Breve storia della Resistenza

 

Se il 1946 è l’inizio della nuova Italia che, lasciandosi alle spalle la monarchia e scegliendo la repubblica, manifesta un chiaro proposito di rinnovare sé stessa alle radici, vi è però un’altra data che più di ogni altra per il nostro paese segna il confine tra passato e presente: il 25 aprile 1945.

Mentre nell’estremo Oriente le ostilità proseguiranno ancora per alcuni mesi e solo dopo il lancio delle bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki, in agosto, il Giappone accettò la resa senza condizioni, in Europa la conclusione della seconda guerra mondiale è imminente: a poco più di 10 mesi dallo sbarco in Normandia (6 giugno 1944) gli angloamericani stanno travolgendo le truppe hitleriane su tutti i fronti e l’Armata Rossa è già a Berlino. Però, così come era avvenuto in tanti altri paesi europei, dalla Grecia alla Polonia, dalla Norvegia alla Jugoslavia, dall’Unione Sovietica alla Francia, anche in Italia le forze di occupazione del Terzo Reich (in tedesco Reich significa letteralmente regno. Il primo fu il Sacro Romano Impero di Ottone I (962-1806), e il secondo il breve impero 1871-1918 formatosi in seguito alla creazione del primo stato unitario federale tedesco) avevano dovuto misurarsi con nemici interni militarmente assai meno consistenti degli eserciti alleati ma comunque insidiosi: quei movimenti di liberazione nazionale che sulle montagne, nei centri urbani, nelle campagne, tenevano continuamente sotto pressione i soldati tedeschi, con sabotaggi, azioni di guerriglia, attentati, distogliendo notevoli forze dal fronte.
Naturalmente vi erano notevoli differenze, sul piano dell’azione militare come su quello politico, tra i vari paesi: nell’Unione Sovietica, ad esempio, l’invasione aveva spaccato in due il paese, e mentre a est si combattevano i due eserciti, dietro le linee tedesche venivano svolte le azioni di guerriglia; in Jugoslavia la Resistenza assunse invece le caratteristiche di una vera e propria guerra di popolo, e le forze partigiane guidate da Tito si organizzarono in formazioni strutturate come un esercito regolare; in Francia il governo collaborazionista del maresciallo Pétain, con sede a Vichy, nella parte meridionale del paese, fiancheggiò apertamente i tedeschi, ai quali si opposero le forze della Resistenza (il maquis) che facevano riferimento al governo in esilio presieduto dal generale De Gaulle.

Con lo sbarco degli alleati in Sicilia, ai primi di luglio del ‘43, l’impegno militare tedesco nella nostra penisola dovette aumentare considerevolmente e all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, Hitler diede ordine che le truppe di stanza in Italia agissero come vera e propria forza di occupazione in un paese ostile. In realtà la situazione era assai confusa, perché il Re e il Primo Ministro Badoglio non avevano predisposto alcuna linea d’azione rispetto alle inevitabili e drammatiche conseguenze che si sarebbero sicuramente prodotte all’annuncio dell’armistizio. Mentre la famiglia reale e il governo avevano precipitosamente abbandonato Roma, rifugiandosi al Sud, i soldati italiani, e gli stessi Stati maggiori, furono colti del tutto alla sprovvista e rimasero privi di qualsiasi direttiva (all’inizio del film Tutti a casa, di Luigi Comencini, 1960, un bravissimo Alberto Sordi è un ufficiale che l’8 settembre, ignaro di tutto, guida la propria compagnia in una marcia di trasferimento e si vede improvvisamente sparare addosso dai tedeschi: chiama immediatamente il comando del reggimento e annuncia sconvolto: “Colonnello, è successa una cosa incredibile: i tedeschi si sono alleati con gli americani!”): molti si arresero subito o cercarono di tornarsene a casa, ma in tantissimi casi prevalse la decisione di non passare agli ordini dei tedeschi e così si organizzarono spontaneamente i primi momenti di resistenza, dal disperato tentativo di difendere Roma al rifiuto di consegnare le armi da parte delle truppe di stanza a Cefalonia, nelle isole Ionie: qui i nazisti vollero dare un esempio, decisero di non fare prigionieri e massacrarono quasi ottomila fra soldati e ufficiali italiani. Un aspetto poco noto è che il comandante italiano, ben sapendo che la superiorità germanica era schiacciante, prese un'iniziativa senza precedenti: fece votare a tutti i suoi uomini se arrendersi o meno, e la stragrande maggioranza scelse di resistere.

