«I lavoratori di fronte ad una azione diretta a promuovere la rinascita economica e civile dell’Italia, e pur trovandosi nelle condizioni che sappiamo, pur essendo essi i più sacrificati della società, sono giunti oggi nel nostro Paese ad un grado di maturità tale, ad un grado di sensibilità così elevata verso gli interessi generali della società nazionale, che questi lavoratori, pur soffrendo, sono disposti ad accollarsi un sacrificio supplementare per portare un proprio contributo al successo del Piano lanciato dalla Cgil... esso richiede uno sforzo da parte di tutti i cittadini proporzionale alle loro possibilità e quindi uno sforzo più elevato da coloro che hanno accumulato maggiori ricchezze... uno sforzo che deve portare l’Italia ad un nuovo risorgimento economico ha bisogno dell’entusiasmo e della volontà attiva delle masse popolari, ha bisogno di un governo che sappia mobilitare questo entusiasmo creatore delle masse popolari... In queste condizioni cosa diverrebbe il nostro Piano? Esso diverrebbe oltre che la leva principale per la rinascita economica dell’Italia anche la base per una vasta unione, e non solo per una distensione, effettiva e profonda di tutti i rapporti sociali, sindacali e politici, la base per un nuovo potenziamento nazionale che sarebbe nell’interesse di tutti gli italiani, nell’interesse generale del popolo... Vorrei dire alle classi dirigenti: Signori, liberatevi dalle vostre assurde prevenzioni, tanto queste prevenzioni non possono fermare il corso della storia. Apprezzate questa offerta che vi fanno i lavoratori, offerta morale, materiale, sociale e politica...»

(Giuseppe Di Vittorio, 1950)

Nicola Affatato

Il Mezzogiorno risorsa d'Italia. Giuseppe Di Vittorio a 50 anni dalla scomparsa


Cerignola, 3 novembre 2007 - Teatro Mercadante


Ogni volta che ricordiamo la figura e l’impegno di Giuseppe Di Vittorio le vicende sociali, politiche ed umane che hanno visto protagonista il grande sindacalista della nostra terra s’intrecciano a tal punto da divenire un tutt’uno con la storia della CGIL e con una parte stessa della storia del nostro Paese.

E anche oggi, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, non vogliamo solo commemorare ma “ricordare” Peppino Di Vittorio con l’esercizio della memoria, cercando di ricostruire i tratti salienti di una vicenda storica tra le più importanti e appassionanti del secolo scorso; legando quella memoria e quella storia all’attualità di un impegno che ancora oggi ci vede protagonisti per riaffermare la centralità del lavoro - contro ogni forma di sfruttamento e di precarietà - e alle vicende di un Mezzogiorno che ancora oggi si batte per progredire insieme al Paese.

Ben sapendo che per noi, per la CGIL, il modo migliore per ricordare e interpretare - ieri come oggi - l’insegnamento di Peppino Di Vittorio è l’impegno quotidiano per l’affermazione dei diritti e per la dignità del lavoro.

E vogliamo compiere questo sforzo come sempre con grande rispetto evitando l’errore, talvolta da alcuni commesso, di attribuire con leggerezza a grandi personaggi storici intenzioni e scelte proiettate nel futuro che non sappiamo se avrebbero mai compiuto o posto in essere.

Qualche giorno fa, il 30 d’ottobre, alla Camera dei Deputati, alla presenza del Presidente della Repubblica e con la partecipazione delle più alte cariche dello Stato, la CGIL ha ricordato, in una solenne celebrazione, Di Vittorio sindacalista, costituente e parlamentare, definito nell’occasione da Guglielmo Epifani: “La figura più importante della storia del movimento sindacale del Novecento, perché non solo simbolo del riscatto sociale, ma anche per l’insegnamento del valore sociale del lavoro”.

Valore sociale del lavoro che ieri, come oggi, ha rappresentato e rappresenta il vero segno distintivo di una società moderna e solidale; una società consapevole che solo sul lavoro è possibile costruire la giustizia e il progresso economico e sociale; che solo con il lavoro e con l’affrancamento dai bisogni si realizza una società veramente libera e democratica, come afferma la nostra Costituzione.
Questa la ragione di un impegno che la CGIL ha realizzato in oltre cento di lotte per l’emancipazione e il riscatto sociale in favore dei più deboli.
Questi i valori che tutt’oggi sono di grande attualità; questi i diritti che non si conquistano una volta per sempre, ma vanno sempre difesi da attacchi e da insidie.
E Peppino Di Vittorio di questo grande e importante impegno è stato senza dubbio il protagonista principale, riuscendo a legare le lotte assai spesso cruente per il riscatto dalla povertà dei braccianti della nostra terra, alle prospettive di sviluppo di un Paese democratico e finalmente libero dalla dittatura fascista e dall’oppressione latifondista; un Paese messo in ginocchio dalla follia di una guerra e impegnato nella difficile fase di ricostruzione, che proprio sul lavoro e sulle riforme ha realizzato le condizioni di uno Stato moderno e democratico.

