia Anna, rientrati dall’Argentina solo due anni prima, e stabilitisi, con l’intenzione di rimanervi definitivamente, a Tricesimo, lasciano dolorosamente l’Italia per ritornare nuovamente in America Latina, dove sarebbero rimasti per ben quattordici anni. Il motivo alla base della nuova partenza è l’impossibilità di Feruglio di inserirsi nell’ambiente accademico, come invece per merito e titoli avrebbe potuto, a causa del suo incondizionato rifiuto a prendere la tessera del partito fascista. Dopo collaborazioni all’università di Roma e Bologna tra l’aprile del ’32 e il marzo ’34, infatti, Feruglio è il candidato che si prospetta vincente nel concorso per la cattedra di geologia all’università di Torino. Ma da questa viene escluso appunto per la sua mancata adesione al partito47. «Se non avessi altra possibilità per mantenere me e la famiglia, forse m’indurrei a piegarmi; ma potendo ritornare in America, la coscienza non me lo permette», risponde Feruglio - come ricorda Gortani - alle pressioni dei colleghi e degli amici sorpresi per la decisione48. I contatti fra le famiglie Magrini-Feruglio, nonostante la distanza, si mantengono comunque numerosi e affettuosi nel corso del lungo e sofferto «esilio».

Poche sono le notizie riguardanti la vita di Aulo negli anni Trenta: sappiamo che svolge l’attività di medico in Val Pesarina, nella cui comunità si integra bene. A contatto quotidiano con una realtà misera e precaria studia e introduce una specie di mutuo sanitario: l’acquisto a basso costo di una tessera sanitaria con cui poter ricevere le cure mediche per l’arco di un anno, ovviando così alle spese cui i malati sono sottoposti. Resta ancora memoria tra gli anziani del paese, poi tramandata anche alla generazione nata dopo la guerra, della disponibilità che dimostrava nel proprio lavoro: viene, infatti, denominato, già nel corso degli anni Trenta, «il medico dei poveri». Intanto, per la coppia Magrini, in affitto al primo piano della casa D’Agaro a Pieria, quegli anni segnano la nascita di quattro figli maschi: nel 1934 nasce Ermanno, nel 1937 Umberto, nel 1941 Giulio e nel 1943 Fabio. Nel gennaio del 1940 muore invece la madre Lucrezia, all’età di settantasette anni.


Luglio 1943- luglio 1944: un anno da partigiano. Organizzazione, lotta armata e idee per il futuro


È possibile riprendere le fila del discorso solamente dal 1943, precisamente dal 25 luglio: «Il 25 luglio, verso sera la radio ci portò la notizia folgorante… Un abbraccio convulso di gioia mi unì ad alcuni altri compagni accorsi, primi fra essi il dr. Aulo Magrini medico del paese...»49. Con queste parole Osvaldo Fabian, fondatore della sezione pesariana del Partito comunista, oratore al funerale di Casali e per questo confinato, ricorda l’annuncio radiofonico dell’arresto di Mussolini, della caduta del fascismo e della formazione del nuovo governo Badoglio. Il sentore di una guerra ormai finita è generale; nella piccola frazione di Pieria, così come in tutta Italia, la gente scende in piazza, inconsapevole di essere di fronte invece all’inizio di una nuova fase, ancora più cruenta. La nuova fase del conflitto, che ha inizio l’8 settembre, rappresenta anche per la Carnia un esercito allo sbando. L’importanza strategica della regione, punto di passaggio per l’Austria, inoltre spinge Hitler a firmare il 10 settembre un decreto che dà vita al Litorale Adriatico, territorio comprendente le province di Udine, Gorizia, Trieste, Istria, Lubiana e Quarnaro, annesso al Reich. Il Friuli e la Venezia Giulia nei giorni immediatamente successivi subiscono dunque l’invasione delle unità della Wermarcht e dalla divisione Göring50 e sono assoggettate ai nazisti. Il 21 settembre su «Il Popolo del Friuli» il comando nazista pubblica un avviso rivolto ai militari italiani che sarebbero potuti rimanere in Friuli purché avessero dimostrato di avere «un’occupazione civile»; in caso contrario sarebbero stati deportati. Viene inoltre impartito l’ordine di consegnare le armi e le munizioni e sono minacciati di severe punizioni quanti avessero collaborato con alleati e partigiani51.

La maggior parte dei soldati sbandati non risponde ai richiami tedeschi e, cercando di abbandonare le proprie divise, sale in montagna dove trova una certa solidarietà da parte della popolazione. È in questo momento che anche in Carnia si formano spontaneamente, senza alcun genere di filtro né selezione, i primi gruppi partigiani. Sono gruppi eterogenei, formati essenzialmente da soldati allo sbando e da antifascisti di vecchia data; reparti paesani con forze limitate se non nulle e non collegati gli uni agli altri. Anche in Val Pesarina si iniziano nuovamente a tessere quei rapporti che vent’anni di regime avevano pesantemente sfilacciato. A Prato Carnico appare evidente il collegamento e la continuità tra le lotte degli operaisti ed antifascisti delle origini e quelle dei primi partigiani. I quadri della nascente resistenza sono, infatti, nomi già incontrati: Italo Cristofoli, Aldo Fabian, Innocente Petris, Guido Cimador, lo stesso Aulo Magrini. Sono tutti antifascisti di vecchia data52, che hanno subito perquisizioni, controlli, provvedimenti di confino e che ora, all’indomani dell’8 settembre, «ammaestrati dalle esperienze passate», provvedono «a riannodare le fila e rinforzare le attività del Partito e delle organizzazioni operaie»53.

L’obiettivo principale che questo primo gruppo organizzativo si pone, con le riunioni di ottobre presso la casera Patossera, tra Ovaro e Prato Carnico54 e dell’11 novembre all’albergo Martinis di Ovaro55, è quello di educare i soldati saliti alla macchia e la stessa popolazione, per portare su un piano attivo di combattività lo spirito di passiva opposizione al fascismo e ai tedeschi56. Presto però l’avanzare della brutta stagione costringe questi primi reparti a sciogliersi, ad abbandonare le montagne e scendere a valle, nascondere le armi per rimandare tutto alla prossima primavera.

Durante l’inverno 1943-44 la Carnia gode ancora di una relativa tranquillità. I generi alimentari tesserati vengono distribuiti con una certa regolarità, mentre il teatro delle operazioni belliche è ancora lontano. Se non è ancora matura una discesa in campo armata da parte partigiana, è da segnalare l’opera di preparazione da parte di un gruppo che si differenzia da quello di semplici nuclei armati slegati fra loro. Sono vecchi antifascisti che «durante tutto l’inverno in ogni valle della Carnia tentarono in vari modi di far affluire armi e viveri nella nostra zona. Fra gli altri ci piace ricordare Scav (Cicco), Aso, Nembo e Magrini che fecero quanto era umanamente possibile per preparare in forza un movimento partigiano»57.

Risale a questo periodo il traffico di armi, la raccolta di denaro e l’emissione di un prestito le cui cartelle girano in Carnia, non trovando però che pochi e sporadici acquirenti. Altro obiettivo dei primi quadri resistenziali è quello di bloccare la deportazione dei soldati italiani in Germania. Giunge ordine da Mario Lizzero «Andrea», dirigente regionale del Partito comunista, di rallentare l’operazione nazista sulla linea ferroviaria della Pontebbana, provvedendo a farla saltare. L’incarico è affidato al rappresentante comunista pesariano, Osvaldo Fabian, «Elio», che recupera presso la miniera di carbone di Cludinico l’esplosivo per far saltare alcuni metri di binario. Partecipano al progetto anche Magrini e Cristofoli, «Aso», che confezionano l’esplosivo in pacchi già pronti e lo collocano parte in una grossa valigia, parte in un voluminoso involucro, consegnati da «Aso», alla stazione di Carnia, a un compagno ferroviere58. A partire soprattutto da ottobre inoltre, dopo i ripetuti richiami alle armi dei giovani nati nel 1924, si innesca un’intensa propaganda antifascista e antinazista per persuadere i giovani a rifiutare le cartoline precetto. Vengono diffusi volantini, ad opera anche dello stesso Magrini che li riceve nel suo ambulatorio per mano di altri antifascisti59 e che provvede poi a ridistribuirli. L’opera di organizzazione tecnica risulta però molto difficile e poco fortunata: scarsi sono i viveri che giungono e miseri i finanziamenti. Per tutta la durata della stagione invernale, fino agli inizi del nuovo anno, il comando nazista sembra dare poca importanza ad un movimento di «ribelli» limitato e con scarsa se non nulla capacità d’azione.

Solo con la ripresa primaverile ha origine un vero movimento carnico di resistenza, la spinta organizzativa del quale viene dal Battaglione Garibaldi-Friuli. Questo, inizialmente operante nella zona del cividalese, dopo una rappresaglia nazista a fine dicembre si era rifugiato sulla destra del Tagliamento. Sul monte Ciaurlec, nello Spilimberghese, Mario Lizzero ordina la divisione in cinque gruppi del battaglione. Uno di questi, formato da sette individui, tra marzo e aprile giunge in Carnia; si affianca ai reparti locali preesistenti soprattutto dell’ampezzano e della Val Pesarina. Da questa zona d’origine, in breve tempo, il movimento partigiano «preparato da apostoli quali Nembo e Magrini»60, si estende a tutta la Val Degano passando attraverso la Val Calda alla zona circostante Paluzza, comprendendo Treppo Carnico ed estendendosi fino ad Arta Terme. La diffusione comporta una nuova opera di educazione della popolazione, attuata con comizi tenuti di valle in valle, con i quali viene spiegata la necessità di passare alla lotta armata61. Inizia dunque l’azione sistematica di disarmo del nemico: attacco alle caserme dei carabinieri, a repubblichini isolati per procurare le armi necessarie ad un numero sempre maggiore di individui che salgono in montagna. Alla presa di posizione partigiana si contrappone ben presto un'opposizione tedesca. Se in un primo momento scarsa è l’attenzione nazista, a partire dal gennaio 1944 i tedeschi cominciano a considerare progressivamente il pericolo della guerra partigiana con una certa preoccupazione. Iniziano le denunce, le repressioni a danno degli antifascisti, i mandati di cattura che colpiscono innanzitutto Fabian e Cristofoli; in aprile, un pesante denuncia raggiunge Magrini, che è costretto alla macchia e a lasciare la famiglia e il lavoro. Così Fabian ricorda l’arrivo di Magrini, che assume il nome di «Arturo» in memoria del padre:


Una notte sentii bussare alla porta del casolare di montagna ove mi trovavo da qualche tempo ed aprii pistola in pugno: Aulo Magrini (Arturo) assieme a due compagni mi abbracciò annunciandomi cha aveva saputo che i fascisti avevano spiccato un ordine di cattura contro di lui e che perciò anch’egli aveva preso la decisone di iniziare la clandestinità e la lotta in armi sui monti. Passai alcuni giorni lassù con lui tra i pini in operosa preparazione dell’imminente inizio della lotta armata, in continui contatti con compagni ed in mille altre attività62.



