LA
REPUBBLICA PARTIGIANA DELLA CARNIA 60° ANNIVERSARIO - Treppo Carnico, 9 ottobre 2004 |
Flavio Fabbroni 1. LE ZONE LIBERE: LA CARNIA |
La mia relazione si svilupperà secondo il seguente schema: 1. la descrizione del contesto che portò alla nascita delle zone libere nell’Italia del nord nell’estate autunno 1944; 2. La nascita della Zona libera della Carnia e dell’Alto Friuli e l’organizzazione del consenso popolare e della partecipazione; 3. la nascita della Giunta centrale di governo; 4. la questione dell’approvvigionamento della zona libera nei confronti della quale i tedeschi avevano bloccato ogni rifornimento e flusso di denaro; 5. i decreti emessi dal governo centrale tra il 26 settembre e il 10 ottobre, data dell’ultima riunione prima dei rastrellamenti. Le zone libere in Italia: il contesto Il 4 giugno 1944 Roma fu liberata. Dieci giorni dopo, l’organo politico di direzione della Resistenza nell’Italia occupata, il CLN Alta Italia, lanciò l’appello all’offensiva generale. In poche settimane il quadro militare e politico sembrò nettamente cambiato: il governo di Salò era profondamente in crisi e isolato nel Paese, come dimostravano l’esito negativo delle leve fasciste e i numerosi passaggi di militi repubblicani nelle file partigiane; in crisi erano anche gli occupatori tedeschi, che, incalzati dalle truppe alleate, avevano perso il controllo di grandi zone in mano alle bande del movimento di liberazione. Si apriva una prospettiva: quella dell’insurrezione, che (e cito dalla circolare del 2 giugno del CLN Alta Italia, che sollecita la costituzione delle zone liberate) avrebbe fornito “la prova storica dell’opposizione del popolo italiano al nazifascismo” e “la sua riabilitazione di fronte al mondo intero”. Riabilitazione rispetto alle responsabilità del regime fascista: di aver scatenato insieme al Terzo Reich e al Giappone una guerra orribile; e di aver collaborato alla “soluzione finale” degli ebrei europei con le leggi razziali prima, con le disposizioni della Repubblica sociale poi, che ordinavano la requisizione totale dei beni degli ebrei italiani, il loro arresto e la consegna ai tedeschi. Era giunto il momento che il movimento di liberazione costituisse organi di potere che fossero validi interlocutori dell’amministrazione alleata. In altre parole le zone libere e la loro amministrazione dovevano rappresentare il primo vero banco di prova della nuova classe dirigente antifascista. In realtà, di zone controllate dai partigiani ove organizzare la vita civile si parlava ben prima dell’estate, specialmente da parte del partito comunista. Il presupposto era il rifiuto di una Resistenza impegnata solo in attività di sabotaggio e di guerriglia di disturbo: la Resistenza invece doveva coinvolgere la popolazione civile. Luigi Longo già nel giornale “Il Combattente” del gennaio ’44 invitava i partigiani, dal Piemonte all’Emilia al Friuli, che già presidiavano ampie zone, “ad esercitarvi sistematicamente il potere, dando autorità al popolo”. In quel momento storico, caratterizzato dalla veloce avanzata alleata, il CLN Alta Italia e il Corpo Volontari della Libertà, la guida militare della Resistenza, costituito a Milano il 9 giugno ’44, fecero propri questi presupposti. Questo fu lo spirito della circolare del CLNAI del 2 giugno, che iniziava con queste parole: “Il corso degli eventi permette di prevedere che a scadenza non lontana si verificheranno probabilmente avvenimenti di grande importanza per la liberazione del nostro paese…”. E più avanti affermava: “Allorquando, nel corso della lotta, la liberazione di un determinato territorio o località non coincida immediatamente nel tempo con l’intervento degli eserciti alleati e del Governo nazionale, … ai CLN provinciali e locali incombe il dovere di assumere di loro iniziativa… la direzione della cosa pubblica, di assicurare in via provvisoria le prime urgenti misure di emergenza per quanto riguarda la prosecuzione della guerra di liberazione fino alla distruzione del nazifascismo, i provvedimenti di epurazione contro i fascisti repubblicani e gli agenti del nemico in genere, l’ordine pubblico, la produzione, gli approvvigionamenti, e servizi pubblici ed amministrativi, eccetera”. E ancora: “I CLN locali provvederanno alla nomina di un sindaco e di una giunta comunale…”. A questa direttiva