Ai militari che scelsero di opporsi ai tedeschi si unirono civili di idee antifasciste, e anche molti che volevano semplicemente sfuggire l’invio ai campi di lavoro in Germania (senza peraltro avere la minima idea della mostruosa tragedia che da anni si andava consumando nei campi di sterminio) o l’arruolamento forzato nelle file dei “repubblichini”: così erano chiamati gli aderenti alla Repubblica Sociale Italiana, l’entità politica costituita da Mussolini (la sede era a Salò, sul lago di Garda) nel tentativo di dare una legittimità e una parvenza di autonomia a un potere che era in effetti completamente subordinato a Hitler.
Il duce era stato destituito dal Re subito dopo la seduta del Gran Consiglio del fascismo (25 luglio 1943) in cui la maggioranza dei gerarchi aveva votato una mozione di sfiducia nei suoi confronti; arrestato subito dopo, venne imprigionato in una località “segreta” del Gran Sasso, dove fu facilmente liberato da un commando di paracadutisti tedeschi e quindi portato al Nord. Il comandante di queste SS, Otto Skorzeny, fu poi tra i fondatori della famigerata “Odessa”, un’organizzazione di mutuo soccorso fra ufficiali nazisti.


su Almirante

Nell’Italia spaccata in due dal fronte che vedeva i tedeschi impegnati a cercare d’impedire l’avanzata degli alleati, ci furono dunque italiani che decisero di schierarsi con i nazifascisti e altri che invece che scelsero il campo avverso, e ciò assunse i caratteri di vera e propria guerra civile. Se è fuori di dubbio che per molti la scelta non fu facile, o addirittura venne determinata da circostanze casuali, è altrettanto vero che in gran parte di coloro che combatterono contro Hitler e Mussolini furono decisivi per un verso il desiderio di liberarsi dall’invasore germanico e da un regime che aveva condotto il paese in una guerra disastrosa, e per l’altro lo spirito di fedeltà alla monarchia, comune ad esempio ai tanti ufficiali che erano riusciti a passare le linee e si erano uniti al Corpo dei Volontari della Libertà (CVL) formatosi al Sud agli ordini del governo Badoglio.
Dopo l’8 settembre i partiti antifascisti, prima dispersi e costretti alla clandestinità, si riorganizzarono e parteciparono intensamente sia al dibattito politico che doveva preparare le scelte postbelliche sia al lavoro di costruzione e di coordinamento delle forze partigiane.

Questo era il panorama delle forze politiche.

Democrazia Cristiana
: fu costituita nel 1942 da dirigenti del disciolto Partito Popolare Italiano, la formazione cattolica fondata nel 1919 da don Luigi Sturzo; nel 1994 si è sciolta, e i suoi dirigenti hanno dato vita a varie formazioni, legate alla coalizione di centrosinistra (PPI, poi Margherita, e UDEUR) o a quella di centrodestra (CCD, CDU).


Partito Comunista Italiano
: nato nel 1921, sotto il nome di Partito Comunista d’Italia, con l’uscita dal Partito Socialista dell’ala sinistra guidata da Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci; alla morte di quest’ultimo, Segretario divenne Palmiro Togliatti, seguito nel 1964 da Luigi Longo e poi da Enrico Berlinguer dal 1972 al 1984; nel 1991 si sciolse e il suo Segretario, Achille Occhetto, diede vita al Partito Democratico della Sinistra, poi Democratici di Sinistra, mentre una parte costituì il Partito della Rifondazione Comunista, da cui nel '98 naccque il PdCI.