Inizia dunque, nei primi giorni di aprile, la vita clandestina di Aulo Magrini che saltuariamente nelle ore notturne ritorna in paese, presso la propria abitazione, per vedere e trattenersi alcune ore con la moglie, i bambini e la famiglia D’Agaro63.

Parallelamente all’organizzazione delle forze armate e all’azione di attacco dei contingenti nazi-fascisti, si sviluppano già dalla primavera del ’44 anche spinte politico-amministrative, per ora slegate e spesso solo a livello programmatico, ma che si pongono alla base dell’esperienza del governo della Repubblica partigiana carnica dell’estate- autunno ’44. Primo passo in tale direzione è il programma di riforma agrario-forestale proposto a Vinaio dal parroco don Zaccomer, “Frazac”, e messa in atto dall’osovano Romano Zoffo, “Barba Livio”, con lo scopo di far fronte alla grave situazione alimentare della zona. L’obiettivo è quello di disboscare un territorio di proprietà comunale, ripartirlo in parti uguali tra le famiglie del paese, per la coltivazione della terra64.

A questo progetto si oppone vigorosamente Magrini, in quanto il terreno in questione è proprietà comunale e non «latifondo boschivo creato in Carnia con l’usura e lo strozzinaggio65». Nel corso dei mesi resistenziali, andando al di là del timido tentativo di riforma agraria vinaiana, Aulo amplia il suo campo di intervento. Non pensa solo alla realtà contingente, ma in un’ottica di lungo periodo delinea l’assetto politico-amministrativo della Carnia in una nuova Italia liberata. Non si limita dunque alla questione della ridistribuzione delle terre, ma abbozza la concessione di ampie autonomie locali, capaci di contrastare l’accentramento statale, auspicando non solo il superamento dell’apparato amministrativo fascista, ma anche dell’assetto pre-fascista. Alla fine del mese di aprile, tra il 24 e il 27, a Puinchs, tra Ovaro e Lauco ad una riunione dei quadri resistenziali, invitato dal commissario generale Mario Lizzero, Magrini espone il suo pensiero: “la Pro Carnia”. Questo progetto prevede «non soltanto il superamento del comune inteso come produttore di servizi sociali, ma ricollegandosi all’antico libero comune, saltava tutta l’impalcatura napoleonica per giungere all’istituzione di un Consorzio di liberi comuni ed altri enti», come il consorzio dei boschi carnici, la cooperativa carnica di produzione, lavoro, consumo e credito, l’Ente di economia montana e la Bonifica montana, il Consorzio per l’istruzione professionale, l’Ente autonomo per le case popolari, le Società operaie di mutuo soccorso, i Consorzi di latterie. Una comunità consorziale, con la presenza di comuni ed altri enti, espressione del «potere autonomo» della Carnia, in grado di usufruire dei beni comuni, «in modo autonomo nel quadro dell’interesse più generale della Carnia e del paese66».

«Egli pensava –dice Lizzero- alla concessione di ampie autonomie locali, in una Italia basata sulle autonomie, rompendo lo stato accentratore; pensava alla piena valorizzazione delle culture locali ed anche alle parlate minori accanto alla lingua italiana»67. Magrini racchiude in questo progetto, di cui parla spesso non solo alle riunioni dei quadri ma anche tra i compagni di battaglione68, la profonda conoscenza della sua terra e delle problematiche connesse, forte dell’esperienza della Associazione Pro Carnia degli anni Trenta.

È questa una proposta che, come quella di “Barba Livio”, eredita dal socialismo riformista prefascista quel programma di uso democratico delle grandi proprietà comunali, da utilizzarsi liberamente contro disoccupazione e fame, e di lotta contro i vincoli forestali69 secondo un tentativo di autogestione dello sviluppo attraverso organismi pubblici70. Ma non solo: è anche e soprattutto il frutto di quella elaborazione di autonomismo e decentramento che caratterizza l’intera resistenza italiana, soprattutto nel pensiero giellista e azionista, e che in Carnia sfocia nell’estate dello stesso anno nell’esperienza del governo della Zona Libera71. E non è l’unica proposta di autonomia locale in un disegno di riorganizzazione complessiva dello Stato nazionale che la Resistenza carnica disegna. A guerra appena finita, infatti, l’idea trova un autonomo sviluppo nel pensiero dell’osovano Romano Marchetti, vicino a indirizzi azionisti, che elabora la formazione della Libera Comunità carnica. Un progetto la cui ispirazione originaria però non riesce a superare la stagione della Resistenza: alla sua nascita ufficialmente, infatti, la Comunità Carnica si rivela, a seguito di una vera e propria svolta moderata, un organismo ormai svuotato delle sue istanze più riformatrici72.

Si intensifica nel frattempo l’attività delle formazioni partigiane e la conseguente reazione nazifascista. Il 1° maggio in Val Pesarina si organizza una manifestazione per festeggiare la ricorrenza, con la formazione di un corteo preceduto da uno sciopero nella Val Degano. E lo stesso Magrini prende parte attiva alla preparazione. «Su incarico di Magrini compilai il seguente manifesto che fu largamente riprodotto col ciclostile e fu affisso ovunque in Carnia, suscitando vivo interesse», ricorda Fabian nella sua autobiografia:


Carnici,

Il tracotante nemico, contro il quale vi siete battuti così valorosamente nel passato, ha occupato ancora una volta le nostre contrade. Sorretto in questa nefasta opera dai segugi fascisti che hanno portato l’Italia alla rovina. Il barbaro nemico vuole i nostri figli e sposi. Vuole predare il nostro bestiame e le nostre misere risorse.

CARNICI

Un gruppo di animosi, figli della nostra terra, ha levata alta sui monti la bandiera di Garibaldi. La bandiera della Libertà. Con le armi in pugno: sono i nostri figli. Aiutateli, sorreggeteli! Uomini, donne siate tutti uniti nella lotta comune.

CARNICI

in piedi. Né pace né tregua al nemico.

IL COMITATO DI ZONA DEL PCI

73.




Affiggendo questo e altri simili manifesti74, si invita la popolazione a sostenere segretamente e silenziosamente l’opera di «alcune falangi di volonterosi…[che] difendono con le armi in pugno l’onore e la dignità della patria mutilata dal fascismo e dai tedeschi». Inoltre viene sparsa la notizia che a Prato si sarebbe svolta una grande manifestazione politica per celebrare, per la prima volta dopo la caduta del fascismo, la festa del 1° maggio. Fabian così continua la cronaca di quella giornata:


In quel giorno a Prato la manifestazione fu imponente e commovente. Su una marea di gente sventolavano numerose bandiere rosse e alcuni cartelloni con slogan antifascisti e spiccava alto un grande quadro con il ritratto di Garibaldi mentre la nostra fanfara in testa al corteo diffondeva nell’aria le note dell’inno dei lavoratori e dell’internazionale.


Probabilmente i toni sono un po’ enfatici, ma un’indisturbata manifestazione partigiana, per quanto minima, in un paese ricco di tradizioni insurrezionali ha un certo significato. E la reazione dei nazisti non tarda a venire; l’8 maggio un’autocolonna di tedeschi arriva in Val Pesarina e, fermatasi tra Prato e Pesariis, punta i cannoni verso la montagna di fronte colpendo alcune malghe, sedi partigiane. Vengono quindi perquisite e incendiate alcune case in paese. Il bilancio è di un morto e un ferito. Anche la casa di Aulo Magrini viene perquisita e la moglie, Margherita, viene trattenuta e interrogata. Così la signora Margherita racconta l’avvenimento:


Vengono a chiedere di lui, del «capo dei ribelli» - rispondo ch’era partito per ragioni di cura- mi trattengono così tutto il giorno, mi fanno molti interrogatori e mi lasciano libera la sera, in grazia dei miei bambini, con la minaccia di venirmi a prendere se mio marito entro un mese non si fosse presentato e di bruciare la casa. Questo il sistema tedesco. Sgombero la casa, porto i bambini dai miei e giro smarrita per un mese tra Padova, Bassano, Rovigo, dai parenti. Aulo scrive pieno di entusiasmo e di fede - la Carnia è in mano dei partigiani eccetto Tolmezzo - tagliano i viveri75- non importa - le donne della Carnia passano tra le pallottole e vanno in Friuli a prendere pane e polenta76.

La famiglia Magrini si trova dunque divisa: Aulo in montagna, la moglie alla ricerca continua di un asilo sicuro, i quattro figli con i nonni materni a Tolmezzo. Margherita fa ritorno in Carnia, dopo più di un mese, quando la situazione sembra migliorata e si rifugia assieme ai figli a Collina, località di Forni Avoltri dove Magrini aveva lavorato per quasi quattro anni77. Benché i contatti tra Aulo e la famiglia siano ormai difficoltosi e rischiosi, viene mantenuto un occasionale rapporto epistolare; il 19 maggio dalla clandestinità scrive alla moglie:


La mia vita è tracciata, io sento che è l’unica e la migliore e la seguo con slancio e con decisione, confidando nella giustezza della causa, nella nostra volontà decisa, negli avvenimenti che ci daranno ragione e nella prossima vittoria che ci darà pace e libertà. La burrasca è forte ma passerà lasciandoci più uniti e sereni che mai. Pensa alle immani tragedie di tutto il mondo. Noi eravamo stati finora dei pochi privilegiati non investiti dalla tempesta: ora non abbiamo potuto evitarla e bisogna saperla affrontare con fermezza.


