Romano Marchetti "Da Monte" Narrazione |
L'otto settembre ero a Fiume. Allora avevo già preso contatti con
Fermo Solari quando ero Tenente degli alpini alla caserma Di Prampero
a Udine nel febbraio '43 grazie al sottoten. Del Bianco militante del
Partito d'Azione. Verso il 10 settembre gli "ussari di Pomerania"
iniziarono a bombardarci, ci siamo allontanati dalle baracche. Ho detto
ai miei commilitoni: io vado sul monte Re dai partigiani jugoslavi,
chi vuole mi segua, gli altri raggiungano le proprie famiglie! Mi
ha seguito il sergente Guerra di Vicenza. Siamo successivamente andati
a Vipacco. 12 settembre 2004 |
"Libertà vo cercando..." Intervista di Alberto Burgos a Romano Marchetti (18 marzo 2005) |
Sono qui con il dottor Romano Marchetti, “Cino da Monte”, per sentire alcune sue testimonianze sulla Resistenza. La prima domanda riguarda il motivo che ti ha spinto tra le fila dei partigiani e in che occasione: cosa facevi in quel periodo e perché hai fatto questa scelta? Ho fatto la guerra in Grecia e in Albania come ufficiale degli Alpini, e ne sono uscito menomato, anzi sedentario, sia per delle brutte ferite alle gambe sia a causa del tifo, che mi aveva portato in fin di vita. Vengo richiamato dopo un anno circa di convalescenza e sono alla caserma di Udine dall’ottobre del 1942 fino all’inizio del’43. Verso dicembre o gennaio, un giorno mi trovo nella compagnia deposito cui ero stato assegnato insieme al direttore della casa editrice Idea, Nino Del Bianco; a un certo punto dico “la guerra è perduta, cosa possiamo fare per questa Italia”. Lui tace, ma l’indomani o dopo qualche giorno mi porta un opuscolo. Del Bianco era già aggregato ad un piccolo gruppo in un certo modo diretto da Fermo Solari, che intendeva prepararsi al fatto che l’Italia doveva ritornare alla democrazia. Fermo Solari aveva scritto l’opuscolo lì a Udine (bisogna ricordare che egli era uno dei fondatori del Partito d’Azione) e l’aveva firmato anagrammando il proprio nome…. Non ti so dire come si era trasformato il nome, ma in esso alludeva al futuro rapporto tra operai e dirigenti d’azienda, prospettando un rapporto molto cordiale. Da lì inizia il discorso della Resistenza. Io del resto da anni leggevo Relazioni Internazionali ed ero molto inquieto ed incerto circa il regime autoritario fascista: non che avessi preso una posizione negativa nei suoi confronti, più che altro mi irritava perché mi portava via del tempo prezioso. Ecco la verità. Verso l’aprile 1943, m’incaricano di un servizio civile come sottotenente degli alpini, ma anche come Dottore in Agraria: mi mettono a dirigere un gruppo di soldati provenienti da tutti i corpi d’Italia nella zona di Rachiteni, a 5 o 6 km da Postumia, a coltivar patate. Era una grande azienda, probabilmente asburgica, ed io dovevo dirigerla. Ad un certo momento arrivano dei tedeschi, degli Ussari di Pomerania: doveva essere il 6 o 7 settembre 1943. Vicino a me c’era un gruppo antiparacadutisti , dei bersaglieri comandati da un capitano milanese e da un sottotenente che era un fiumano: ho cominciato a discutere con lui, a dirgli della guerra che andava male e lui a un certo punto mi dice “ti te perdi la guerra, mi perdo la patria”. Il capitano m’invita a fare ospitalità a questi Ussari di Pomerania e siamo andati lì a fare quello che si doveva fare; ma a un certo momento abbiamo bevuto un po’, ci siamo messi a fare i salti mortali, e dato che io ci tenevo a non fare brutta figura ci siamo salutati. L’indomani mattina o dopo due giorni io ero in baracca, fuori dal castello di Prestrane: mi piovono addosso i colpi di mortaio di questi Ussari di Pomerania! Ecco come comincia… Ero abbastanza preparato dal punto di vista politico, nel senso che si doveva fare un’Italia democratica e cancellare la dittatura fascista. Ma tu avevi già avuto la notizia dell’armistizio dell’8 settembre? No, io non avevo avuto alcuna notizia: sono stato svegliato dalle bombe! Cosa devo fare? Comando della gente che conoscevo abbastanza poco: dicevano di essere contadini, ma probabilmente i reparti se n’erano liberati perché dovevano essere dei soldati poco affidabili. Comunque dico loro: “Credetemi, non andate ai vostri reparti, perché la guerra è perduta. A voi del meridione non so cosa dire: cercate di passare le linee e di andare a casa.” E poi ho aggiunto: “Guardate, io vada con le formazioni partigiane slave, chi vuole mi segua.” Mi sono diretto verso Vipacco e mi segue il sergente maggiore Guerra, un veneto. Saliamo sul monte Re e giriamo un poco, ma non troviamo nessuno; in una malga vediamo residui di sangue, probabilmente di vacche che avevano macellato, e poi torniamo indietro. Alla caserma di Vipacco trovo un po’ di confusione: c’è un notevole gruppo di soldati che vuole uscire dalla caserma e c’è un capitano che si oppone. Io vado lì e gli dico di lasciarli andare, ormai!... Lui mi risponde “Si prenda la responsabilità lei!” Dico sì, sì, butto giù una firma e li porto fuori. Verso Induscina succede quello che si può capire da quelle due parole che ho scritto [riferimento alla poesia 8 settembre ‘43]: incrocio un carro contadino pieno di ragazze dai mille colori che cantano in slavo, suonano le campane della libertà degli slavi contro gli italiani; finalmente arrivo a Gorizia, che era tutta buia. Eri in divisa? Sì, armato e in divisa. Prendo il treno e arrivo a Cormons, dove sapevo che c’era mia moglie; era ancora quasi estate… Lì prendo contatti con i suoi parenti e l’indomani vado giù in bicicletta - sempre vestito da tenente degli alpini - alla caserma dietro le Grazie, a Udine. Lì incontro un collega e gli chiedo cosa pensa di fare. “Ah, non so che dirti”. Riprendo la strada per Cormons, ma due giorni dopo torno a Udine: mi avvicino alla caserma, sempre in divisa e armato, e a circa centocinquanta metri incontro una persona agitata che quasi scappa; lo riconosco, perché era un capitano piemontese, mi pare si chiamasse Cosa: mi dice che i tedeschi hanno occupato la caserma. Entro in una osteria, mi cambio - mi avevano dato qualcosa da mettermi addosso – e tengo solo la pistola, che posso nascondere. Torno a casa e racconto quello che è successo. Ci trasferiamo a Udine, nell’abitazione di mia moglie, e poi decido di venire in Carnia, a Maiaso, dove avevo fatto la prima elementare: lì ho tanti amici, ma in gran parte sono via per il mondo. Riesco a convincere Biagio Martin e andiamo su in Pani. “Se vengono a prenderci mettiamo qui la mitraglia…” Avevate armi? No. In fondo sembrava che le cose fossero tranquille. Ho una moglie che deve avere un figlio ed allora, per intervento anche di mio padre, prendo l’incarico di professore di Scienze agrarie, Zootecnia ed Estimo agrario all’Istituto Zanon di Udine, terza e quarta geometri. Vado avanti così fino a maggio ’44. Avevo già preso contatto con quelli che poi saranno della Osoppo, ma in quel momento non sapevo neanche di questa divisione: avevo parlato col geometra Moro e con “Spartaco” Comessatti, il figlio del padrone della farmacia Comessatti di Udine, che aveva già fatto parte di quel gruppo della resistenza osovana che aveva seguito il gruppo di resistenti della Garibaldi degli ultimi mesi del ’43. Mi carico di opuscoli, vengo su in Carnia e giro sia a piedi che in bicicletta creando la rete. Ogni tanto veniva da me quello che faceva altrettanto per la Garibaldi, era un reduce di Spagna: “Ugo”, Giovanni Pellizzari, di Preone. Mi attendeva fuori della Chiesa di domenica. Facevo i primi tre giorni della settimana a Udine, perché l’incarico di insegnante allo Zanon era solo per tre giorni; gli altri quattro fra Maiaso e, non so, Ovaro, Forni di Sopra, Enemonzo, Villa Santina, Comeglians, la Val Pesarina, Ravascletto, Preone; e soprattutto nella Val Chiarzò: avevo creato una rete. Non proprio una rete, ma qualcosa di simile, ha cercato di fare anche Pellizzari. Però lui aveva meno entratura, direi, mentre io conoscevo un po’ di gente: ad esempio avevo un amico a Paularo che era in guerra con me in Grecia, Giovanni Del Negro, oppure a Sutrio avevo preso contatti indirettamente perché conoscevo il figlio di uno di Sutrio, Enzo Moro, che abitava a Tolmezzo, ma andava su e giù. Quasi dappertutto, insomma, la rete era completa. Una rete per il momento diciamo passiva: nel senso di organizzazione… Su questo dovremmo fare un lungo discorso... Il problema era: cosa facciamo? Ma nota bene che era intervenuto il fatto dell’abbruciamento di Forni di Sotto. E c’era stata la morte di Del Din: il giorno dopo uno dei miei, Nino Pizzo, che in seguito sarà comandante del battaglione Val Tagliamento, mi ha raccontato quello ch’era successo, ed io l’ho portato nel luogo dal quale doveva sparare alla caserma che era occupata soprattutto dalla milizia confinaria. L’indomani, tanto per dirne una, tutta la gente ha visto che la canonica era piena di bozze, dove erano arrivate le pallottole di Dal Din; un particolare curioso: è uscito a guardare monsignor Ordinar, che era il protonotario del paese e dice (era molto sordo) “al à tant lampât chesta gnot, ma no l’à plot nancje una gota”. Io continuo ad andare su e giù per la Carnia e consegno il materiale… Una delle mie basi era anche l’ambulatorio di Aulo Magrini, in Val Pesarina: mi mettevo in coda come fossi un paziente, e gli portavo gli opuscoli. Un altro contatto era Marco Raber, a Comeglians, che era stato nella milizia forestale. A un certo punto, gli ultimi giorni di maggio, visto che le cose stanno diventando pericolose per me, decido