Partito d’Azione: fu fondato da Mazzini nel 1853 con un programma repubblicano, laico e riformista: ad esso si ispirarono i gruppi più radicali dell’area liberale e socialista (soprattutto il movimento Giustizia e libertà) che nel 1942 si costituirono in Partito; nell’immediato dopoguerra questa forza si sciolse.

 


Dopo lo scioglimento del Partito d'Azione l’ala più moderata, guidata da Ugo La Malfa, confluì nel rinato Partito Repubblicano Italiano, mentre gli esponenti della sinistra entrarono nel PCI o nel PSI.


Partito Liberale Italiano: fondato nel 1942 ispirandosi al liberalismo post-risorgimentale, nel 1956 vide la scissione della sua ala sinistra che formò il Partito Radicale; guidato per molti anni da Giovanni Malagodi, si è sciolto nel 1994.


Partito Socialista Italiano
: fondato nel 1892 come Partito dei Lavoratori Italiani, l’anno successivo prese il nome di PSI; ne fece parte anche Mussolini fino allo scoppio della prima guerra mondiale; i suoi capi storici furono Filippo Turati durante il fascismo e Pietro Nenni nel dopoguerra (tra il 1943 e il 1947 assunse il nome di Partito Socialista di Unità Proletaria); subì la scissione dell’ala destra nel 1947 (da cui nacque il Partito Socialdemocratico di Saragat) e di quella sinistra nel 1964 (PSIUP); guidato dal 1976 al 1993 da Bettino Craxi, dimessosi in seguito a Tangentopoli, si è sciolto, disperdendosi in varie formazioni, nel 1994.

Il Partito Democratico del Lavoro fu una formazione minore di tipo liberal-socialista che ebbe brevissima vita.



I partiti antifascisti, dunque, diedero vita al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), che in qualche modo si pose come contrappeso politico rispetto a un governo che sicuramente era legittimo ma anche erede diretto di un passato negativo. Questo aspetto caratterizzò tutto il primo periodo di attività del CLN, il quale addirittura si trovò paralizzato dal forte dissenso fra i partiti filomonarchici e quelli repubblicani; quest’ultimi, infatti, arrivarono a porre come pregiudiziale il superamento della monarchia, così pesantemente compromessa col fascismo, e solo il rientro in Italia di Palmiro Togliatti, Segretario del Partito Comunista, sbloccò la situazione: in un famoso discorso tenuto a Salerno (marzo 1944) egli propose, vincendo anche forti riserve all’interno del PCI, di rinviare senz’altro a guerra finita il dibattito sulla questione istituzionale, poiché era assolutamente vitale che tutti gli italiani fossero uniti intorno all’obiettivo principale, la cacciata e la sconfitta dei tedeschi (svolta di Salerno).
Animatore, insieme a Gramsci, del movimento rivoluzionario dei Consigli di fabbrica (1919), Togliatti divenne Segretario del partito nel 1927, mentre Gramsci era in carcere; negli anni ‘30 ebbe ruoli di rilievo nell’ Internazionale Comunista e nella direzione delle forze antifasciste durante la Guerra civile spagnola (1936-39).

Nell’Italia del Nord, comunque, prevalse già dalla fine del ‘43 la consapevolezza che l’unità dei cittadini e delle forze politiche era la condizione prioritaria per sperare di sconfiggere i nazifascisti, e si formò il Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia (CLNAI), che assunse tutto il potere di direzione delle forze partigiane. I nuclei iniziali di sbandati si trasformarono lentamente in reparti militari ben strutturati (ma non altrettanto bene armati), generalmente per intervento diretto delle varie organizzazioni politiche a cui poi continuarono a far riferimento: infatti le formazioni principali erano le brigate e divisioni “Garibaldi”, composte soprattutto da comunisti e socialisti, “Giustizia e Libertà”, legate al Partito d’Azione, e i vari reparti dei cosiddetti “badogliani”, i quali, cioè, spesso non aderivano a nessun partito ma si riconoscevano nelle figure del Re e del capo del governo (Badoglio, appunto) e quindi nei partiti più vicini alla monarchia (democristiani, liberali) e meno affini alla sinistra.