seguiranno il 28 giugno, il 10 e il 19 luglio le istruzioni dettagliate del CVL sull’organizzazione militate e civile delle zone liberate. Queste decisioni non furono accolte ovunque pacificamente dalle forze militari e politiche della Resistenza. Si trattava infatti di rovesciare la tattica della guerriglia: si trattava di passare da un’azione offensiva ed elastica ad una difensiva e statica. In altre parole, la questione che si poneva era: con l’armamento e le forze disponibili, si era nelle condizioni di difendere con efficienza le zone liberate? Ma le esitazioni furono superate con l’argomentazione che esprime con chiarezza nella sua relazione sulla Giunta di governo della zona libera della Carnia uno dei protagonisti di quell’esperienza, Celestino, l’azionista Nino Del Bianco: “Uno dei principali motivi per i quali il Governo è sorto così come è sorto con la sua struttura e con le sue caratteristiche di Governo legale, è stata la credenza che la guerra non sarebbe continuata a lungo o che perlomeno era entrata in una fase talmente acuta che i tedeschi non avrebbero più avuto la possibilità di un ritorno offensivo”. Fatto sta che sotto l’impulso delle direttive di cui abbiamo parlato, si formarono nell’Italia occupata 19 zone libere, in un arco cronologico che va dal 10 giugno, data della creazione della zona della Val Ceno (Parma), all’inizio di dicembre, quando si conclude l’esperienza a Torriglia (Genova) e nell’Alto Monferrato. Tra le più note, citiamo la repubblica di Montefiorino (Modena), la Val D’Ossola (Novara), le Langhe, e le due friulane, della Carnia e del Friuli Orientale. La nascita della Zona libera della Carnia e dell’Alto Friuli e il problema della partecipazione democratica La zona libera della Carnia e dell’Alto Friuli si può dire che era sostanzialmente formata e controllata dalle forze partigiane alla fine di luglio del ’44. Essa aveva una estensione di 2.580 kmq, una popolazione di circa 90.000 persone, 38 comuni interamente e 7 parzialmente liberati. Con la soppressione dei presidi tedeschi di Lorenzago e Sappada (in settembre), toccava anche la provincia di Belluno. Nessuna zona libera italiana raggiungeva simili dimensioni. Si trattava ora di passare all’organizzazione democratica della zona. Celestino, nella relazione citata, così descrive la situazione: “Bisogna ricordare… che la popolazione della zona, in massima parte montanari e contadini, era stata sempre molto poco sensibile politicamente. Durante i venti anni del fascismo si era sempre mantenuta in un atteggiamento di diffidente riserva che si sarebbe potuta chiamare afascismo meglio che antifascismo. Dopo l’8 settembre i partiti politici vi erano poco conosciuti e poco introdotti, pur essendoci nella regione una buona tradizione socialista dell’anteguerra mondiale”. I problemi da affrontare erano enormi. Oltre a quello della difesa della zona e della costruzione di una corretta amministrazione, sul piano materiale era di primo piano quello dell’approvvigionamento; e sul piano politico, quello del coinvolgimento nella vita democratica della popolazione. Era il banco di prova della nuova classe dirigente friulana, e per questo erano presenti molte personalità di spicco dell’antifascismo da tutto il Friuli. Possiamo ricordare Mario Lizzero “Andrea”, commissario delle brigate Garibaldi, don Aldo Moretti “Lino”, esponente della Osoppo e della Democrazia cristiana, Gino Beltrame “Emilio”, del partito comunista, Nino Del Bianco “Celestino”, del Partito d’azione, Manlio Gardi, del Partito liberale. Essi si affiancarono ad esponenti carnici, come i socialisti Giovanni Cleva e Dino Candotti, Luigi Nigris della DC, Umberto Passudetti del PLI, Romano Marchetti “Da Monte” dell’Osoppo. E tanti altri. Il primo passo, fondamentale, fu la separazione dei militari dai politici. Un partigiano dell’Osoppo e uno della Garibaldi erano presenti in tutti gli organismi, ma solo come elementi di raccordo tra l’amministrazione e le esigenze della difesa. Quindi era necessario creare a livello locale, ove già non esistessero, i CLN. Così Nino Del Bianco descrive il problema: “Tutta la nostra opera di penetrazione politica era basata su questi organi periferici. Bisogna osservare però che i partiti, tutti i partiti, difettavano di elementi capaci nei paesi. C’erano molti, troppi simpatizzanti, ma