Ciro Nigris "Marco"

Nigris per oltre cinquant’anni protagonista della vita culturale udinese e friulana del secondo dopoguerra, nacque ad Ampezzo (Udine) il 14 maggio 1921 da una stimata famiglia, della quale faceva parte lo zio Leone Giovanni Battista Nigris, vescovo di Filippi e delegato apostolico in Albania fino al 1945, nel dopoguerra segretario della Pontificia opera propaganda fide a Roma.

Ottenuta nel 1940 la maturità classica al Liceo Stellini di Udine, dopo aver frequentato gli studi magistrali, si iscrisse alla Facoltà di lettere dell’Università di Padova; contemporaneamente insegnava come maestro prima a Mediis di Ampezzo, poi a Sauris.
Nel febbraio 1942 venne chiamato al corso ufficiali alpini di Aosta e da lì, come sottotenente dell’8° reggimento, inviato sul fronte russo nel gennaio 1943, quando era già in corso la grande offensiva sovietica e la ritirata della divisione Julia.
A Gomel raggiunse la sua divisione e, ferito in combattimento, attraverso l’Ucraina venne rimpatriato. Dopo un periodo contumaciale a San Candido, si riunì a Udine ai pochi superstiti della Julia.
Rientrato a casa dopo l’8 settembre, prese subito contatti con alcuni antifascisti, fra cui Armando Zagolin, Romano Marchetti e i giovani del gruppo di Preone, e maturò la decisione di entrare nelle formazioni partigiane che alla fine di marzo 1944 si stavano costituendo anche nei dintorni di Ampezzo.
L’esperienza della guerra sul fronte russo, l’indignazione morale per il trattamento riservato ai soldati italiani, la volontà di liberare il proprio Paese dall’occupante nazista furono alla base della sua decisione di prendere la via della lotta armata. 
Nigris con il nome di battaglia di “Marco”, divenne prima comandante del battaglione Garibaldi Carnia, poi capo di Stato maggiore della brigata Carnia e, successivamente, della divisione Augusto Nassivera, vivendo appieno l’esperienza democratica della libera Repubblica partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli.
Terminata la guerra, Nigris mentre si impegnava con altri giovani del suo paese in ricerche con l’associazione “Tinisa” per nuove forme di organizzazione economica della vita della comunità, completò rapidamente gli studi universitari e iniziò la sua attività di insegnante di Lettere prima a Tolmezzo, poi a Udine presso l’Istituto tecnico Zano
Nel 1960, insieme con Rodolfo Castiglione, fu fra i fondatori del Teatro Club (di cui per molti anni fu presidente) che sarebbe divenuta l’istituzione intorno alla quale e grazie alla quale si sviluppò il teatro udinese e friulano. Fu il protagonista di un lungo impegno teso alla realizzazione prima del Teatro delle Mostre, che si inaugurò nel novembre 1970, poi fu attivo protagonista della lunga vicenda che si concluse infine con la realizzazione del Teatro nuovo Giovanni da Udine. Nell’ambito del teatro, ebbe il grande merito di essere uno degli ideatori del Palio teatrale studentesco, a cui si dedicò con assoluta passione. A
ltro settore culturale a cui diede un importante contributo fu quello della storia contemporanea friulana e regionale, attraverso la partecipazione prima alla fondazione nel 1970, poi all’attività dell’Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, di cui nel 1975 divenne presidente. Seppe essere di stimolo alle ricerche storiografiche, sostenendole con il suo equilibrato senso critico e con la serietà e lo scrupolo dello studioso, lontanissimo sempre da ogni forzatura ideologica.
Nigris nonostante vivesse il suo impegno culturale in particolare a Udine, non si staccò mai dalla sua cittadina natale, Ampezzo, alla comunità della quale non solo lasciò, insieme con lo zio vescovo, la grande casa di famiglia perché divenisse casa di riposo, ma si spese affinché venissero realizzati presso l’antico edificio del municipio il prezioso Museo geologico della Carnia e una galleria d’arte dedicata alle opere del pittore ampezzino Marco D’Avanzo.
Nigris si spense a Udine il 29 marzo 2009.

Alberto Buvoli


da: Dizionario Biografico dei Friulani


Io, ufficiale del R.E.I. passato alla Resistenza

Intervista a Ciro Nigris - a cura di Jacopo Cipullo, Denis Guarente, Marco Martinis

Elio Martinis "Furore" e Ciro Nigris "Marco" - 2005 (Archivio Elio Martinis)


Ciro Nigris, ampezzano, uomo di cultura, docente alle scuole superiori di Udine, fra i fondatori di Teatro Club e ideatore del Palio teatrale studentesco, inizia così la sua video-intervista, giuntami attraverso Mauro Fiorenza, che ringrazio tantissimo, e di autore ignoto, che spero di conoscere, databile 2001, sull’esperienza partigiana. (Laura Matelda Puppini, che ha trascritto e annotato il testo per il suo sito nonsolocarnia)



Bisogna avere una certa età per esser stati partigiani, ed a distanza di tanti anni…


«Bisogna avere una certa età per esser stati partigiani, ed io ho ottant’ anni e sono del 1921, ed allora avevo 23 anni. Vi erano giovani di vent’anni, però, che non erano dentro le formazioni e quindi avevano limitata informazione, un limitato angolo di visuale dei fatti. Ma anche chi faceva parte di un piccolo reparto era difficile che potesse avere una visione generale dei fatti.
Di Ampezzo erano partigiani Mario Candotti e Silvio (1), che era con me, per questo lo ricordo, ma gli altri, che magari erano in piccoli reparti … è difficile avere una visione completa … E poi, a distanza di tanti anni, figli miei … provate a contare quanti sono gli anni …. Per cui ricordare a questa distanza (nomi e cognomi) è difficile, a meno che non si sia stati in rapporto quasi continuo con gli amici partigiani. E poi alcuni particolari di una certa importanza ma minori rispetto ad altri fondamentali, possono esser andati smarriti. I nomi, per esempio se ne vanno … E forse queste interviste, fatte ad una certa distanza di tempo, hanno un loro limite.

L’intervistatore domanda a Ciro Nigris se, prima di andare partigiano, avesse già avuto dei contatti con antifascisti e se avesse avuto una formazione politica in tal senso.


Io ero un ufficiale del R.E.I., passato poi alla Resistenza. 
Ho avuto una formazione da militare, ho avuto l’esperienza della spedizione in Russia, alla fine della quale, specie per le preoccupazioni che avevano le autorità fasciste di venirci incontro perché non si parlasse, perché non si dicesse niente, ci divenne abbastanza chiaro il problema dello sfacelo, che era ormai presente anche alla gente priva di qualsiasi formazione politica. Io avevo orecchiato qualcosa di antifascismo durante gli anni della scuola, ma cose molto modeste, e quindi non posso dire di aver avuto allora una vera e propria formazione politica.
Invece una formazione politica abbastanza decisa la abbiamo avuta quando, militari del R.E.I., eravamo, nelle valli del Natisone, cioè quando siamo entrati in contatto con reparti sloveni di ribelli, ai quali noi dovevamo dare la caccia ed abbiamo dato la caccia, come reparto reduce dalla Russia. Ed in questo modo abbiamo conosciuto direttamente la Resistenza, ma l’altra, mentre la nostra era ancora in fieri.
Contatto con l’antifascismo? Un po’ sì, con l’antifascismo di guerra che ha originato Cefalonia e tutte le grandi stragi fatte dai tedeschi perché l’esercito italiano resisteva. Questo antifascismo si è sviluppato anche da noi, dopo il 25 luglio, tanto è vero che, quando venne l’8 settembre e si sciolsero i reparti, la scelta fu immediata: con i partigiani, per una lotta contro il fascismo! Perché era chiaro che i tedeschi non avrebbero permesso una libera secessione dell’Italia, tanto è vero che avvenne subito l’occupazione, con dieci corpi di spedizione circa. Le Divisioni tedesche erano pronte ai confini, e si aggiunsero a quelle già presenti in Italia.
Nel mio caso in particolare, io ed altri due ufficiali, di cui uno era Pietro Maset, ‘Maso’ (2), grande alpino eroico, che morì con la Osoppo gli ultimi giorni di guerra, l’altro Radente, ci proponemmo o di passare con i partigiani o di incontrarci in un paesino per cercare di andare verso sud, perché era ormai chiaro che bisognava, in qualche modo, fare una scelta, perché i tedeschi stavano dilagando.
Poi, dopo l’8 settembre, ho avuto contatti qui ad Udine con alcuni che erano militari, fuori con altri, con Romano Marchetti ad esempio, ma questo accadde più tardi.
C’è però un episodio che vi vorrei raccontare, e che ho trovato riportato solo dallo storico Nazzi. Quando un certo numero di militari fra cui io ci siamo incontrati ad Ampezzo, preoccupati di quello che sarebbe potuto avvenire dopo che i tedeschi avevano istituito la Repubblica di Salò, e quindi anche il nostro arresto, allora un gruppo di ex soldati ampezzani, una quarantina, non un gruppetto, fra cui io, decisero di ritirarsi sul monte Pura, ove era stata costruita una base, una grande capanna. E così siamo andati su, sul Pura. Io mi ricordo, fra questi quaranta: Mario Candotti e Severin dal Cuel (3), ed abbiano deciso così per sfuggire ad una possibile cattura da parte dei tedeschi. Dopo una settimana o due, dato che vedevamo che non accadeva niente, cioè che i tedeschi non intervenivano direttamente contro gli ex- militari, allora siamo ridiscesi in paese, e quell’esperienza è stata dimenticata dai più. Questa pseudo – formazione, viene ricordata come “la banda del Pura”, dal Nazzi, ma essa non ebbe un seguito.
Continuarono invece i contatti con ufficiali in Friuli, operanti, segretamente, come possibili od eventuali partigiani, e anche su, con Zagolin ad esempio, con il dott. Armando Zagolin. (4).

Io avevo bisogno del dott. Zagolin per motivi di salute, ed andavo a trovarlo. Da tempo sapevo che era antifascista, non era un mistero, ed addirittura un giorno lo aiutai a scrivere, con le lettere ritagliate da giornali, uno di quei manifestini che a lui erano costati, fra l’altro, un arresto. Dopo quel primo fermo era stato rilasciato, ma successivamente fu arrestato di nuovo, in quel giorno cruciale in cui nacque la Resistenza armata ad Ampezzo, cioè quel due aprile 1944 in cui, incarcerato, vanne liberato da un gruppo di partigiani che venivano su dal Friuli, dal monte Cjaurleç (5). Questi partigiani erano il resto di una brigata garibaldina che aveva combattuto in autunno e che era stata poi sciolta dai rastrellamenti, e che si erano ritirati sul monte Cjaurleç. Passato l’inverno, da lì un gruppo di sette partigiani, venne, attraverso la valle di Preone, la notte del primo aprile ad Ampezzo, e passarono da casa mia. Poi si ritirarono verso il monte Pelois, un po’ più su, verso la sella di Forni, dove ora ci sono le sciovie, e la mattina seguente, saputo che c’era un arrestato da noi, sono scesi ad Ampezzo. Attraversata la piazza, hanno raggiunto, imbracciando il mitra, (erano i primi partigiani che si vedevano, figuratevi l’emozione!) l’albergo Grimani dove il maresciallo dei carabinieri stava giocando a carte, lo hanno preso e portato alla caserma dove, disarmati gli altri, liberarono Zagolin e poi tornarono su in montagna. (6).
La mattina successiva ho preso lo zaino, ho salutato mia madre, e sono andato in montagna. Il tutto mi sembra abbastanza semplice.

Una delle prime azioni della Resistenza carnica ampezzana: l’attacco alle foci della Navarza.