di non tornare più a Udine. Nel timore di essere identificato... Nel timore di essere preso! Nei primi giorni in cui ero a Maiaso, oltre ad aver preso contatto con Zutti, lavoravo anche con mio fratello che era reduce della Russia, sottotenente di artiglieria da montagna: aveva le gambe lunghe e così era scampato dalla Russia, nel gruppo Conegliano. Avevo con lui già stabilito delle piccole riserve di viveri in Pani e avevo fatto anche baruffa con Toni [Antonio Zanella, l’Ors di Pani], perché mentre giravo mi avevano rubato il cannocchiale; ma non era stato Toni, era stato un altro. Io comunque mi sono molto arrabbiato e lui per la rabbia agitava il fucile. A questo punto siamo in giugno ed io continuo a tenere i contatti specie con Pielungo, dove c’era la base della Osoppo e della Garibaldi. Dal punto di vista gerarchico tu da chi dipendevi e quale era il tuo ruolo? Mah, ho sempre fatto in un certo modo per conto mio. Riconoscevo in “Verdi” la persona di cui mi fidavo di più. È avvenuto che “Verdi” ed “Aurelio” siano stati imprigionati perché specie la Garibaldi li ha accusati di essersi comportati male nell’invasione di Pielungo da parte dei tedeschi: quella è stata anche l’occasione - ma ne parleremo meglio - della mia entrata in guerra da armato nelle formazioni. Perché, vedi, io non volevo più saperne: la guerra in Grecia mi aveva stremato e oramai intendevo che l’Italia diventasse democratica, ma pensavo anche che il peso più grosso fosse quello degli americani e degli inglesi e che il nostro compito, tutto sommato, come poi risultato nei fatti, fosse quello di guadagnare un certo credito a livello della pace. Questo era il mio pensiero. Quindi tu eri una sorta di libero pensatore, un battitore libero, e ti occupavi di un lavoro di propaganda, di diffusione di idee di libertà. Non eri ancora entrato da un punto di vista strettamente organizzativo in una formazione armata. Entro nella formazione armata in occasione della liberazione di “Aurelio” e “Verdi”, dato che avevo fatto un discreto lavoro e mi conosceva ormai tutta la gente, sia a Caneva, Tolmezzo, Paularo, in tutta la Carnia. Allora immediatamente viene creata la brigata Pal Piccolo a Preone, dove il comandante “Bruno”, Terenzio Zoffi di Sutrio, il vice comandante “Valter “, Albino Venier di Zuglio; il commissario, o delegato politico, è Romano Marchetti, cioè io, ed il vice commissario è un certo Zanier, democristiano feroce, ma di Castelfranco Veneto, o forse di un paese subito di là della provincia di Udine, non ricordo bene, insomma uno del pordenonese. Don Aldo Moretti “Lino”, il creatore della D.C. friulana, era appunto quello che raccoglieva tutte le persone che pensavano da un punto di vista democristiano: sarà lui che sonderà quello che pensavo e quando gli ho parlato di Mazzini e di Cattaneo ha subito lasciato perdere. E infatti dopo mi hanno scaricato... Dunque tu sei commissario politico... L’Osoppo diceva "delegato politico". Perché “Commissario” era un termine di derivazione sovietica... Già. Ma il delegato politico aveva una funzione politica, appunto, di controllo: come mai, quindi, proprio ad un pensatore laico viene affidato un incarico se non proprio ideologico certo di gran delicatezza? Sai, erano momento molto difficili per la Osoppo e quindi hanno preso tutti coloro che potevano essere utili. E poi c’è stato il volere di tutti quelli del battaglione Val But, del battaglione Val Tagliamento, del battaglione Carnia, tutti d’accordo perché io avevo avuto rapporti anche con “Barba Livio” e quindi mi hanno nominato addirittura a pieni voti, diciamo così. È successo dopo l’incontro con “Lino” e lui, che non era uno sciocco, ha subito capito che non c’era niente da fare con me. Naturalmente, poi, appena hanno potuto, mi hanno scaricato. Bisogna precisare che l’Osoppo Friuli era dominata soprattutto dal pensiero cristiano, mentre in Carnia, se non erro, non c’erano molti pensieri... Il mio, comunque, era abbastanza preciso, anche perché ero laureato. Avevo studiato con Serpieri, che era stato Ministro dell’economia e contemporaneamente Rettore della Facoltà di Agraria. Soprattutto era stato il padre di quella bellissima legge, la 215, detta di Mussolini, ma l’aveva fatta lui: è stata usata fino a l’altro ieri, anche dopo morto il fascismo da 50 anni. La legge sulla bonifica? Sì, la legge della bonifica integrale: aveva studiato in Svizzera questo problema e da quella aveva capito qualcosa della libertà cantonale: ecco che viene fuori Cattaneo, il suo pensiero, e anche Mazzini: ma soltanto da un punto di vista ideologico, e fino a un certo punto, perché Mazzini era centralista, tutto sommato, mentre Cattaneo aveva questo grosso discorso cantonale, cioè la libertà periferica. Mazzini, però, aveva anche una forte carica religiosa, mistica... Era un mistico: dio e popolo era una delle sue frasi, ed anche un’altra molto bella: pensiero ed azione. Queste cose me le ricordo ancora! Parlavi prima del Partito d’Azione e di Fermo Solari, che ne era uno dei fondatori. Ma l’Osoppo, era collegata a questi due partiti, azionista e democristiano, così diversi perché il partito d’azione era d’impronta fortemente laica ed in qualche modo era un partito di sinistra. Come si conciliavano, dunque, questi due orientamenti? All’inizio le cose andavano bene, ma in un secondo tempo ha preso il sopravvento la parte democristiana ed ha preso forza proprio nel momento in cui il gruppo degli azionisti ha imprigionato “Verdi” e “Aurelio”. Erano loro quelli più attivi in questa lotta e la persona che conoscevo già da tempo, Comessatti, era uno dei capi. Nel Friuli c’era questo grosso nucleo di azionisti, ma era in minoranza rispetto ai democristiani. Ecco quindi che le formazioni Giustizia e Libertà promosse dal Partito d’Azione in Piemonte, in Lombardia, in Liguria, di fatto qui non c’erano. I primi tempi gli azionisti erano con l’Osoppo, e poi si sono per così dire sciolti, quando “Verdi” e “Aurelio” con un contro colpo di mano sono stati liberati e sono diventati comandante generale e delegato politico generale, nei fatti, perché dopo da un punto di vista formale “Aurelio” non risulta mai: era sempre insieme a “Verdi”, era un prete molto coraggioso, ma diciamolo subito, anche decisamente fanatico. I tuoi rapporti con la Garibaldi erano buoni, comunque, sia sul piano personale che su quello politico. Ma io sono sempre stato abbastanza amico loro, e infatti appena ho potuto ho fatto il comando unico, che però non è stato riconosciuto. Già, tu ad un certo punto prendi, diciamo così “in autonomia”, la decisione di formare un comando unico Osoppo - Garibaldi: gli scopi sono evidenti, ma che ruolo avrebbe dovuto avere e che giurisdizione? L’idea di riunire Osoppo e Garibaldi era anche dei comunisti. Molto spesso “Andrea” Mario Lizzero e “Ninci”, l’uno commissari e l’altro comandante di tutte le formazioni del Friuli, me l’avevano anche detto. Ma non occorreva che me lo dicessero: io già dall’inizio non capivo questa divisione e collaboravo correttamente e sinceramente con “Ugo” di Preone. Ad un certo momento la mia decisione è diventata più forte e allora mi sono detto: è ora di finirla di spararsi a vicenda (e ti spiegherò perché uso questa espressione), dobbiamo unirci: i nemici sono i tedeschi. Ho usato la frase spararsi a vicenda perché è successo un fatto, subito dopo aver avuto l’incarico di delegato politico della Pal Piccolo Osoppo: mi ero recato a Villa Santina per vedere di avere un mezzo a disposizione, perché non si sapeva più come andare avanti. Eravamo quattro gatti e c’era tutto per aria, perché c’era la rivoluzione su a Sutrio, quelli del Carnia erano stati abbandonati da “Barba Livio”, eravamo questi quarto gatti che cercavano di rimettere in piedi qualcosa. Mi reco alla Carnia Lavori, che era diretta da Menotti Aita e gli dico: “Un camion l’abbiamo requisito, ma ci mancano le gomme, quindi le prendo qui.” Lui non poteva dirmi di no. Quando stavo per andarmene, è arrivato “Mirko”, che faceva brillare la pistola... Mirko, spieghiamo chi è. “Mirko” era il comandante del battaglione carnico Garibaldi: era un giovane slavo, anche abbastanza simpatico, ma lì si presenta con la pistola e dice “Io gli buco la pancia a quello lì!”” Ma parlava perché intendesse la nuora (alludeva a me, cioè). E quello, Menotti, restava in silenzio, immobile. Io mi sono seduto sulle stanghe di un carretto appoggiato, l’ho ascoltato per un po’ e poi gli ho detto “Senti, Mirko, facciamo così: dividiamoci le gomme.” E così abbiamo fatto. Ma non è l’unica volta che ho avuto questo tipo di scontro. Dopo circa dieci giorni, mi ero recato ad Ampezzo, forse per partecipare ad un convegno della Repubblica, torno indietro e ad Esemon di Sopra vengo bloccato dai garibaldini che avevano fatto saltare uno o due archi. “Ma come, voi mi bloccate!” “L’ordine è questo.” Gli chiedo dove hanno la sede: è sotto Val Miet, un luogo che conosco bene perché è un bosco di Maiaso; lì c’era una casermetta dove trovo “Ape” Tranquillo De Caneva. Mi arrabbio e lui mi risponde che quello è l’ordine. ”Come, l’ordine!? Dov’è Mirko?” Mi spiega che è andato sul Tagliamento a preparare un fortino, mi pare. Abbiamo avuto qualche parola in più e gli faccio: “Guarda, adesso che mi volto, sparami alla schiena” Una boutade... Comunque sono andato dove lui mi ha detto: da Esemon di Sotto, c’è un rilievo sul greto del Tagliamento e in cima, lassù, c’era Mirko con un altro. Vado su, chiamo: “Mirko, Mirko!” … e ho sentito tac, tac, le pallottole sfiorarmi. Non voleva prendermi, comunque ha tirato... Poi è venuto a parlamentare e ha detto “È colpa di quel porco di “Tredici””, ma si capisce ciò che pensa veramente: “L’Osoppo è in crisi, quelli là sono stati liberati, ma sono per aria; qui sono quei quattro gatti qua, facciamoli fuori ed è finita.” Tanto più gli do una lezione: rimetto in piedi quello che posso rimettere in piedi e poi faccio il comando unico, perché non possiamo continuare a spararci, i nemici sono da un’altra parte. Bisogna anche pensare che i garibaldini avevano un grosso impegno e poi avevano fanatizzato un po’ le persone, ignoranti, solo con la terza - quarta elementare. Non era colpa dei carnici; la società li aveva lasciati, e continua a lasciarli in gran parte (spiegherò poi perché dico così...)