Con
queste note, intendo illustrare soprattutto una delle situazioni più
rilevanti, e sinora meno conosciute, relative all’occupazione cosacca:
lo sfollamento imposto alla popolazione civile nei Comuni di Trasaghis
e Bordano, un ordine imposto dai nazisti per fare in modo che, nei paesi
della Valle del Lago, l’occupazione cosacca avesse un carattere
di assoluta predominanza.
1)
NOTE STORICHE DI INQUADRAMENTO GENERALE
Contro
la minaccia costituita dalle forze della Resistenza, per riprendere il
controllo sul territorio e garantirsi la sicurezza di transito sulle principali
vie di comunicazione, le autorità militari naziste determinarono
di attuare una vasta azione di rastrellamento per debellare
il movimento partigiano, affidando successivamente a unità collaborazioniste
il compito di occupare stabilmente i centri abitati e mantenervi un saldo
presidio . A questa incombenza vennero designati i cosacchi e i caucasici,
popolazioni sradicate a causa della guerra dalla loro terra di origine
e trasportate in Friuli al servizio del progetto nazista.
A queste genti era stato assicurato dai nazisti il ritorno alle terre
di origine in un contesto di larga autonomia o, in subordine, l'assegnazione
di nuovi territori. È questo, in sostanza, il tenore del noto proclama
del 10 novembre 1943 del ministro per i territori occupati dell'Est Rosenberg
e del comandante della Wehrmacht Keitel che diede origine al
mito del "Kosakenland in Nord Italien”.
La decisione formale di inviare i cosacchi in Italia venne presa nel luglio
del '44, quando Globocnik firmò col generale cosacco Domanov un accordo che, autorizzando l’insediamento
in Friuli, riservava un duro trattamento alle popolazioni locali, determinandone
in qualche caso l'allontanamento coatto e in altri la coabitazione forzata
con i cosacchi. Di lì a poco si giunse all'attuazione pratica delle
direttive, con l’autorizzazione al trasferimento di 4.000 caucasici
e 18.000 cosacchi nel Litorale Adriatico. Ebbe così inizio l' "Operazione
Ataman", con la preparazione delle tradotte che avrebbero
portato, dopo un viaggio di settimane, i cosacchi in Italia.
2)
CENNI SULL’ATTIVITÀ DELLA RESISTENZA NEL COMUNE DI TRASAGHIS
Le azioni di guerriglia portate avanti dalle formazioni partigiane della
Valle del Lago (soprattutto il Btg. garibaldino Matteotti e il Btg. Osovano
Friuli) nella primavera-estate del 1944 furono numerose.
Tra le principali
possono essere ricordate:
- la distruzione dei registri anagrafici dei comuni di Forgaria (3 marzo),
Trasaghis (5 marzo), Cavazzo e Verzegnis (6 marzo), Bordano (28 giugno
) per impedire il reclutamento nelle armate della RSI;
- il sabotaggio alla ferrovia a Venzone (4 giugno), a Gemona (12 giugno)
e ad Artegna (17 giugno); l'incendio di un treno merci alla stazione di
Gemona (28 giugno); l'attacco allo scalo merci di Gemona (10 luglio);
la distruzione di un convoglio ferroviario alla stazione di Gemona (30
luglio); la distruzione del ponte di Flagogna col definitivo sabotaggio
della linea di comunicazione ferroviaria Gemona-Pinzano (26 settembre).
- l'interruzione del ponte di Braulins (25 giugno e 27 luglio);
- il sabotaggio alla polveriera del "Recupero" di Osoppo con
ingente prelevamento di esplosivo e materiali (16 luglio);
- il sabotaggio al cantiere della Todt a Ospedaletto di Gemona (16 settembre).
Fu
dunque un'azione complessiva di notevole levatura che, specialmente attraverso
il sabotaggio delle linee di comunicazione, portò a far sì
che "la destra del Tagliamento fu zona proibita per il tedesco";
alla fine dell'estate la Valle del lago venne pertanto a costituire l'estrema
propaggine meridionale del territorio della zona libera carnica.