        
Ad Ampezzo, la liberazione di Zagolin è stato il primo atto partigiano, seguito poi, a distanza di forse 4 giorni, da un attacco di partigiani ampezzani, assieme a friulani, alle foci della Navarza, sotto Lateis. (7). È arrivata una macchina tedesca e ci siamo precipitati, ed abbiamo ferito uno, ma la macchina ha proseguito verso Sauris. Ed il giorno seguente c’è stato un notevole rastrellamento verso sera, con camion. E per poco non ci sorprendevano nella valle della Navarza, dove ci eravamo ritirati dopo l’azione. Per un caso fortuito riuscimmo ad esser allarmati in tempo perché, se mi ricordo bene, ad un certo momento la fine della galleria venne battuta da un fucile, e così ci siamo accorti che c’era qualcosa che non andava, e ci siamo ritirati nelle valli verso il Col Gentile. E spero che abbiate in mente questa geografia. (8).


Cartina che rappresenta, ora, parte della zona descritta da Ciro Nigris. 
Da: http://win.aic-canyoning.it/forum/topic.asp?TOPIC_ID=3134.
Si ricorda che la costruzione della diga sul Navarza è iniziata nel 1946



Questi i primi passi, diciamo così. Da quel momento, liberato Zagolin, giunto questo gruppo dal Ciaurleç, l’attività partigiana si è fatta più decisa. Ed erano partigiani con me: Silvio, ‘Toio’, ed anche ‘Irvin’ (9) mi pare facesse parte di questo gruppo, e ormai di questi ne sono morti parecchi.
E tutto è iniziato così, con all’arruolamento deciso in Carnia.
Per quanto mi riguarda, sono andato poi in val Pesarina, dove c’erano già dei gruppi di partigiani di vecchia formazione antifascista quali: Cristofoli/Aso, ‘Nembo’ di Forni di Sotto, Magrini, (10) che era l’ispiratore di questo nucleo ed altri, e ci unimmo a questo gruppo nel corso del mese di aprile, e ne nacque una azione partigiana più ampia.
Mi ricordo che si andava di paese in paese, a parlare di valori e Resistenza, e di altro… Questi gli inizi.

Popolazione e Resistenza

L’ intervistatore chiede quali fossero i rapporti con la popolazione.


La popolazione dei paesi fu inizialmente sorpresa dalla nostra presenza, e dalla nostra scelta. Per esempio quando si seppe che io ero andato partigiano, e lo si seppe subito, molti furono sorpresi, ma che si stesse per formare un movimento partigiano era una cosa prevedibile ed attesa da mesi, ormai. E finchè i partigiani furono in numero limitato, il rapporto fu affettuoso e molto cordiale.
Noi facevamo degli interventi di propaganda verso sera, andando da un paese all’altro, nelle osterie, o nelle piazze, dove si adunava la gente, e toccava a me, in genere, dato che io ero ‘chel ca l’ere studiât’ e che quindi meglio poteva saper parlare, tenere questi ‘comizietti’, nella sorpresa generale della gente per quello che si diceva, ma anche di attenzione. Poi, piano piano, incominciarono gli arruolamenti partigiani, perché alcuni iniziarono subito a chiedere di entrare, tanto che il reclutamento fu rapidissimo. Se Le dico che, in Carnia, i garibaldini: sia partigiani, che patrioti, che operatori sul terreno, erano 1200 … E ottocento furono gli osovani … tanto per parlare dell’ampiezza e della diffusione del movimento partigiano.
Certo che, quanto più i partigiani operavano con azioni di un certo rilievo in modo particolare contro i tedeschi, e quanto più si verificavano rappresaglie, tanto più la popolazione incominciò a preoccuparsi parecchio, e vi furono stragi … Forni è l’esempio più classico … Fu bruciato il 26 maggio 1944, e fu il modello italiano della distruzione totale: 400 case date alle fiamme, 10 minuti di tempo concessi alla gente per uscire dal paese: e tutto fu bruciato, anche gli armenti.
Neppure la chiesa grande hanno risparmiato, e sono rimaste in piedi la latteria, due o tre case, ed una specie di capannone/cantiere. Fu una distruzione veramente spaventosa, a cui seguì, però, l’aiuto di tutta la Carnia alla popolazione che aveva bisogno di tutto, ed a cui tutto era stato tolto. La salvezza di Forni, sotto un certo profilo, la si deve al fatto che il comune ha una cinquantina almeno di stavoli disseminati intorno al paese, di modo che la popolazione poté sistemarsi lì, altrimenti sarebbe stata una tragedia da comportare un esodo generale.
E la carità giunse poi da tutte le parti, da tutta la Carnia, dal Friuli.  Anche noi delle formazioni ci siamo dati tanto da fare: figuratevi!!!  Ma le condizioni di miseria furono grandi. Ma, paradossalmente, i partigiani a Forni crebbero, e furono molto attivi. Si capisce però che la situazione era grave, perché ogni azione partigiana comportava una possibile rappresaglia, come quella di Malga Promosio, per esempio. 54 morti in due giorni … da parte di una banda di travestiti da partigiani che ha ammazzato bambini, donne, uomini… una strage paurosa, veramente.
La sera precedente (11), giunti a malga Promosio, chiesero ospitalità, e furono accolti bene, ma quando si furono ben ben nutriti e dati ad una certa libertà, incominciarono la strage: e uccisero tutti: il proprietario della malga, le donne che c’erano … E lungo il percorso ammazzarono altre persone, ed ammazzarono anche tre partigiani. (12). Ed il giorno seguente partì una autocolonna da Tolmezzo, credo formata da 5 o 6 camion, con 200 e più soldati nazisti, di cui la metà erano anche friulani, ed erano anche questi travestiti da partigiani. E ne nacque quella serie di vergognosi comportamenti contro la popolazione di Paluzza, a cui seguì la strage di Sutrio. Complessivamente furono 54 i morti.

Perché queste rappresaglie? Perché, precedentemente, il giorno 15 luglio, c’era stato un grosso fatto d’arme: quello del ‘ponte di Noiaris di Sutrio’, e mi rivedo in quella situazione. All’altezza del ponte di Noiaris c’è una curva, sovrastata da un ripiano che poi continua, degradando, verso la base della montagna e Piano d’Arta. Ecco: noi abbiamo lì atteso una colonna nemica che era passata su al mattino. In un primo momento pensavamo che proseguisse per la Val Calda, e quindi ci eravamo appostati sotto Ravascletto, poi siamo stati informati che era andata verso il passo di Monte Croce Carnico. Ma sapevamo che lì erano stati fatti franare massi enormi, e che quindi la colonna avrebbe dovuto ritornare indietro. Ed allora ci siamo schierati al ponte di Noiaris: noi garibaldini da una parte e l’Osoppo dall’altra.
Noi eravamo verso la parte più alta della strada, dove ha avuto luogo l’azione portata avanti con bombe a mano americane. C’era stato il lancio degli americani, e ce ne avevano mandate un po’. Erano delle bellissime bombe, di quelle a diffusione molto estesa, e usando quelle facemmo molti feriti. E so che i tedeschi scesero a Tolmezzo con i camion carichi di feriti. La rappresaglia, che era già nell’aria, e fu messa in atto pochi giorni dopo.
Questa azione ci è costata molto (la morte di Aulo Magnini ed Ermes Solari garibaldini e di Vito Riolino osovano, ndr), ma posso dire che da quel momento, in Carnia, non poterono passare più colonne di tedeschi e tanto meno di fascisti. Ed a questa azione corrispose un’altra azione: quella dell’eliminazione del presidio di Sauris.
A Sauris era stato costituito un presidio con una cinquantina di Mongoli, si diceva così, allora, ma forse erano mongoli davvero. Ed essi si trovavano nel cuore del mondo partigiano, perché da lì passavano tutti i reparti partigiani. Questo presidio venne eliminato con attacchi successivi da località Cjamesans in poi, lungo il Lumiei. E vennero battuti e si ritirarono verso il Cadore, e da quel momento non ci furono più nazisti. (13).
Incomincia così la storia della zona di fatto liberata. E questa realtà di zona parzialmente libera, virtualmente ed anche di fatto libera, diventerà poi la Zona Libera di Carnia, a cui si unirà anche la zona liberata della pedemontana, cioè dello spilimberghese e del maniaghese. E si formò così una grande Zona Libera, che creò pure un organismo politico, una giunta di governo della Zona Libera della Carnia e del Friuli.
 

Ampezzo. L’edificio sede del governo della Repubblica della Zona Libera di Carnia


È molto importante questa ‘giunta di governo’, perché fu un organismo politico e politicamente riconosciuto anche in seguito, a differenza di tante altre zone libere che non costituirono giunte di governo. Nel periodo precedente alla sua creazione, cioè nel periodo di libertà di cui godette la Carnia, si erano creati in tutti i paesi del suo territorio o quasi Comitati di Liberazione Nazionale, i Cln, formati da rappresentanti dei più grossi partiti politici, che concordavano sulla gestione della vita dei borghi. Altro aspetto importante fu che, nei paesi della Carnia, vennero indette le elezioni, segrete e libere, con la partecipazione anche delle donne (prima mai esistita, ndr) se capofamiglia.
E così si creò, passo dopo passo, la giunta della zona libera della Carnia e del Friuli, che non ebbe forse uguali in Italia per il suo carattere consapevolmente politico, e quindi non guidata da militari, con completa autonomia di deliberazione e giuridica, e che emanò una serie di provvedimenti legislativi di carattere economico, politico, assistenziale, previdenziale ecc. che costituisce un documento unico in tutta Italia. Per questo noi diciamo che la Repubblica della Zona Libera della Carnia e del Friuli fu uno dei fatti più singolari della Resistenza europea, certamente il più rilevante della Resistenza italiana. (…).
Il libro di Angeli e Candotti, Carnia Libera, Del Bianco editore, 1971, contiene tutti i documenti sia dei Comitati dei Comuni, sia dei Comitati di Valle, sia del Comitato Carnico (Cln carnico ndr), perché solo attraverso questi organismi sorti dal basso si giunse poi alla deliberazione per la creazione della Giunta di Governo, che aveva personalità politica e giuridica, e della cui formazione fu data comunicazione agli Alleati, a Roma, ecc.

Certamente la creazione della Repubblica di Carnia costò molto sangue e rappresaglie, ma giunse ad una realizzazione politica veramente interessante e, secondo me, di carattere più avanzato di ogni altra istituzione politica creata con la Resistenza in Italia.
Dopo però venne il rastrellamento e la battaglia famosa degli 80 giorni, durata dal 2 ottobre al 20 dicembre 1944. Ma devo, a questo proposito, aggiungere una precisazione.
Parlavamo prima della Carnia. Ma come ho già detto, si saldarono alla Carnia anche lo spilimberghese ed il maniaghese, cioè i Cln di queste zone si unirono al Cln della Carnia, rinunciando alla loro peculiarità operativa, per creare questa Giunta di Governo unica, formata da rappresentanti politici, fra cui ricordo gli ampezzani: Umberto Passudetti, che fu il primo presidente, la prima giornata in cui operò la giunta; Armando Maniscalco, che rappresentò Giustizia e Libertà (per Giannino Angeli, Natalino Candotti, op. cit., p.44 il Partito Liberale, ndr.), poi sostituito da Manlio Gardi, che venne su dal Friuli, Natalino Candotti, che era segretario del Comitato di Governo, e che redasse tutti i documenti in una prima fase, sostituito poi da Libero Martinis; Luigi Nigris, che rappresentava la D.C.; Dante Candotti, ‘Dinca’, che venne incaricato della gestione dell’organo di polizia della Repubblica. E questo per dire che diversi membri di questa Giunta ed intorno a questa giunta erano ampezzani. Ma bisogna ricordare anche i grandi non ampezzani: Emilio Betrame e Mario Lizzero, che furono veramente le due anime più mature di questa creazione politica, accanto all’avvocato Gardi, a Bianco (14) che era salito ad Ampezzo pure lui da Udine, ed altri. La giunta di governo della Repubblica di Carnia fu veramente un organo complesso, che realizzò una attività politica che è dimostrata dai documenti, che sono tanto numerosi da chiedersi come si sia riusciti in così breve tempo, in 10-12 giorni, a stenderli ed a prendere tutti quei provvedimenti! Ma bisogna dire che la giunta era sempre in seduta a deliberare.  Questo corpus di provvedimenti costituisce un aspetto eccezionale, che non c’è stato nelle altre zone di Resistenza. Esso fu il frutto di un processo maturato lentamente ma poi scoppiato velocemente da giugno in poi: non si aveva finito di creare un battaglione che ne veniva fuori un altro.

