LA REPUBBLICA PARTIGIANA DELLA CARNIA 60° ANNIVERSARIO - Treppo Carnico, 9 ottobre 2004 |
Luciano De Cillia
2. LA PRIMA FASE DELL'OCCUPAZIONE COSACCA |
Permettetemi anzitutto un ricordo personale: la sera dell’8 settembre 1943 a Siaio, nella casa dei nonni, ascoltai con la mia famiglia alla radio l’annuncio dato dal capo del governo, Pietro Badoglio, della firma (avvenuta peraltro cinque giorni prima) dell’armistizio di Cassibile. Soprattutto rimanemmo colpiti dalle ultime parole del messaggio, laddove si precisava che, cessate le ostilità con le forze alleate, le nostre Forze Armate avrebbero reagito alle ostilità di qualsiasi altra provenienza: era un chiaro riferimento alla Germania di Hitler, fino a quel punto nostra alleata. Queste parole conclusive erano cariche di funesti presagi: cosa succederà ora? E se la Germania, già massicciamente presente sul suolo italiano, diventerà forza occupante, come reagiranno gli italiani? In effetti si prospettavano scelte difficili, scelte di divisione (proprie di una guerra civile), non di unione. E non pochi faranno scelte discutibili, almeno alcuni in buona fede: né ciò deve meravigliare se perfino uno scrittore impegnato della statura di Cesare Pavese affidò ad appunti personali i dubbi che in quei giorni lo assillarono di fronte all’opzione da effettuare. Chi invece non ebbe dubbi fu il presidio della Guardia alla Frontiera di Tarvisio che, obbedendo alla lettera al proclama di Badoglio, asserragliato nella caserma Italia rifiutò la resa alle forze germaniche che lo circondavano, resistendo fino all’estremo e lasciando sul campo ben 24 caduti. Fu uno degli esempi di resistenza militare che vanno ricordati: come a Santa Lucia di Tolmino e Piedicolle, come a Porta San Paolo a Roma, come a Lero nell’Egeo, come soprattutto a Cefalonia e Corfù. Per il momento le cose finirono qui, ma un po’ dappertutto si andò intessendo una sempre più fitta rete di rapporti fra quanti - i nascenti partiti politici in prima fila - non potevano rassegnarsi al duro regime di occupazione nazifascista: ed in Carnia un segnale di grande rilievo fu dato dall’ardita azione svoltasi in pieno centro a Tolmezzo la notte fra il 24 ed il 25 aprile 1944, in cui perse la vita il giovane tenente Renato Del Din. E fra la primavera e l’estate cominciarono ad operare le prime formazioni partigiane: prima la Garibaldi, poi anche l’Osoppo; ma perché due formazioni? Per motivi ideologici, che però si riflettevano pure sui metodi di guerriglia. Tenuto presente che i quadri garibaldini erano in massima parte espressione del Partito Comunista Italiano e che i quadri osovani erano espressi da tutte le altre tendenze, anche al di fuori dei partiti, dove comunque prevalevano Democrazia Cristiana e Partito d’Azione, vanno evidenziate appunto le differenze di metodi di guerriglia. Prendiamo il problema del coinvolgimento dei civili, che venivano dunque esposti alle rappresaglie dell’occupatore: secondo la Garibaldi ciò era inevitabile perché “inermi non si può rimanere” e l’inflessibilità dell’occupatore avrebbe dovuto stimolare la reazione di tutti i civili, anche i più riluttanti (in base al motto “tanto peggio, tanto meglio”); secondo l’Osoppo invece ogni azione partigiana avrebbe dovuto cercar di evitare rappresaglie sui civili, sulla cui sincera collaborazione i partigiani dovevano pur contare. Altro problema, le requisizioni partigiane. È chiaro che i partigiani dovevano mangiare, vestirsi, vivere insomma; e per le requisizioni era previsto il rilascio di “buoni” che avrebbero dato diritto a successivo rimborso. Ma talvolta le modalità di requisizione non erano proprio cristalline: dal diario di una persona che visse fino in fondo le vicende di quegli anni risulta che “i Partigiani dolorosamente erano più preoccupati anche colla gente di farsi temere che di farsi amare”. Altro problema, l’individuazione e la punizione di spie (o presunte tali): talvolta ci furono eccessi, ma va anche riconosciuto che in materia può valere il triste adagio latino “mors tua, vita mea”. Altro problema (che si manifesterà durante l’estate, quando la Carnia, divenuta “zona libera”, sarà del tutto isolata dalla zona occupata) riguarda la possibilità o meno di ottenere il rifornimento di viveri dalla pianura dietro scambio di legname. Secondo l’Osoppo, lo scambio poteva avvenire limitatamente alla legna da ardere, escludendo il legname da costruzione; secondo la Garibaldi invece nessuno scambio doveva avvenire ed il rifornimento andava affidato alle sole “portatrici” che sarebbero scese in pianura attraverso le Prealpi Carniche. Infine non si poteva prescindere