2.1 L'arrivo dei Cosacchi
Le
truppe cosacche e caucasiche giunsero in Italia, con migliaia di cavalli,
carriaggi e masserizie, attraverso la linea ferroviaria Villach-Tarvisio,
a partire dal 20 luglio 1944, con una serie di arrivi di convogli che
si protrasse in maniera continuativa sino al 10 agosto, per poi assumere
carattere di sporadicità. La principale località di smistamento
fu Stazione per la Carnia, tra Venzone ed Amaro, dove giunsero complessivamente
una cinquantina di treni; altri contingenti fecero scalo alle stazioni
di Pontebba e di Gemona.
Da Carnia le truppe si mossero inizialmente in due direzioni: a nord verso
Amaro e a sud verso Osoppo. Prima dell'occupazione dei paesi, per circa
un mese e mezzo, i cosacchi stazionarono dunque nella piana di Amaro,
tra il Tagliamento ed il paese e a Osoppo, attorno alla storica fortezza.
Altri gruppi presero stanza a Gemona occupando, sotto il controllo tedesco,
alcuni edifici pubblici, come le scuole. Nella stessa Gemona venne fissata
la sede del comando del maggiore generale T. I. Domanov.
Migliaia di persone provate dal lungo, estenuante viaggio, cercarono una
sistemazione provvisoria in diverse località, tentando di provvedere
autonomamente alla soluzione delle necessità più impellenti,
giacché praticamente nulla era stato predisposto per garantire
mezzi di sostentamento e di assistenza adeguati. Fu così che reparti
a cavallo cominciarono a battere le campagne e i centri abitati, razziando
tutto quello che poteva servire a garantire un minimo di sopravvivenza.
2.2
La risposta partigiana
L'arrivo
delle formazioni cosacche non costituì, inizialmente, un fattore
pienamente valutato da parte delle forze della resistenza che, probabilmente,
non riuscirono a valutare interamente il carattere antipartigiano dell'iniziativa.
Contro i convogli e le tradotte giunte in Friuli attraverso la ferrovia
non venne praticamente tentato alcun attacco o sabotaggio. Solo in un
secondo momento, di fronte al concretarsi dell'insediamento, con la stabilizzazione
dei centri di raccolta, vennero avviate alcune azioni di sabotaggio. L’azione
più importante avvenne nella notte tra il 26 e il 27 agosto del
1944 quando i partigiani garibaldini dei Btg. Matteotti e Stalin sferrarono
un attacco contro i cosacchi attestati nelle scuole di Campagnola
di Gemona.
3) L’ASSALTO ALLA ZONA LIBERA
Nella mattinata del 2 ottobre, il colonnello De Lorenzi, comandante della
M.D.T., guidò l’attacco contro le forze partigiane del Comune
di Trasaghis. Le formazioni attaccanti erano composti
da due compagnie della MDT, due compagnie di un Battaglione di Polizia
tedesco ed elementi di Questura e Prefettura (in tutto quasi 500 uomini,
bene armati e con alcune autoblindo). Dopo un intenso cannoneggiamento,
le truppe attraversarono il Tagliamento, vanamente contrastate dalle forze
partigiane. Venne così occupata Braulins, verso il primo pomeriggio.
In serata, dopo intensi scontri, venne occupata anche Trasaghis.
Nella
mattinata del 3 ottobre l'attacco riprese in forze contro la zona di Avasinis
dove si erano appostati gli uomini del "Matteotti" assieme a
quelli del Btg. "Friuli" e al distaccamento "Monte Canin"
del Btg. "Libertà". Scontri violenti ebbero luogo al
bivio per Peonis e nella zona del cimitero. Dopo tali scontri gli attaccanti
ripiegarono su Trasaghis, per riprendere l'assalto la mattina successiva.
Nella
mattinata del 4 ottobre i nazifascisti tentarono, un'azione di aggiramento
che diede "i risultati voluti senza soverchio spargimento di
sangue". Nella nebbia, un gruppo di assalitori riuscì
a risalire il versante sud est del Col del Sole, piazzando una pesante
sopra le postazioni partigiane. Presi tra due fuochi, i partigiani furono
costretti a ritirarsi: i garibaldini presero la direzione del paese di
San Francesco, nella Val d'Arzino, gli osovani del "Friuli"
cercarono rifugio sugli stavoli del Cuel dal Mus, in una zona impervia
sopra Alesso.
I reparti nazifascisti poterono così occupare Avasinis.