Tra aprile e maggio, nel frattempo, le fila partigiane tendono ad ingrossarsi; ciò permette una più definitiva organizzazione militare. Dalle azioni di disarmo si passa all’attacco vero e proprio, alla ricerca del nemico per batterlo nei suoi punti più delicati nel tentativo di estendere il raggio dell’azione partigiana. Dalle riunioni dei primi giorni di giugno avvenute tra Socchieve ed Ovaro nascono i tre battaglioni della Carnia: “Friuli”, gravitante su Tolmezzo e Villa Santina; “Carnico” nella zona di Moggio e Amaro e “Carnia” operante in tutta la zona estrema delle testate delle valli: Comeglians, Paluzza e Paularo come zone di partenza, con zone di azione anche in Cadore, verso Santo Stefano e Sappada, in Austria da Paluzza e Paularo, fino a Pontebba. Comandante di quest’ultimo battaglione viene nominato Ciro Nigris «Marco», giovane universitario ampezzano rientrato dalla Russia, e commissario politico invece Magrini.

L’importante compito della costante educazione politica, della formazione e della cura dei rapporti fra i partigiani e la popolazione è affidato ad un uomo ormai quarantenne, con una salda formazione personale e politica. Magrini si rivela educatore severo e intransigente di fronte alle azioni incoscienti e avventate delle giovani reclute. A tale proposito Chino Ermacora racconta: «Mi fu detto che una volta mentre alcuni partigiani scorazzavano per un paese senza motivo plausibile, si piantò in mezzo alla strada e facendoli fermare di botto esclamò: “Finitela di fare i fascisti”»78.

Inoltre Magrini rivolge la propria attenzione alla preoccupante condizione boschiva della Carnia. I boschi comunali e consorziali, infatti, erano da tempo arbitrariamente falcidiati senza alcuna regola, in modo intensivo, soprattutto da parte degli industriali del legno della zona. Di fronte all’indisciplinato taglio dei boschi «il dr. Aulo Magrini che amava moltissimo il bosco ed aveva a cuore gli interessi della gente, indignato mi convocò per studiare il problema ed intervenire in qualche modo»79.
Fabian riceve così l’incarico dallo stesso Magrini di stendere ed affiggere ovunque in Carnia un manifesto contro i tagli abusivi dei boschi:


Il comando militare partigiano AVVISA Si è constatato che nei boschi resinosi sia di proprietà comunale che di proprietà consorziale, viene effettuata un’opera delittuosa di taglio abusivo di piante. Tale fatto costituisce un attentato vergognoso agli interessi nazionali e del patrimonio forestale. Questo fatto deve assolutamente cessare immediatamente.

Contro i trasgressori verranno adottati severi provvedimenti da parte del Comando Militare Partigiani.

Il Comando Militare Partigiani Battaglione Carnia80.


Questo sarà un problema ampiamente affrontato anche dal governo della repubblica partigiana che, riconosciuto il pericolo al quale il patrimonio del bosco carnico era soggetto, legifererà in sua difesa81. Nel frattempo proseguono le azioni di sabotaggio e attacco al nemico non solo in Carnia, ma anche a Santo Stefano di Cadore, alle quali i nazifascisti rispondono duramente con l’incendio di Forni di Sotto il 26 maggio e di Esemon il 9 giugno.


Il 14 luglio Aulo Magrini con un reparto del proprio battaglione si trova a Sappada, dove viene organizzata e portata a termine l’esplosione di un ponte. Di ritorno da quest’azione si ferma a Collina per salutare la famiglia: «Ci saluta in fretta abbraccia più a lungo i due più piccoli che non vedeva da mesi», ricorda la moglie82. Quindi prosegue per la Val Calda, dove in un casolare di Zovello trascorrere la notte assieme ai compagni. La mattina seguente, il 15 luglio 1944, un distaccamento del battaglione viene informato che una colonna di tre camion e una vettura, forte di 150 tedeschi, è partita da Tolmezzo in direzione nord. Nella convinzione che si dirigano nella Val Degano per un possibile rastrellamento, il distaccamento partigiano si posiziona per un attacco lungo la strada che da Cercivento porta a Ravascletto. La colonna però imbocca un’altra direzione; è diretta verso il passo di Monte Croce Carnico. Poiché la strada di confine era stata resa inagibile alcuni giorni prima dagli stessi partigiani, il reparto di Magrini decide di spostarsi in Val But per preparare l’attacco alla colonna rientrante presso il ponte di Nojaris di Sutrio, nel punto in cui la strada che corre lungo il But è sovrastata da una parete a picco. Giunti sul posto, i garibaldini trovano già una squadra osovana all’opera nel tentativo di sbarre la strada con dei tronchi. In un veloce incontro fra il comandante del battaglione garibaldino, Ciro Nigris «Marco», e quello osovano, Terenzio Zoffi «Bruno», viene concordata la strategia di attacco. Il reparto osovano si posiziona sul lato destro del torrente, parete rocciosa e spoglia, mentre quello garibaldino sull’altura sovrastante la strada, suddividendosi in gruppi di due-tre uomini. La colonna nazista, dopo aver subito già un attacco in località Enfre Tors, quindi con le armi pronte all’uso, giunge sul posto. Quando le macchine tedesche sono sotto tiro partigiano, viene effettuato il lancio delle bombe, al cui fragore «fece seguito un immediato inferno di fuoco di armi automatiche e di una mitragliera da parte dei tedeschi». L’azione dura trenta minuti, dopo i quali la pronta e pesante reazione nemica costringe i partigiani a ritirarsi83.
Il reparto garibaldino, come concordato, si riunisce a Cercivento di Sotto; mancano all’appello Aulo Magrini e Ermes Solari, «Griso». «Ritenendoli ancora per via, fu mandata una pattuglia guidata da Enore: ma essa ritornò portando il corpo di Arturo colpito al volto, sullo zigomo sinistro, e al piede destro»84. Nel combattimento perdono la vita oltre a Magrni anche Ermes Solari e l’osovano Vito Riolino.



Il dibattito sulla morte


È a questo punto doveroso dedicare una parentesi alla ancora attuale questione sulla morte di Magrini. La morte in combattimento del commissario partigiano per mano di soldati tedeschi, infatti, è stata messa in dubbio a favore della tesi di una morte accidentale, se non addirittura programmata, per mano partigiana. Il primo a farne accenno è Antonio Toppan, storico ovarese, che nel 1947 parla di una morte avvenuta «in seguito a colpo d’arma da fuoco; ma da qual lato partì il colpo non è stato ben chiarito. Si danno varie versioni». In Val Pesarina e in Val Degano ognuno si schierava e si schiera ancora oggi per una versione o per l’altra, andando così probabilmente anche ad alimentare la stessa narrazione del fatto: «Circola con insistenza [la voce] che egli sia stato un bersaglio occasionale, se non premeditato»85.

L’avvenimento viene ripreso da Giorgio Pisanò, che lo ampia anche con alcune informazioni errate. Parla di un Magrini democristiano, cattolico professante, appartenente alle formazioni «bianche» degli osovani e ucciso per l’inclinazione politica e la vena moderatrice su ordine di «Mirko», il capo garibaldino, da Enore Casali, «Olmo», «di nota fede comunista». E argomenta:

Il dottor Magrini, allorché venne raggiunto dalla pallottola mortale, portava con sé, in una borsa tenuta a tracolla, circa 300 mila lire (20 milioni di moneta odierna) che rappresentava il tesoro della banda, e alla cintura, una pistola con il calcio di avorio. Quando la salma del capo osovano venne ritrovata, si constatò che la borsa era scomparsa e così pure la pistola. Qualche tempo dopo però il prezioso revolver apparve nella fondina di Olmo. Non fu difficile ricostruire la verità86.

La responsabilità di Enore Casali, «Olmo», viene ribadita anche in una lettera privata scritta nell’immediato dopoguerra da Gino Pieri a Fattori, in cui dice di sapere «Olmo» responsabile dell’uccisione di Magrini87. La questione riemerge quasi trent’anni dopo, nell’estate del 1994, in un dibattito sui giornali provinciali suscitato da un primo articolo di Natalino Sollero che scrive: «Aulo Magrini “Arturo” colpito alle spalle»88.

La risposta di Giulio Magrini non tarda: «Le testimonianze dei partigiani presenti, dei medici, degli amici e dei parenti che raccolsero il corpo sono indiscutibili ed omogenee nella descrizione dei fatti e delle ferite mortali»89.

Segue a breve distanza un altro intervento: la testimonianza raccolta nel 1977 da Luigi Raimondi sul letto di morte di Orlando Puntil «Moro» di Osais. Ex partigiano garibaldino, presente sul ponte di Nojaris al momento del combattimento, «Moro» aveva raccontato:

«Aulo fu colpito da proiettili tedeschi sparati “da sotto in su” e uno lo prese sotto il mento». «Nessuno [dei presenti al combattimento «Aso», «Enore», Ermes Solari e Luino Solari], data la propria posizione, avrebbe potuto ammazzare Aulo e ciò al di là di legami profondi che egli aveva con quei suoi compagni»90.