Ciro Nigris, ‘Marco’ comandate partigiano della Garibaldi Carnia. Alle sue spalle si intravede Giulio De Monte ‘Zan Zan’
(Da archivio ANPI Udine)


Di armi ne avevamo poche, e qui bisognerebbe parlare anche della possibilità di azione limitata, perché i tedeschi avevano armamenti incredibili e fra i più moderni. Noi invece avevamo qualche fucile da 91, alcuni fucili mitragliatori, ed io, per esempio, essendo stato ufficiale, avevo il mio mitragliatore, così come Mario Candotti aveva il suo, se non erro, e diversi altri avevano il loro, oppure avevamo le armi prese ai tedeschi od ai carabinieri.
Perché dovete sapere che una delle prime cose che si fece nella zona fu quella di eliminare i comandi dei carabinieri, e quindi le loro armi passarono tutte ai partigiani. Ed anche nelle azioni militari, se si riusciva a prendere delle armi, queste venivano distribuite ai reparti. Soltanto nel mese di luglio, infatti, noi avemmo un po’ di armi, ma soprattutto esplosivo, plastico, da parte degli Americani, attraverso un lancio fatto sia per la Osoppo che per la Garibaldi.
Il campo di lancio era ad Enemonzo, era la piana di Enemonzo ove ora fanno i voli con il deltaplano. L’ho saputo l’altro giorno, e sono andato a vedere questi voli meravigliosi, ed i deltaplani erano alti, e poi sono scesi nella piana, nel campo: ed è bello anche il campo. E c’era una ciminiera vicino ad Enemonzo, e si è dovuto abbatterla perché potessero venire a fare i lanci gli apparecchi americani. E fecero per noi, mi pare, quattro lanci: un fiorire di paracadute, che poi servivano a fare mutande, eccetera, anche per le Signore … ma non diciamolo. Ma è un fatto che servisse tutto.
Comunque, queste armi lanciate erano davvero in misura limitata, questo bisogna dirlo, ed anche le missioni americane ed inglesi che avevamo, ma in particolare americane, furono molto parche negli armamenti. Ed è vero che avevano parecchi destinatari, e che vi erano parecchie pretese, ma in ogni caso le armi che ci dettero non erano sufficienti. Protestarono pure i loro rappresentanti, perché ogni missione ne aveva uno, aveva un responsabile che si faceva voce anche delle lamentele … ma non furono molte le armi anche se bisogna dire che servirono. E ci dettero armi ed esplosivi.


Garibaldi ed Osoppo: un diverso modo di concepire il futuro

L’intervistatore chiede quali furono le differenze tra Garibaldi ed Osoppo


Le dirò che ci furono ragioni di diversificazione ed anche di attrito fra Garibaldi ed Osoppo, senza parlare dei fatti estremi, ma il carattere delle due formazioni era di fatto diverso. Le formazioni garibaldine non erano, come si dice ora, formazioni comuniste: togliamo subito questo equivoco, perché i comunisti, nella divisione di cui io ho fatto parte, erano davvero molto pochi. Alcuni si formarono politicamente da partigiani, ma di pensiero comunista antico in Carnia ce n’erano forse una decina. C’erano, in sintesi 10 o 12 vecchi antifascisti e comunisti che militavano nella Garibaldi, ed erano però i più operativi, checché se ne dica, ma poi, nella brigata si formarono dei nuclei di aderenti o simpatizzanti. Ma ciò non significa assolutamente che la formazione Garibaldi fosse comunista, perché non lo era. Aveva però, sotto il profilo sociale, una visione della società futura più avanzata di quella che c’era prima, e che ci sarà dopo. Dopo ci fu un freno. Ma noi sognavamo qualcosa di più democratico anche sotto il profilo culturale, economico, eccetera, e questo creava molte ansie e molte preoccupazioni nella classe conservatrice ed anche nella chiesa. Perché il comunismo, di per sé, era ateo, e che ispiratori di questo movimento partigiano fossero dei comunisti dava tante preoccupazioni alla chiesa, in particolare alle gerarchie ecclesiastiche, ma non a tutti i sacerdoti.
Io ho avuto amici sacerdoti, ma io non ero né sono comunista, e sono stato nominato responsabile in seno alla Garibaldi Carnia senza che mi fosse stata data alcuna tessera, figuriamoci, e neppure Mario Candotti ebbe mai una tessera, ed eravamo i responsabili della Divisione Garibaldi Carnia. E quello che voglio dire è che il clero dei paesi era con noi e capiva la necessità drammatica di questa lotta di Resistenza.
Cosa sarebbe accaduto, infatti, se non ci fosse stata la Resistenza? La gente non se lo è chiesto mai, né se lo chiede. Cosa sarebbe diventato questo paese, se si fosse, ad oltranza, arreso alla Germania? Passo dopo passo, i tedeschi avrebbe distrutto tutto il paese. Neanche noi ci rendevamo conto di questo. Ma se la Germania avesse avuto mano libera, intanto avrebbe arruolato tutti, come arruolò i fascisti, facendo arruolamenti immediati, poi avrebbe resistito ad oltranza agli Alleati, e quindi la guerra sarebbe proseguita per un altro anno ancora, provocando un macello e distruzioni continue.

Inoltre questo voglio dire del Friuli. Se l’apparato militare germanico, che era imponente anche quando erano arrivati vicino al Po, da Genova in qua, da Torino in qua, da Milano in qua, tra l’altro rinforzato dalle Brigate Nere, ecc. (Qui credo si debba intendere dalle truppe collaborazioniste fasciste ndr), non fosse stato frantumato dalla Resistenza, che in ogni città bloccò, distrusse, neutralizzò quella forza enorme, ne sarebbe derivato quello che Hitler definì “arretramento progressivo offensivo”, cioè una ritirata graduale con distruzioni e resistenze continue. In questo scenario l’ultima terra coinvolta sarebbe stato il Friuli, la Carnia l’ultimissima, con una Resistenza agli Alleati già programmata sulle Alpi, e figurarsi nella Carnia.
La gente non vede ora questa spaventosa prospettiva che non si è realizzata, ma noi la vedevamo, ed il pensiero che allora più mi angosciava, nella mia gestione del comando, perché facevo parte del Comando anch’io, era quella che, arrivati i cosacchi, arrivassero pure i tedeschi in ritirata e si combattesse nelle nostre valli l’ultima battaglia, il che significava la distruzione totale della Carnia.
Ed in effetti ai cosacchi era stata affidata, almeno secondo documentazione di origine fascista, la Resistenza sulle Alpi, in particolare nella valle del Tagliamento, per permettere ai tedeschi di ritirarsi sempre progressivamente, distruggendo città, nel qual caso la Carnia sarebbe stata davvero terra perduta e si sarebbe trasformata in un deserto.


E ho ricordato questi aspetti anche una volta che parlai qui, ad Udine, perché mi pare che a questo aspetto la gente non abbia mai pensato, non abbia mai pensato, alla frantumazione paese per paese, città per città, villaggio per villaggio, strada per strada, di questa macchina infernale che era l’armata tedesca, che, lungo l’Appennino, ritirandosi, fece stragi spaventose.  Questo evitò la Resistenza nazista prima di soccombere, e questo le si deve annoverare come aspetto positivo, e la presenza del movimento partigiano portò ad un anno in meno di guerra ed ad un riconoscimento immediato da parte degli alleati, e quindi ad una autonomia di governo più accentuata che non, per esempio, in Giappone.
Ma indipendentemente da questo, quello che è storicamente importante, è questo essersi scrollato di dosso il peso di un fascismo che aveva dichiarato una guerra inutile, sbagliando momento, quando l’ingresso in guerra non era necessario e nemmeno richiesto, e che costò alla nostra Regione 26.500 morti. Sono tanti … è il prezzo pagato all’insipienza, all’arroganza di una volontà che vedeva tutto facile, tutto bello. Avrete visto anche voi, nei documentari, Mussolini che parla tutto tronfio. Con la stessa superficialità ci portò nella più grande tragedia della storia. Ecco perché non bisogna dimenticare.
La memoria storica giova, quantomeno, ad insegnarci a non ripetere gli stessi errori. La società di errori ne fa molti e ne farà sempre, speriamo sempre più piccoli, sempre più banali, ma possibilmente rendendosi conto che con la violenza non si ottiene una vita civile. È necessario che si realizzi quella che noi speravamo di creare in modo migliore e più serio: una vera democrazia. Noi ci pensavamo sempre. Ma in fin dei conti una democrazia c’è stata. Mi avete chiesto pure la differenza fra Osoppo e Garibaldi …

Questa è stata, in fondo, la vera differenza tra la Garibaldi e la Osoppo: i garibaldini volevano una società più avanzata socialmente, quindi più attenta ai bisogni delle masse, e meno preoccupata dei redditi degli industriali e dei latifondisti, cioè volevano una società più giusta economicamente, caratterizzata da un benessere più distribuito e più razionalmente impiegato, gli osovani, invece, erano più moderati davanti a queste prospettive. Però anche loro erano ‘figli di mamme’, intendiamoci, non erano capitalisti, ma erano più cauti di fronte a queste prospettive. Pensavano che le innovazioni si dovessero fare lentamente, progressivamente, senza precipitare in rivoluzioni, eccetera. Tanto è vero che uno degli spauracchi era: «Viene la rivoluzione!».
Ma la Garibaldi non ha mia voluto la rivoluzione, e nelle ore di lezione politica che si facevano, si predicava la vita democratica, la tolleranza, il rispetto delle diverse opinioni e via dicendo.
Vi era poi certamente una differenza fra coloro che erano più politicizzati a sinistra ed i più depoliticizzati a destra, e quindi le differenze non mancavano, ma un elemento estremamente importante da noi era che, quando si facevano le ‘ore politiche’, si insegnava ad essere rispettosi gli uni degli altri, anche di chi era della destra moderata, (perché uno di ‘destra destra’ non poteva essere partigiano), o di chi era della sinistra più o meno avanzata.
La società ha scelto, poi, la via moderata.
Ma tra le due formazioni c’era anche una differenza operativa. La vita partigiana imponeva sacrifici, di dolore, di rappresaglie. Questo è pacifico. Nessun movimento partigiano al mondo, anche attualmente, può trascurare questo fatto, che è la conseguenza immediata della scelta partigiana. Tu uccidi uno e io te ne uccido dieci. E scusatemi la banalità dell’espressione. Allora si può dire che, più animosi, non più operativi, perché ‘operativi’è termine sbagliato, più portati all’ azione erano i garibaldini, pur riflettendo anche loro sul da farsi, mentre più cauti erano gli osovani. Questa era la differenza a livello operativo, non altra. E ciò risulta anche da tutti i documenti, intendiamoci. Gli osovani dicevano: «No, no, no, bisogna andare più piano, per non suscitare rappresaglie…». Ma se non si agisce, si tradisce la ragione della propria Resistenza, cioè ti consegni.