Venne subito disposto lo sfollamento di Braulins e di Trasaghis:
"Il
De Lorenzi ordinò lo sfollamento di Braulins e non ebbe pietà
della popolazione e non dette tempo sufficiente allo sgombero. Permise
ed anzi aizzò i suoi sbirri alla devastazione ed al saccheggio.
Testimoni oculari gli abitanti di Braulins."
(Feregotto, Memoriale)
Ad Avasinis, grazie all’opera di mediazione di don Zossi, si riuscì
ad ottenere una dilazione che poi servì per scongiurare lo sfollamento
di Avasinis
Giunti
i repubblichini ad Alesso nel primo pomeriggio del 5 ottobre, venne subito
ordinato lo sgombero:
"Un colonnello repubblicano, De Lorenzi, volle arrogarsi per
primo l'onore di intimare, con volto arcigno, lo sgombero di tutta la
popolazione in 24 ore; la sera un comandante teutonico, radunati alcuni
uomini, ripeteva l'amara antifona - perché - aggiungeva - c'era
stato in paese il comando partigiano.
Le preghiere e suppliche delle donne a nulla valsero, discussioni non
erano permesse. (..) Di sgomberare immediatamente tutti gli ufficiali
repubblicani ci predicavano. Ad aumentare il nostro sgomento, alcuni ci
dissero che per noi in Germania c'era pronto un villaggio e che ci tenessimo
uniti per il nostro meglio. Frattanto entrava nel paese un battaglione
di cosacchi ed i tedeschi e i repubblicani se ne andarono."
(Noacco, Da Alesso a Novocerkassk, 1945)
Dopo
due giornate di inutili preghiere, lo sfollamento venne reso operativo
dall’8 ottobre. Fu così che
"Sotto
una pioggia torrenziale parte della popolazione si diresse per Somplago,
la massa al di là del Tagliamento, che per disgrazia era in piena
e il passaggio appena possibile a piedi per il ponte interrotto, trovando
ospitalità a Gemona, Osoppo, Buia, Majano, Comerzo, Villanova di
S. Daniele, Flaibano, Ruscletto, Tomba di Mereto, Pantianicco, Grions
del Torre, Orsaria, Artegna, Montenars, ecc. ecc.
Rimasero in paese solo alcuni ammalati, impotenti a muoversi e qualche
vecchietto non sazio ancora di tenere duro. Il pietoso compito del trasporto
degli ammalati fu assolto dal Vicario coll'aiuto del Sac. Santo Tracogna,
attraverso un passaggio pericolosissimo, sulle arcate distrutte del ponte
del Tagliamento, a mezzo di un minuscolo carrello sospeso su una tenue
corda che servì alla ditta Pietro Sacuzin e compagni per il trasbordo
del legname. I vecchietti rimasti furono poi dai cosacchi catturati, rinchiusi
in prigione e, spogliati di tutto, cacciati".
(Noacco, Da Alesso a Novocerkassk, 1945)
4)
NEL KOSAKENLAND
Dopo
la "settimana per la liberazione dei settori monte Brancot e
San Simeone", che portò alla sostanziale eliminazione
del movimento partigiano nella Valle del Lago e alla conseguente occupazione
cosacca, le forze nazifasciste, dall’8 ottobre, diedero attuazione
piena alla progettata "Operazione Waldlaüfer"
che, in poche settimane, diedero agli hitleriani il pieno possesso della
Carnia. Se nella prima operazione vi era stato un minimo apporto da parte
delle forze cosacco-caucasiche tale partecipazione si fece via via più
consistente. Inizialmente venne impiegata la cavalleria cosacca (soprattutto
per l'eliminazione dei residui focolai di resistenza partigiana) e, successivamente,
i diversi reparti.
Entro la fine di ottobre erano stati raggiunti e occupati tutti i principali
centri delle valli del Tagliamento, del Degano, del But e del Chiarsò.
Successivamente (dal 27 novembre al 2 dicembre) l'azione interessò,
con analoghi risultati anche le valli dell'Arzino e del Cellina.
All'inizio di dicembre erano stati sostanzialmente raggiunti i traguardi
che i responsabili nazisti del Litorale Adriatico si erano posti, vale
a dire l'eliminazione del pericolo rappresentato dall'organizzazione
partigiana, la garanzia dell'assicurata sorveglianza delle principali
vie di comunicazione, il controllo sostanziale della regione garantito
dalla presenza delle unità collaborazioniste cosacco-caucasiche.