mancavano in modo assoluto le persone capaci di assumersi una responsabilità politica, o perché compromesse con il passato regime e quindi inaccettabili, o perché non sufficientemente orientate e suscettibili perciò di assumere posizioni errate… Ognuno di noi perciò, responsabili del nostro partito in zona, si è trovato davanti alla dura scelta o di rinunciare a immettere un proprio rappresentante nei Comitati di liberazione locali o di fare rappresentare il partito da persona non del tutto capace. Qualunque delle due sia stata la soluzione adottata, ne è risultato che i CLN locali troppo spesso non sono stati quali dovevano essere”. Uno dei compiti dei CLN locali era l’indizione delle elezioni delle Giunte comunali. E queste furono, sempre a detta di Celestino, un vero successo. Nelle intenzioni dei politici antifascisti della Zona, esse dovevano avvenire a suffragio universale maschile, segno questo di come non si fossero ancora posti l’esistenza di una questione femminile nel nostro Paese. Ma in quasi tutti i paesi i gruppi familiari vollero che il diritto di voto fosse devoluto ai capifamiglia, tanto pesava nella zona la tradizione delle latterie sociali. E fu così che per la prima volta molte donne esercitarono quel diritto che sarebbe stato sancito per tutte nel dopoguerra. Le Giunte erano composte da cinque a undici eletti, in base alla popolazione (un eletto ogni 200 abitanti, e anche meno per i centri più piccoli), affiancati da un referente militare nominato dalle due formazioni presenti in zona. I loro compiti erano l’amministrazione del paese e il sostegno ai partigiani. Assumevano quindi anche il controllo dei prelevamenti. Le sedute erano affollate, e si discuteva molto, con frequenti interventi del pubblico, quindi le decisioni erano accettate facilmente da un popolo che aveva partecipato e si era persuaso della necessità della loro applicazione. Nelle Giunte aveva attecchito il germe della democrazia. Nei paesi della zona libera si era creato quindi un sistema di doppio potere, tra CLN e Giunte. Nino Del Bianco nella sua relazione ne precisa i motivi con la consueta lucidità: “Vari furono i motivi che spinsero la Giunta di governo, come unico organo centrale, a crearne invece due localmente, i CL e le Giunte comunali. Bisogna prima di tutto tener presente come nei piccoli paesi le persone capaci in pratica di amministrare il comune e di risolvere i mille piccoli problemi che giornalmente si presentano siano in numero molto limitato. La maggior parte di esse, direttamente o indirettamente, avevano preso parte all’amministrazione del ventennio fascista e, pur non facendo politica, la avevano subita ed erano stati spesso i suoi zelanti e onesti esecutori. Essi godevano cioè da una parte la fiducia della popolazione, non potevano però d’altra parte essere i promotori e gli organi di una nuova politica democratica nel paese secondo lo spirito nuovo che soltanto nel CLN poteva raffigurarsi. Facendo perciò le autorità comunali elettive si rischiava di veder eletti proprio gli esponenti fascisti o quasi, del luogo; non facendo elettive, c’era caso di staccarsi dalla popolazione a scapito dell’applicabilità dei decreti… Ora bisogna ricordare che il governo di zona libera era, e per gli abitanti della zona, e per tutta la restante popolazione friulana, la prova d’esame dei partiti antifascisti e su di essi appunto sarebbero ricaduti i biasimi per tutte le mancanze. Con il sistema della doppia autorità si dava al popolo possibilità immediata di elezione, fattore politico questo di primaria importanza, e ci si garantiva inoltre dal punto di vista politico. I decreti erano fatti in modo da escludere interferenze di potere. Non ce ne furono infatti…”. La formazione della Giunta di Governo Il 26 settembre ’44, si riunì per la prima volta ad Ampezzo il CLN Zona Libera, cioè la Giunta centrale di governo, preceduta in tempi diversi da altri organismi destinati a coordinare l’attività: i tre CLN di Valle e il CLN Carnico. Il manifesto ai cittadini approvato in quella seduta ce ne rivela la composizione: i rappresentanti della Democrazia cristiana, del Partito comunista, del Partito d’azione, del Partito liberale, del Partito socialista, del Corpo volontari della libertà (cioè dei partigiani); e infine delle “organizzazioni di massa”, cioè del