 

Partigiani garibaldini operativi in Carnia. All’estrema sinistra guardando. Vittorio Pezzetta. Immagine proveniente dall’archivio di Anna De Prato Pezzetta, ‘Marì’, che gentilmente ha permesso la pubblicazione. Se qualcuno potesse aiutare nel riconoscimento degli altri… 


Ci sono dei documenti nei quali, per esempio, si diceva che «la Carnia è terra povera, non ha grandi interessi, e poi è via marginale, ed invece di operare in Carnia, perché non operare lungo la valle del Fella?»
E già … ma chi poteva stare nella valle del Fella a vivere ed ad operare? Non so se rendo l’idea .. . Ma è stata formulata l’ipotesi stesa in modo organico di fare così … perché per qualcuno solo la valle del But poteva avere qualche importanza … il resto no … Mentre aveva grande importanza bloccare il nemico, agire sul nemico, in qualunque modo, con tutte le regole e le prudenze del caso. Questa è la verità. Ma qualche volta la rappresaglia era tale, era talmente smodata, da avere il carattere della ferocia sanguinaria più pura.
Non so cosa è accaduto nelle isole ed a Cefalonia, ma so che la reazione tedesca ha provocato 9.000 morti. Erano anche loro ragazzi ‘ figli di mamma’, e sono morti perché avevano resistito, perché non avevano voluto cedere le armi … Rendo l’idea?
Già dopo l’8 settembre c’erano state queste forme di dissenso, certe volte più accentuate, certe meno, che certe volte avevano portato a fatti gravissimi, che ci sono stati …  Su questi fatti si è cercato, recentemente, di tagliare il profilo storico, ma questi fatti dolorosi sono esistiti, come sono esistiti fatti dolorosi anche in ogni formazione, ma qui in modo veramente accentuato. È stato spaventoso».

L’intervistatore chiede un parere a Nigris su episodio accaduto allora, che non si sa quale sia perché non specificato, ma si potrebbe ipotizzare sia stato l’abbraccio fra ‘Vanni’ (Giovanni Padoan) e ‘don Candido’ (don Redento Bello), avvenuto nel febbraio 2001.


Mah, preferirei non commentare. È un fatto. Si è cercata una forma di risanamento morale e storico e di chiusura di una vertenza terribile, per la quale chiudere è un bene, comunque vada. Per noi la questione era già chiusa. Io ho avuto amici osovani e ne ho avuti allora, e abbiamo parlato di queste cose … L’Istituto nostro (16) ha pubblicato studi e studi, e quindi è già un fatto superato, vissuto drammaticamente, capito e sofferto da noi e da loro. Le animosità … La storia è piena di animosità, ma i giudizi storici sono, naturalmente, una realtà effettiva, in questo caso molto pesante.
Si è tentata così una forma di risanamento storico, affettivo … fu un fatto individuale ma che ha avuto anche seguito. Ma la storia non so se abbia veramente bisogno di cose di questo tipo. È un fatto di sentimento, di cui si può prendere generosamente atto.


Resistenza, libertà, ideali          

Adesso le dico cosa dicevo io a 23 anni. C’era quello che comandava il reparto che giunse ad Ampezzo dal Friuli, quello che andò con il mitra a prelevare il maresciallo dei carabinieri, uno di cui poi non ho saputo più nulla, ed a cui fu dato il comando del gruppetto di Ampezzo fino a giugno del 1944, quando dettero a me il comando del battaglione ed egli passò ad altro reparto. Dopo la guerra ho chiesto a molti dove fosse, chi fosse, ma nessuno ha saputo dirmi qualcosa su di lui. Di tutti gli altri ho avuto notizie, di lui no. So solo che il suo nome di battaglia era ‘Ennio’ e che era di Tarcento. Nessuno ha saputo dirmi altro: scomparso! (17).  Ed era un ragazzo con grande esperienza, ed uno dei partigiani dell’autunno precedente, protagonista delle battaglie precedenti, e proveniente dal monte Ciaurleç. Egli mi diceva: «Cjale mo, cjacare tu, che tu sas cjacarâ. A l’è un pouc il to mistîr.” (Guarda, parla tu che sai parlare. È un po’ il tuo mestiere!).
Ed allora, ritornando al dunque, cosa dicevo io nelle osterie dove andavo? Parlavo di una società economicamente più giusta, più libera e senza le oppressioni del fascismo, senza le miserie del fascismo, senza i contrasti che il fascismo suscitava, una società nella quale finisse l’emigrazione della Carnia, ad esempio, che non è però finita affatto, che fosse tale da dare a tutti un’istruzione, indipendentemente dai cespiti familiari e dalla disponibilità di denaro, che permettesse a tutti gli ammalati di essere curati, senza che i vecchi morissero abbandonati. Si parlava di questo: di una giustizia sociale che non c’era in Carnia.
Ed i vecchi ed i giovani stavano ad ascoltarmi.

Mi ricordo particolarmente uno di loro: ‘Tom’, di Tausia di Ravascletto. (Sic! Ma in realtà Tausia fa parte del comune di Treppo Carnico. Ndr). Era stato soldato nell’aviazione, e dopo che avevo parlato a Ravascletto, mi è venuto vicino e mi ha detto: «Cal sinti: podaresio vegnî ancje io cun lui, cui partigiàns? (Mi ascolti: posso venire anch’io con lui, con i partigiani?)» «Ma sì, ven no, quant chi tu vus. (Ma sì, vieni quando vuoi)». E dopo mi ha aggiunto: «Cal cjali: io i ai bisugne di stâ une setemane cun me mari parcè i ai di fâ il fen, e dopo i ven. (Io ho bisogno di stare ancora una settimana con mia madre, perché devo fare il fieno, e dopo vengo». Ed è venuto. L’hanno fucilato qui, ad Udine, nel 1945. (18).
E mi ricordo di averlo ritrovato in un bunker, che poi è stato preso dai cosacchi il 9 gennaio del 1945. In quel bunker c’era un comandante di brigata, c’era un comandante di battaglione, c’erano due o tre comandanti di compagnia. E il bunker fu preso dai cosacchi grazie ad un traditore. Morì il commissario di brigata ‘Nembo’, Augusto Nassivera, vecchio antifascista che aveva già quarant’anni, e furono fatti prigionieri uno di Villa Santina, (Ennio Radina, ‘Barba’, ndr) e ‘Tom’.  Ambedue sono morti fucilati. È stato terribile, terribile.
L’altro fucilato era stato mio sergente maggiore. «I fas il fen par me mari e dopo i ven. (Faccio il fieno per mia madre e poi vengo…)».  Venivano così ad arruolarsi come partigiani. «I ven ancje jò, i ven ancje jò, i ven ancje jò (vengo anch’io, vengo anch’io, vengo anch’io)».  Ma noi non avevamo armi, soprattutto.
Ma i giovani erano così … Noi eravamo così. E si predicavano innanzitutto la giustizia sociale, la libertà, la franchezza nei rapporti umani.

In primo piano Ciro Nigris, dietro Romano Marchetti - Anni ’50 (Archivio R. Marchetti)

Inseguivamo un sogno, ma il sogno non si è avverato

L’intervistatore chiede se quanto sognato egli pensa si sia avverato o no.


Assolutamente no. Si sono fatti dei progressi dal punto di vista economico, ma tutto il mondo li ha fatti, quindi direi proprio di no. Oggi specialmente, si resta molto perplessi di fronte a quello che è accaduto in queste elezioni. (19). Credo ci sia una perplessità generale: tutti sono rimasti imbarazzati e soprattutto sorpresi, credo anche, almeno quelli che sono dalla nostra parte, quelli che vivono e sentono come me. È stata una brutta esperienza, pesante, pesante, pesante, pesante …
Così, questa è stata la nostra vicenda.  Avrete poi già sentito parlare ampiamente del periodo cosacco, caratterizzato da sofferenze e disagi, e che ha comportato, da parte nostra, perdite notevoli. Sulla data in cui sono arrivati i cosacchi vi è un grosso contrasto. C’è chi dice che scesero dai treni a Stazione Carnia il 20 luglio, ed andarono a piedi verso Amaro, mentre altri dicono che ciò accadde intorno al 20 agosto, ma di preciso non si sa. Io però propendo per il loro arrivo a fine luglio. Noi ne abbiamo avuto conoscenza un po’ tardino, intorno alla seconda metà di agosto, che c’erano i cosacchi ad Amaro, e che erano stati attaccati pure da alcuni dei nostri reparti che stavano ad Illegio. Ma li attaccarono, in modo particolare, quelli del battaglione ‘Stalin’. Perché c’era anche un battaglione di russi nelle formazioni garibaldine, anzi ce n’erano due. Anzi c’erano due battaglioni ‘Stalin’ nelel formazioni garibaldine, non uno solo, ed erano formati da russi scappati (dai campi di prigionia ndr) ed erano bravi, davvero bravi. E ‘Irvin’ era con il battaglione ‘Stalin’, nell’ inverno 1944-’45. Bel partigiano ‘Irvin’, bel partigiano.
Questi battaglioni ‘Stalin’ furono davvero valorosi, e bravi, bravi. Io ho conosciuto ‘Daniel’ (20), che era ingegnere, ed è sepolto qui, perché è morto in combattimento. Ed è stato molto bravo anche lui, ed era un ragazzo d’oro. Abbiamo fatto insieme prove sull’uso del plastico che ci avevano dato gli americani assieme, vicino al comando a ‘La Patussera’ (21). A ciò posso aggiungere che l’esperienza partigiana fu un’esperienza notevole per tutti».


La giornata partigiana


L'’intervistatore chiede come si svolgeva una giornata partigiana


Sveglia in genere presto. Poi pulizia armi, e poi l’ora politica. Si faceva sempre un’ora politica, un’ora di discussione. Quindi si partiva e si partiva per una ispezione o per una azione, eccetera, con meta più vicina o più lontana, oppure ci si metteva in postazione. Quando avemmo una struttura periferizzante, che chiudeva tutto il territorio, i vari battaglioni restavano in esercizio continuo di sorveglianza, perché non erano molti. Se Lei pensa che su 250 chilometri di fronte, di periferia in giro in giro, c’erano 33 battaglioni e cioè 5.600 uomini. E li divida e vede che si seminano un po’ dappertutto! Ed andavano a nuclei, a gruppi. Ma erano una forza limitata e poco armata. Ecco perché i rastrellamenti, fatti in forma massiccia da gruppi armati di ventimila o trentamila, uomini sfondavano, anche perché non avevamo armamenti, non avevamo armi pesanti.
Per quanto riguarda le informazioni, in Carnia si era creata una struttura telefonica alternativa. Ogni reparto era collegato funzionalmente con una rete di telefoni nostri, che si serviva un po’ anche dell’altra … C’era ‘Pompeo’ (22) che era un maestro nell’ organizzazione della rete telefonica. Poi avevamo un po’ di stampa, un po’ di pubblicazioni, e poi c’erano le visite ai reparti da parte dei comandanti, ed i contatti nostri con i comandi superiori, per esempio con Mario Lizzero ‘Andrea’, che girò sempre fra tutti i reparti essendo commissario di Divisione, poi formazione. E non c’è reparto che egli non abbia visitato …

[Qui finisce la prima parte dell’ intervista originale, che è costituita da due diverse videoregistrazioni. Quello che non si riesce a rendere con lo scritto sono le emozioni espresse da ‘Marco’ nel corso del racconto, il suo viso ed il suo sguardo che si fanno tristi quando ricorda ‘Tom’, il sorriso in altri casi, le inflessioni della voce, il muoversi delle braccia e del corpo teso a raccontare… Me ne scuso con i lettori. Inotre scrivevo ad una persona, un paio di giorni fa, che ‘Va Pensiero’ ha una frase che si addice anche a ‘www.nonsolocarnia.info’, per certi versi: ‘Le memorie nel petto riaccendi’ . Perchè anche questo è uno dei compiti di questo sito/blog: riaccendere, rivitalizzare la memoria.
Se qualcuno di Udine o Ampezzo o altro paese sapesse di aver fatto questa intervista e di averne data una copia a Mauro Fiorenza è pregato di avvisare, presentando dati che confermino che ne è l’autore. L’immagine che accompagna questo scritto ritrae Ciro Nigris ed è tratta, solo per questo uso, da: http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2009/06/11/news/il-ricordo-di-ciro-nigrispartigiano-ed-educatore-1.37425. Se vi sono diritti d’autore prego avvisare. Avrei voluto mettere una immagine dall’intervista ma non mi ricordo più come si fa. La registrazione dell’intervista e la conduzione non si sa di chi siano, la provenienza del video è Mauro Fiorenza di Ampezzo, che vivamente ringrazio e che non mi ha saputo dire nulla di più, la trascrizione della registrazione è mia. Mi sono permessa di pubblicare l’intervista perchè non vada perduta. Buona lettura. Laura Matelda Puppini

1. Si tratta, verosimilmente, di Silvio Bullian, nome di battaglia ‘Giove’.

2. Pietro Maset, nome di battaglia ‘Maso’, comandante della Va Brigata Osoppo unificatasi alla Garibaldi nella leggendaria ‘Ippolito Nievo’, era nato a Scomigo (Treviso) il 12 marzo 1911, e morì, ucciso dal nemico, in Piancavallo, 12 aprile 1945. Capitano del R.E.I., medaglia d’oro al valor militare, è da tutti considerato un eroe della Resistenza.