Ma se è vero che la Resistenza fu soprattutto un fenomeno proprio delle regioni settentrionali, occorre ricordare che uno dei principali episodi della lotta di liberazione avvenne al Sud: durante le quattro giornate di Napoli, pochi giorni dopo l’8 settembre, praticamente tutta la città insorse contro i tedeschi. “Napoli, fra tutte le città d’Italia, era quella che forse più d’ogni altra aveva sofferto. Era stata bombardata centocinquanta volte, con gioia del duce, secondo il quale i bombardamenti avrebbero reso più virile la razza napoletana.” (Giulio Trevisani - Stefano Canzio, Compendio di Storia d’Italia, La Pietra, v. 4°, p. 717). Quando il comando tedesco, di fronte all’avanzata degli alleati, ordinò l’arruolamento forzato di trentamila uomini per i lavori di fortificazione e diede il via ai rastrellamenti di massa, la popolazione si ribellò e dopo quattro giorni di battaglia per le strade costrinse i tedeschi alla fuga: quando il 1° ottobre gli anglo-americani arrivarono a Napoli, la città era già stata liberata. Vale anche la pena di notare che furono meridionali numerosi comandanti partigiani, in genere provenienti dalle file delle forze armate regolari.
Bisogna tenere conto, comunque, che la stragrande maggioranza degli italiani per due decenni non aveva potuto svolgere alcuna libera attività politica e soprattutto era stremata da una guerra che aveva provocato enormi sofferenze, e quindi non fu facile stabilire un rapporto organico fra la popolazione e organizzazioni politiche spesso sconosciute ai più o anche considerate con diffidenza da chi ancora era fortemente condizionato dalla ventennale propaganda mussoliniana.
La Resistenza rimase sempre un grande e attivo movimento di minoranze, il più vasto che la storia d’Italia abbia mai conosciuto, ma pur sempre minoranza.” (Storia d’Italia, v. 4°, tomo terzo, Einaudi, 1976, p. 2389)