I rapporti tra i carnici e gli occupanti furono inizialmente difficili,
giacché si dovette dare in tempi brevi risposta alle necessità
dei nuovi arrivati: alloggiamento, approvvigionamento di derrate alimentari,
ricovero e mantenimento del bestiame e degli animali giunto al seguito
dei cosacchi.., il tutto aggravato da un atteggiamento di tracotanza assunto
dagli occupanti. Successivamente poté subentrare un periodo di
relativo assestamento, cosicché la convivenza forzata tra occupanti
e popolazione poté instaurarsi lungo criteri di maggiore vivibilità
e reciproca comprensione.
Nel territorio occupato vennero create 44 stanitse (presidi a
costituzione mista civile e militare). Il quadro generale risulta abbastanza
complesso e frammentario, e questo per la diversa matrice etnica e culturale
degli occupanti. I cosacchi erano divisi in più eserciti,
indicati col nome del fiume che attraversava le terre di origine (cosacchi
del Don, del Terek, dell'Ural,
del Kuban...); vi erano poi un nutrito gruppo
caucasico e sparute minoranze georgiane, armene,
turchestane e di altre origini ancora.
Il territorio carnico venne diviso sostanzialmente a metà: la parte
settentrionale (con sede di comando a Paluzza) ai caucasici e quella meridionale
(con sede di comando a Tolmezzo) ai cosacchi; un contingente georgiano
si insediò a Comeglians.
Nelle zone occupate dai caucasici, Paluzza diventò
sede del Comando caucasico e del tribunale popolare, a Treppo si istituì
un ospedale con 35 posti-letto, con un reparto di chirurgia, uno di medicina
e uno di malattie infettive; a Cercivento venne istituito un ricovero
per invalidi di guerra; Sutrio diventò sede di una scuola caucasica
in Casa Del Moro, così come Paluzza. Ligosullo addirittura ospitò
un teatro, mentre a Sutrio venne istituita un’orchestra ed una scuola
di ballo. A Paluzza, inoltre, venne allestita una tipografia dove si stampava
un giornale in caratteri cirillici, Kazac'ja Zemlja (Terra cosacca)
che usciva due volte alla settimana. Nella valle del Tagliamento, a Villa
Santina, trovò sede la Scuola Allievi Ufficiali mentre Verzegnis
ospitò la residenza del capo supremo delle forze cosacche, l'atamano Krassnov.
Nella zona della Valle del Lago trovarono sede soprattutto contingenti
dei Reggimenti del Don (comuni di Trasaghis e Bordano) del Kuban' e del
Terek (Cavazzo).
La qualità e la quantità delle formazioni cosacche giunte
in Italia suscitarono un palese disappunto anche da parte dei tedeschi,
i quali avevano sperato di poter disporre di reparti militari in assetto
di guerra da impiegarsi immediatamente nelle azioni contro le forze partigiane
e, viceversa, si trovavano di fronte a contingenti nei quali erano predominanti
i civili.
Gli occupanti giunsero perfino a mutare il nome originario dei paesi:
Alesso divenne Novocerkassk, Cavazzo Carnico Jekaterinodar
(o Krassnodar) Trasaghis Novorossisk.
4.1
La situazione degli sfollati
Gli
sfollati dei comuni di Trasaghis e Bordano si erano sparsi per ogni dove,
dai centri limitrofi non soggetti all'evacuazione (come Avasinis o i paesi
del comune di Cavazzo) a località d'oltre Tagliamento (Gemona,
Osoppo, San Daniele... e più oltre, sin nella Bassa friulana) raggiunte
nella speranza di riallacciare antiche amicizie o conoscenze o, in qualche
caso, basate sulle semplice casualità. C'è da dire che,
in generale, i profughi erano stati accolti con amicizia ed umana solidarietà,
anche se, comprensibilmente, la situazione dei paesi ospitanti non risultava
essere sempre semplice. Restò ardua, per parecchi mesi, la possibilità
di accertare le reali destinazioni delle famiglie, collegare i diversi
gruppi, ricostruire i legami di amicizia e familiarità.
Chi poteva, ogni tanto cercava di rientrare al proprio paese, a controllare
la situazione delle proprie case, a cercare, se possibile, addirittura
di tornare a seminare i propri campi, nella convinzione che l'occupazione
cosacca dovesse essere, per forza di cose, un fenomeno doloroso ma passeggero,
che presto avrebbe dovuto, necessariamente, concludersi.