3. Non so chi sia Severin dal Cuel, ed attendo lumi dagli amici ampezzani.

4. Nato a Udine il 27 settembre 1894, medico laureatosi a Padova e comunista, partecipò alla Resistenza con nome di battaglia ‘Cesare’ (Mario Candotti, Memorie di un uomo in divisa naia guerra Resistenza, I.F.S.M.L. ed A.N.A., Pn., 1986, p. 245), ma anche ‘Ottavio’. Aderì alla Resistenza garibaldina, e si prodigò come medico, in particolare nell’ospedale allestito, sotto la sua guida, ad Ampezzo ma pure in quelli di Muina, Arta, Mione, nella cura dei feriti assieme alla dottoressa ‘Xenia’, che per ora non so chi sia, ed alla capoinfermiera Elsa Fazzutti, Vera di Forni di Sotto. Quindi si recò sul Collio, per curare partigiani sloveni e civili. (http://www.anpi.it/donne-e-uomini/1420/armando-zagolin). Nel dopoguerra fu ingiustamente coinvolto nel processo per l’eccidio di Topli Uork, detto erroneamente di Porzûs, fu arrestato il 10 luglio 1946 e tradotto in carcere a Padova insieme ad altri. Scagionato, morì di tisi, all’ospedale di Udine, il 28 agosto 1947. (PUPPINI Laura Matelda, scheda di Zagolin Armando, in: Romano Marchetti, (a cura di Laura Matelda Puppini), Da Maiaso al Golico, dalla Resistenza a Savona, una vita in viaggio nel Novecento italiano, IFSML e Kappa Vu ed., 2013, pp. 412 – 413).  Citato pure in Mario Candotti, Lotta partigiana tra Meduna, Arzino e Tagliamento. I rastrellamenti dell’autunno 1944, in: Storia Contemporanea in Friuli, n.12, p. 105, ed in altri articoli. Vi è chi dice che a denunciarlo fu Leo Patussi, che aveva collaborato con lui come aiutante, poi diventato generale dell’E.I., ma non ho prove in tal senso. Romano Marchetti dice che accuse infamanti e deliranti fossero state messe in giro sul suo conto per screditarlo, alla fine della guerra. Ma si sa che cattolici ed ex- fascisti facevano in modo di demonizzare ogni comunista, anche attraverso oltraggiose calunnie.

5. Il monte Ciaurleç (anche Ciaurlec), è una montagna che si trova nei pressi di Meduno.

6. Ciro Nigris sottolinea qui che detti partigiani, saputo che c’era un arrestato per antifascismo, scesero a liberarlo, negando che essi fossero giunti appositamente per liberare lo Zagolin e, che quindi ci fosse stata una frequentazione pregressa fra il medico ampezzano e il gruppetto pare comandato da Vincenzo Deotto ‘Falco’. Invece i primi contatti, secondo Erminio Polo, furono fra i partigiani fornesi e detto nucleo partigiano, proveniente dal monte Cjaurleç. Si noti inoltre come la descrizione dell’inizio della Resistenza ampezzana, in Elio Martinis, ‘Furore’, ‘Volevo essere libero’, in: http://www.carnialibera1944.it/partigiani/furore.htm, diverga da quella data qui da Ciro Nigris, forse per confusione sui tempi degli eventi. Questo ci fa riflettere, ancora una volta, sui limiti delle fonti orali.

7. Presumibilmente si tratta dell’azione datata a questo punto erroneamente La Maina di Sauris 4 aprile ’44 e della reazione tedesca datata Lateis 5 aprile 1945 in: ‘Diario storico della Divisione Garibaldi Carnia’,
in: http://www.carnialibera1944.it/documenti/divisione_garibaldi_carnia/diario_divisionegaribaldi_2.html.

8. Il torrente Novarza o Navarza, attualmente, è sbarrato da una piccola diga che fa parte dell’impianto Lumiei-Tagliamento, che si trova a 5 Km da Ampezzo. Il torrente Novarza è affluente di sinistra del Lumiei, che, prima della confluenza, scorre in una una stretta gola di erosione di calcari dolomitici. (https://www.progettodighe.it/main/le-dighe/article/novarza). All’epoca del racconto di Ciro Nigris, però, la diga non c’era perché i lavori per la sua costruzione iniziarono nel 1946.

9. Silvio è sempre Silvio Bullian, di cui alla nota 1. ‘Toio’ è il nome di battaglia di Antonio Zanier di Vittorio (Registro dei partigiani della sezione mandamentale di Ampezzo), mentre Irvin è Irvin di Centa di Ampezzo, classe 1924, nome di battaglia ‘Pizzi’.

10. Trattasi dell’anarchico della Val Pesarina Italo Cristofoli, nome di battaglia ‘Aso’, morto il 26 o 27 luglio 1944 a Sappada, ucciso dal nemico; di Augusto Nassivera, ‘Nembo’ di Forni di Sotto, morto a Plan dal Bec, ucciso dai cosacchi, il 9 gennaio 1945; di di Aulo Magrini, ‘Arturo’, morto al ponte di Noiaris di Sutrio il 15 luglio 1944.

11. Questa versione non collima con quelle di altri che dicono che i partigiani giunsero al mattino, verso l’ora di pranzo. Ma non è aspetto importante, perché quello che è determinante per lo storico fu la strage ed anche sapere chi furono coloro che la eseguirono. Ma su questo aspetto vi sono tesi discordanti. Si è perso a mio avviso troppo tempo, nel dopoguerra, in ipotesi di lotte anticomuniste, basate su bla, bla, bla, e si è persa la ricerca dei fatti contestualizzandoli.

12. I tre partigiani uccisi a Cercivento il 21 luglio 1944 sono: Leo Cimador, Olivierio Candido e Romolo Silverio.

13. L’azione è quella datata Sauris di Sopra 20 luglio 1944 in: ‘Diario storico della Divisione Garibaldi Carnia’, op. cit.

14. Si tratta, verosimilmente, di Nino Del Bianco, osovano, nomi di battaglia ‘Marina’ e ‘Celestino’, questo sì presente nel Cln carnico. (Giannino Angeli, Natalino Candotti, Carnia Libera. La Repubblica partigiana del Friuli (estate autunno 1944), Del Bianco ed. 1971, p. 211). La differenza riguardava però i vertici delle formazioni, perché i semplici partigiani non avevano precise idee politiche, essendo cresciuti nel fascismo, e spesso aderirono alla formazione più vicina al luogo dove si trovavano, oppure seguirono, come nell’emigrazione, altri del paese. Non dobbiamo quindi dimenticare che Ciro Nigris fu Capo di Stato Maggiore della Divisione Garibaldi Carnia, e parla qui come appartenente ai vertici della stessa. Si dice pure, che molte righe di ‘Carnia Libera’ fossero state scritte da lui.

15. L’idea pare fosse osovana. Infatti mi ero già chiesta perché, ad un certo punto, il btg. Carnia, comandato da ‘Livio’ Romano Zoffo, su fonti scritte, venisse indicato come btg. Fella.

16. Intendisi l’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, sorto nel 1971, di cui Ciro Nigris fu uno dei fondatori.

17. Forse trattasi di Vincenzo Deotto, nome di battaglia ‘Falco’, comandante del ‘Mazzini 2’ e quindi del ‘F. Roiatti’, caduto il 12 aprile 1945. (Mario Candotti, Lotta partigiana tra Meduna Arzino e Tagliamento. I rastrellamenti dell’autunno 1944, in: Storia Contemporanea in Friuli n. 12, p. 105), indicato da alcuni come colui che comandava l’azione. Può darsi che ‘Falco’ avesse in precedenza altro nome di battaglia, come che si trattasse di altra persona.

18. Trattasi di Antonio Morocutti, nome di battagli Tom, di Tommaso e Lucia Morocutti, nato nel 1919, originario d Ligosullo o Tausia. Catturato il 9 gennaio 1945, nel corso dell’attacco alla base di Plan dal Bêc e gravemente ferito, fu poi tradotto alle carceri di Udine, ove fu fucilato il 9 aprile 1945.

19. Nigris si riferisce alle elezioni del Ci si riferisce alle elezioni politiche del 2001, da cui uscì vincitrice Forza Italia, seguita da Alleanza Nazionale. I due partiti, insieme, totalizzarono ben 86 seggi alla camera e 127 al senato. Nelle elezioni valide per il rinnovo della Camera, sia la Casa delle Libertà che L’Ulivo (anche se quest’ultimo in un numero minore di collegi), aggirarono il meccanismo dello scorporo collegando i propri candidati nei collegi uninominali a liste circoscrizionali fittizie, dette «liste civetta», create appositamente per non essere votate da nessuno. Infatti, dato che i candidati dei collegi uninominali erano collegati a tali liste, era a queste liste che furono sottratti i voti dei candidati nei collegi uninominali, mandando così i voti della lista sotto il 4%.
Già allora i DS persero 36 seggi alla Camera e 38 al Senato. (https://it.wikipedia.org/wiki/Elezioni_politiche_italiane_del_2001)

20. ‘Daniel ‘è Daniil Varfolomeevi? Avdeev, capitano di cavalleria dell’Armata Rossa, catturato dai nazisti nel corso dell’invasione della Russi da parte dei nazisti e fascisti, fu internato in più campi di concentramento e quindi riuscì a fuggire con altri compagni. Assieme Ad altri connazionali fuggiaschi come lui, incontrati sul suo percorso, formò il btg Stalin, di cui fu comandante. Morì nel corso di una azione, ucciso dal nemico, l’11 novembre 1944 in Val d’Arzino. (http://www.nn-media.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=34:i-partigiani-sovietici-in-friuli&catid=8&Itemid=109). A Daniel è dedicato il volume di Alberto Buvoli: Comandante Daniel. Un ufficiale russo nella Resistenza friulana, edito dal Comune di Pordenone. Sul battaglione Stalin vi è invece uno scritto di Mario Candotti, Il battaglione “Stalin“, “Storia contemporanea in Friuli”, n.6, 1975. Vi sono delel divergenze di idee sul fatto che il btg. Stalin fosse uno solo o che ne esistessero due: ma può darsi che esistesse un unico battaglione prima da cui poi se ne originarono due.

21. La Patussera è una località all’entrata della Val Pesarina.

22. ‘Pompeo’ anche nome di battaglia ‘Walter’, è Guido Maieron, di Paluzza, alpino trasmettitore nella campagna greco/albanese. Entrato nella Resistenza, fu distaccato alle comunicazioni della divisione. Alla fine della guerra divenne pure commissario del btg. Ennio Radina Dopo la fine della seconda guerra mondiale fu impiegato in posta. Sposò la partigiana Esterina Rupil, n.b. Wanda, e morì il 26 gennaio 1970. (Scheda di Maieron Guido, in Laura Matelda Puppini, Schede partigiani garibaldini, uomini e donne che scrissero la storia della democrazia, operativi in Carnia o carnici. Nominativi ed alcuni dati anagrafici da: Presidenza del Consiglio dei ministri. Commissione regionale triveneta riconoscimento qualifiche partigiani - elenco nominativo dei partigiani combattenti cui è stata assegnata la qualifica gerarchica a fianco di ciascuno indicata (parificazione a grado dell’esercito italiano qui non riportata n.d.r.) - zona Carnia. in: archivio ANPI udine, in: www.nonsolocarnia.info.