Nel 1995 il dibattito si rinnova con la pubblicazione del volume Uomini, fatti e misfatti del nord-est di Leo Monutti un cui capitolo è dedicato alle testimonianze di due garibaldini, Emilio D’Agaro «Tempesta» e Ruggero Vidale «Morgan» in merito al combattimento di Nojaris. «Tempesta» ricorda che, durante l’attacco reso difficoltoso da una pronta risposta nemica, «si tirava a casaccio, senza prendere la mira». Per questo si sposta con il compagno «Morgan» lungo la scarpata, in direzione della vicina galleria per controllare la strada […] e il pendio coperto di noccioli che dal piano viario saliva verso noi […]. Pensando che i tedeschi avessero gettato la spugna, cominciammo a scendere lungo la strada. Vedemmo tre nemici correre lungo il greto del fiume. Sparai. Un tedesco cadde… «Hai ammazzato uno della Osoppo!» mi disse Aulo Magrini giunto inavvertito da dietro. «Ma non vedi che ha la borsa della maschera antigas?» fu il mio rimando. [Accertatosi con un binocolo, Magrini prosegue:] «Sì è vero, è proprio un tedesco». Poi aggiunse: «Andiamo giù a fermarli alla galleria!». Anche se si sentivano ancora spari ritenevamo la partita ormai chiusa, tanto che Magrini si mise lo sten di traverso alla giubba… allineati, ci incamminammo lungo il piano del costone. Fatta una decina di metri, dalla cortina di noccioli… all’improvviso comparvero tre tedeschi impugnanti maschinen-pistole. Ricordo come oggi il primo: portava gli occhiali ed aveva le stesse, precise fattezze di un mio compaesano… Urlarono prima di sparare. Nonostante la sorpresa «Morgan» fece rapido dietrofront, come anch’io verso il gruppo di partigiani sopra la curva della provinciale. Le pallottole mi attraversarono la topaia degli scarponi ed il fondo dei calzoni. Magrini restò in piedi, sul ciglio del costone, tentando di impugnare lo sten. Spiccava per il cappello da garibaldino in testa, la giubba mimetica e la borsa in cuoio dei documenti. Con la coda dell’occhio lo vidi cadere contorcendosi. La salma di Magrini rimase sul posto dello scontro. I tedeschi non presero lo sten al contrario la borsa di cuoio con i documenti.

La stessa versione viene ribadita da Vidale.

A dieci anni di distanza, nel 2004, viene pubblicato un libro di Gianni Conedera intitolato L’ultima verità, in cui è nuovamente e dettagliatamente ripreso l’avvenimento.
Sul piano d’Alzeri, si era collocato il comando garibaldino, composto dal commissario Magrini, dal «Com. C» e dal «Com. Y» […]. Il «Com. Y» racconta: «Durante l’attacco al convoglio tedesco mi trovavo sul prato sovrastante la ripida boscaglia che scende verso la strada statale. A pochi passi alla mia destra, c’era il Commissario Magrini. Più in là c’era il «Com. C.» […]. Ad un certo punto, Magrini che era alla mia destra, cadde a terra morto. A colpirlo fu un colpo di fucile, uno solo, proveniente dalla mia destra, dalla zona dove si erano posizionati i partigiani di Prato Carnico.[…] Quando il suo corpo fu portato a Cercivento mi dissero era tutto mitragliato di proiettili dopo morto. Per me non è stato ucciso dai tedeschi. Quando è caduto a poca distanza da me, la battaglia era appena iniziata. Da quella parte non c’erano tedeschi91 .

Conedera ipotizza che da parte partigiana il colpo mortale non sia partito casualmente, ma sia stato programmato per due motivi: Magrini avrebbe confidato ad una persona di Ovaro la difficoltà di comandare le fila del suo battaglione92. Inoltre, viene ripresa la tesi avanzata da Pisanò su «Olmo», esecutore dell’assassinio di Magrini e pochi giorni dopo di Cristofoli «Aso», e per questo processato e condannato a morte dagli stessi partigiani93.
La pubblicazione di questo volume ha innescato ancora una volta un acceso dibattito sui quotidiani provinciali94; da una parte con la ripresa delle testimonianze di «Tempesta» e «Morgan» e con la precisazione di Diana Fabian sulle propria testimonianza, secondo lei mal interpretata da Conedera. Dall’altra con la tenace difesa del proprio lavoro da parte dell’autore che tuttavia tace le fonti sia orali che archivistiche comprovanti la propria tesi.

La questione è dunque molto delicata anche perché ha assunto toni a volte violenti e denigratori. In questo luogo ci pareva doveroso riportare le diverse versioni. Si nota certamente la mancanza di coerenza delle varie testimonianze partigiane, dettate probabilmente dalla distanza temporale rispetto all’avvenimento in cui sono state raccolte. Ciò che appare fortemente contraddittorio d’altro canto è la penosa stima fatta ne L’ultima verità dei colpi di arma inferti al corpo di Magrini. Si parla innanzitutto, da parte del Com. Y, di «un colpo di fucile, uno solo», quindi di «una raffica di mitra alla schiena», voce raccolta da Giacomo Del Negro, un incuriosito sutriese giunto sul luogo a battaglia finita, per terminare con «due piccole pallottole nella testa» estratte da Diana Fabian.

Per concludere, un’ulteriore testimonianza: Tiziano Dalla Marta, accorso alla chiesetta di Pieria per ricomporre il corpo del defunto, lo ricorda trafitto sotto lo zigomo sinistro e al piede destro95, come anche secondo la testimonianza del comandante Ciro Nigris. Inoltre, sempre Dalla Marta racconta che, a breve distanza dalla morte, alla vedova Magrini erano stati consegnati da parte nazista alcuni documenti di Aulo sequestrati dal corpo esanime96. La cosa andrebbe a collidere con l’affermazione del Com. Y, secondo la quale «i tedeschi quel giorno non sono saliti sul pianoro d’Alzeri, altrimenti vedendo Aulo morto, l’avrebbero portato via per identificarlo».




La memoria di Aulo Magrini


Alla sua morte, Aulo Magrini lascia un’eredità sicuramente positiva non solo alle fila partigiane, ma all’intera popolazione carnica. E questo si riscontra fin dalla cerimonia funebre. La salma di Magrini, recuperata dai partigiani garibaldini in Alzeri a battaglia terminata, viene caricata su un carro. Da Cercivento prosegue su una macchina fino a Pieria di Prato Carnico, dove nella chiesetta del paese, è ricomposta dalla moglie e da altre donne. La partecipazione al dolore per la perdita di Magrini già dalla veglia funebre si rivela numerosa: «Durante la notte e il giorno dopo la chiesa continuò a riempirsi di gente in lacrime: turbe di uomini, ragazzi e tantissime donne, provenienti anche dai più lontani casolari o da lontani paesi convennero a piedi a salutare per l’ultima volta il “medico dei poveri”»97. Il mattino del giorno seguente, il 16 luglio,98 a Pieria si raduna una nutrita folla, proveniente da tutta la Carnia e composta non solo da donne e vecchi, ma anche dagli stessi garibaldini99. Le cronache parlano di 6000 persone, cifra sicuramente esagerata ma senza dubbio molta gente prende parte alla cerimonia, che ricorda per partecipazione popolare quella del primo partigiano morto, Del Din, avvenuta tre mesi prima a Tolmezzo. Il corteo parte da Pieria, percorre l’intera Val Pesarina e giunge alla pieve di Gorto di Ovaro. Nel cimitero, per l’orazione funebre prendono la parola prima un partigiano, quindi il parroco 100.

A consolidare ulteriormente l’immagine che Magrini lascia di sé contribuisce anche la lettera che aveva scritto per « Margherita in caso di mia morte»:

Margherita cara, altre volte avevo divisato di consegnare ad uno scritto un pensiero ed una parola per te nel caso io dovessi, per qualunque circostanza, scomparire. La situazione attuale mi consiglia di farlo oggi. A te solo, solo a te posso rivolgermi. So del tuo affetto per me: posso dirti di ricambiarlo in pieno, con un senso di riconoscenza, di stima, di rispetto, quale tu meriti.
Vorrai perdonare qualche mio torto: sei troppo intelligente per non comprendere e non indulgere. So e sento che pur nello strazio anche mio nel lasciarvi, saprai comprendere che ci sono delle leggi e dei doveri, come uomini e come cittadini, di fronte ai quali tutto deve passare in second’ordine, interessi ed affetti, sentimenti ed impulsi.
Ho creduto e credo fermamente in una società migliore e in un miglior prossimo avvenire di questa povera umanità. Non credo possibile, né posso in questo momento, rifuggire dalla responsabilità e dai doveri che me ne derivano. Non è questa che la ferma e calma decisione che chiunque, nelle sue pur modeste condizioni, voglia considerarsi degno del nome di uomo, deve prendere per sé e soprattutto per i propri figli. Ho per tradizione familiare, lo sai, quella di pagare di persona. Non voglio essere io a romperla.
Tengo a lasciare più che mai alto e puro questo punto d’onore ai figli: ed a loro quest’eredità non può venire per via più pura e degna della loro mamma. Ho un solo rimorso: quello di non potervi, con il mio immenso affetto, lasciare anche una situazione mate
riale che tolga ogni preoccupazione a te e ai miei piccoli. Spero non me ne farete un torto: anzi ne sono convinto. Addio Margherita mia, a te ed ai cari piccoli, ai nostri figli, in cui troverai sempre conforto e ragione di vita, di lotta, di sacrificio. E credimi, sentimi vicino a te, a voi tutti sempre con il mio affetto più puro e intenso.

Vi Abbraccia il vostro Aulo101.

Una lettera che da subito diventa testamento spirituale di dominio pubblico, concorrendo a costruire velocemente la memoria di Magrini quale una delle personalità più nobili della resistenza carnica.

Nella vita partigiana la figura di Magrini rimane viva, diventando un modello da seguire. A fine luglio ’44 - visto l’incremento numerico delle fila partigiane - il battaglione “Carnia” si scinde in due nuovi battaglioni. Uno di questi, quello che opererà in Val Pesarina e in Val Degano (zone natali di Magrini), è chiamato Battaglione Magrini102.