dai tanti limiti umani di chi partecipava alla resistenza: ci possono essere pure comandanti prepotenti ed in tutti i sommovimenti possono esplodere anche vendette personali. Mi scuso se ho troppo sintetizzato le differenze di metodi nella guerriglia; l’ho fatto solo per ragioni di tempo. Ma torniamo alle azioni belliche dei partigiani, che fra maggio e luglio si infittiscono, col progressivo disarmo dei presidi nemici nelle località periferiche e con audaci colpi di mano tipici della tattica di guerriglia; naturalmente da ciò conseguono feroci rappresaglie: ricordiamo Forni di Sotto, Esemon di Sotto, Malga Pramosio, Paluzza, Sutrio. Ma accanto alle formazioni armate si diffonde anche la partecipazione politica attraverso i Comitati di Liberazione Nazionale (CLN) nei singoli Comuni (il primo nasce ad Ampezzo il 17 giugno), nelle singole Vallate (ai primi di agosto) mentre l’11 agosto nasce il CLN Carnico. Nei CLN sono presenti i cinque maggiori partiti antifascisti dell’epoca (va fatta eccezione per la Democrazia del Lavoro, assente in Friuli): oltre al PCI, alla DC ed al Pd’A (che abbiamo già citato), vanno segnalati il PSI (forte di una tradizione che, dopo il 1921, era stata divisa col PCI) e, in misura minore, il PLI. A questo punto si viene a formare una “zona libera” estesa su 2.580 Kmq. in 45 Comuni con 90.000 abitanti. L’occupatore, dopo aver tentato invano di rioccupare le posizioni perdute (ad un certo punto un “treno blindato” arriva fino a Villa Santina), finisce per tenersi alla larga della “zona libera” ed a Tolmezzo sono istituiti due posti di blocco: l’uno in via Paluzza, l’altro al ponte di Caneva (per evitare i posti di blocco, le “portatrici” della Val Pontaiba raggiungevano Dierico, salivano alla Forchia di Fau, scendevano in Val d’Aupa, a Moggio prendevano il treno per Udine). E nella “zona libera” ci si domanda: che sia il caso di istituzionalizzare la situazione similmente a varie “repubbliche” partigiane sorte altrove? Ragioni militari lo sconsigliano (nettamente superiori sono le forze armate occupanti), ma prevalgono ragioni politiche: si vuole far sperimentare l’autogoverno a popolazioni che da vent’anni ne erano prive. E così si indicono elezioni (chiamando a votare i soli capi-famiglia) per eleggere sindaci e giunte popolari comunali: si vota intanto a Sauris, Prato Carnico, Forni di Sotto, Ampezzo, Rigolato. Finché (il 26 settembre) , dopo contatti con i CLN di Maniago e Spilimbergo, nasce il CLNZL con funzioni di giunta popolare di governo dell’intera “zona libera”, mettendo il CLN provinciale (piuttosto perplesso in merito) si fronte al fatto compiuto: va detto che in effetti qualcuno teme che il nuovo organismo sia troppo sbilanciato a sinistra. È tuttavia ben presto chiarito che il governo provvisorio agisce in rappresentanza del governo di Roma sotto la guida politica del CLNAI. E con i suoi atti di governo il CLNZL si preoccupa dell’immediato ma opera anche in prospettiva: oltre ai provvedimenti urgenti in materia annonaria, spiccano i decreti sull’abolizione della pena di morte per i reati comuni, sull’istituzione di un’imposta patrimoniale progressiva in sostituzione dei vari tributi prima previsti, sull’ordinamento giudiziario e quello scolastico. Ma l’operatività della giunta di governo cessa il 10 ottobre, quando scatta il rastrellamento nazifascista, cui si era opposta la forza militare della “zona libera”, costituita da 6.000 uomini ripartiti in nove brigate su 31 battaglioni. Del successivo duro inverno sotto l’occupazione cosacca vi parla Pieri Stefanutti; dal canto mio, ritengo di sorvolare su alcuni episodi, che pur sono interessanti, per avviarmi alla conclusione. E allora ricordiamo che al 10 maggio 1945 (data della definitiva liberazione della Carnia) si conta oltre un migliaio di Caduti, compresi tanti civili (e qui vorrei menzionare anche tre preti: Treppo ad Imponzo, Locardi a Venzone, Cortiula ad Ovaro). Alla liberazione si arriva uniti, nonostante la nota distinzione (non però contrapposizione) tra le due formazioni: con suggestiva immagine una voce autorevole richiamò a suo tempo i manzoniani capponi di Renzo, che si pungevano l’un l’altro senza posa: una conflittualità permanente che tuttavia non impedì lo scatto finale dell’insurrezione. Ed in chiusura voglio ricordare un partigiano che ho conosciuto bene, il poeta-scrittore di Verzegnis Giso Fior, che poneva in calce ad un appello alla popolazione questi versi, un po’ ingenui ma rivelatori del radicamento popolare della resistenza carnica. Scriveva Fior (e concludo davvero): “Din
sot a che giarnàzie – cun sclòpis e falciârs |