… Ecco, questo sogno di un mondo meraviglioso dove tutti erano fratelli e si mangiava in abbondanza, eccetera. Ti racconterò quello che mi ha detto ““Tredici””: era un furbo, forse non credeva e forse non pensava che fossi abbastanza evoluto da capire: “Ti non te capissi niente: il comunismo s’è così: un mucio de roba in piassa, te va lì e te ciol quel che ti vol.” Beh, un’immagine un po’ grossolana del comunismo… Faceva presa, comunque, e questo in un certo modo va a carico di quelli che ci credevano, ma c’è qualche cosa di più: nel comunismo io ho sempre notato, anche negli ignoranti comunisti, una gran passione per l’istruzione; l’unico discorso mal fatto dai comunisti è stato il paraocchi rispetto a Stalin. Ma tutti quelli che ho conosciuto io, se parlavi un po’ scientificamente, restavano a bocca aperta ad ascoltarti, tutti, tutti. Nessuno escluso. Se non ti dispiace apriamo una parentesi su questo: sono tempi in cui comunista sembra quasi un insulto, un peccato originale. Tu li hai conosciuti in un periodo particolarmente difficile; c’erano anche quelli ingenui o fanatici, però riconosci loro, anche i meno colti, dignità, passione, onestà, pur condannando i loro “paraocchi” verso l’Unione Sovietica. Durante la Resistenza in che modo vedevi questi conflitti di tipo ideologico, che poi hanno anche avuto momenti tragici come Porzûs, tra i partigiani comunisti e gli altri? Al di là degli aspetti strettamente operativi e organizzativi. Al comando unico ci ha creduto profondamente il comandante “Tredici”. Difatti, sarà il nove ottobre, lui viene giù ad Ovaro e mi dice “Vieni con me, andiamo in giù.” Da notare che qualche giorno prima io avevo ricevuto tramite mio fratello l’indicazione che “fra qualche giorno ci sarà l’attacco dei tedeschi e dei cosacchi”. Ho verificato l’informazione: a lui, che era vicedirettore della Cooperativa carnica, era giunta da Udine, salvo errore, dal responsabile dell’alimentazione, che era un emiliano, mi pare. Adesso, ricordare tutti i nomi così all’improvviso non mi è facile, a novantadue anni. Allora io, cosciente del fatto che c’era il comando unico, ho dato a “Tredici” la comunicazione: stai attento che qui mi viene segnalato questo fatto. Ho fatto un piano di ritiro combattente delle formazioni dell’Osoppo fatto in questa maniera: noi comando andiamo in Pani e quelli del Val But vanno a casera Forchia, dico per dire, adesso non ricordo i nomi, gli altri vanno in Pieltinis e così via. Cioè, tu non solo hai fatto il piano per l’Osoppo, ma sei stato anche tu a comunicare alla Garibaldi… Ho comunicato alla Garibaldi che io facevo così. Suggerendogli di fatto di fare altrettanto per le loro formazioni. Questo era implicito. Allora, dopo due giorni “Tredici” - si vede che era stato impressionato da questo fatto - viene giù, mi chiama, andiamo. Arriviamo a Esemon, è quasi notte e c’è una linea formata da osovani e garibaldini: cosacchi e tedeschi stanno venendo giù sia dalla parte di Verzegnis che dalla parte di Lauco: si vedono le fiammelle, le mitraglie che tirano. È l’invasione della Zona libera. Noi siamo a Esemon a monte del ponte del Degano e loro stanno venendo a Villa Santina. Sulla zona libera torniamo dopo, sia sugli aspetti politici, che su quelli militari. Ancora sulla questione del comando unico: ha una vita brevissima. Da chi viene disconosciuto? Non mi risulta che la Garibaldi lo abbia fatto: ti posso anche aggiungere che nel febbraio del ’45 “Andrea” Mario Lizzero, ferito a Feltrone, dove mi reco spesso perché conosco la Durigon, discute con me per rifare il comando unico, tenta con me e mi chiama commissario; non sa che io non sono più niente, e anche se io glielo dico discutiamo tutta la notte. Io rispettavo il suo modo di pensare. Bisognava per lo meno sposarlo insieme all’idea assolutamente materialista, perché altrimenti non si capisce bene il discorso… Erano tutti atei i comunisti che conoscevo io, i comandanti, e anche quelli che credevano in quel momento erano in un certo modo assimilati. Però io ammiravo anche questo spirito: pensavo già allora a un’Europa… a un tragitto pratico di cui l’Europa era una tappa. Ancora oggi penso che il fine può essere quello, deve essere quello. Il problema è: quanti secoli ci vogliono? Il mio discorso non è contrario, anzi è favorevolissimo, ma se oggi dico “proletari di tutti i paesi unitevi” Bin Laden comincia a battermi le mani perché... Tu sostieni, quindi, che sul problema del comando unico da parte della Garibaldi c’era, forse anche con un po’ di strumentalità, una maggior vocazione unitaria, una maggior apertura. Questo disegno non viene però contraccambiato, anzi. Purtroppo. Pensa al fallimento degli azionisti in seno all’Osoppo, pensa inoltre al fatto che cacciato Cocito, cioè “Tredici” dal comando della Garibaldi, il comando viene dato a “Barba Toni”, cioè Mario Candotti, che non è affatto e non è mai stato comunista; c’è il comunista abbastanza disponibile alla discussione, Tranquillo De Caneva e c’è il non comunista, il capo di stato maggiore Ciro Nigris. Si sarà forse aggregato dopo al comunismo, ma il primo lavoro che ha fatto Nigris è stato su mio incarico: a Udine mi avevano chiesto di trovare un luogo in Carnia dove gli alleati potessero fare un lancio di armi, così sono andato ad Ampezzo da Ciro Nigris e gli ho chiesto, visto che lui conosceva bene la zona del Navarza, di andare su e dirmi: e lui mi ha fatto addirittura una mappa e questa carta è andata a “Verdi”, non alla Garibaldi. Poi Nigris è stato assimilato dalla Garibaldi. Rispetto al comando unico, comunque, la spinta maggiore l’ha data la Garibaldi e in particolare incaricando della vicenda un mio amico, Mario Candotti “Barba Toni”. C’incontriamo, salvo errori, all’albergo Nord di Ovaro: siamo presenti in diversi, ma in particolare chi guida la battaglia è Candotti; io sono favorevole, ma ho due incerti con me e uno assolutamente contrario, Zanier, che poi viene praticamente trainato. Questo incontro quando avviene? Dev’essere l’uno o il due di ottobre. Comunque si conclude la faccenda con una bevuta, perché “Barba Toni” tira fuori un fiasco: lui era anche un tipo allegro. Il risultato è questo: “Tredici” comandante (ma non era lì) della Osoppo-Garibaldi Carnia, “Da Monte” commissario, Zoffi vice comandante, “Gracco” vicecommissario e Ciro Nigris capo di stato maggiore: tre della Garibaldi, due della Osoppo; si rispettava in un certo modo le forze in campo. Niente di particolare, non abbiamo deciso niente, abbiamo detto “il comando è unico”: Così io prendo le mie decisioni e le comunico anche a “Tredici”, correttamente. Questo avviene subito, perché l’attacco è dopo due - tre giorni e prima dell’attacco avviene quella segnalazione di cui parlavo prima. Avevo, dunque, comunicato a “Tredici” sia la notizia che stavamo per essere attaccati sia che avevo fatto personalmente il piano di ritiro - combattendo - delle forze, in modo da fare il massimo danno a coloro che venivano avanti. Sapevo che non potevamo resistere, sia come munizioni che come altro, come numero di persone. Eravate, mi pare, seimila contro trentamila. Seimila? Magari! Il nostro numero era inferiore. Ma tu avevi studiato il piano di ritiro per tutte le forze? No, io ho fatto il piano per l’Osoppo e gliel’ho comunicato. Lui poteva avere idee diverse, per questo io non mi sono peritato di dire “facciamo così”. Io ero a Luint e lui alla Patossera: gli ho mandato la notizia per mezzo di un partigiano. Quando l’attacco è avvenuto e questi combattimenti si sono sviluppati, i partigiani hanno cominciato a ritirarsi. “Tredici” era un veneziano che non amava stare in montagna, era un marinaio, con le gambe sottili e quindi… E poi fra l’altro credo che non avesse fatto neanche un’ora di tattica militare come io ero stato costretto a fare come ufficiale: anche per questo lui avrà avuto fiducia in me, non si può capire in altro modo. Viene giù in Topolino e mi chiama: arriviamo a Villa, entriamo ad Esemon, troviamo la linea dei partigiani, aspettiamo, parliamo e intanto viene notte e vediamo i fuochi delle mitraglie che scendono sia da Verzegnis che da Lauco. Allora, cosa dobbiamo fare? Eravamo tutti e due incerti, studiavamo il da farsi e intanto ci siamo ritirati ad Enemonzo. Qui abbiamo trovato Mario Di Rena, il quale era tutto preoccupato: “Tredis, ce aio di fa di quei cinquanta altoatesins che i vin cjapat su a Sapade?” “Eh, cos ti vol, ti va sul fiume con una mitraia...” Comunque gli chiedo un favore: “Vieni su a Maiaso dove c’è mia moglie che è incinta e devo parlar con lei.” Andiamo su, parlo con mia moglie e le dico di andare a Feltrone, dove c’era l’Aida che certamente l’avrebbe