Fronte della gioventù, dei Gruppi di difesa della donna, dei Comitati dei contadini, del Comitato promotore per la Camera del lavoro. L’inserimento nel governo dei rappresentanti delle organizzazioni di massa, che erano peraltro state riconosciute dal CLNAI, fu portato avanti specialmente dal Partito comunista, che le interpretava come strumento essenziale per il coinvolgimento popolare nel Governo della Z.L.; e osteggiato specialmente dalla Democrazia cristiana, che temeva che la Giunta diventasse un organismo troppo pletorico e lento nelle decisioni. Il compromesso raggiunto fu che i rappresentanti delle organizzazioni di massa avrebbero avuto diritto di voto deliberativo solo sulle questioni di loro interesse diretto. E si può capire le perplessità dei partiti più moderati, da quel che si legge nella relazione inviata alla Federazione udinese del PCI da Emilio (Gino Beltrame), poche settimane dopo l’occupazione nemica della Zona libera: “Il C.L.N., costituito con l’inclusione degli organismi di massa e dei rappresentanti militari si è rilevato politicamente un organismo che può dare buoni risultati. Infatti fra il nostro rappresentante, quello della Garibaldi e quattro delle organizzazioni di massa, la maggioranza era un dato acquisito il che significava che la linea politica era quella da noi sostenuta”. Sappiamo comunque che il Fronte della gioventù si distinse nella preparazione della riapertura delle scuole; che il Comitato promotore per la Camera del lavoro era formato dai rappresentanti del sindacato creato tra gli operai rimasti nelle poche industrie in attività: la Cartiera di Ovaro e la Società elettrica, poco più di 200 in tutto; e che non ha lasciato tracce il lavoro del Comitato dei contadini. Una parte importante, invece, nella vita della Zona libera, la ebbero i Gruppi di difesa della donna. E ciò ci riporta al grosso problema dell’approvvigionamento della Repubblica partigiana. Il problema dell’approvvigionamento della Zona Libera La situazione era drammatica: per ordine dei tedeschi, non arrivavano più stipendi e pensioni, né i generi tesserati, e neppure i soldi dalle sedi bancarie da cui dipendevano le filiali. La zona, per conto suo, non era mai stata autonoma sul piano dei viveri, che doveva importare dalla pianura, spesso attraverso scambi con prodotti della montagna e specialmente con legname. Ma al proseguimento di tali scambi si opponeva decisamente il Partito comunista. Come la situazione fu parzialmente risolta e quale spazio ebbero le donne in quell’occasione, lo descrive ancora la relazione di Celestino. “Il problema era particolarmente grave e urgente per il grano. Esso fu potuto risolvere grazie al grande spirito di abnegazione delle donne friulane, veramente meravigliose, e all’ottimo servizio di intendenza delle formazioni partigiane in pianura, aiutate dai contadini della Bassa Friulana. Venne fatto un decreto che prevedeva un servizio di approvvigionamento di cinquanta chilogrammi a testa di grano. Le Giunte popolari comunali dovevano compilare la lista delle persone che, famiglia per famiglia, si recavano in pianura, dando la precedenza alle famiglie più bisognose… Per quelle famiglie che non avessero potuto mandare un incaricato, la Giunta provvedeva reclutando delle donne volontarie del paese che ricevevano dal Comune per il loro servizio L.50 giornaliere e il 5% del grano trasportato. Tutte le donne della lista… si recavano con mezzi di fortuna a Meduno (ultimo paese della zona libera verso la pianura) da dove con speciale lasciapassare venivano nottetempo ai centri di raccolta di grano in pianura. Lì l’intendenza partigiana cedeva loro il quantitativo di grano a ognuna di esse assegnato al prezzo di L. 4,50 il Kg. e provvedeva al loro vitto ed alloggio. Il ritorno fino a Meduno veniva effettuato pure di notte su dei carri a traino animale per strade secondarie. A Meduno al posto di blocco si controllavano i quantitativi prelevati e poi il grano veniva fatto proseguire sui camion al paese di destinazione. Una rappresentante delle donne seguiva la merce mentre il rimanente doveva valersi di mezzi di fortuna… In quindici giorni furono trasportati e consegnati alle famiglie civili circa cinquemila quintali di grano. Il posto di blocco di Meduno si è immediatamente attrezzato per il posto di refezione e di