Le immagini e i ricordi che vengono a costituirsi in suo onore sono sempre al centro del discorso pubblico partigiano. Nel diario storico della divisione Garibaldi - Carnia, pubblicato nel ’45, è unanimemente individuato quale “apostolo” dell’ideale resistenziale e padre del movimento partigiano carnico103.
Un riconoscimento rinnovato e rinforzato ad ogni commemorazione. A un anno di distanza dalla morte in Val Pesarina si svolgono funzioni religiose e politiche in sua memoria presso il municipio, nella chiesa di San Canciano ed al cimitero104. In questa occasione il CLN cura e distribuisce un foglio unico intitolato: «Aulo Magrini, il medico dei poveri», che continua: «In lui tutti i nostri fratelli hanno un nome più che altri degno, in lui ricordiamo chi morì per vivere eternamente».
Viene tracciata la figura di Aulo, per tradizione familiare di spirito libero e indipendente, medico umile, padre e sposo affettuoso. Lacerato per la lontananza dalla famiglia, ma pronto a sopportarla per un fine superiore. Capo partigiano preparato, primus inter pares, ma anche severamente intransigente nei confronti di azioni ingiustificate da parte di giovani partigiani. Aulo Magrini: «l’apostolo» che «cade conscio di cadere, conscio già da tempo di offrire il suo martirio, apostolo della sua grande idea: ed è qui tutta la grandiosità del suo martirio… c’è in lui lo spirito sublime del Missionario che è vissuto per gli altri e si è immolato per gli altri», il «ribelle nel nome dei sofferenti», «l’uomo» al quale tutta la Carnia ha voluto portare l’ultimo omaggio, «il maestro» che non verrà mai dimenticato. Si insiste dunque sull’umanità dell’uomo e sui grandi ideali di libertà ed indipendenza. La guerra partigiana è inserita all’interno della storia dell’indipendenza nazionale: la resistenza come secondo risorgimento, Magrini come erede degli ideali per i quali la sua famiglia già si era spesa.

In queste occasioni di commemorazione vengono anche diffuse delle fotografie di Magrini, “santini” poi esposti tra le fotografie di famiglia in molte case della Val Pesarina e non solo105.

Nel 1946 la figura di Magrini è inserita in un’antologia per le scuole e il popolo friulano106, il cui fine è quello di ricollegarsi dopo « venti anni di vergognose deformazioni della realtà…alle nostre tradizioni di gente onesta, operosa, salda nel proprio attaccamento alla terra natale107». E per fare questo si ricorre «ai nostri maggiori: ai molti friulani cioè, i quali sopra ogni pensiero ebbero quello della patria, e spesero la vita a renderla più forte, più civile, più cara a Dio e più rispettata dagli uomini»108.
È Chino Ermacora a curare lo scritto su “Il medico dei poveri109. Il taglio dell’intervento appare nuovo. Accanto alla classica retorica che ricollega gli ideali di Magrini a quelli risorgimentali, si affianca un racconto nato dall’incontro con la vedova Magrini. Ermacora, infatti, dedica ampio spazio al lato privato di Magrini, attraverso il quale, indirettamente, risalta l’immagine del partigiano: « … alzato il mio sguardo alla donna, misurai il vero eroismo di Aulo: abbandonare, innamorato, la cosa più bella e più grande ch’egli aveva al mondo, per tradurre nell’azione l’idea110». Riporta dunque l’epistolario che nei due mesi antecedenti alla morte intercorre fra Aulo e Margherita. Uno scambio di affetti e premure, preoccupazioni per aver lasciato una famiglia in difficoltà.

“Per me puoi stare tranquilla, - le scriveva in data 19 maggio - vita non certo comoda, anzi dura, ma sana. E sana oltre che dal lato fisico da quello morale. Spirito alto, decisione irremovibile di lottare e di arrivare alla meta, fede assoluta e cameratismo fraterno anche quando problemi e circostanze possono portare - ed è bene - alla discussione anche vivace… Ti scrivo per la via che sai, per la quale mi farai avere una tua risposta che mi assicuri su te che sei la cosa più bella e grande ch’io abbia mai avuto…” […]

Due giorni dopo, -continua il racconto di Ermacora - il pensiero assillante di aver lasciata la moglie indifesa, in balia del nemico sempre più attento e crudele, gli detta queste altre righe affettuose: “Io insisto però perché tu ti metta in condizione di vivere tranquilla e di non essere troppo facilmente reperibile…
È per te, cara, cara mia piccola, che io soffro, rendendomi conto delle pene che involontariamente e indirettamente ti ho arrecato e ti reco…” Nel frattempo ad evitare l’arresto la moglie si allontana per un mese dalla Carnia. Quando, ritenendosi più sicura, vi fece ritorno s’incontrò col suo Aulo che le apparve un altro, trasfigurato, un ragazzo. Allora soltanto comprese la missione che lo agitava; allora soltanto sentì di appartenergli veramente in una dedizione che superava lo stesso amore: aveva intuito in lui non solo il compagno eletto, ma l’asceta, il quale le ripeteva con piena coscienza di sé: “Faccio questo per amore tuo e dei tuoi figli, per dovere verso la patria e l’umanità”. Nell’ultima lettera leggo ancora:
“… Ti scrivo molto in fretta. Vorrei stare con te a lungo, dirti tante cose. Non posso comunque farlo per ovvie ragioni. La nostra comunione spirituale è tale che anche senza parlare e scrivere viviamo assieme nello stesso mutuo sentimento di affetto. Sta bene. Sta serena e fidente…”111.

Il contributo si chiude con la lettera-testamento finale.

Il personaggio dunque, delineato anche nel suo lato privato e attraverso le parole commosse della vedova, viene inserito in un discorso educativo ed edificante, all’interno di un “museo” delle personalità più importanti del Friuli, dall’età romana alla metà degli anni Quaranta, in una lezione pedagogica regional-patriottica.

A questa memoria già nel ’47 inizia ad affiancarsi una seconda memoria. In questo anno esce, infatti, - coma già ricordato - un libro sulla storia della Carnia nell’ultimo conflitto mondiale in cui l’autore, Toppan, dedica un capitoletto alla morte di Magrini. Dopo aver ricordato la tradizione familiare, dice di Magrini:

« Era uno dei migliori italiani di quassù, e udii più volte delle popolane esclamare in dialetto di Prato Carnico: “Un miadi cussì bon e cussì braf no la varin mai pin nua!” Sincerità e spontaneità popolare»112.

Quindi, per la prima volta in forma scritta, fa riferimento a Magrini quale « bersaglio occasionale se non premeditato» di un colpo d’arma da fuoco non ben identificato. Inizia dunque dal ’47 quella separazione tra la memoria di Magrini, uomo e medico inattaccabile, e la memoria della sua morte, più o meno apertamente attribuita ad una cupa resistenza, sempre più infangata, di cui Magrini stesso resta vittima. Una dualità che col tempo si mantiene tanto da offuscare la stessa figura del Magrini, a scapito invece di una sempre più dettagliata ricostruzione delle circostanze della morte.
Una doppia memoria: da ricordo dei più alti valori resistenziali a ricordo di una uccisione tra partigiani. Ed è quest’ultima che ancora oggi permane e va per la maggiore, con ovvie finalità politiche e con toni anche violenti e denigratori - come si è visto nel capitolo precedente.


Sembrano quasi delle risposte a questa duplice memoria l’uscita nei mesi successivi di alcuni ricordi scritti su Magrini.
Nello stesso 1947 Italo Guidetti, suo amico fin da ragazzo, scrive un volumetto d’una ventina di pagine intitolato Ricordando Aulo Magrini, memoria di un mazziniano, di

colui che incarnò più squisitamente l’anima socialista, la sintesi indissolubile del pensiero con l’azione; colui che amò gli umili, gli oppressi, la gente del lavoro, non di un amore ingannevole sentimentale e praticamente inane, bensì di un amore che si traduceva in odio per l’ingiustizia, per il privilegio…; colui che questi sentimenti tramutò in passione inesausta, in religione e milizia di socialismo, fino al sacrificio supremo.


Guidetti traccia delinea una personalità schietta, criticamente aperta alle problematiche del tempo, contraria alle divisioni di ceto, studioso della misera condizione della popolazione carnica, che lo portava ad un intimo struggimento, e che d’altro canto costituiva anche la spinta alla sua lotta politica. Lotta operaia che Magrini sapeva essere lotta dell’intera umanità; «ribelle reattivo», discepolo della concezione critico-pratica del marxismo, comunista, che negli anni del regime aveva piegato per la famiglia il corpo, ma non l’anima. Poi capo partigiano; la lotta per la patria, una «patria di tutti, la patria per tutti». Guidetti, dunque, procede a un ricordo altamente edificante, se non agiografico dell’amico morto, cogliendone però, al di là dell’enfasi e della retorica, la vera personalità di Magrini e restituendone anche alcuni dettagli caratteriali. I toni enfatici probabilmente vengono usati da Guidetti non solo per ricordare l’amico, ma anche per rivendicare la positività di una guerra, quale quella partigiana, che inizia a essere messa sotto accusa, che

apparve ai più allora e pare anche oggi ai ciechi o ai più o meno consapevolmente interessati interpreti infeconda, come vane apparvero ai miopi del loro tempo le gesta degli eroi della Carboneria e della Giovane Italia, come vane appaiono agli occhi degli uomini del buon senso comune e della logica misuratrice tutte le idee che non danno frutti immediati e concreti, anche se preparano e preludono ai grandi eventi della storia113.


Anche nell’occasione del terzo anniversario della morte l’oratore, Umberto Candoni, all’intonazione celebrativa preferisce quella polemica, frutto della sostanziale delusione ed indignazione di fronte ad una realtà non cambiata dal sacrificio di uomini come Magrini114.


L’anno seguente, nel 1948 è pubblicato Tradizione eroica, di probabile ma non certa mano di Chino Ermacora. Il testo traccia una breve storia della famiglia Lupieri-Magrini, per sottolineare come, alle spalle di Aulo, vi fosse una tradizione patriottica e di volontarismo politico, di cui egli seppe essere il continuatore. La conclusione dello scritto veniva affidata, ancora una volta, all’ultima lettera alla moglie.

Accanto a ciò e con la fine della prima ondata memorialistica della Resistenza, si susseguono nel corso del dopoguerra altre iniziative in sua memoria.