Il Piano del Lavoro e lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori sono la conferma di una straordinaria capacità della CGIL di Peppino Di Vittorio di stare al passo con i tempi, anticipando con intuizioni politiche, economiche e sociali di straordinario valore e attualità, le esigenze di modernizzazione del Paese con proposte che hanno sempre avuto il valore di pensare allo sviluppo e alla tutela del lavoro come due lati della stessa medaglia, come elementi inscindibili della stessa e contemporanea azione.

“Lo sviluppo e la modernizzazione, ci ricorda in un suo scritto Emanuele Macaluso, furono sempre al centro del pensiero di Di Vittorio. Concludendo i lavori del congresso confederale di Firenze (giugno 1947), Di Vittorio ricordò che cosa aveva detto qualche giorno prima ai braccianti pugliesi: “E’ interesse fondamentale dell’economia nazionale la trasformazione fondiaria. Se voi potete riuscire ad ottenere che mille ettari di terreno a coltura cerealicola, che producono pochissimo e occupano appena quindici giornate di lavoro all’anno per ettaro, vengano trasformati in vigneti e oliveti ottenendo così due o trecento giornate di lavoro, voi avrete determinato una maggiore fonte di lavoro, di produzione e di ricchezza e vi sarete creati del lavoro per l’avvenire”. E aggiungeva: “Se questo avviene, accettate anche una lieve riduzione dei vostri salari per i lavori di trasformazione fondiaria che andrà a vantaggio di tutta la nazione”.
Èin tutto questo e nell’importante contributo dato alla scrittura della nostra Carta Costituzionale che si delinea la figura di Di Vittorio sindacalista e di “raffinato politico”, come lo definisce Vittorio Foa, nel documentario realizzato per conto della CGIL dai registi Lizzani e Dal Sette. Foa, inoltre, nel documentario aggiunge che: “Di Vittorio ha insegnato che si può essere fedeli alle proprie idee rispettando quelle degli altri”.

Convinzione che lo portò nel 1956, a differenza di quasi tutti i dirigenti del PCI, a scegliere con grande coraggio, coerenza, e autonomia di stare dalla parte dei lavoratori ungheresi e non dei carri armati sovietici. Tra la dittatura e la libertà scelse la libertà.

In tutto questo si racchiude gran parte dell’insegnamento politico, sociale e morale che Di Vittorio ci ha lasciato; una eredità e un messaggio ancora oggi di grande attualità rivolto all’intero Paese; alla sua classe dirigente per spronarla a fare meglio e di più; alle nuove generazioni, a cui tutti noi abbiamo il dovere di consegnare una società più giusta e solidale.

E noi siamo convinti che sono proprio i giovani del Sud e della nostra terra, che purtroppo in tanti, già da tempo, sono costretti ad emigrare in cerca di un lavoro che li affermi nella società e li ripaghi dei grandi sacrifici affrontati, sono proprio questi giovani la più grande e importante risorsa con cui il Mezzogiorno può costruire il proprio futuro.

Ancora Macaluso ci ricorda come nel Piano del Lavoro, proposto da Di Vittorio nel congresso della CGIL svoltosi a Genova nell’ottobre del 1949, si affermava che: “La questione meridionale avesse una collocazione nazionale ricondotta alla condizione generale dell’Italia”. Dentro gli obiettivi de Piano, continua Macaluso, si svolsero grandi lotte sociali in tutto il Paese e soprattutto nel Sud. Anche la lotta contro il banditismo e la mafia in Sicilia si richiama a quella impostazione. Nelle conclusioni al congresso del 1949 di Vittorio disse: “…..noi pensiamo che l’unica spedizione militare che potrebbe riuscire ad eliminare il banditismo e la mafia e a liberare il generoso popolo siciliano da una situazione inumana, dovrebbe essere una spedizione di ingegneri, di tecnici, i quali alla testa dei lavoratori siciliani dovrebbero cercare ed ottenere tutti i mezzi, per fare rinascere la Sicilia e l’Italia”.