Le difficoltà non erano poche: bisognava superare il posto di blocco
al ponte di Braulins (si ricorse anche a lasciapassare falsificati) e
le sentinelle che vigilavano all'ingresso di ogni paese. Tanti, comunque,
ci riuscirono, e ogni volta riportarono descrizioni e narrazioni sempre
più stupite a proposito degli occupanti.
Per poter seguire al meglio la situazione degli sfollati, le amministrazioni
comunali di Bordano e Trasaghis tentarono di ricostituire i propri uffici
in una zona non pienamente occupata dai cosacchi, segnatamente a Gemona.
Qui vennero trasportati quegli incartamenti che si riuscirono a recuperare,
indispensabili per dare avvio ad una parvenza di vita amministrativa ufficiale.
5)
RIPRESA DELL’ATTIVITÀ PARTIGIANA; IL RITIRO COSACCO
Un
altro bombardamento alleato (come accaduto ad Osoppo nel mese di novembre
del '44), questa volta sul paese di Alesso, seminò morte e distruzione
tra i cosacchi. Si vide arrivare all'improvviso, dalle montagne a nord
del paese, un gruppo di 12 aeroplani che, a ondate successive, lasciarono
cadere diverse bombe sulle abitazioni.
Andarono distrutte o gravemente danneggiate una ventina di abitazioni.
I morti cosacchi, una settantina secondo alcune fonti, vennero sepolti
in un piccolo cimitero ricavato in un terreno in località "da
pît di Cuel", alle pendici del colle. Alcuni altri morti vennero
rinvenuti tra le macerie, a guerra finita.
La conclusione dell'avventura cosacca avvenne lungo due direttrici fondamentali:
la parte più numerosa tentò la ritirata, fra la fine di
aprile e i primi di maggio, verso l'Austria (dove ciò che rimaneva
dell'esercito cosacco venne consegnato dagli inglesi ai russi); un nucleo
abbastanza consistente (circa 200-300 persone fra tutti i paesi della
Valle del Lago) si consegnò volontariamente o venne catturato dai
partigiani, detenuto per qualche giorno in basi in montagna e poi consegnato
agli alleati o fucilato da alcune "schegge impazzite" del movimento
partigiano in relazione all'eccidio di Avasinis.
Assai rilevante nelle dimensioni l'organizzarsi delle colonne cosacche
in ritirata, avvenuta dopo le disposizioni impartite dai comandi cosacchi
a seguito di un colloquio a Campoformido tra i generali Krassnov e Wlasov:
la partenza dei cosacchi iniziò ad Alesso già dopo il bombardamento
del 26 aprile per assumere le dimensioni di fenomeno interessante tutti
i paesi della zona nelle giornate fra il 28 aprile ed il 1 maggio.
6) LA STRAGE NAZIFASCISTA DI AVASINIS DEL 2 MAGGIO 1945
Tra
la fine di aprile ed i primi di maggio si assistette dunque al ritiro
delle formazioni cosacche e naziste della zona.
Ad Avasinis, il 2 maggio 1945, a guerra praticamente conclusa, venne compiuta
dai nazisti una strage tra la popolazione civile. Tale eccidio fu opera
di una compagnia di circa 250 Waffen SS appartenenti probabilmente
alla Karstjäger Brigade (una formazione composita della
quale facevano parte anche istriani, altoatesini e friulani). Nel pomeriggio
del primo maggio, dunque, il nucleo SS si suddivise, attestandosi parte
sul "Montisel" sopra Trasaghis e parte tentando un aggiramento
attraverso le montagne sopra Avasinis. La notte trascorse tranquilla.
Al mattino del giorno seguente, forse dopo alcune raffiche di mitragliatore
sparate dai partigiani, appostati sul ciglione sovrastante il cimitero
contro le SS che avanzavano, i nazisti sferrarono un attacco convergente
contro Avasinis: penetrarono nel paese da tre direzioni concentriche e,
sbaragliate in breve le difese partigiane, diedero atto ad una strage
feroce che colpì indistintamente uomini, donne, anziani, bambini:
51 le vittime complessive di quel massacro.