Nel 1949, dopo un iniziale posizionamento del semplice cippo in Alzeri di Piano d’Arta, lungo il ciglio della scarpata, luogo della morte, viene inaugurato il monumento posizionato lungo la strada statale 52 bis, di fronte al ponte di Nojaris. Partecipano alla cerimonia la vedova Magrini con i quattro figli, la famiglia Feruglio rientrata da poco dall’Argentina, ex partigiani osovani e garibaldini. Tra questi Franco Bugliani, allora vice presidente nazionale dell’ANPI, che tiene il discorso di inaugurazione11.
La lapide, realizzata in dolomia cariata (volgarmente tof), nel corso degli anni subisce un deterioramento sempre più visibile. Ne viene sollecitata la rimozione e il riposizionamento da parte di un gruppo di ex partigiani locali, in varie sedi e istituzioni. Di fronte alla negligenza e al disinteresse incontrati, gli stessi ex partigiani provvedono autonomamente alla sostituzione della lapide, tuttora presente.
Questa riprende, anche se ridimensionato, il disegno originale dell’architetto Dalla Marta, sostituendo l’iscrizione «Guerra di liberazione», con «Morti per la libertà», seguita dalla data della morte dei tre partigiani.

Sempre nell’immediato dopoguerra la scuola media di Ovaro116 e la scuola elementare di Prato Carnico gli vengono intitolate117.


Di questi anni è anche il ritratto di Magrini, realizzato dal pittore ampezzano Ghedina che, giunto a Prato Carnico e sentito parlare del partigiano Magrini decide di dedicargli una tela, oggi conservata nella sala consigliare del municipio del paese.

Nel 1957, Aulo Magrini viene insignito della medaglia d’argento alla memoria al valor militare con la seguente motivazione:

Subito dopo l’armistizio prodigava nella lotta di liberazione ogni sua attività rendendo alla causa segnalati servizi come organizzatore e animatore di formazioni partigiane e distinguendosi anche per l’esercizio della sua professione di medico. Combattente infaticabile e valoroso, minava seriamente, con ripetute azioni di guerriglia, la continuità del traffico tedesco nelle Valli della Carnia. Durante un attacco ad una autocolonna nemica dava, di fronte alla pronta reazione tedesca, magnifica prova di intrepido coraggio ed, animando i suoi uomini al contrattacco, cadeva da prode sul campo118.
Va infine ricordata la poesia in lingua friulana dedicata a Magrini da Leonardo Zanier119, intitolata A Magrini da un frut120:


Ce ese il vivi la guera
par un frut
il vivi 'ta guera
par un frut
ch'al gjuia ai partigjans
cui aitis fruts
pai boscs
Ce ese par un frut la muart
se non un vecju ingringinît
e zàl
denti una cassa ch'a
inclaudin
e la int ator ch'a vai
come s'a no capis
ch'a l'era massa vecju
Ce ese la guera par un frut
se no il gjoc plui biel
che i grancj
- come dut -
fascin cence gust
né misura
Ce ese la scuvierta da muart
par un frut
la muart di un om
no di un vecju
jodut tantas voltas a passâ
o crodût di jodilu -
cul sten e il fazzolet ros
par un frut ch'al rît
cjantant cui cosacs
las lor cjanzons
c h'a ur domanda curiôs
ce volel dî:
dobra e mamalika e somaliot
e fikifiki?
e a ur frea las cartatucjas
Forsit no son nuia
ma parcé alora
chê voia di stâ e di cori
di vaî e di vosâ
apena sintût
da doi partigjans
saltats jù dai parafangos
di una baiila in corsa :
«
Aulo l'è muart?»121


Lapide commemorativa posizionata lungo la strada statale 52 bis all’altezza del ponte di Nojaris,
luogo della morte in combattimento di Magrini.





1 (1776-1873) Laureatosi in medicina a Padova nel 1801, svolse l’attività di medico in Carnia e Cadore, dove diffuse l’innesto del vaccino. Ricoprì anche numerose cariche pubbliche, amministrative e militari; un esempio è la carica di capitano della Guardia nazionale del Distretto di Rigolato sia durante «il troppo breve Regno d’Italia» sia nel 1848. Uomo di grandi e svariati interessi culturali, mantenne costanti rapporti con l’ambiente culturale udinese, nonostante l’isolamento del paesino di Luint, dotandosi di una ricca biblioteca, e diventando membro del comitato della Associazione Agraria friulana e socio corrispondente dell’Accademia delle scienze, lettere ed arti di Udine. Partecipò attivamente alla causa dell’unità nazionale, non solo prendendo parte alle discussioni in merito nei salotti della borghesia carnica e friulana, ma anche diventando responsabile, assieme al genero Angelo Magrini, del comitato mandamentale della Val di Gorto dal 1859. Nel 1866 venne insignito, ormai novantenne, dell’onorificenza di cavaliere dell’ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro per il valido concorso da lui dato al compimento dell’unità della patria. Un concorso non solo personale; la famiglia di Lupieri aveva, infatti, perso nelle guerre di indipendenza due membri, partiti entrambi volontari: Giulio Cesare , l’unico figlio maschio di Gian Battista, studente liceale, fuggito da casa all’insaputa del padre, morì nel 1849 nella difesa del forte di Marghera, e un altro Giulio, figlio primogenito di Eugenia e Antonio Magrini, nipote di Giobatta, studente di ingegneria a Firenze arruolatosi nell’esercito regio nel maggio del 1866 e morto nell’agosto dello stesso anno di tifo, contratto durante la marcia di avvicinamento da Cento a Udine.

2 Eugenia (1895-1918), Ermanno (1896-1916), Aurelia (1899-1996).

3 Eugenia, che muore all’età di 86 anni nel 1912.

4 Intensa e con precisi resoconti politici ed intellettuali è la corrispondenza tra Arturo Magrini e il nonno G.B. Lupieri durante gli anni di studio a Udine di Arturo.

5 (1817-1889) medico e musicista.

6 Giulio Cesare Lupieri nel 1848, all’insaputa della famiglia, si arruola volontario nell’esercito di Pepe; muore in combattimento a Marghera.

7 Per un più esaustivo profilo della figura di Arturo Magrini e della sua attività politica e sociale si rimanda a G. Renzulli, Economia e società in Carnia fra 800 e 900, Udine 1978, pp. 177-209.

8 I. Guidetti, Ricordando Aulo Magrini, Tolmezzo 1947, p. 2.

9 L’occupazione nemica, dal 28 ottobre 1917 al 3 novembre 1918, ha disperso l’intero archivio del liceo Jacopo Stellini di Udine.

10 C. Ermacora (?), Tradizione eroica. Nel quinto anniversario della morte di Aulo Magrini, Udine 1948.

11 L’esodo coinvolge più di 600.000 civili provenienti dal Friuli e da parte del Veneto. Per un’analisi della fuga civile parallela a quella militare si veda D. Ceschin, Gli esuli di Caporetto. I profughi in Italia durante la grande guerra, Bari 2006.

12 Le informazioni relative alla profuganza della famiglia Magrini sono tratte dal diario che il dottor Arturo scrisse dal 18 settembre 1917 al 11 febbraio 1919, i cui passi salienti vengono riportati in Bianca Agarinis Magrini, L’esodo del 1917, «Carnia Fidelis», a. LXXIII (aprile 2000), n. 1, pp. 20-23.

13 Liceo Torricelli di Faenza, Corrispondenza 1917-18, n. 420. In data 14 luglio 1918 dalla Brianza il preside del liceo J. Stellini di Udine scrive una lettera al suo collega faentino, in cui, parlando di tre studenti udinesi, tra cui Aulo, trasferitisi a Faenza, dice che questi avevano frequentato regolarmente le lezioni fino al 28 ottobre, data in cui vengono sospese.

14 Ibidem.

15 Liceo Torricelli, Registro generale di iscrizione e profitto, anni 1914-23. Per la seconda liceo i voti conseguiti dal Magrini alla fine dell’anno scolastico 1917-18 sono: Italiano, otto (scritto), otto (orale); Latino sei (s), nove (o); Greco sei (s), otto (o); Storia otto; Filosofia otto; Fisica e Chimica sei; Matematica cinque; Storia naturale otto; Condotta dieci. I voti con cui il Magrini si diploma nell’anno scolastico 1918-19 sono: italiano otto (scritto),otto (orale); latino otto (s), nove (o); greco otto (s), nove (o); storia otto; filosofia sette; fisica e chimica sei; matematica sette; storia naturale nove; ginnastica sette; condotta dieci in tutte le materie, tranne in fisica, nove. Dispensato entrambi gli anni dalle tasse in qualità di profugo.

16 Si tratta della spagnola.

17 C. Ermacora (?), Tradizione eroica, cit., pp. 8-9.

18 L. Martinis (a cura di), La figura e l’opera di Michele Gortani ricordate nel ventesimo anniversario della sua scomparsa, Tolmezzo 1996, pp. 103-106.

19 Per un’analisi del rientro dei profughi in Friuli, cfr. G. Corni, Storia della società friulana 1914-1925. La crisi dello Stato liberale, Pasian di Prato 2000, pp. 7-71.

20 Centro per la storia dell’università di Padova ( d’ora in poi CS Un. Pd ), fasc. Aulo Magrini, corso di laurea in medicina e chirurgia, Richiesta esenzione dalle tasse universitarie, 28 ottobre 1921.

21Ibidem.

22 Cit. CS Un. Pd, Fasc. Aulo Magrini. Nel primo anno accademico 1919-20 Aulo sostiene quattro esami: fisica, 28; zoologia, 29; botanica, 27; chimica 24. Il secondo anno 1920-21 tre esami: anatomia comparata 27; anatomia descrittiva 30. Il terzo anno ancora tre esami: farmacologia 28; fisiologia 28; patologia generale, 27. Sempre dispensato.

23 Ibidem, Richiesta di esenzione e rimborso delle tasse, 31 gennaio 1920.

24 Il certificato che Aulo allega alle annuali domande di esonero dalle tasse, infatti, parla di una famiglia che se «prima della guerra si trovava in relativa agiatezza, ora incontra ristrettezze economiche». Dei quattro membri rimasti, solo il padre Arturo, ormai alle soglie dei settant’anni, svolge un’attività lavorativa, quella di medico, dalla quale ricava «qualche piccolo guadagno in un paesello alpestre, con altri due medici più giovani»; la casa era stata saccheggiata, gli animali requisiti, i mulini e le officine distrutte mentre i redditi provenienti dalla piccola proprietà fondiaria erano irrisori, per il forte costo della mano d’opera e per la mancanza di fertilizzanti.