2a parte

Mia madre mi bendisse e poi mi disse “Va, mo, frut!”


Ciro Nigris riprende a parlare ricordando il suo saluto alla madre che lo benedisse, come si usava quando un figlio faceva una scelta importante, che lo portava lontano dalla madre, visto come nume tutelare della famiglia. E poi il suo: «Va, moh, frut!».

Mia madre aveva anche una consapevolezza familiare (parte incomprensibile per l’emozione che rende incerta la voce),ma non si è mai sognata di dirmi: “Resta con me”.  Era il destino dei giovani andare, era considerata una necessità organica, e non vi erano dubbi nel merito. E così venivano i ragazzi alla resistenza.
Si capisce che poi diventò greve il peso dell’organizzazione partigiana, con l’affluire di uomini, anche sotto il profilo alimentare, dell’armamento, dell’impiego di questi ragazzi … E poi ci tenevano sul chi vive i tedeschi, intendiamoci. Perché continuamente c’erano infiltrazioni, eccetera. E poi c’era l’attività militare: sorprese continue, continui attacchi. Attaccavamo presidi: dei carabinieri prima, dei repubblichini poi, e dei tedeschi. Attaccavamo lungo la valle del But, per esempio, ed i fortini di Tolmezzo erano sempre più o meno assediati. (1). D’altro canto i tedeschi, partendo da Tolmezzo, si muovevano ed agivano in continuazione verso Verzegnis, verso Amaro, verso Villa Santina. Insomma, ci si teneva ‘allegri’, così ecco, per necessità organica di presenza, altrimenti che si stava a fare?


Avevamo coraggio, avevamo talvolta, paura, ma non c’era il tempo per pensare

L’intervistatore chiede se provassero paura.


No, no, anche se c’era da aver paura. Ad un certo punto non ci pensi, e fai quello che devi fare. Ho conosciuto pochi partigiani che avevano paura: qualche volta essa era presente in qualcuno che era stato lungamente provato, che aveva corso rischi grossissimi. Ed allora gente che aveva avuto un fegato da leone, ad un certo punto pensava: “Ustia”! I pos ancje muri! (Accidenti! Posso anche morire!)”. Invece prima no … Ma è una cosa che può accadere. Ho avuto uno o due casi così, singolari, ma non facevano neanche ‘specie’ perché era così … casi umani.  
Uno che magari aveva rischiato la vita venti volte nei gap, che giravano in città armati per fare esecuzioni, pericolosissimo esercizio, poi ad un certo momento pensava. “Ustia, I pos ancje muri!”. Era così.


Senza l’aiuto delle donne, partigiane o meno, avremmo fatto ben poco

 L’intervistatore chiede a Nigris che ruolo avessero avuto le donne nella Resistenza.

Senza l’assistenza delle donne non avremmo fatto granché. Anche perché noi le donne le sentivamo sempre come una presenza sororale, materna.
Un giorno su di un ponte, dopo un’azione, mentre stavo ritornando di corsa alla base, una donna mi ha visto e mi ha detto: «Ioh, biade frute, cemut fasie a stâ cun chei partigians, iei, cun ches fadias e ches poras? (O, povera ragazza, come fai a stare con i partigiani, con tutta quella fatica e quella paura?). Mi aveva scambiato per una donna, perché avevo i capelli lunghi sino alle spalle, ed avevo un volto molto da bambino.
Ed anche nelle case c’era molta comprensione. Però si capisce … e si fa presto a dire, ma dove c’erano partigiani c’era anche paura. Quando io sono arrivato, la vigilia di Natale, a Pradumbli con un piemontesino, venendo giù dalla montagna, da Cjamp, dove ci eravamo rifugiati da soli, c’era tanta di quella neve che si vedeva la zona di Ampezzo, come da un oblò, ed ho raggiunto una casa e ho bussato. – “Cui esel, cui esel? (Chi è, chi è?)”-  e parlava come si parla nella Pesarina. – “I soi Marco, sciore, i soi Marco. (Sono Marco, signora, sono Marco”. – “Cui? (Chi?)” – “I soi Marco, sciore. (Sono Marco, Signora).” – “Ioh, Marco, ca’ l’è plen di cosacs, achi! (Ioh, Marco, è pieno di cosacchi, qui!)”.
Ed è andata subito a cercare i partigiani che mi hanno accompagnato in Plan dal Bèc, dove poi sono stati sorpresi ‘Nembo’, ‘Tom’ e ‘Barba’ Ennio Radina.
Senza le donne, mi creda, non si sarebbe fatto nulla. E poi davano assistenza ai feriti, agli ammalati, sempre, pur vedendole preoccupate e spaventate. Perché naturalmente quando il peso delle situazioni diventava forte, sentivi intorno a te pure l’irritazione, la paura della gente. “È giusto pagare per voi?”- pareva ti dicessero. E si poteva capirli, perché i tedeschi sparavano, i cosacchi sparavano …
Noi comandanti dicevamo di non sparare mai ad un nemico isolato, se non per difesa.
 Quando alcuni partigiani, nonostante avessero avuto la proibizione di agire isolatamente contro i cosacchi, (solo per ragioni di difesa personale potevano farlo), hanno disubbidito all’ordine, ci sono state rappresaglie feroci. (2). E la gente era angosciata. Io ho conservato una lettera, di una moglie, di una amica, che mi diceva: “Non fate così!”. Ma noi lo dicevamo: “non sparate ad uno isolato, ad un cosacco isolato, è ridicolo!” Se il cosacco ti spara o è pronto a spararti rispondi ma altrimenti … Perché, poi, durante il periodo cosacco, non c’era niente da fare, perché eravamo in pochi, e non vi era motivo per operare se non su comando diretto dei responsabili, dei comandanti. E noi si vietava l’azione personale. Ed infatti non ne sono state fatte. Ma quando sono state fatte, sono state, veramente, fonte di guai.


Quindi Ciro Nigris si rivolge al giovane intervistatore ed al suo accompagnatore, e chiede, ridendo: “E voi come la vedete la storia della Resistenza? Sentiamo.” Ma i giovani non hanno tempo di rispondere perché Nigris riprende a parlare, ricordando Ennio Radina.

Ho conosciuto Ennio Radina, che era un sergente, quando ero ufficiale in fureria nella Valle del Natisone. Poi nel dicembre 1944, quando sono giunto nel loro bunker a Plan dal Bec, mi ricordo che stava cantando ‘Olandesina, mia’ con una voce altissima. (3). Aveva una voce estremamente acuta, Ennio. Io sono stato lì, in quel bunker, quattro o cinque giorni, ma poi ho detto che lì non si poteva più stare, perché era facile che il nemico ci raggiungesse. E così io sono andato indietro, e loro mi hanno mandato indietro, dicendomi: “Vai, che noi arriviamo”. Invece furono catturati. E Ennio fu arrestato con ‘Tom’ e furono fucilati qui, ad Udine, alle carceri, il 9 aprile 1945.
E mi ricordo proprio Ennio che cantava ‘Olandesina, mia’ con questa voce altissima, e io ho risentito per anni quella voce che cantava. Radina Ennio, di Villa Santina, che ha anche avuto una figlia, e che è stato fucilato con ‘Tom’… Sono ricordi che pesano. Perché fra di noi si era creato un rapporto, che non si può chiamare di amicizia, ma di una solidarietà unica. Vita per vita, insomma.


Quindi Ciro Nigris si scusa per aver parlato a ruota libera.

Le conquiste del dopoguerra furono limitate, e molti in Carnia dovettero emigrare per vivere.
L’intervistatore chiede a Nigris cosa ha significato per lui, il ripristino dello Stato Italiano e delle leggi, dopo la fine della guerra.
Nigris: «Le conquiste di carattere legislativo, e che quindi sono conquiste di carattere sociale, profondo ed ampio, sono state limitate, perché ogni ampliamento dei diritti comporta limitazioni per chi li aveva tutti e che avrebbe dovuto, poi, almeno un po’ dividerli con gli altri. Ed è stato questo il problema.
Inoltre negli anni successivi alla guerra, vi era miseria, e vi fu l’emigrazione della Carnia… con contratti capestro. Ricordiamoci le miniere del Belgio, dove andarono a lavorare. Io ho diversi amici che sono andati in America meridionale, in America settentrionale, alla caccia di un lavoro. Per esempio ‘Odessa’ (4), un carissimo figliolo, aveva 18 anni quando è venuto partigiano con me. È morto a Buenos Aires, quattro anni fa. Ha dovuto andar via. Il destino era quello: non si viveva in Carnia. C’era la miseria, c’era la polenta ma con ben poco vicino. E quindi la vita era tirata, tirata, e senza prospettiva, perché la miseria generale era notevole. E c’erano paesi che avevano pagato poco la guerra, altri che avevano pagato di più. Inoltre la Carnia era terra senza reddito, e non dava da vivere certo in maniera agiata. Ed è vero che la Carnia era sempre stata povera, ma aveva emigrazione verso l’Austria, verso la Germania, verso le terre della Slovenia … prima. Ma dopo si era chiuso tutto questo, e quindi … Tutti a casa. Da militari a casa. A far che?
Era difficile, sapete, vivere, allora. E si vedeva che la gente soffriva, che i giovani non avevano soldi, soprattutto che non avevano prospettive. Ed allora: via, via, via! Sono sciamati, è sciamata una quantità enorme di ragazzi e di non ragazzi.
Io, alla fine della guerra, avevo 23 anni e studiavo, dovevo prendere la laurea. Poi, dopo la laurea, ho incominciato ad insegnare, e così … Ma quelli che avevano quattro, cinque anni o sei anni più di me, sposati, con bambini … Ouh! È facile dire restiamo in Carnia, ma … la poesia è poesia, e lo stomaco è stomaco.
I bisogni essenziali della salute, il pensiero dei figli (cosa farà mio figlio?) queste erano le preoccupazioni. Tu fai l’operaio e vai a batter pietre, e vivi in qualche modo, ma tuo figlio, che prospettive avrà? Sono problemi grossi, sapete, e siete tutti figli e potete capire … Ed era veramente una cosa angosciante, e c’era tanta miseria.


Padri costituenti e Costituzione

L’intervistatore domanda cosa ha rappresentato per i partigiani la Costituzione e la creazione della Costituente
.

Dalla nostra azione è nata quella pressione politica da cui è nata la Costituente, e quindi l’istituto per lo studio della Costituzione. E membro della Consulta Nazionale, per noi, fu anche Mario Lizzero, da cui sono nati i padri della Costituzione, che hanno fatto una delle costituzioni più avanzate del mondo. È per questo che oggi si vorrebbe tagliare la testa della Costituzione. Perché si può tagliare il testo, perché la società muta. Ma quei principi che sono posti in apertura della Costituzione, i principi generali devono esser mantenuti. E non vi è costituzione che li abbia formulati in maniera così seria, perentoria, esauriente.  Perciò bisogna impedire che Berlusconi o gli amici suoi, tutti assieme, li modifichino. Infatti loro, in particolare quel cattolico di destra, il prete (5), almeno credo sia un prete, dicono che questa costituzione è pessima e la dobbiamo cambiare. In particolare dobbiamo cambiare l’articolo primo. Queste testuali parole io le ho sentite da lui: “Perché una cosa noi la dobbiamo fare. Questa Costituzione è cattiva, anzi è pessima. Noi dobbiamo cambiarla, non solo ritoccarla ma cancellarla”.
Quando un uomo politico che oggi è a livelli altamente qualificati, parla al mondo cattolico in questi termini, Madonna mia, qui c’ è la coda del diavolo. Non si può, capite? Perché poi la Costituzione dice cose chiare, pulite, che valgono per tutti: per chi ha in tasca i miliardi e per chi non li ha. È una enunciazione dei diritti che sono elaborati in maniera così semplice e chiara, che veramente quei padri Costituenti sono dei padri per tutti noi. Ed erano grandi persone.