Già da allora, quindi, per Di Vittorio autodidatta e fervente assertore della necessità di favorire il progresso con la cultura, per lui che arrivò ad affermare che: “La fame dipende dall’ignoranza”, la via dello sviluppo e del riscatto sociale passava attraverso il sapere e la conoscenza.

Ancora oggi invece, come tanti anni fa, si ripete un preoccupante esodo di massa, come quando i braccianti del Sud, nei primi anni sessanta, lasciarono le terre per andare a lavorare nelle fabbriche del Nord contribuendo con le loro braccia e i loro sacrifici allo sviluppo industriale del Paese.

Ieri le braccia, oggi le menti, i saperi, la conoscenza, le specializzazioni e, quindi, la ricerca scientifica, l’innovazione tecnologica che, insieme alle infrastrutture e alla legalità, rappresentano per il Mezzogiorno gli elemento fondamentali su cui costruire un vero sviluppo.

Il Mezzogiorno: risorsa d’Italia, quindi, come recita lo slogan della nostra iniziativa, per tentare di invertire – anche un po’ provocatoriamente, se volete - l’approccio tradizionale e negativo alla questione meridionale, partendo dalle risorse anziché dai problemi che ci sono, sono noti e sono gravi e non vanno certo sottaciuti.

Per cercare di rompere uno schema con un progetto di grande respiro che l’intera classe dirigente del Sud e del Paese, a partire da ci ricopre incarichi Istituzionali e di Governo, deve fare proprio e deve assumere come impegno morale, prima ancora che politico e sociale.

Uno schema che ha portato nel tempo all’ingiusta convinzione dell’immodificabilità delle condizioni d’arretratezza del Sud e alla rassegnazione, condizioni contro le quali Giuseppe Di Vittorio si è battuto e che non avrebbe mai accettato. Per smetterla - una buona volta - di parlare di potenzialità inespresse e di risorse naturali, ambientali e paesaggistiche da valorizzare, realizzando finalmente progetti, sviluppo e lavoro.

I giovani, quindi, come la più grande risorsa della nostra terra, un capitale umano fatto di intelligenze, saperi, vitalità, fantasia e passioni da valorizzare e da utilizzare per lo sviluppo del Sud e della Capitanata.

Ed è invece proprio la nostra provincia a scontare, oltre al più alto tasso di disoccupazione che sfiora il 20% e di lavoro nero, il saldo migratorio più pesante che riguarda soprattutto i giovani e le donne. Un fenomeno preoccupante proprio perché riguarda soprattutto i giovani ad alto tasso di scolarizzazione, che potrebbero invece dare un contributo importante allo sviluppo, dal momento che la perdita di capitale umano qualificato sul lungo periodo è destinata a pesare sulle aspettative di sviluppo delle regioni meridionali.

Un dato negativo legato anche allo scarso investimento che si registra da parte delle imprese in ricerca e innovazione, per quelle produzioni di qualità che invece renderebbero competitivo il sistema produttivo senza bisogno di ricorrere alla compressione dei diritti e della sicurezza del lavoro.
Puntare ad uno sviluppo di qualità, quindi, valorizzando il capitale umano e la formazione professionale per dare una marcia in più allo sviluppo del Mezzogiorno e un futuro ai giovani. E la qualità dello sviluppo e del lavoro non sono compatibili con un mercato del lavoro che continua a produrre sfruttamento e precarietà.

Puntare sulle nuove generazioni, quindi, anche sulla base d’interessanti, anche se parziali, progetti sperimentali attivati di recente proprio dalla Regione Puglia per sostenere l’alta formazione, la mobilità, il ritorno e la valorizzazione dei giovani meridionali ad alta qualificazione – con pochi ma importanti obiettivi che la CGIL ritiene prioritari: sostenere i percorsi formativi di qualificazione dei giovani meridionali; creazione di un programma di mobilità universitaria per l’area mediterranea; formazione di una nuova leva di giovani meridionali ad alta qualificazione al servizio delle nuove politiche di sviluppo 2007 – 2013.

Sono queste le politiche di sviluppo e le scelte che possono ridare speranza ai giovani e aiutare il Sud a progredire e crescere insieme a tutto il Paese.

Sono queste le ragioni di un rinnovato e forte impegno sociale che vedrà la CGIL, ancora, protagonista del cambiamento.

Sono queste le ragioni, come afferma Macaluso, che fanno di Peppino Di Vittorio: “Un uomo non solo di ieri ma di domani”.