25 B. Agarinis Magrini, Lettere dall’Argentina a Egidio Feruglio (1945-46), Pasian di Prato 2006, p. 21.

26 Archivio Lupieri-Magrini (in fase di riordino), Breve ricordo scritto di Aurelia Magrini del fratello Aulo.

27 Archivio studenti dell’Università di Firenze, corso di medicina e chirurgia, fasc. Aulo Magrini, processi verbali degli esami. Il quarto anno 1922-23 sostiene tre esami: Medicina operatoria, 26; patologia spec. chirurgica 30; patologia spec. medica 30. Il quinto anno 1923-24 sostiene anatomia patologica, 28; igiene 29; chimica oculistica, 28; Chimica mal. mentali e nervose 27; chimica pediatrica 27. L’ultimo anno 1924-25 infine chimica ostetrica e ginecologica, 30; odontoiatria e protesi dentaria 26; chimica chirurgica 27; chimica dermofilopatica, 27; chimica medica 26 e chimica legale 30.

28 «Aulo in risposta ad una nostra C.P. di auguri per Pasqua, me ne ha mandata una con su scritto: “Berrei un litro di quel buono se pettar potresti un tuono, e con te tutti i fascisti” e Aurelia ha aggiunto “e io invece berrei il sangue di Lenin e compagni”. Ciononostante prevedo che anche Aulo un giorno o l’altro finirà per saltare il fosso e venire con noi», in B. Agarinis Magrini, Lettere per l’Argentina, cit., p. 177.

29 Settimanale della democrazia sociale italiana.

30 B. Agarinis Magrini, Lettere dall’Argentina, cit., p. 21 nota 25.

31 Ivi., p. 22, Lettera di Egidio Feruglio ad Aulo Magrini, 12 ottobre 1925.

32 Biblioteca biomedica dell’università di Firenze, Aulo Magrini, L’ipertensione arteriosa, Tesi di laurea a.a. 1924-25, T 4, 15.16.

33 W. Ceschia, 1897-1997. Il geologo Egidio Feruglio nel centenario della nascita. Le radici, l’ambiente, l’uomo, l’eredità, Udine 1997, p. 53.

34 M. Puppini, Tradizione operaista e resistenza garibaldina in Carnia: due esempi, in «Storia contemporanea in Friuli», a. XIV (1984), n. 15, pp. 137-160.

35 L’indicazione del preciso ruolo di Aulo Magrini nella Pro Carnia deriva da Tiziano Della Marta, Il volo del rondone, Pasian di Prato 1994, p. 135.

36 Archivio Michele Gortani, c. 65 Associazione Pro Carnia (1927-1931), Statuto dell’Associazione Pro Carnia, Tolmezzo 1927.

37 Per un quadro generale e sommario della situazione economica in Carnia durante il fascismo si veda D. Baron, Michele Gortani e il fascismo carnico, Tolmezzo 2003, pp. 27-67

38 G. B. Lupieri come medico costantemente denunciò le difficili condizioni igienico-sanitarie della popolazione, in particolare quella infantile, soggetta ad un altissimo tasso di mortalità (“ Ho cercato di combattere questa concezione fatalistica svolgendo una costante opera pedagogica per diffondere la conoscenza delle più elementari norme igienico-sanitarie che aiutassero a prevenire le tante malattie causate dalle misere condizioni di vita in cui si dibatteva la stragrande maggioranza della popolazione”), e di quella femminile. In merito Bianca Agarinis Magrini ( a cura di ), Funesti effetti di sanitarie negligenze di Gio Batta Lupieri, Spilimbergo 2002.

39 A. Magrini, Cronaca dalla Carnia. I bisogni della Carnia. Le condizioni igieniche sanitarie, «La Patria del Friuli», 16 gennaio 1930; Ibid., I grandi interessi della Carnia. Le condizioni Igienico- sanitarie, «La Patria del Friuli», 21 gennaio 1930.

40 Per una breve panoramica sull’approccio alla Carnia degli intellettuali della Società Filologica Friulana si veda D. Baron, Michele Gortani e il fascismo carnico, cit., pp. 178-200.

41 Archivio Michele Gortani, c. 65 Associazione Pro Carnia (1927-1931), Michele Gortani, Memoriale circa la sistemazione dei trasporti ferroviari e tranviari della Carnia 1929.

42 Archivio Michele Gortani, c. 65 Associazione Pro Carnia (1927-1931), Relazione del presidente e bilancio consuntivo 1930-31.

43 Non sono state trovate alcune indicazioni archivistiche che accertino la fine della Pro Carnia a questa data. Un appunto di Gortani, riportato in D. Baron, Michele Gortani e il fascismo carnico, cit., p. 194, nota 98, lascia pensare a una continuità dell’associazione per tutti gli anni Trenta, verosimilmente inglobata all’interno delle reti fasciste e neutralizzata dalle sue cariche di indagine e critica sociale.

44 Cjanalôtz (canalotti): abitanti della Val Pesarina

45 Sul funerale di Giovanni Casali, AA.VV., «Compagno tante cose vorrei dirti...» Il funerale di Giovanni Casali, anarchico. Prato Carnico 1933, Udine 1983. La ricostruzione delle orazioni tenute nel cimitero di Prato Carnico sono riportate in particolare nel saggio di Venza, Il funerale ribelle di Giovanni Casali, anarchico di Pesariis in ivi., p. 22.

46 Nei primi anni Quaranta Magrini aiuterà la moglie ormai vedova di Luigi D’Agaro in gravi difficoltà, offrendole di abitare nella casa di Luint e di coltivare la terra di sua proprietà. B. Agarinis Magrini, Lettere dall’Argentina, cit., p. 120.

47 «Verso la fine del 1932 presi a Roma la libera docenza in geologia ed ebbi a Bologna l’incarico dell’insegnamento della paleontologia agli studenti di scienze naturali. Non essendo stato ammesso al concorso alla cattedra di geologia di Torino, continuai ciò nonostante il mio lavoro di gabinetto, con intensità rinnovata ( dinanzi alla ormai ineluttabile di un prossimo e più doloroso distacco della Patria) dal desiderio di elaborare prima della partenza quanto più materiale possibile. Nel riandare col pensiero a quei giorni, io non posso tuttora evitare un senso di profonda amarezza pel ricordo della separazione resa più triste dal fatto che, nella allora piuttosto frequente, artificiosa distorsione della verità ed incomprensione, mi si è voluto quasi fare un rimprovero per questo mio atteggiamento e personale sacrificio; tristezza solo in parte mitigata dalle attestazioni di stima di pochi fedeli amici.» Dattiloscritto di Egidio Feruglio del 1946 riportato in ivi., pp. 12-13.

48 Ibidem, p. 14.

49 O. Fabian, Affinché resti memoria. Autobiografia di un proletario carnico, Udine 1999, pp. 58-59.

50 D. Carpendo, Cronache friulane: la provincia di Udine durante la seconda guerra mondiale, Udine 2004, p. 83.

51 Ibidem.

52 M. Puppini, Tradizione operista e resistenza garibaldina in Carnia: due esempi, «Storia contemporanea in Friuli», a. XIV (1984), n. 15, pp. 137-160.

53 O. Fabian, Affinché resti memoria, cit., pp. 59-60.

54 M. Puppini, Tradizione operaista, cit., pp.137-160

55 G. Angeli, N. Candotti, Carnia libera. La repubblica partigiana del Friuli (estate-autunno 1944), Udine 1971, p. 30.

56 Ufficio stampa e propaganda, Diario storico della divisione Garibaldi-Carnia, Tolmezzo 1945, p. 10.

57 Ibidem.

58 O. Fabian, Affinché resti memoria, cit., pp. 68-69

59 Testimonianza del dottor Romano Marchetti «Cino da Monte» in data 26 febbraio 2006: «Portavo gli opuscoli di propaganda ad Aulo Magrini “Arturo” mettendomi in fila con i pazienti del suo ambulatorio medico per non dare nell’occhio».

60 Ufficio stampa e propaganda, Diario storico della divisione Garibaldi-Carnia, cit., p. 11.

61 Ibidem.

62 O. Fabian, Affinché resti memoria, cit., p. 75.

63 Testimonianza orale di. Tiziano Dalla Marta in data 5 maggio 2006.

64 Archivio Lupieri–Magrini, T. De Caneva, La resistenza in Carnia. Conversazione di Tranquillo De Caneva tenuta al circolo ricreativo culturale di Prato Carnico, 1969, pp. 5-7; B. Alfarè, Carnia libera 1944. Guida al museo, Campoformido 2004 (Testimonianza di Romano Marchetti ed Elio Fabian), pp. 36- 37.

65 Archivio Lupieri-Magrini, T. De Caneva, La Resistenza in Carnia, cit., pp. 5-7.

66 Ibid.

67 B. Alfarè, Carnia libera 1944. Giuda al museo, Campoformido 2004, p. 41.

68 Testimonianza orale di Ciro Nigris “Marco” in data 24 febbraio 2006.

69 M. Puppini, Resistenza, dopoguerra e sottosviluppo in Carnia, cit., p. 5-6.

70 Si pensi alle polemiche socialiste degli anni ’10 sugli incolti comunali, e soprattutto agli enti di Economia Montana e di Forze Idrauliche Friuli, alla Comunità Carnica barbacettiana degli anni Venti.

71 Nel suoi intenti, infatti, il governo della Repubblica partigiana della Carnia si prefigge di dare vita a «un comitato avente giurisdizione su tutti i comuni liberi dal dominio tedesco e fascista», con la capacità di preparare la riorganizzazione economica-sociale della Carnia.

72 Per una panoramica sulle richieste di autonomia carnica avanzate nel corso della prima metà del secolo scorso, con particolare attenzione al periodo resistenziale e al lavoro di Marchetti nell’immediato dopoguerra, mi permetto di rimandare ad A. Di Qual, Libera comunità carnia. Socialisti, autonomisti, partigiani in Carnia nella prima metà del Novecento, Tesi di laurea triennale discussa presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’università Ca’ Foscari di Venezia, a. a. 2005/06.