Tuttavia in molte zone si crearono legami davvero solidi, e decisivi sotto il profilo della lotta contro gli occupanti, fra i cittadini e i partigiani (in realtà da ambo le parti il termine “partigiani” fu usato piuttosto poco: i nazifascisti parlavano di “banditi” e, viceversa, i membri della Resistenza si definivano “patrioti”), e proprio a spezzare tale legame puntò il maresciallo Kesselring, comandante delle forze germaniche in Italia: da una parte utilizzando le brigate nere della RSI nei rastrellamenti, cercando di presentare i soldati di Mussolini come i “veri” italiani, e dall’altra impiegando con feroce determinazione lo strumento della rappresaglia nei confronti delle popolazioni; “per ogni tedesco dieci italiani” era il principio che venne messo in pratica trucidando civili inermi, torturando sistematicamente i prigionieri, incendiando i villaggi, impiccando i partigiani ai bordi delle strade affinché tutti potessero vederli: sono soprattutto bambini, donne, vecchi, le vittime degli eccidi di S. Anna di Stazzema (560 uccisi), Civitella Val di Chiana (251), Castelnuovo Val Cecina (77), Padule di Fucecchio (314), Valla (107), Vinca (178), San Terenzio (53), Frigido (108); la cittadina di Boves, nel Cuneese, fu la prima località a subire questo tipo di rappresaglia (19 settembre ‘43) e pochi mesi dopo subì un secondo devastante intervento tedesco, che distrusse le case non bruciate col precedente incendio. Sono solo alcuni dei tanti nomi della “serie terrificante dei massacri predisposti lungo la linea gotica, allo scopo di creare la ‘terra bruciata’ nell’immediata retrovia del fronte.” (Roberto Battaglia, Storia della Resistenza italiana, Einaudi, 1964, p. 428) La linea gotica era il potente fronte difensivo, fra Pesaro e Massa, approntato da Kesselring per impedire il dilagare degli alleati nella pianura padana. Ma tutta la storia dell’occupazione tedesca in Italia è segnata da centinaia di questi episodi, alcuni tragicamente famosi, dalla strage di Marzabotto, con 1.836 morti, a quella delle Fosse Ardeatine, con 355 uccisi, tanti altri dimenticati o ignoti ai più. Secondo i dati ufficiali della Presidenza del Consiglio, i civili italiani uccisi per rappresaglia dai nazisti furono in tutto 9.980, di cui 4.461 solo in Toscana.
Sovente si sottovaluta molto l’efficacia che ebbe la Resistenza, dal punto di vista militare, a confronto delle operazioni di guerra condotte dagli alleati, ma quanto la guerriglia fosse importante e come la strage di civili fosse uno strumento essenziale nella repressione antipartigiana, lo conferma lo stesso maresciallo Kesselring, che non a caso dal maggio ‘44 assunse in prima persona la guida di tali azioni, prima affidata al comando supremo delle SS.
La lotta contro le bande doveva venir posta tatticamente sullo stesso piano della guerra al fronte [...] Costituire una percentuale di ostaggi in quelle località dove risultino essere bande armate e passare per le armi detti ostaggi tutte le volte che nelle località stesse si verificassero atti di sabotaggio [...] Compiere atti di rappresaglia fino a bruciare abitazioni poste nelle zone dove siano sparati colpi d’arma da fuoco contro reparti o singoli militari germanici. Impiccare nelle pubbliche piazze quegli elementi riconosciuti responsabili di omicidi e capi di bande armate.” (Albert Kesselring, Memorie di guerra, Garzanti, 1954, p. 260).

i combattenti

Brigate  Garibaldi (comuniste)
575
Brigate autonome
255
Brigate Giustizia e Libertà 
198
Brigate Matteotti (socialiste) 
70
Brigate  del popolo 
54
   
256 mila partigiani combattenti in  Italia e all'estero (153.600 garibaldini)

70.930 caduti (42.558 garibaldini) 30.697 feriti (18.416 garibaldini)

387 medaglie d'oro (93 ai garibaldini) *

852 medaglie d'argento (217 ai garibaldini) *

*
evidente la sproporzione fra il numero dei combattenti e quello delle decorazioni: ma queste sono state decise dai governi a maggioranza DC, intenzionati, così, a ridimensionare simbolicamente il ruolo essenziale dei partigiani comunisti

I partigiani caduti furono 70.930 (la percentuale più alta, circa il 15%, nel Veneto; oltre 20.000 i militanti delle formazioni Garibaldi).
Nel resto d’Europa i partigiani caduti furono complessivamente circa 34.000, di cui: 17.000 in Jugoslavia, 13.000 in Grecia, 2.000 in Albania, 1.000 in Francia, 1.000 negli altri paesi. Per quanto riguarda l’Unione Sovietica, in realtà l’invasione tedesca non produsse un vero e proprio regime di occupazione e i partigiani sovietici erano comunque in stretto contatto con le truppe regolari; per l’URSS non è possibile calcolare la cifra dei partigiani caduti rispetto ai 20 milioni di morti complessivi (in totale i morti della seconda guerra mondiale furono oltre 50 milioni, di cui 7 deportati in Germania).