aiutata. E “Tredici”: “No, non sta preoccuparte, che la vegni con mi.” E l’accompagna a Tramonti. Prima di esaminare i vari aspetti della ritirata, torniamo al comando unico: dal punto di vista politico operativo nasce e muore subito? Non proprio, non muore subito, adesso capirai. Rimasto solo cerco di attuare il piano che avevo detto: si trattava di portare dei viveri su al comando, (i battaglioni dovevano arrangiarsi da sé) e mi ricordo queste donne che faticosamente venivano su con la gerla e portavano la roba in Pani. Io aspettavo che tornasse “Tredici”, ma lui si è trattenuto credo quattro o cinque giorni. E da qui la vicenda del processo. Qual era esattamente capo d’imputazione, diserzione o negligenza? Beh, adesso non saprei dire, perché i rapporti non erano così precisi, erano molto fraterni e talvolta violenti, come tra fratelli, e le parole servon poco. Lui veniva accusato di essersi trattenuto quando non doveva: era questo il fatto. Io intanto, dopo fatto questo lavoro di creazione di basi da un punto di vista anche alimentare, scendo a Maiaso, dov’era la casa di mio nonno: prendo contatto con qualcuno, non so bene cosa fare, immagino di aver pensato “Chissà che non ci sia qualche reparto verso Preone, “Tredici” cosa farà?” Fra Enemonzo e Esemon di Sotto ho attraversato il Tagliamento e sono andato a Preone e qui trovo “Tredici”, rientrato dopo i quattro o cinque giorni che ti ho detto, che mi fa feste. A un certo momento ci avvertono che stava passando una colonna di tedeschi sulla strada di Socchieve e Enemonzo, allora “Tredici” ed io veniamo giù col gruppo partigiano: erano tutti della Garibaldi salvo uno, il mitragliere, che è ancora vivo ed è “Valerio”, di Fusea. Ci mettiamo lì di faccia alla strada e al di là del Tagliamento e “Tredici” in piedi col binocolo: era un uomo coraggioso, questo bisogna dirlo, guardava e diceva “spara così, spara colà” e “Valerio” sparava. Non mi pareva che si mettesse al coperto, stava in piedi e ogni tanto mi guardava e rideva, come dire “l’ho azzeccata”. Io ero disteso lì vicino a lui, ma ero stanco morto, e così mi sono addormentato, in mezzo alla battaglia! Lo scontro si è risolto senza particolari sviluppi, così la sera “Tredici” ed io, da soli, attraversiamo il Tagliamento e arriviamo a Maiaso; lì troviamo una mia zia, Diana, e una mia cugina che era scappato da Genova col marito, fascista: lui mi chiede di appoggiarlo per entrare nella Osoppo; gli ho domandato: “Ma siamo sicuri che hai cambiato mentalità?”, lui mi ha assicurato, ho fatto una lettera e lui è entrato nella Osoppo; poi è stato preso e portato a Dachau, ma è tornato indietro vivo. Devo dire queste cose perché lì abbiamo trovato queste donne e i due bambini. Ad un certo punto dico a “Tredici” di andare a dormire e andiamo tutti e due nel fienile. L’indomani siamo venuti a Raveo, piano piano, perché lui faceva fatica a starmi dietro; da Raveo sulla destra orografica del Degano abbiamo raggiungo Muina, poi Cella, Agrons, abbiamo preso la strada della Pesarina e siamo arrivati a Pradumbli, dove lui viene accolto a risate, insulti, bestemmie da donne della famiglia di “Aso”, che era morto a Sappada: era una famiglia di anarchici... C’informiamo delle formazioni partigiane, dove sono, cosa fanno. A un certo momento molliamo Pradumbli: lui insiste di voler andare per la strada, io lo costringo a passare per i sentieri, sentieri che inventavo perché io sono di montagna e quindi mi arrangio in mezzo al bosco. I cosacchi avevano già occupato Ovaro, credo che avessero già una base alla Patossera. Lui era così, preferiva correre rischi, era coraggioso, ma assolutamente incapace di camminare: veneziano... Abbiamo dormito in uno stavolo che ho trovato sulla montagna tra la Patossera e la malga Avedrugno, sopra Mione. A un certo punto dice: “Semo strachi tuti e due vedemo chi s’è più bravo a sparar” e abbiamo tirato due colpi di rivoltella… Era fatto così. L’indomani mattina si parte: io arrivo mezz’ora prima di lui ad Avedrugno, non potevo stare ad aspettarlo! Nella malga c’era un gruppo di garibaldini: non è che mi trattino male, ma non mi dicevano niente, quasi come se non fossi presente. Quando arriva, “Tredici” li tratta con molta cordialità, ma non funziona. Diffidenza, perché? Chissà, forse era girata la voce che lui li aveva abbandonati, sai come succede. Allora si scende e lì abbiamo trovato l’Ors di Pani: amici, abbracci. Poi le vicende dell’invasione cosacca, che sono abbastanza note. M’interessava capire quando, da parte del comando della Osoppo, viene di fatto annullata la decisione del comando unico. O meglio, formalmente non viene annullata… Io l’ho saputo ai primi di dicembre, quando ho preso atto che quelli mi hanno detto che il mio nuovo incarico era “prendere contatto con la gente”; ma del fatto che il comando unico non era stato riconosciuto, del fatto che io non ero più comandante di niente e che dovevo solo occuparmi dei rapporti tra popolazione e partigiani, l’ho saputo solo i primi di dicembre, tornando da Tramonti, dove ero andato con “Tredici” a prendere i contatti. Ma ti è stata data comunicazione formale di questo? Niente di formale, no. Me ne sono reso conto perché intanto era avvenuto il processo a “Tredici”, al quale ero stato presente e lì nessuno disse che lui aveva perso il comando; ma è venuto automatico di pensarlo quando c’è l’attacco comandato da Tranquillo De Caneva contro i cosacchi di Raveo. Così scrisse De Caneva, poi decorato, nella sua relazione: “Deciso la distruzione dei reparti raccolti nella conca di Pani. Il comando brigata e quindi il battaglione Friuli deliberarono di combattere.” Non è esatto. Lì c’era ancora il comandante della Osoppo, “Walter”. “[...] Mentre i reparti della Osoppo giudicando impossibile resistere ripiegarono verso le valli del Navarza e di Sauris.” Non è vero, perché dopo tutti sono ripiegati, ma nel caso della battaglia Carletto Chiussi dice che è stata concordata da De Caneva “Ape” e “Walter”, della Osoppo. Cioè la ritirata di tutti verso la stessa direzione? No. A un certo momento c’è stata la decisione di attaccare i cosacchi che si erano insediati da pochi giorni a Raveo: hanno studiato il modo di tentare di tagliarli fuori e hanno fatto una specie di combattimento alle loro spalle. Da quanto mi risulta questo non è esatto ed è esatto quello che scrive Carletto. Ma c’è una seconda volta che “Tredici”, insieme a me, va a Tramonti: verso l’uno o due dicembre, insieme ad un paracadutista di New York che si chiamava Brown, ma che era di origine polacca, col quale io tentavo di parlare inglese; prendiamo gli ordini che dobbiamo prendere, ma poi “Tredici” non si muove (lui sapeva già di essere stato scaricato, ma io non lo sapevo) e così io insisto, ma inutilmente. Combattevano al passo Rest; ho scavalcato la montagna e mi sono ritrovato in mezzo ai cosacchi! Ho salito quella mezza montagna che divide il Tagliamento dalla conca di Ampezzo e mentre cercavo di non farmi vedere, due cosacchi sono venuti a defecare a un passo da me nel bosco e io fermo lì, immobile... Poi lassù in cima dietro al muretto di una malga vedo due che fanno un cenno - era notte fonda - faccio un gesto di saluto e mi butto giù dall’altra parte, scivolo giù per il pendio molto ripido, perdo l’impermeabile e casco nell’acqua della palude di Cima Corso. E loro erano lì a cinquanta metri. Dopo sono salito sul Pura, sceso sul Lumini e salito su a Lateis. Lunga! Eh, 17 ore... Ma tu che obiettivo avevi? Di ricongiungermi coi miei. Dopo l’attacco di “Ape” e “Walter” a Raveo, è arrivata la notizia che i cosacchi avevano richiesto dei cannoni per distruggerci. Noi siamo in Pani. Ma loro avevano montato alcuni cannoni sul treno per sparare… Sì, ma il treno poteva arrivare solo fino in Vinadia, e lì dovevano caricare tutto sui camion per andare più avanti: il ponte sul torrente non esisteva più, l’aveva fatto saltare uno della Garibaldi. Allora, questa è la minaccia e “Tredici”, che non è di montagna, dice “orco can, come faremo a cavarcela?” e io gli rispondo “Mi vado so a parlar coi cosacchi e digo guardè ben che s’è una faccenda seria per voi, perché le armate alleate sono vicine!” … Lui sapeva già di non aver il comando, perché questo attacco l’ha comandato De Caneva “Ape”, ma io non mi rendo ancora conto di questo e gli dico “Vado io giù, tengo in chiacchiere i cosacchi.” Ma ti fidavi, in un momento così caldo, di andare a trattare? I nazifascisti credevano ancora all’arma segreta, io no, e sbagliavamo tutti, perché l’arma segreta c’era, ma non era ancora al punto giusto. “Te g’a coraggio de andar…” “No - gli ho risposto - ti te s’è della Garibaldi e mi della Osoppo”… mi ricordo ancora la frase esatta. Allora vado giù a Maiaso, conoscevo il prete, mi metto in coda, con tutte le donne che andavano al comando di Raveo, perché a Maiaso comandava il gruppo di Raveo, mi presento: avevo lo zaino, loro mi hanno trovato la pistola e me l’hanno portata via; comincio a dire ”Guardate bene, oramai la guerra è perduta.” Il comandante, un maggiore, era uno piccolo: non mi crede molto, ma era rimasto impressionato del fatto che io avevo nello zaino Il giocatore di Dostoëvskji. Era un caso? Mah, potrei anche dirti che l’ho fatto apposta, ma non è vero. Ma il brutto comincia adesso. L’indomani mattina - doveva essere il 26 o il 28 novembre - mi bendano e mi mettono su un carro, dove c’ero solo io, passiamo il Tagliamento e arriviamo a Esemon di Sopra. Mi scaricano in una casa a metà