73 O. Fabian, Affinché resti memoria, cit., pp. 79-80.

74 Archivio Osoppo della Resistenza in Friuli (da ora AORF), cartella P4, fasc. 108, doc. 1, Volantino primo maggio, Val Pesarina.

75 Drammatica era la situazione di rifornimento alimentare della Carnia. Tolmezzo, centro della Carnia, è saldamente in mano tedesca, inespugnata dai partigiani. Ciò determina il blocco nazista dei rifornimenti alimentari della Carnia e spinge le donne carniche a scendere, attraversando il monte di Rest controllato dalle forze partigiane, nella pianura friulana, dove barattare i propri corredi con generi alimentari.

76 Lettera di Margherita ad Aurelia Magrini del 25 novembre 1945 in B. Agarinis Magrini, Lettere dell’Argentina, cit., p. 115.

77 Margherita si rifugia a Collina presso la famiglia del maestro Tolazzi. Testimonianza orale di Romano Marchetti.

78 CLN carnico (a cura), Aulo Magrini, nell’anniversario della sua morte, Tolmezzo 1945.

79 O. Fabian, Affinché resti memoria, cit., p. 83.

80 AORF, L3, fasc. 32, doc. 6, Avviso per il taglio abusivo dei boschi, 22.6.1944.

81 Angeli, Candotti, Carnia Libera, cit., p. 203. Il CLNZL nell’ottobre 1944, con un apposito decreto, riconosciuta la necessità urgente d’impedire la distruzione del patrimonio boschivo della zona e di stroncare la speculazione inerente, considerando anche le inattuali necessità militari, sancisce: 1- E’ vietato qualunque abbattimento di piante che superi il normale approvvigionamento di legna da ardere per uso familiare, sempre che il bosco non sia ridotto al di sotto della densità normale, nel qual caso il divieto di abbattimento è assoluto. 2- Le GPC istituiranno col compito immediato di sorvegliare l’esecuzione di quanto all’art.1 del presente decreto, un servizio di guardie boschive con uno o più elementi a seconda della necessità del Comune. Questi elementi verranno scelti tra persone di provata moralità e di competenza tecnica. 3- I CLN comunali controlleranno dal punto di vista politico l’operato delle Giunte e delle Guardie, denunciando al tribunale del popolo qualunque caso di evasione al presente decreto. ZL 6-7-8 ottobre 1944.

82 B. Agarinis Magrini, Lettere per l’Argentina, cit., p. 115-118.

83 Alberto Buvoli, Ciro Nigris, Percorsi della memoria civile. La Carnia. La resistenza, Pasian di Prato 2004, pp. 40-43, e Diario storico della Divisione Garibaldi Carnia, cit., p. 24.

84 A. Buvoli, C. Nigris, Percorsi della memoria civile, ibidem.

85 A. Toppan, Fatti e misfatti in Carnia durante l’occupazione tedesca, Tolmezzo 1947, pp. 48-49.

86 G. Pisanò, Storia della guerra civile in Italia, Milano 1966, pp. 1281-1286.

87 AORF, cartella M1, fasc 4 Tranquillo De Caneva e Aulo Magrini, doc. 3, Lettera del prof. G.Pieri a Fattori sull’uccisione di «Bolla» e Magrini, 1° ottobre 1945: «Gentilissimo Fattori, […] circa la nota nella quale accenno al dottor Valenti, ho usato la parola perito, pur essendo ben al corrente della circostanza della sua uccisione, per evitare di gettare nell’ombra sul movimento partigiano (ben sapendo che è stato Giacca ad ucciderlo, come so che è stato Olmo ad uccidere il dottor Magrini)…».

88 N. Sollero, Stragi in malga: fu una banda austriaca, «Messaggero Veneto», 21 luglio 1994.

89 Giulio Magrini, Il figlio respinge ogni illazione sulla morte del dottor Aulo Magrini, «Messaggero veneto», 8 agosto 1994.

90 Luigi Raimondi, Aulo Magrini fu ucciso dai tedeschi: la testimonianza di chi era con lui, «Messaggero Veneto», agosto 1994.

91 Gianni Conedera, L’ultima verità. Da Mirko al dopoguerra. Vicende della lotta partigiana delle formazioni Garibaldi, Osoppo e Stalin in Carnia. 1944-1945, Tolmezzo 2005, pp.37-42.

92 «I no rivi a comandai» («Non riesco a comandarli»), la testimonianza raccolta in merito. G. Conedera, L’ultima verità, cit., p. 41.

93 ivi., pp. 71-74.

94 V. Lupieri, La morte in Carnia di Aulo Magrini, «Messaggero Veneto», 19 settembre 2005; L. Filippi, Non fu un colpo solo a uccidere Magrini, «Messaggero Veneto»; R. Vidale, A proposito di Resistenza, «Messaggero Veneto», 3 ottobre 2005; G. Conedera, Non rinnego il mio libro sui partigiani in Carnia, «Messaggero Veneto», 28 ottobre 2005; E. Martinis, La verità su Magrini, «Il Gazzettino», 23 novembre 2005; Id., Sulla morte di Magrini solo dicerie, «Il Nuovo», 25 novembre 2005; Id., Il caso Magrini. Due testimoni inconfutabili, «Messaggero Veneto», 26 novembre 2005; G. Conedera, Sulla morte di Magrini testimoni poco credibili, «Messaggero Veneto», 17 dicembre 2005; D. Fabian, La morte di Magrini ecco la verità, «Messaggero Veneto», 28 dicembre 2005.

95 Tiziano Dalla Marta, Il volo del rondone, Pasian di Prato 1994, p. 142.

96 Ibidem.

97 O. Fabian, Affinché resti memoria, cit., p. 122.

98 AORF, cartella P2 Comuni del Friuli nella Resistenza, Fasc. 49 Prato Carnico, doc. 1, Annuncio funebre, 16 luglio 1944.

99 La relativa tranquillità della Carnia, ormai per buona parte in mano partigiana, permette ad alcuni reparti rossi di partecipare al funerale, d’accordo con gli osovani in posizione di difesa della valle.

100 Testimonianza orale di Tiziano Dalla Marta, 5 maggio 2006.

101 Insmli, Fondo Malvezzi. Lettere dei condannati a morte della resistenza italiana e europea, b. 9, fasc. 23.

102 Ufficio stampa e propaganda (a cura), Diario storico della Divisione Garibaldi Carnia, cit., p. 29.

103 ivi., pp. 10-11.

104 AORF, cartella M1, Fasc.4 Tranquillo de Caneva, Aulo Magrini, Doc. 4, Cronistoria di Pesariis di don Aldo Soavito, libro III, p. 21.

105 Il ricordo del “santino” di Magrini l’ho riscontrato in Val Pesarina anche nella generazione nata dopo la guerra (testimonianza orale di Antonio Casali, in data 19 maggio 2006); la sua presenza inoltre l’ho trovata anche in alcune case “partigiane” di Sutrio.

106 L. Zanini (a cura di), Friuli nostro. Antologia per le scuole e per il popolo, Udine 1946.

107 Ivi., pp. 5-6.

108 Ibid.

109 Chino Ermacora, Il medico dei poveri, in ivi., pp. pp. 233-238.

110 Ibid.

111 Ibid.

112 A. Toppan, Fatti e misfatti in Carnia, cit., pp. 48-49.

113 Italo Guidetti, Ricordando Aulo Magrini, cit., p. 15.

114 U. Candoni, Sulla tomba di un partigiano, discorso commemorativo della morte di Aulo Magrini, tenuto dall’autore ad Ovaro il 27-7-47

115 B. Magrini Agarinis, Lettere dall’Argentina, cit., p. 122.

116 Nell’atrio della scuola è appeso un riquadro con un schizzo del volto di Magrini, alcune indicazioni biografiche e la lettera-testamento.

117 Non mi è stato impossibile datare con precisione l’intitolazione delle due scuole, da collocarsi in ogni modo nell’immediato dopoguerra.

118 T. Dalla Marta, Il volo del Rondone, cit., p. 145.

119 Leonardo Zanier è nato nel 1935 a Comeglians in Carnia. Fin da giovane lavora nell’ambiente edile estero; nel 1977 è nominato segretario nazionale e responsabile dell’Ufficio studi e ricerche dell‘ECAP-CGIL (ente di formazione e ricerca del sindacato in Svizzera) a Roma e riveste importanti cariche in numerosi enti sindacali e nell’ambito del sociale. Animatore culturale, esperto di formazione degli adulti e tra i più noti e letti autori friulani, anche fuori dal Friuli, molte delle sua raccolte di versi sono state musicate e tradotte nelle principali lingue europee.

120 B. Alfarè, Carnia libera Guida al museo, cit., p. 38.

121 Cos’è il vivere la guerra/ per un bambino/ il vivere nella guerra/ per un bambino/ che gioca a fare il partigiano/ con altri bambini/ nei boschi/ Cos’è per un bambino la morte/ se non un vecchio raggrinzito/ e inggiallito/ dentro una cassa/ che inchiodano/ e la gente attorno che piange/ come se non capisse/ che era troppo vecchio/ Cos’è la guerra per un bambino/ se non il gioco più bello/ che i grandi/ - come tutto-/ fanno senza gusto / né misura/ Cos’è la scoperta della morte/ per un bambino/ la morte di un uomo/ non di un vecchio/ visto tante volte passare/ o creduto di vederlo/ con lo sten e il fazzoletto rosso/ per un bambino che ride/ cantando con i cosacchi/ le loro canzoni/ che chiede loro curioso/ cosa significhino:/ dobra e mamalika e somaliot /e fikifiki?/ e ruba loro le cartucce/ Forse non è nulla/ ma perché allora quella voglia di sostare e di correre/ di piangere e di urlare/ appena udito da due partigiani/ saltati a terra dai parafanghi/ di una balila in corsa:/ “Aulo è morto” ? (Traduzione dell’autrice).