alloggio alle donne che affluivano nelle due direzioni in numero di circa centocinquanta al giorno”. E Celestino conclude: “E qui ci sembra opportuno segnalare il gruppo di difesa della donna che, nella… organizzazione per il trasporto dei viveri, fu veramente superiore ad ogni elogio”. I decreti del CLN della Zona Libera Ci rimane da analizzare i principali decreti, oltre a quello sull’approvvigionamento, emanati dal Governo della repubblica partigiana: 1. Il decreto sulle scuole. L’apertura delle scuole elementari aveva un significato politico chiaro. Essa fu decisa per il 10 ottobre. Fu nominato un ispettore scolastico con l’incarico, su proposta dei CLN comunali, di revisionare il corpo insegnante e i libri di testo. L’epurazione degli insegnanti era un’operazione delicata: tutti erano iscritti al PNF e erano stati obbligati alla funzione di istruttori della GIL; e inoltre ce n’erano pochi. Si dovette rinunciare a un’epurazione radicale pur di far funzionare le scuole. Un problema analogo rappresentavano i libri di testo unici del fascismo: si dovette ricorrere a testi narrativi, e comunque confidare sugli insegnanti, affinché i testi fossero usati solo lo stretto necessario. 2. Il decreto finanziario: furono abolite tutte le tasse e imposte e ordinata un’imposta straordinaria sul patrimonio per le spese di gestione della vita civile. La tassa partiva dal valore di 200.000 lire, a cui si applicava l’aliquota del 2%, per arrivare a un milione, con un’aliquota dell’8%. Per le cifre superiori, decideva di volta in volta il CLN della Z.L. 3. Decreto sulla costituzione del Tribunale del popolo. Per i reati comuni, l’istruttoria era curata dal CLN locale che nominava un proprio membro delegato a sostenere l’accusa davanti al tribunale del popolo. Il quale tribunale era costituito da 5 membri nominati o eletti a cura delle Giunte comunali, e presieduto da un presidente, magistrato di carriera, nominato dalla Giunta di governo, che si spostava ove fosse necessario. L’imputato si sceglieva tra i cittadini il suo difensore. Il titolo V così recitava: “Per tutti i reati comuni è abolita la pena di morte”; e il titolo XI: “L’amministrazione della giustizia è completamente gratuita”. 4. Decreto sulla costituzione della polizia. Armata e in divisa, doveva mantenere l’ordine pubblico e perseguire e denunciare i reati comuni. 5. Decreto forestale. La maggior parte del territorio era costituito da boschi, per lo più di proprietà dei comuni. Appaltati a varie ditte, durante la guerra avevano subito tagli eccessivi e non controllati. Fu decretata la proibizione del taglio dei boschi eccetto che per l’approvvigionamento familiare di legna da ardere. Fu proposto lo studio della creazione di un corpo di guardie forestali comunali. La gran parte di queste norme non ebbero il tempo di vedere una loro applicazione. Quando il CLNZL si riunì per l’ultima volta, il 10 ottobre, era già in atto la grande offensiva che avrebbe portato alla fine della Repubblica partigiana. Conclusione Quello che successe dopo, ai partigiani e agli abitanti dei comuni della zona libera, è l’argomento della prossima relazione. Si può ancora aggiungere che le zone libere, essendo state create su un presupposto che non si verificò (la prossima fine della guerra in Italia), furono, sul piano militare e dal punto di vista del rapporto con la popolazione, un errore. L’atteggiamento dei ceti rurali dopo quell’esperienza si modificò, si trasformò in sospettosa difesa, qualche volta in delazione. Molti si sentivano traditi, insofferenti sia verso i nazifascisti che verso i partigiani. Però di quell’esperienza resta il valore simbolico ed etico, specialmente dove, come in Carnia, l’elaborazione politica arrivò al livello di vera e propria attività costituente. L’immagine di quelle persone sorrette da grande entusiasmo, che in questa piccola oasi di libertà nell’Europa e nel mondo immerso nella violenza, progettavano la democrazia e la struttura di una patria rinnovata, e aprivano le scuole, e operavano per la conservazione dell’ambiente, e abolivano la pena di morte, fa nascere in me, e credo in molti altri, la nostalgia per una classe dirigente, nata in situazioni estreme e animata da grandi ideali, i cui rimasti, pochi purtroppo, per legge di natura, bene meritano l’appellativo di padri della Patria. |