circa della grande via e a un certo momento arriva un colonnello delle SS con un tenente viennese che faceva da interprete. Ho pensato “qua mi fanno fuori”. Però, si è scomodato un colonnello delle SS! Sì, o forse non era un colonnello, ma certamente aveva come interprete il tenente. Poi Verdi mi disse che ero stato un mezzo cretino, perché avevo fatto il furbo. Comunque l’ufficiale ha tentato di convincermi a portare la Osoppo contro la Garibaldi: a un certo momento mi fa dire “Vedrete che vi trattiamo molto bene, vi diamo da mangiare” e io ho risposto “Come le vacche”. Mi è scappata! E lui mi risponde “Altrimenti come le tigri”, cioè ti ammazziamo. Ma non l’hanno fatto, mi hanno riconsegnato ai cosacchi, che mi hanno riportato a Raveo: erano perplessi anche loro. Ma anch’io ci avevo pensato, non vado mica a rischiare la vita così, da cretino: era un modo di fare disinvolto, direi, ma aveva una sua logica. Mi fanno accompagnare da un capitano su quella discesa che da Raveo piomba sul Degano: io scendo, ma non mi fido tanto: “Qua, se vogliono fregarmi, li frego io.” Dice: “Quello scappa dritto” ed io invece ho girato tutto intorno. Faccio un giro, monto sulla mont Volaja, scendo a due chilometri da Raveo, passo il Chiarzò e vado a Maiaso: lì incontro il mezzadro, un amico di famiglia, che piangeva perché suo nipote era stato fatto prigioniero in India; sto un po’ con lui, avevo detto a mia cugina “Se vedi qualcosa di pericoloso, tieni aperto uno degli scuri di questa finestra.” L’indomani mattina corro su da Toni che mi fa: “Scjampe, a’ son i cosacs”. Allora io prendo il Coladôr … Dove hanno ammazzato Mirko. Sì. Lì vedo un gruppo di garibaldini che sta picconando, probabilmente per allestire una riserva di viveri o di armi. È un po’ lontano, li saluto e proseguo; arrivato in cima mi butto di là, e a momenti muoio nella neve, era più alta di me, farinosa: son rotolato, non riuscivo a stare in piedi, ho fatto una fatica spaventosa a cavarmela. Arrivo a Lateis e lì trovo “Tredici” che mi guarda: “Te s’è vivo ancora!” E dopo due giorni siamo andati a Tramonti, dove lui si è di nuovo fermato e dopo l’han preso dopo qualche giorno a Preone. Allora lassù mi hanno avvertito e io mi son reso conto che non mi volevano più come comandante e avevo già deciso. Lì c’era Mitris, se ben ricordo, il capo di tutti era Corradazzi, che era il commissario della Brigata, poi c’era Baldo Di Ronco, che stava nascondendo le armi con Carletto Chiussi e che era stato un comandante della nostra formazione, ma aveva avuto delle questioni. E quindi io scendo, in piena notte, nevicava. Aveva nevicato la notte prima quando loro stavano nascondendo le armi, io avevo insistito nascondetele bene. Di notte sono venuto per un sentiero “del buso”, non so se lo conosci, per andare a Sauris, c’erano dei sentieri spaventosi, avevano già fatto il ponte, ma io non son passato per il ponte, c’erano già i cosacchi ad Ampezzo, dappertutto, allora costeggiando sopra Oltris e Voltois finché sono arrivato nella casa ospitale, da Aida Durigon, quella che appena arrivavo mi accoglieva piena di gioia e di amicizia … aveva venti, trent’anni più di me ma sua figlia è ancora viva. Peccato che io troppo rigido non ho voluto estendere il diritto di essere partigiani anche a loro, perché se c’era della gente che meritava di essere riconosciuta erano proprio loro. Ma io dicevo saranno rigidi i comunisti, io sono rigido come loro. Invece loro non son stati affatto rigidi. Gioconda, che è ancora viva, ogni tanto mi telefona. Sono arrivato lì e mi son messo a cercare i battaglioni che erano venuti lì dove avevo detto (lì avevo sbagliato io) appena arrivati dopo un giorno son ritornati vicino ai loro paesi; quelli di Sutrio sopra Sutrio, quelli della Val Tagliamento, che erano venuti e non venuti … Perché si sentivano più sicuri e conoscevano meglio… Sì, io non avevo pensato abbastanza bene, la prima parte era giusta, quello di ritirarsi combattendo, ma avrei dovuto capire e dire dopo tornate nei vostri posti, avete le amicizie … Era più facile, se non altro per mangiare. Sì, come dire, tatticamente sarebbe stata perfetta se io avessi indovinato anche la seconda parte, invece io non l’avevo prevista per niente. Volevo chiederti di fare un passo indietro sul discorso della zona libera. Bisogna rifarsi ai tempi precedenti. Avviene che in quindici giorni in settembre … viene nominato il CLN della Carnia, il quale si trasforma in repubblica partigiana, praticamente si può dire che già il 15 settembre esiste. Quindi la decisione viene presa autonomamente in Carnia e dopo Andrea e gli altri vengono su a prendere atto, in qualche modo, e a dare una sanzione. Non ti so dire bene cosa, credo che io sono uno dei fondatori perché ho portato il rappresentante dei socialisti, ma ero già stato insieme a De Caneva ed altri nella nomina dei sindaci della liberazione, a Enemonzo mi ricordo bene che eravamo andati al bacino della luce elettrica e lì avevamo chiamato i capifamiglia del paese, quelli che volevano venire e che c’erano, non ce n’era tanti, abbiamo distribuito i foglietti e loro son tornati col voto ed è riuscito Zanier. Questo avviene nel giugno, luglio … prima quello di Villa Santina, a cui avevo partecipato indirettamente, dove era stato eletto sindaco della liberazione il podestà di prima, che era Fiorillo di Salazar. Ma perché lo chiami sindaco della liberazione? Era un modo di dire, intanto non erano più podestà ma sindaci, ma erano sindaci di quel momento, della liberazione. In ogni comune nasce un sindaco e un rappresentante del CLN. Ma perché due, un sindaco con funzioni amministrative e un CLN politico? Sì, appunto, l’altro ha un significato politico, l’altro accetta i rischi. E il CL diventa di valle. Questo non succede per i sindaci. Ad un certo momento questi comitati di valle nominano un CLN della Carnia, il quale si insedia ad Ampezzo, perché Tolmezzo non era disponibile, va ben che mezzo Tolmezzo era partigiano, tutte le frazioni, anche Caneva. Poi chissà chi decide, credo che l’idea viene fuori un po’ vagamente dalla testa di Emilio Beltrame, comunista, forse, lui non era tanto un partigiano, quanto un teorico. Forse lui era informato della Val d ’Ossola. Non so, può darsi. Ad ogni modo io vengo convocato ed è la prima riunione di questo comitato, che manca del rappresentante socialista e mi precipito a cercare Giovanni Cleva che venga a rappresentare il partito socialista. Io assisto alla prima riunione che avviene fra Beltrame, comunista e don Aldo Moretti, medaglia d’oro, Lino, e la discussione avviene sul fatto che nasce la vera giunta di governo della zona libera, che io la chiamerei giunta civile della repubblica democratica. Avviene la lite perché si formano due gruppi: il gruppo dei rappresentanti politici tradizionale nelle democrazie, cioè dei cinque partiti compreso Giovanni Cleva, il partito d’azione, il partito socialista, il partito comunista e il partito democristiano, dominano il partito comunista e democristiano. Interviene spesso il mio uomo Giovanni Cleva, col suo modo di fare lento, meditativo che ha evitato spesso … Andrea veniva a dirmi “tu che l’hai portato giù che non ci lascia andare avanti, che è sempre che discute”. C’è il contrasto sulla questione delle organizzazioni di massa? No, c’è contrasto perché Beltrame propone nel governo anche la rappresentante delle donne, il rappresentante dei giovani, il rappresentante dei contadini e quello degli operai. E lì avviene che ad un certo momento si conclude senza che sia concluso chiaramente, nel senso che si mettono d’accordo che il gruppo deliberante è quello dei partiti, cioè il gruppo civile, perché bisogna anche dire che siamo soltanto garanti Andrea per la Garibaldi e io per la Osoppo. Questo governo più esattamente dovrebbe essere pensato formato da due gruppi più i due garanti. Siccome si è tanto parlato dei partiti, della discussione accesa sulle organizzazioni di massa, invece si è parlato pochissimo, non si sa nulla su questa funzione che avevate tu e Andrea: garanti, era una funzione di fatto ma non riconosciuta? Di fatto, delle proposte, la proposta un po’ tirata per i capelli di Andrea di abolire la pena di morte nonostante Stalin vivente … fa un po’ pensare. E la mia di stabilire l’aliquota sul livello del reddito. Tutte e due erano proposte in un certo senso rivoluzionarie, ma… Non è che facessimo i garanti attuali, tutto sommato davamo una mano. Ma era un ruolo che non era formalizzato, vi veniva riconosciuto per la vostra storia. Sì, devi pensare che tutto avviene senza che ci fossero delle parole che inquadrassero la figura. Ma i membri della giunta vengono in realtà nominati in una riunione del CLN della Carnia, non vengono eletti, ma nominati. Devi tener conto del fatto dei precedenti: c’era stata la nomina dei sindaci e dei rappresentanti del CLN, quindi anche se non è in quel momento una nomina elettiva, nei fatti concreti è una nomina valida. Volevo portarti una dichiarazione recente che dice che la nostra repubblica era stata la più democratica di tutta Italia. Dicevamo delle trattative che sono state avviate con i cosacchi per la loro resa. Come sono state avviate? Il giorno 26 io scendo a Tolmezzo per mettermi d’accordo con quelli del CL o con i partigiani della Osoppo che lavoravano sul terreno di fare in maniera che, quando i cosacchi, dovessero andarsene, non facessero del male alla popolazione. Dovevo dormire nella ex sede dell’Istituto tecnico di Tolmezzo