La strage venne interrotta dall'intervento di un ufficiale tedesco, si
dice un maggiore che montava un cavallo bianco, verso il mezzogiorno del
due maggio. Da quel momento i nazisti, dopo aver anche iniziato a trasportare
alcuni cadaveri in un canale poco distante dal paese, si apprestarono
a pernottare, dopo aver catturato e imprigionato tutte le altre persone
trovate ancora in giro. Al mattino del giorno successivo la squadra di
SS abbandonò il paese: parte proseguì compatta, diversi
militari cercarono di disperdersi autonomamente, spesso dopo aver indossato
abiti civili (non è chiaro se si sia trattato di "diserzioni"
o, più probabilmente, di un "rompete le righe" al quale
aderirono i militari di origine non germanica, una volta appresa la notizia
della capitolazione dell’esercito tedesco in Italia).
La gente di Avasinis poté uscire dai rifugi e dalle stanze ove
era stata imprigionata, ridiscendere dalla montagna e iniziare la pietosa
opera di recupero delle 51 vittime, indirizzare verso gli ospedali gli
11 feriti.
Mentre
ad Avasinis aveva luogo l’eccidio, nelle stesse ore, ad Ovaro, i
cosacchi in ritirata, dopo un attacco partigiano, accerchiarono il paese
e uccisero diversi partigiani, 8 georgiani che si erano uniti alle forze
della Resistenza e 22 civili, fra i quali il parroco don Cortiula.
All'eccidio
di Avasinis fece seguito una dura vendetta che sfociò nell'uccisione
sia di sbandati dell'esercito nazista sia di cosacchi che non erano riusciti
a ritirarsi ed erano stati presi prigionieri dai partigiani.
7)
LA FINE DELL’AVVENTURA COSACCA
La
maggior parte dei cosacchi che avevano preso dimora nella Valle del Lago
seguirono la sorte degli altri gruppi dispersi lungo tutte le vallate
carniche: fra la fine di aprile ed i primi di maggio vennero organizzate
delle lunghe colonne di fuggiaschi in direzione dell'Austria.
Dopo il difficile superamento del passo di Monte Croce, i cosacchi furono
concentrati nella cittadina di Peggetz, nei pressi di Lienz, ove venne
allestito un campo di raccolta, sotto il controllo degli inglesi. Vennero
loro requisiti cavalli e armi e, generalmente, tenuti per circa un mese
in condizioni di isolamento.
Gli accordi tra le grandi potenze prevedevano la riconsegna all'Unione
Sovietica di tutte quelle formazioni e quelle popolazioni che si erano
schierati a fianco del nazismo: ciò fu fatto senza tener conto
di situazioni personali o di giustificazioni storiche collettive. In un
primo tempo gli inglesi fecero arrestare i principali ufficiali cosacchi,
poi, il primo giugno, venne dato l'annuncio ufficiale dell'imminente riconsegna
di tutti i cosacchi all'Unione Sovietica, con il rimpatrio forzato. La
notizia, inattesa, fu accolta con scene di panico e disperazione; parecchi
tentarono la fuga, trovando a decine la morte nelle acque della Drava.
La maggior parte dei cosacchi venne deportata nei campi di concentramento
sovietici in Siberia e condannata a lunghi anni di detenzione. I principali
responsabili del movimento cosacco, tra i quali i generali Krassnov e
Domanov, vennero processati e giustiziati a Mosca nel 1947.
I cosacchi che riuscirono a evitare il trasferimento in Unione Sovietica
cercarono di trovare rifugio lontano dalla terra d'origine (consistenti
gruppi cosacchi si ricostituirono, per esempio, negli Stati Uniti, nel
Canada, in Australia, in Israele).
La dispersione e la prigionia non riuscirono però a cancellare
il senso di identità e di appartenenza del popolo cosacco che riuscì
a conservarsi sino a poter riemergere in forma non più clandestina
dopo il crollo dell'Urss.
Quanto al Friuli, il ricordo dell'occupazione rimane nella memoria degli
anziani e si concreta attraverso alcune sparute testimonianze materiali
(icone, armi, oggetti di vita quotidiana…) sopravvissute al tempo
e ai danni del terremoto del 1976. Se, sul piano umano, individuale, non
furono rari gli episodi di amicizia avviati tra friulani e cosacchi, storicamente
il peso dell'invasione rappresentò un fardello che solo faticosamente
riuscì a essere superato.
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