Noi abbiamo combattuto per la libertà di tutti i popoli

L’intervistatore chiede se loro hanno combattuto per essere liberi in Carnia o comunque per la Liberazione d’Italia.


Noi abbiamo combattuto per la libertà di tutti i popoli. Noi abbiamo combattuto anche per lo Stato italiano, per la libertà dell’Italia, per avere in Italia uno stato avanzato. Il nostro saluto, quando si entrava in un ambiente, non so se lo conoscete. Mostrando il pugno chiuso, si diceva: “Morte al fascismo, libertà ai popoli”.
Le prime volte che siamo entrati nelle osterie, le prime volte che è entrato quel ragazzuolo che ero io, con il fazzoletto rosso, con il mitra… quando aprivo la porta e, con il pugno chiuso, dicevo: “Morte al fascismo, libertà ai popoli”, restavano raggelati. Poi si metteva via il mitra, si incominciava a conversare, si teneva un’ora di educazione politica, si enunciavano le ragioni per cui noi eravamo partigiani. E dopo seguiva il “I ven ançie iò! (Vengo anch’io)” “I ven ançie iò! (Vengo anch’io)”. Era una cosa commovente, intendiamoci, a pensarla oggi! Non si andava a nozze, e non c’erano stipendi dietro. C’erano soltanto il rischio e la passione di non restare lì fermi a far niente. Il giovane vuol fare. In quel caso voleva fare bene. Ed il giovane ama essere libero, è il suo istinto. Poi può essere irretito, trascinato dove non dovrebbe andare … Quanti giovani sono andati così con le Bande Nere, eccetera … molte volte costretti dalla famiglia, o per necessità economiche. Perché loro venivano pagati. Noi no, ma loro sì. Cioè mungevano all’erario pubblico, mentre noi lasciavamo buoni, che poi lo stato si è impegnato a pagare, ed ha pagato in parte. (6). Non era sempre facile, ma si viveva, però. La gente non ci hai mai negato… Si capisce che poi, man mano che aumentava il numero dei partigiani, diminuivano i viveri.
Noi avevamo creato, vicino alla sede del comando, un pastificio. E c’erano le partigiane che facevano pasta per noi con: farina, acqua e poco sale. E questa pasta appena fatta la si portava a tutti i reparti, e si mangiava quella, bevendo acqua. E sì si lamentavano spesso i giovani, perché avevano fame. Ma non c’era altro. E men che meno c’era nel periodo cosacco, anche per la gente. Perché erano state tolte le tessere, nella Zona libera, che era ‘Banditen gebiet”, territorio di banditi, e quindi era stata negata la tessera, che già prima era tanto corta. Ed allora le formazioni hanno dovuto preoccuparsi anche di questo, dell’alimentazione della popolazione, facendo in modo che il grano della pianura arrivasse qui.
Quindi la struttura funzionale all’alimentazione venne estesa fino “all’impossibile”, con l’intendenza ‘Montes’ (7). E ‘Montes’ è il nome di un grande, che dovete ricordare.


L’intendenza ‘Montes’ aiutò anche la Carnia.
‘Montes’ aveva creato un servizio di Intendenza, che, ad un certo momento, copriva tutte le formazioni. L’hanno preso e torturato a morte a Palmanova. E questa ‘macchina’ diciamo così, che provvedeva ai bisogni della gente, faceva sì che la pianura, immediatamente vicina alla montagna, organizzasse la raccolta del frumento, del grano, in modo che la gente della Carnia potesse andare ad attingere lì. E noi avevamo pure un ‘3Rò’ (8), un camion, che faticava lungo la strada del Rest, che non era quella di adesso, era una strada veramente difficile da percorrere.
E mi ricordo Pierìn, ma non so se sapete chi è Pierìn di Ampezzo (9) che abita a Tolmezzo, ed il cui padre aveva un servizio di automobili, ma non ricordo il nome, (lo vedo ogni tanto, ma quando si è vecchi si dimenticano i nomi …), che andava su e giù, su e giù, con il camion, in pianura, ad aspettare le donne per poi riportarle su. Cinquemila quintali di grano sono entrati in Carnia così, con questo servizio di intendenza, organizzato in tutta la Pedemontana. E andavano a rifornirsi le donne della Carnia. E tutti si davano da fare, perchè c’era inedia. Non era tutto quello che sarebbe servito, ma era sempre qualcosa, come la pasta fatta dalle partigiane. Poca acqua, poco sale, e poi tira, tira, e fai le righe, e guai se stringevano un po’ la pasta, ritornava tutto un blocco!
Però i partigiani non si lamentavano allora, li ho sentiti lamentarsi dopo. “Eh, con quella pasta!” Ma io non sapevo che il vitto sarebbe stato così povero. Eh, sono passati tanti anni … Però la tensione era tale, per cui non si pensava neppure a quello che si mangiava. E poi, comunque, davano da mangiare nelle case, non ti lasciavano senza.


L’Ors di Pani


Voi sapete che era l’Ors di Pani? Quello è veramente stato uno dei personaggi più significativi della Resistenza. Aveva sempre, per tutti, qualche cosa. “Io i vi doi vaçjas ma no pioras. Parcè che, quant ca rivin i Cosacs, las vacjas me le puartin vie, ma cun lis pioris i voi in mont! Nissun a mi cjape, me! (Vi do mucche ma non pecore. Perché quando arrivano i Cosacchi mi portano via le mucche, ma con le pecore vado io, in montagna. E nessuno può prender me.)”. Avrà avuto un centinaio di pecore.
Era un uomo molto ricco, l’Ors. Era un uomo che faceva rendere questa sua azienda, che era veramente un’azienda modello, anche se con mezzi che ora definiremmo primitivi. Ma l’aveva fatta in modo che rendesse moltissimo. I suoi formaggi finivano tutti da Umberto De Antoni. La famiglia De Antoni aveva monopolizzato tutta questa produzione. Ed era, per noi, veramente un padre. Quando sono andato da lui, ho avuto un ottimo trattamento. Lui pensava che io fossi un uomo grande e grosso. “Cui setu tu? (Chi sei, tu?)” “I soi ‘Marco’ (Sono ‘Marco’)”.  “I, non sta dî monadis! No sta fa monadis. (Non dire scemenze. Non fare scemenze)”. E io “Ma sì, sono ‘Marco’. E lui “Ma non sta dî stupidaginis”. Ma poi: “Ma sei ‘Marco’ … ‘Marco’?” “E sì”. “Iò i crodevi che tu fos un omenon! (Credevo tu fossi un omone grande e grosso!)”. È il nome che fa sembrare le cose più grandi.
E lui ci alimentava. Ha dato anche al mio reparto una mucca, l’abbiamo uccisa, e poi l’abbiamo fatta a pezzi. E ci ha dato il suo formaggio ed anche il suo sidro. Ma tutte le formazioni sono passate di lì. Pani era al centro.  Da lì ci si muoveva in ogni direzione. Tutti si fermavano lì, anche i cosacchi, che gli hanno fatto fare una vita mica da ridere, eh!. Ha rischiato veramente la fucilazione. Poi si arrendeva e diceva: “I partigians a mi puartin vie dut. (I partigiani mi portano via tutto)” e così … L’ors di Pani. Uomo da ricordare nella Resistenza. Figura singolarissima, storica. E uno pensa, magari, che l’Ors fosse un omone, ma invece no. Non era più grande di me. Aveva una divisa sporca, ed era sempre in maniche di camicia. E non si metteva su la polenta, lì, se non c’era lui, per la famiglia. “Parcè no metit su la polente, sciore? (Perché non mettete su la polenta, Signora?)” “E no… Sa non l’è Toni a no si met su polente! (E no. Se non c’è Toni non si mette su polenta qui)”.  Per noi la mettevano su, per loro no. Era uno ferrigno! Generoso con noi, ma era veramente un personaggio addirittura commovente e dagli occhi affettuosi. “Biaz fruz. (Poveri ragazzi)”. Così ci diceva: “Biaz fruz!”. Ed era molto, molto attento ai nostri bisogni. Era veramente un uomo singolare.
Era un polo di passaggio obbligato: di lì si doveva passare. E lui aveva sempre qualcosa da dare da mangiare. Dava le cose essenziali, e le dava come risultato di una disposizione all’affetto, sempre avuta anche prima della Resistenza. Io so che questa predisposizione l’aveva avuta già prima, con altre formazioni non partigiane ancora.  Bella figura, morta tragicamente, però» (10).


I partigians ‘Han robat?’

L’intervistatore chiede se sia vero quelli che dicono alcuni, per sentito dire, che i partigiani rubavano per esempio da mangiare.


Qualche partigiano avrà anche rubato, avrà fatto qualche sciocchezza. Ma quando si sapeva si prendevano misure anche tragiche. Infatti erano veramente proibiti il furto e la violenza.  Anche perché la gente dava senza bisogno che ci fosse violenza. Pure per i reparti non abbiamo mai avuto bisogno di alzare la voce. Bastava dire: “I vin fam (abbiamo fame)” e ci davano quello che potevano, quel po’ che avevano. Ma c’è stato, come in tutte le comunità, anche fra i partigiani qualche lazzarone.
Di quello che aveva fatto qualcuno siamo venuti a conoscenza dopo, per sua fortuna. Perché non c’erano molte vie di mezzo. C’era l’espulsione, è questa si è verificata in alcuni casi, ma c’erano anche modi più gravi di punizione corporale, e talvolta vi furono pure processi molto seri per atti di violenza, per furti, e cose di questo tipo. Ma ogni comunità ha i suoi ladri, i suoi mascalzoni.
Si capisce però che, in una società così povera, erano particolarmente urtanti queste cose. E quindi la gente ne ha risentito, purtroppo. “Han copât, han robat”. Bah, non siamo diventati ricchi.
Io non conosco partigiani che siano diventati ricchi allora. Diventati ricchi poi, sì, ma per iniziativa personale. Ci sono di quelli che hanno costruito strade meravigliose, ma quella volta “A no erin bez”. Non c’erano soldi. E non c’erano i soldi neppure per andare a far la partita a carte, perché se perdevi dovevi pagare il ‘taglietto’ (11) all’amico. Ma se i soldi non c’erano, non andavi a fare la partita. Allora era così. Oggi non è più così, perché 5.000 lire le hanno tutti in tasca, ma allora 50 centesimi potevi non averli, ed un ‘taglietto’ costava 20 centesimi. E dovevi averli perché, se perdevi la partita, dovevi pagare. Se invece la vincevi, ti rimanevano in tasca, ed eri tutto contento!


Attività militare, cantare e chiacchierare segnavano l’attività partigiana della truppa

 L’intervistatore chiede quali fossero i giochi di carte che facevano, in particolare durante la guerra partigiana.


I non vevin timp, per giuiâ. (Non avevamo tempo per giocare). Io non avevo tempo di giocare, allora. I ragazzi si divertivano a cantare, a chiacchierare, ad andare a morose (a trovare le fidanzate) se ne avevano il tempo, nelle licenze normali … Ma non so se giocassero a carte. Ma non mi pare proprio che avessero le carte da gioco, perché eravano sempre in movimento. Per un motivo o per l’altro “A erin simpri atôr (erano sempre in giro), in pattugliette, o a far rifornimenti, o a far legna, perché erano tante le cose da fare. E la pulizia delle armi si faceva ogni giorno, come l’ora politica. Poi conversavano tra loro e cantavano.
Cantare giova molto ai ragazzi. E i giovani partigiani cantavano tanto: cantavano canzoni garibaldine e comuniste, anche, come no.
Le canzoni comuniste hanno una lunga storia ‘socialista’: di un secolo di socialismo o quasi. Ottant’ anni di socialismo avevano lasciato un eco anche nel canto, ed i canti che provenivano dalla rivoluzione della Russia in modo particolare, erano efficaci, erano un respiro. Erano una voce più profonda di quanto potesse sembrare. Ma ancor oggi certi canti del mondo sociale, socialista, marxista, comunque lo si chiami, sono voci valide. Ed ancora le cantano. E non c’è bisogno di incontri della festa dell’Unità: le cantano anche fuori.