in cui avevo fatto i quattro anni delle inferiori, dove c’è oggi la sede del comando di Finanza. In quell’ambiente io ho preso contatto con i rappresentanti che ho detto e ci siamo messi d’accordo. Augusto Vidoni mi ha detto che era pericoloso dormire lì e mi ha portato a casa sua che è proprio di faccia al campanile di Tolmezzo, verso ovest. La mattina, forse verso le nove, scendo con lui e trovo la signorina Maria Chiussi, che era un’amica di famiglia, e ci informa del fatto che sono stati presi, quella mattina ritengo, una ventina di persone. Ma erano venti partigiani? No, era un rastrellamento. C’era di mezzo anche uno che era un impresario della Tot, che era un ex fascista, Tonin Filippuzzi, che era stato accusato di avere fra i suoi uomini dei partigiani. Lui ogni volta che mi trovava mi diceva “eh, tu che mi hai salvato la vita”. Ma allora alcuni di questi sono stati arrestati puntando a prendere persone precise, non era un rastrellamento generico. Sì, penso di sì, forse che sapessero anche di mio fratello può darsi, comunque li prendono e li imprigionano ed io decido di dire, stati attenti che qua stanno arrivando gli alleati, comportatevi abbastanza bene. A un certo momento, non so quello che mi è saltato in testa, a Domanov gli dico… Però ci sei andato… Col fazzoletto verde, l’ho messo a metà piazza... Rischiando di prenderti una schioppettata… Eh, va be’. Entro e mi guardano rispettosamente, forse abbastanza stupiti, e vado immediatamente in presenza di Domanov, il comandante generale, l’atamano di battaglia, perché Krasnov non è atamano di battaglia, è piuttosto il politico. Apriamo una parentesi, perché molti immaginano che ci fossero “i cosacchi”, mentre invece c’erano non solo tante etnie, ma ci sono stati tre grandi gruppi, quindi, c’era l’atamano di battaglia, l’atamano Krasnov che era più prestigioso, ma rea più un’autorità morale e politica. Sì, esattamente. E poi c’era la cosiddetta armata del Caucaso, ma contava di meno. Sì. Tra Krasnov e Damanov c’era un contrasto di potere in qualche modo? Credo di no, credo che fossero pari grado, ma che tutto sommato leggerissimamente dominasse Domanof. Perché aveva anche più uomini, più mezzi. Non solo, ma perché presso lui c’era credo un capitano delle SS che… Faceva da collegamento con Trieste. Credo sia così, adesso sono cose sulle quali non sono andati in fondo. Comunque ad un certo momento, dopo aver accennato al fatto che stavano venendo avanti gli alleati, che quindi si comportassero come dovevano, mi viene per la testa quella pazzia, cioè loro chiedono “cosa dobbiamo fare?” “voltate le armi e sparate sui tedeschi”. Mi è venuta proprio così. Loro mi dicono no, noi sappiamo che fra i tuoi c’è il comando inglese, tu portaci giù un inglese che dica quello che dici tu. Però di inglesi non ce n’erano più in Carnia? Sì, c’era su a Val di Lauco Mosder, che aveva con sé… Ma non aveva l’autorità per trattare… Lui faceva il collegamento, aveva un gruppo di suoi uomini australiani, un polacco anche, un neozelandese. E come mai tu non ti rivolgi a lui, ma hai un’altra idea? Non mi rivolgo a lui perché invento lì per lì una battuta, sono loro che mi dicono sappiamo che tu hai gli inglesi lassù. Io andavo quasi ogni settimana in mezzo ai miei, specie all’eroico Lupo, che poi è diventato comunista, l’ho nominato io comandante del battaglione Val But, quello che è rimasto tutto l’inverno in montagna e che, finita la giostra, siccome era molto bravo, Verdi ha chiesto che andasse su a Tarvisio a tener Traviso per l’Italia e lui è andato insieme con … e se Tarvisio è ancora italiano credo che una parte del merito debba essere riconosciuto a Lupo, De Mattia Giovanni di Sutrio. Comunque, loro sanno, quindi ti conoscevano bene, che tu hai i contatti con gli inglesi e loro vogliono trattare con degli ufficiali inglesi, perché dei partigiani non si fidano, ma soprattutto pensano che chi deciderà la loro sorte saranno gli alleati. Credo che sia esatto pensare così. E a questo punto però la domanda è: come mai, visto che a Lauco c’è ancora un ufficiale di collegamento, tu non vai da lui? Io non vado da lui perché penso che sia una balla quella che ho detto. Cioè pensi che non sia il caso di coinvolgere gli inglesi in una pensata tua. Appunto. E poi quello lì cosa faceva, aveva la radio e comunicava dove buttare le armi. Era un maggiore inglese, o capitano, che per esempio Della Schiava Vittorio (che poi quando è finita la guerra allora era comandante di un gruppo del Val But, dipendente da Lupo, ma poi è diventato comandante di un altro battaglione non so se Serio o qualcosa del genere, lui era di Paularo, e il suo commissario era Vinicio Talotti, lui anarchico piuttosto e Talotti democristiano; si chiamava Lampo) e un giorno Lampo era andato lì tutto vestito di bianco perché portava degli inglesi lungo la ferrovia pontebbana, gli faceva scavalcare la ferrovia, andavano all’aeroporto che aveva costruito Tito, lui era uno che conosceva bene la zona, e diceva “chel la lu copi” “e parcè?” “al mangje, al bef”… Sì, c’erano spesso anche degli aspetti di colore. Sì … polenta e panorama. Comunque, tu hai fatto questa boutade su Domanov, e ti viene poi un’altra idea. Mi viene quasi subito. Dico: Gianroberto Burgos è un tipo che ha una bella presenza, non solo, ma deve averla a morte coi cosacchi perché gli hanno offeso la moglie una volta, mi avevano raccontato così … tuo padre ci teneva a queste forme, e poi la brutalità credo che fosse peggio della morte. Comunque vado e gli chiedo “sai l’inglese tu?” “sì, lo so” “allora vestiti da inglese e domani vieni giù a dire ai cosacchi quello che vogliono”. Naturalmente lui non aveva questa mentalità quasi goliardica mia, lui era un ufficiale di marina, nobile, un po’ di puzza sotto il naso è ammissibile che l’abbiate tutti quanti. Scusa, io dico quello che penso. Ma lui non ti risponde. Non mi risponde. La sua correttezza stava lì, ecco perché dico che non dice niente, deve aver detto non mi va. L’indomani mattina si presenta vestito da capitano di corvetta. Io non gli dico niente, chiaro che lui non accetta, questo è un modo spregiudicato di agire. Così veniamo giù, se non ricordo male guida Tomat, tuo padre a fianco di Tomat, io dietro. Disarmati. Certo disarmati, andavamo a parlamentare. E credo che quando lo hanno chiamato dentro i tedeschi gli abbiano anche chiesto se era armato o no. Hanno visto questa macchina, credo di non sbagliarmi, con la bandiera tricolore sul cofano e credo con questo fazzolettino bianco e dicono è tutto regolare. E arrivate a Tolmezzo senza che vi fermino. Nessuno ci ha fermati, siamo passati dappertutto, ma probabilmente a Villa Santina mi conosceva solo l’interprete. Il comando esattamente dov’era, Domanov dov’era? Albergo Roma, primo piano. Quindi arrivate in piazza, che sarà stata piena di soldati. No, non c’era molta gente, ho incrociato mio padre a un certo momento, ma non si è accorto di me. Sono salito immediatamente sopra al primo piano, ho preso contatto con Domanov, ho fatto quello che ti ho detto. L’indomani tornando sono arrivato lì, io non contavo più niente, chi contava era Gianroberto Burgos, il quale discuteva, discuteva, discuteva, ma non gli ha detto di voltare le armi contro i tedeschi; non so cosa gli abbia detto, perché non abbiamo avuto tempo di parlare dopo. Ti ho già detto che quando sono arrivato a … ti devo raccontare che a Caneva ci hanno fermato due volte. Comunque la discussione è lunga ma non porta a niente. Non porta assolutamente a niente. L’unica soluzione sarebbe stata la mia. Potevano forse guadagnare qualche punto, ma comunque non era il caso di andare a parlare con la periferia, era l’unico modo che ho preso io, di parlare col comandante, non poteva essere in modo diverso. Quelli là per forza ti dicono “domanda a Tolmezzo”. Secondo la tua opinione, come mai Domanov dice di no quando era evidente che avrebbero fatto una brutta fine. Perché, per un senso dell’onore, perché sperava in qualche trattativa con gli inglesi? Domanov probabilmente da un punto di vista delle decisioni politiche si rimetteva a Krasnov, e lui aveva tutto da perdere e poteva solo sperare in Alexander, perché lui e Alexander avevano combattuto insieme ai bianchi in Russia contro Trotsky, erano amici. Con la differenza che Krasnov contava già a quel tempo, era generale già a quel tempo, invece quell’altro… comunque contava su un rapporto personale che… Poi sai c’erano già gli accordi: voi dovete consegnarci tutti i nostri nemici. Quindi Alexander gli avrebbe detto sì sì e poi … comunque la trattativa. È venuto uno storico inglese a chiedermi e lui insisteva col dire che non era una brutta azione quella che aveva fatto Alexander, c’è un libro scritto in inglese da qualche parte, sono stati qui un giorno intero. Il suo libro è uscito anche a New York. Comunque voi tornate indietro in tre in questa macchina e a Caneva… A Caneva veniamo fermati, invitato tuo padre ad entrare nell’androne, entra nell’androne dove stanno pochi minuti mentre io penso qui ci fanno fuori e mi rannicchio sul fondo. Lui esce, saluta e andiamo via. Quindi un atteggiamento corretto da parte dei tedeschi. Direi efficiente e corretto. Soldati dell’esercito. Ho ammirato il modo di fare: questi qui stan perdendo la guerra e sono come se andassero in battaglia. Mi ha impressionato. E perciò appena arrivato io ho guardato la bandiera e a Gigi Covassi gli ho detto è meglio tirarla via. Gigi è diventato poi mio amico, ci davamo del tu. La baruffa che ha fatto col Solari, io ho fatto da paciere; lui che difendeva il voto democristiano, io che difendevo il voto di Solari partito d’azione. Poi Solari era sanguigno. Sì, sanguigno, ma non era da buttar via neanche Gigi. A Caneva vi fermano una prima volta e poi… E poi una seconda volta 500 metri, dove la strada di Caneva taglia la ferrovia esistente c’era un casello. Dove è nato un partigiano nostro, Accaino, che è stato fino all’altro giorno presidente dell’ANPI di Tolmezzo. Ci fermano una seconda volta e non lo portano nel casello, ma deve essere stata una tenda 50 metri più in là. Va là, chiacchiera un momento, libero e torna via. Sempre efficiente e corretto. Arrivo ad Ovaro, la bandiera, Gigi eccetera… Era la bandiera tricolore sabauda. Sì sabauda, ci salutiamo, non mi ricordo bene neanche quando, comunque io non ho più visto tuo padre che a Tolmezzo cinque giorni dopo. Su questo a te risulterebbe che lui successivamente viene prelevato, va in Austria… Sì, viene prelevato, lo dice anche lui [cerca in un libro] guarda che è un libro interessante, ci sono degli errori, per esempio Giovanni Cleva è detto comunista, mentre è socialista, a meno che non ci sia un altro Cleva. Invece Carletto Chiussi dice che rappresentante dei comunisti e capo del comitato è Cioni. Ecco: prima relazione di Flavio, Gianroberto Burgos, “il comandante Paolo e Gianroberto Burgos mandano Mario Tomat a Tolmezzo con un documento scritto dove si chiede la resa dell’atamano. Questo dovrebbe avvenire il giorno 2 maggio mattina. Come mai, io mi dico, se lui prima dice che va a Mione e non si muove da lì. Allora il 2 lui è a Tolmezzo di sicuro. Michele Gortani: il martirio della Carnia: “intorno alle ore 11 del 2 maggio raggiunto Tolmezzo il capitano di fregata G. Burgos si unisce con Michele Gortani Livio Pesce e Don Primo per trattare con l’atamano Krasnov la resa. Un colonnello SS irrompe nella sala” eccetera. Allora, cos’è qua: lui dice di essere andato e di non essersi più occupato, qui dice prima relazione di Flavio, deve aver fatto confusione lui, “non vedendo tornare il latore del messaggio scendono anch’essi a Tolmezzo per chiedere”, ma non mi consta giusta questa roba qua: il comandante Paolo e Gianroberto Burgos mandano Tomat. La mattina del 2 io non vedo né Burgos, né Paolo, questo è certo. Paolo lo rivedo a Tolmezzo il 3. Deve aver confuso tuo padre, perché non mi torna la faccenda. Non mi risulta che abbia mandato un documento scritto chiedendo la resa. Questa relazione di tuo padre dovresti fartela dare e studiartela bene. E poi dice “ritornato ad Ovaro, seppi dell’eccidio avvenuto l’indomani del giorno in cui feci richiesta”, quindi non torna la cosa, perché il 2 maggio mattina, dopo che è avvenuto tutto, manda giù Tomat con la richiesta e poi dice ritornato ad Ovaro seppi dell’eccidio, non è possibile! Col casino che c’era in quei giorni, credo che abbia fatto proprio un errore di pensiero. Probabilmente è più di un errore, forse eccessiva prudenza, perché questa era una relazione ufficiale al proprio comando. Credo che il comando della marina, o comunque i comandi militari… Prima relazione. Sì, ma la seconda relazione era una relazione di un privato cittadino all’Istituto del movimento di liberazione; questa è una relazione formale, ufficiale, presentata al comando della marina. E questa è un gioco per salvare Paolo, si dovrebbe pensare così, dalla tua analisi. Secondo me si mescolano un errore di ricostruzione e una tattica politica. Due e mezzo di mattina, ma come mai la mattina presto del 2 maggio lui è con Paolo e lui non sa tutto quello che è avvenuto? È impossibile. E qua nella seconda relazione di Flavio… Sì, ma Gortani dice: insieme a Burgos andiamo non da Domanov ma da Krasnov: Ma cos’è questa storia di Klagenfurt? Aspetta che la trovo… La mattina del 2 maggio. Questa è la mattina dell’1 maggio. Tu la notte tra l’1 e il 2 dormi a Comeglians… La notte tra l’1 e il 2 io dormo a Trava; no, fra il 30 e l’1 io dormo a Trava, dopo aver parlato con Salamachin, vado a Povolaro, parlo con De Antoni e poi scendo a Ovaro e vedo quella bandiera, sempre quella, che è minacciata dal fuoco, l’1 maggio, tranquillo. Dopo io mi fermo lì in una baracca, viene la gente, parla con me, io non so cosa dire, mi trovo spaesato, io non c’entro, cosa devo fare: sto qui e aspetto. Nessuno ha chiesto a me di questa faccenda, io sono sorpreso da questa faccenda. Non capisco, tu mi parli dell’1? Sì, dell’1. Ma, l’1 non era successo granché. No, ma io mi trovo l’1 che non so cosa fare, c’è confusione, nessuno viene da me. Bisogna anche pensare che io sento di non avere nessuna responsabilità. Ma Paolo non è a Ovaro. Paolo è a Ovaro, ma sta trattando, però non scrive niente. Quindi la notte tra l’1 e il 2 tu dove dormi? Io dormo in baracca su due sedie. E quando scoppia la caserma? Non sento niente. Quindi tu in sostanza confermi quella che può essere la versione diciamo meno diplomatica ma più realistica che c’è un gruppo di antifascisti dell’ultimissima ora che vuole acquistare una certa credibilità, convince Paolo a fare questo attacco a Ovaro. Non ti so dire, forse anche lui è trainato, chissà, tu devi leggere questa cosa qua, lui esagera sempre, si ritiene lui sempre responsabile, ma dovrebbe essere grossomodo lui il responsabile fino a che Cioni non gli dice “io voglio anche i comunisti qua”. In quel momento lui dice “allora la responsabilità è vostra”, ma quello che scrive lui qui, ripeto che lui si ritiene più importante di quanto sia, se tu leggi qui tu dici che l’ha fatta lui la faccenda. Lui ha convinto Paolo, più che il contrario. Questa però è una cosa che nessuno finora ha mai detto. Lui lo dice. Sì, ma col fatto che evidentemente non gliel’hanno pubblicata, forse apposta. Insomma, su Ovaro c'è ancora qualche punto da chiarire, però la sostanza è chiara: in tanti hanno hanno fatto confusione, sia in chiave anticomunista sia per coprire le vere responsabilità. Sì. Cambiamo argomento: ti posso chiedere qualcosa su Toni Zanella? Sì, puoi chiedere. Comunque, mi pesa ancora la faccenda di Ovaro, profondamente. Dunque, s ull’Ors di Pani: voi vi conoscevate già, quando andavi da ragazzo a Maiaso. No, non lo conoscevo. Andavo a Maiaso, ma Pani è a 1000 metri. Si andava mille volte, ma non conoscevo l’Ors. Forse c’era suo padre, quello che è stato sbranato dai muli. Quindi vi siete conosciuti… Arrivato lì verso i primi di ottobre o gli ultimi di settembre, la prima cosa che abbiamo fatto è che siamo andati in tre su in Pani: io, mio fratello, che veniva fuori dalla Russia, che era sottotenente di artiglieria da montagna e Giulio Orgnani, tenente di cavalleria, geometra, mezzo nobile, che era parente di mia zia Diana, che ti ho parlato prima. Questi tre vanno su, a un certo momento… Perché conoscevate il luogo. Ho deciso io e ho detto andiamo su, facciamo delle buche, mettiamo delle armi, mettiamo dei viveri, scatolette e se dobbiamo andar su perché veniamo braccati dai tedeschi sappiamo cosa fare. Quindi voi non andate da Toni Zanella, andate in Pani perché si presta… Sì, andiamo in Pani, però nello stavolo più alto di quello di Toni. L’incontro con Toni Zanella lo trovi in quell’opuscolo che ho fatto io, c’è qualche correzione fatta quando Dorigo mi ha chiesto di pubblicarlo ed è una correzione che riguarda piuttosto il fatto che Toni copriva la figlia, si sapeva, ma io cerco di giocare con le parole, per non dire proprio. Ma come nasce la vostra collaborazione? L’amicizia comincia con la lite, perché quando noi poi lo conosciamo, sento ancora il rumore delle buiazze che cascano e sento la bestemmia, sento che viene giù la bestemmia da sopra le nuvole, c’erano le nuvole che ci toccavano quasi i capelli. Viene giù, era andato a cercare una capra, non ci guarda neanche noi tre e poi ci manda su nell’ultimo stavolo lassù in cima, al di sopra. Cioè lui non vorrebbe avere a che fare con voi? Non vuole avere a che fare. Allora dopo un giorno o due Giulio Orgnani dice che non se la sente di andare avanti, ufficiale di cavalleria, torna indietro. Allora io e mio fratello facciamo ‘ste buche, troviamo uno stavolo in Nolia, una località al di sopra di Feltrane, su in cima, alla stessa altezza di Pani ma in versante Tagliamento, nascondiamo la roba, naturalmente è la prima cosa che hanno rubato, non ho più trovato. Comunque abbiamo finito il lavoro e l’ultimo giorno andiamo lì e non troviamo più il binocolo che avevo lasciato, che mio padre aveva portato dall’America latina, quando era andato in America latina, mandato da Mussolini, quando la famiglia si era profondamente indebitata perché mia sorella Maria che faceva il quarto anno di ragioneria a Udine è diventata tisica, è andata all’ospedale, allora non c’era l’aiuto sociale e lui si è indebitato in maniera tremenda. Chi gli ha dato i soldi è stato il marito della maestra Cleva, era il rappresentante della posta di Prato Carnico, era stato derubato da quell’Aso che poi è diventato mio amico, quello bruciato a Sappada. Comunque mio padre si era indebitato, pieno di attenzioni per questa figlia, veniva su Varisco che era uno dei migliori professori specialista. Ma perché America latina? Tuo padre va in America latina? Mia nonna, sua madre, che sapeva che era aiutata in parte da questo figlio prima e dopo si era trovata in difficoltà anche lei, ha scritto una lettera al duce “ti sei dimenticato i tuoi vecchi amici”. Mussolini, che era stato cacciato da mio padre con la