I fatti di Genova al G8 2001


L’intervistatore chiede a Ciro Nigris se ha sentito cosa è accaduto a Genova un mese prima. (Torture alla caserma Bolzaneto e fatti intorno al G8 ndr).

Cosa è accaduto a Genova è abbastanza chiaro, e mi pare abbastanza chiaro il problema, a parte la neutralità di Fini (12) e compagni, che facevano i galletti! Fini, ad un certo momento, era lì, tutto vivace, alla televisione. E mi sono detto: “Adesso diventa protagonista!”  Dopo: zitto, si è messo la coda fra le gambe. Ma a parte questo, il problema è che indubbiamente, ma erano stati avvertiti, c’erano queste frange che venivano dall’estero eccetera, eccetera, e che erano violente. Ma non han preso le misure necessarie. Sono andati a vedere se mettevano fuori mutande, se c’erano i fiori, ma non strutture che contenessero, che ci sono. Io non lo sapevo, ma adesso lo so.
Ma la polizia avrebbe dovuto risolvere il problema prima, perché avevano detto che vi erano frange violente. Invece non ha preso misura alcuna. E allora questi hanno influenzato il resto.
Che poi tra i manifestanti ci fossero anche ragazzi criticabili, che hanno assaltato le camionette, sì, e questo non era nei voti. Ma la manifestazione vera e propria, che si è vista poco alla tv, perché l’hanno mostrata poco alla tv mentre hanno mostrato più il resto, è stata un corteo enorme, di duecentomila persone, e poi vi erano frange di violenti. Ma questo accade sempre. Ma quelli erano violenti intenzionalmente e lo sono ancor oggi.


Caserme Diaz e Bolzaneto: non era pomodoro ma sangue


L’intervistatore chiede come gli è sembrata la reazione della polizia.

Brutta. Non è vero che era pomodoro. Era sangue. (13). Poi avranno buttato qualche vaso di pomodoro. Ma erano scene …. Se avessero fatto, ma forse lo hanno fatto, una antologia, un film, di tutte queste scene che noi abbiamo visto così, a momenti, se mostrassero veramente tutte quelle violenze … sì, sì, … ci sarebbe da rabbrividire. Erano violenze sistematiche, erano imbestiati (i poliziotti ndr), avevano perso il controllo, erano scatenati, li avevano scatenati. Perché non sono mica tutti così, i poliziotti. Erano scatenati. Sono loro i massacratori. E c’erano anche, indubbiamente, quelle frange rivoluzionarie che sistematicamente, programmaticamente hanno bisogno della violenza, ma esistono in tutto il mondo, questo è un fatto. Ma la manifestazione era imponente.
Certo che per Berlusconi è stata una grossa sorpresa. Perché lui pensava veramente di finire in una atmosfera trionfale. Non è così stupido da aver desiderato che ci fossero queste frange di violenza, per carità, io non lo penso assolutamente. Lui pensava ad una grande festa. Invece questi fatti si trascinano ancor oggi, per lui, politicamente. Perché i fatti si confermano, si attenuano, si cercano altre prove eccetera, ma i fatti ci sono. E a vederli faceva spavento.

L’intervistatore dice che la violenza fu anche verso persone che non centravano niente, persone che stavano con le braccia aperte.

Sì. Ma un certo sadismo si è manifestato. I poliziotti parevano irritati, spaventati, non lo so perché questi poliziotti si sono comportati così. Perché sono ‘figli di mamma’ anche loro.  E non credo siano tutti così. Che siano allenati ad una certa tensione di forza lo capisco, perché chi deve reprimere … ma certe manifestazioni di violenza, no, erano veramente una pena.


Sul neofascismo


L’intervistatore gli domanda, in chiusura, se non sia disturbato dal fatto che ancora esistono ideologie fasciste.



Certo che mi disturbano e mi preoccupano. Anzi, per esser chiari, non è che mi disturbano, mi preoccupano. Perché ci cascano dentro anche i giovani. “Mularia (gioventù)”. Ma cosa c’ha da guadagnare? Il giovane è esuberante e lasciarsi tirar dentro per esuberanza in una sciocchezza come il neofascismo, mi sembra talmente …. Io capisco di più la violenza di per se stessa per voler la giustizia sociale, perché ha una motivazione. L’ insoddisfazione deve portare a qualche cosa.  Ma nel neofascismo cos’hai? Perché nessuna destra ha mai dato giustizia. Poca per la verità anche la sinistra, ma qualche cosa di più sì. Ma le destre …
La destra è violenza organica….

Poi Ciro Nigris continua, rivolto all’intervistatore
: «Dio mio mi avete fatto parlare a lungo… Avete registrato tutto, anche questa roba qui?»

Intervistatore: «Sì, sì. Perché La disturba?»

E così termina l’intervista.

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(1). Da che si sa c’erano due fortini dei tedeschi a Tolmezzo: uno a guardia del ponte di Caneva, l’altro verso Paluzza. Quest’ ultimo fu fatto saltare con una carica dalla partigiana Andreina Nazzi ‘Nina’, che poi sposò il mutilato nella guerra di Spagna Guglielmo Intilia.  Il primo fu oggetto di attacco da parte del btg. Carnia osovano, nel luglio 1944, e nel corso di quell’azione persero la vita Marcello Coradazzi, ‘Lazzarino’, e Valeriano Cosmo di Formia, nome di battaglia ‘Alfa’.

(2) Emblematico il caso di un gruppetto di partigiani osovani, che ‘Walter’ aveva mandato ad osservare cosa stesse accadendo a Fielis, nel marzo 1945.  Essi, pur avendo avuto l’ordine di non sparare se non per difesa personale, spararono comunque, uccidendo un cosacco, e la rappresaglia contro la popolazione civile non si fece attendere.

(3). ‘Olandesina’ è una canzone popolare d’amore, che veniva cantata già nel 1929. I testi via via proposti hanno qualche lieve modifica per esempio nel nome della fanciulla, che però in genere è Ketty, mentre il nome del giovane è Morris. Per ascoltarla cfr., per esempio, https://www.youtube.com/watch?v=ZjkvkzAbwRM.

(4). ‘Odessa’ è Egidio Burba, classe 1926, del btg. Magrini prima, a fine guerra comandante del btg. Italo Cristofoli.

(5). Qui forse Ciro Nigris confonde don Gianni Baget Bozzo con Rocco Buttiglione, a cui, poi, come suggerito dall’intervistatore, attribuisce la frase, dicendo che era un Ministro.

(6). Per quanto riguarda quanto rifuso ed a chi in provincia di Udine, cfr. Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Archivio di Stato di Udine. Danni di guerra – partigiani 1945-1978 fondo25 bb. Intendenza di Finanza di Udine.

(7). ‘Montes’ è Silvio Marcuzzi, operaio, antifascista, nato a Fogliano di Redipuglia, il 12 luglio 1907, morto, dopo la cattura da parte del nemico a causa di una spia, alla caserma Piave di Palmanova sotto tortura, il 1° novembre 1944. È stato insignito della medaglia d’oro al Valor Militare alla memoria.

(8). L’Autocarro Pesante Unificato Lancia 3Ro fu un autocarro prodotto dal 1938 al 1949 in Italia dalla Lancia Veicoli Industriali e largamente utilizzato per scopi civili e militari.

(9). Forse si tratta di Pierino Spangaro, autista, classe 1926, nome di battaglia ‘Silvano’.

(10) l’ ‘Ors di Pani’, cioè Antonio Zanella, fu ucciso assieme alla figlia Maria, il 5 od il 6 marzo 1955 da tale Romano Lorenzini di Raveo per futili motivi, cioè perché egli era stato accusato dallo Zanella di aver rotto il sottopancia di un mulo, spalleggiato dalla figlia. (Cfr. Il patriarca di Pani, in Incarnia, marzo 2014).

(11) Italianizzazione del termine friulano ‘tajut di vin’. «Alcuni sostengono che, in origine, fosse il segno sul bicchiere indicante la “giusta misura” di vino che veniva elargita dall’oste. Altri invece ritengono che il termine sia nato per indicare una particolare mescola di vino che un tempo era realizzata con vini di bassa gradazione, che venivano poi “tagliati” con vini più corposi. Oggi, più semplicemente, il temine “tajùt” indica all’oste il desiderio di un bicchiere di vino bianco (taj di blanc) o rosso (taj di ros)». (http://www.friulani.net/il-tajut/).

(12). Molti si chiesero cosa facesse Gianfranco Fini, all’epoca vicepremier, nella sala operativa della Questura di Genova quel maledetto 21 luglio 2001. L’onorevole Gianfranco Fini non ha mai chiarito, non ha mai fornito spiegazioni: chi credeva lo avrebbe fatto, chi lo ha assunto a eroe dopo la rottura con Silvio Berlusconi, non può che rimanerne deluso Lo stesso Giuseppe Pericu, allora e per molti anni sindaco di Genova, ha sempre chiesto l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare “per chiarire alcuni aspetti di responsabilità politica sui quali è rimasta una fitta coltre di mistero, come sulla presenza di Gianfranco Fini, vicepresidente del Consiglio, nella sala operativa della Questura di Genova”. Il governo in carica era il Berlusconi II, ministro degli Interni Claudio Scajola, le cui ammissioni di aver ordinato di sparare contro chi avesse “violato” la zona rossa provocarono sconcerto e scalpore. (https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/05/07/diaz-film-ruolo-fini-rischio-prescrizione/220920/). La Corte Europea dei Diritti Umani ha sanzionato l’Italia per le violenze della polizia durante il G8 di Genova. (https://www.agi.it/cronaca/bolzaneto_tre_giorni_di_abusi_che_per_strasburgo_furono_tortura-2295657/news/2017-10-28/).

(13). Relativamente a quanto accadde alla caserma Diaz, sempre nel corso del G8 del 2001, si legge che : «È una verità giudiziaria quella che emerge dalla sentenza di Appello sul caso Diaz -G8 2001 (l’irruzione nella scuola sede del Genoa Social Forum e nel press Center con giornalisti di tutto il mondo) che smentisce, se ancora era il caso, che alla Diaz sui muri, sulle scale e sulla pelle degli arrestati (tra i quali alcuni giornalisti italiani e stranieri, pestati a sangue e arrestati) non c’erano “né sugo di pomodoro, né sangue rappreso di “ferite pregresse dagli scontri di piazza” come disse il portavoce del Ministero degli Interni, Roberto Sgalla la notte del blitz. Che non ci fosse voglia alcuna di fare chiarezza lo si capì quella notte e il mattino dopo quando nella Questura di Genova, di fronte a decine di giornalisti, andò in scena la famosa conferenza stampa “muta”: un comunicato stampa letto da una funzionaria di polizia e l’imperativo categorico dell’addetto alle pubbliche relazioni, il dottor Roberto Sgalla: “non si fanno domande”. In quelle ore in carcere c’erano 93 persone innocenti». (http://www.ilsecoloxix.it/p/genova/2010/05/19/AMEyRphD-giornalisti_associazione_pomodoro.shtml). E così si legge su di un articolo «L’85 per cento delle 252 vittime di Bolzaneto non andava neppure fermato. E chissà se i ragazzi torturati – che ci sia stata tortura lo dice la recente sentenza – sono stati ‘solo’ 252: dagli interrogatori e dalle interviste ne spuntano altri, finora sconosciuti». (http://www.repubblica.it/2008/07/sezioni/cronaca/g8-genova-4/libro-calandri/libro-calandri.html).
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L’immagine che correda l’articolo proviene dall’intervista e mostra Ciro Nigris mentre parla.
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