fine… Cacciato, non gli ha rinnovato la supplenza… Sì, lo ha liberato dall’incarico, ecco, allora gli ha proposto un posto di direttore generale delle scuole italiane di Montevideo e lui è partito un anno. Muore mia sorella, lui torna, aveva pagato i debiti, torna giù un’altra volta e fa un altro anno e poi torna su. E porta questo famoso binocolo. Questo famoso binocolo, che mi aveva parlato di un prete che poi era diventato suo amico e gli aveva dato ‘sto binocolo. Io l’avevo lasciato lì insieme a dei sacchi e questo binocolo sparisce. Allora io scendo giù arrabbiatissimo e incrocio Toni nella sua abitazione e comincio ad insultarlo. Lui prende il fucile e mio fratello mi dice taci, lascia perdere. E la volta dopo che ci siamo incontrati mi ha abbracciato, mi dava del tu. Trovavo sotto la porta scritto “ven su”: era lui e io andavo su. “eristu ancje tu ufficial?” perché gli bucavano la montagna sparando, ma questo dopo la guerra. Perché pensava che tu potessi… Allora mi dava un formaggio e diceva “và”. Ma questa amicizia nasce così… Nasce così, improvvisamente, però mi hanno spiegato che non l’aveva rubato lui, ma il suo aiutante, un giovane di Raveo che si chiama De Marchi. Comunque nasce questa amicizia e tu ritieni, perdona la parola, di utilizzarla questa amicizia, pensi di poterti fidare. Assolutamente, perché lui era stato renitente nella guerra del ’18, mi pare, comunque aveva lì anche un ragazzo toscano che era scappato dall’esercito. Chiariamo una cosa: non è che lui avesse sentimenti antifascisti o altro. No, il suo ideale era diventare l’imperatore di Pani. Aveva ospitato la maestra e lì i bambini andavano, aveva creato la chiesetta, che dopo la lite ha riempito di patate. Aveva sposato una donna brutta e vecchia perché aveva dei terreni in mezzo ai suoi e lui li voleva. Comunque diventate amici e lui vi aiuta per amicizia, non per affinità politica. No, lui era un generoso, lui quando andavano su le donne a chiedere burro, formaggio, quando tutti avevano la tessera e la tessera non arrivava a sfamarti, tutta la gente andava su in Pani e lui sfamava tutti. “trop al chilo” “chel di ammasso”, quasi niente insomma. La generosità non mi sembra una delle caratteristiche principali dei carnici... No, lui era di Amaro, comunque cjargnel, della montagna. Comunque lui in questo momento di bisogno della guerra era generoso ed è stato generoso anche con voi partigiani. Tra l’altro ci ha ceduto la camera, io dormivo nel suo letto, io e “Tredici” dormivamo nel suo letto. Con me era diventato un amico. Perché erano successe delle cose in cui credo che mi abbia apprezzato. Ti dico una sola cosa; ad un certo punto Fermo Cacitti, Prospero, davanti a quattro persone: io, “Tredici”, l’Ors e Bruno (Zoffi Terenzio), che poi si vanta di fare quello che ho fatto io, era impossibile pensare che Marchetti potesse fare una cosa del genere, non è stata neanche cattiveria … Ma che cosa? Allora Prospero incontra uno che era accusato di tradimento, un partigiano della Osoppo, spara, ma la pistola si inceppa e allora volta la pistola e gliela dà in testa. Assassino, in quel momento io mi sono precipitato su di lui, quando ho visto il sangue e l’ho immobilizzato, se no lo ammazzava. Dopo Bruno mi ha raccontato il fatto, che l’aveva fatto lui! Imbarazzante la cosa. Cos’hai fatto, hai riso? Be’, non ho detto niente. Allora l’Ors di Pani mi guardava e “Tredici” commenta: “cos ti vol i sé giovani i gà morbin”. “Tredici” era un assassino comune anche lui. Gli avevo mandato su un uomo e quando poi siamo diventati lui comandante e io commissario gli ho chiesto “cos’hai fatto di quel giovane che era un meridionale, biondo” “ah, non mi convinceva, lo go copà”. È brutto, ma è la verità. L’hanno cacciato prima dal comando e poi dal partito. E dopo lui si è fatto prendere a Preone, quando ti ho raccontato che io son tornato su che quasi mi affogavo nella neve, lì ho incontrato “Tredici” e dopo essere andati a Tremonti, dopo cinque o sei giorni, io ero già sceso da Lateis e vien fuori la notizia che i cosacchi hanno preso “Tredici” a Preone. Viene portato a Tolmezzo e lì viene aiutato da quello che poi io salverò, dice lui, da Tonin Filippuzzi, che dice “no, lo conosco, è un bravo ragazzo” e lo ha iscritto nella TOT. Tornando a Toni Zanella, lui era generoso con tutti, e lo faceva per generosità con la sua gente, anche se uno era di Sutrio o di… Per esempio, non diceva “orco can i ves di copami dutas ches bestias”, diceva “copaimi las vacjas, no las cjaras”. Quindi si è anche un po’ esagerata la sua collaborazione con la Resistenza, era più un fatto di terra. Io non posso dirlo, penso di sì, era un uomo che ammirava le cose di natura. Dopo aver sacramentato sugli ufficiali che gli bucavano il prato. Quindi lui anche nei momenti più difficili aiutava sia la popolazione che i partigiani, senza particolare ragionamento politico, però era una brava persona in questo. Sì, era una brava persona, aveva sentimenti e poi quando, nel fatto di cui ti ho raccontato la sua reazione era chiara … odiava quel modo di fare, quell’uccidere che avveniva sotto i nostri occhi. Cioè lui sicuramente non era… Non era come “Tredici”. “Tredici” aveva il binocolo “I sè giovani, i gà morbin” e poi ha tornato a guardare… Era cinico… Sì era così. Cioè vedere ammazzare una persona per lui era… Sì, sì … “i sè giovani, i gà morbin”. Sì ma avere morbin non significa mica essere assassini. Quindi l’Ors, apparentemente più rude, poi in realtà… Sì, la vita lui la rispettava. Lui rispettava la vita e la natura perché, dopo avermi preso in giro perché non potevo aiutarlo contro i miei amici ufficiali, mi ha portato a vedere il torrente che gli aveva portato via un pezzo di terra ed era meravigliato e arrabbiato, ma era anche ammirato … era stata così la natura, la forza, no, …”vustu mangjà cunin?” “sì, bon!” Ma è vero che lui un giorno quando i cosacchi sono andati perché sapevano che c’erano i partigiani … perché non lo hanno ammazzato? È vero che lui li ha in qualche modo intimoriti con un aspetto che… Un pochino, e un pochino li comprava col formaggio. Sai, ucciderlo si perdeva anche i salami e il formaggio… Quindi la leggenda che loro lo vedono e ne rimangono impressionati… Ma guarda la faccia che ha … è la faccia di un furbo matricolato ha una faccia… Si dice che poi gli è stato dato un colbacco di ermellino in segno di omaggio. Sì, forse, ma era più uno scambio. Uno scambio, quindi, più che un dono simbolico. Lui dopo a noi, dava anche a loro le vacche dice, non state a toccarmi le capre, no. Forse allora non lo hanno ammazzato più che per timore per convenienza, perché se c’era lui funzionava… Ma sai, io non vorrei dirti di sì anche se lo penso perché è difficile entrare nell’animo … in un certo modo c’è anche che lui rappresentava un vecchio rispetto a loro… Non era tanto vecchio durante la guerra! No, ma sembrava … era piccolo, ma aveva in un certo modo un aspetto imponente lo stesso. Con le dalbide, correva con le dalbide di legno come una lepre … e quando veniva giù era sempre con le dalbide lui … non so se aveva anche i “glacins”. Io non è che voglio fare queste domande maliziosamente per distruggere, per carità, è che a volte l’eccessiva retorica è fastidiosa… No, no comunque lui mi riteneva un amico. Questo è chiaro, mi trattava da amico. E siete rimasti poi in amicizia fino… Fino a quando è morto. Lui è morto nel cinquanta… Io ero stato mandato via, a Savona, ho scritto l’opuscolo quando ero a Savona, con tanta nostalgia di lui … ma dopo veniva giù perché aveva affari con Pittoni. Ma è vera la famosa leggenda di Venezia e dei biglietti? Perché questa è la storia più famosa, un po’ anche stupida, però… La raccontano, ma poteva essere vera, dal tipo, no, ma non era cosa fatta da lui, semmai dal padre. Almeno quando ero ragazzo si diceva così del padre, poi è passata. Sarà avvenuto qualcosa del genere. Lui se ne fregava. Che lui andasse lì al Caffè Contarena e che ordinasse una tazza di latte e che poi ci mettesse dentro la polenta tolta dalla schiena … sì, può essere e che gli altri ridessero e che lui magari dicesse al cameriere “ti doi cinc francs: digj a chei là ch’à ridin che ti detin cussì” può essere. Poi si ricama sopra, ma come tipo poteva farlo. Ma secondo te nell’insieme era un figura atipica rispetto alla Carnia, perché queste figure patriarcali da noi non ci sono mai state, no? No, no. Forse per quello si è creata la leggenda perché in fondo… Sì, ma sai, lui aveva una mistica, la mistica di diventare i re di Pani, che noi gliel’abbiamo rovinata. Quando lui ha conosciuto me, in modo particolare me, e che poi è diventato tal quale amico, lui ha cominciato a dire “orco can. Nella vita non c’è solo la terra” deve aver pensato. Perché l’amicizia che ha dimostrato con me era assoluta. Come se quasi tu gli avessi rovinato un sogno. Io ho pensato così. Però poi lui l’ha realizzato il sogno, perché era padrone di tutta la zona. No, la moglie, non gli aveva ceduto la terra … poi lei è morta, la terra l’hanno presa i figli. Quindi lui non ha ereditato la terra, l’hanno ereditata i figli. Non so bene, lui aveva un pezzo di terra verso il Chiarzò, mi ha mostrato anche le mappe … era un’amicizia strana, tutto sommato. Persone totalmente diverse. Sì, totalmente diverse, e poi veniva giù… Scusa, una sciocchezza: lui sapeva leggere? Sì, ben sapeva scrivere, mi scriveva “ven su”, mi metteva sotto lì … e io sapevo che era lui. [Romano è stanco, mi chiede di interrompere] |