Ma in qualche modo la Resistenza italiana fu davvero un movimento di popolo che non ebbe uguali in nessun altro paese, e i consensi che riuscì a conquistarsi fra la gente le permise non solo di effettuare impotanti azioni di logoramento nei confronti delle truppe tedesche, ma anche di svolgere un’intensa attività di informazione e di orientamento fra i cittadini: di particolare efficacia gli scioperi del 1944 - che peraltro seguivano quelli realizzati già durante il regime fascista, nel marzo del ‘43 - e la difesa da parte degli operai delle fabbriche che i tedeschi in fuga volevano distruggere (si stavano ricostruendo le organizzazioni sindacali democratiche sciolte dal fascismo).
La Resistenza, in altre parole, seppe combinare in modo diffuso, anche se in modi diversi fra zona e zona, l’attività militare e quella politica: quest’ultima aveva come primo scopo quello di estendere e rafforzare l’offensiva partigiana creando intorno ad essa il massimo appoggio possibile da parte delle popolazioni. Ciò significava discutere, confrontare opinioni, parlare di argomenti che per vent’anni erano rimasti estranei alla quasi totalità degli italiani: una vera e propria scuola di democrazia, insomma, che per un verso favorì decisamente l’obiettivo primo dei partigiani, ingrossare le proprie file, per altro verso alimentò un processo di crescita civile e di consapevolezza sociale che andava ben oltre quella drammatica situazione.

Nelle aree controllate dai “ribelli” si produsse uno straordinario fenomeno: malgrado gli orrori della guerra, la fame, la paura delle rappresaglie, per la prima volta la gente poteva parlare e agire apertamente, e praticare in concreto la libertà: in questi territori sparsi in ogni parte del Nord Italia si formarono le “Zone libere”, o Repubbliche partigiane, fondate sulla partecipazione popolare. Le principali esperienze furono condotte in Carnia e in Val d’Ossola; altre importanti Zone libere furono in Valsesia, nelle Langhe, nell’Astigiano, nell’Oltrepo pavese, a Torriglia, nel Cansiglio, a Montefiorino e in varie vallate appenniniche tra Parma e Modena. La zona libera della Carnia fu tanto più significativa se si considera che il Friuli divenne a tutti gli effetti territorio germanico, essendo stato annesso al Reich sotto il nome di Adriatisches Küstenland, Litorale Adriatico (analogamente furono annessi col nome di Alpenvorland l'Alto Adige e le province di Trento e Belluno): i comandi tedeschi affidarono il controllo della parte settentrionale del Friuli alla Russkaja Osvoboditelnaja Armja, un’armata composta da circa 22.000 Cosacchi, Circassi, Georgiani e altre etnie, agli ordini di generali “bianchi” antibolscevichi. A queste popolazioni Hitler aveva promesso che tale parte del Friuli sarebbe stata la loro nuova patria, a cui infatti diedero il nome di Kosakenland in Nord Italien.


 

In realtà tra le varie zone libere vi furono molteplici diversità dal punto di vista delle forme di autogoverno, ma l’elemento comune fu la sperimentazione di forme di vita democratica non solo del tutto nuove per l’Italia, ma spesso anche molto avanzate, anticipando alcuni dei princìpi fondamentali che saranno alla base della futura Costituzione: dal diritto di voto esteso anche alle donne, alla riforma agraria, dall’ordinamento giudiziario al sistema scolastico e a quello fiscale.
Credo che l’uomo sia maturo per altro. Non soltanto per non rubare, non uccidere, e per essere un buon cittadino [...] Credo che sia maturo per altro, per nuovi, per altri doveri. È questo che si sente, io credo, la mancanza di altri doveri, di altre cose da compiere. Cose da fare per la nostra coscienza in senso nuovo.” (Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia, Einaudi, 1970, pp. 28-29).

Ma le Zone libere erano comunque situate in territori che facevano parte della fascia centrosettentrionale controllata dai tedeschi, e le forze di occupazione riuscirono ogni volta a distruggere queste isole di libertà: ci furono momenti (ad esempio il drammatico inverno del 1944) in cui la Resistenza parve non avere più il vigore per proseguire la lotta, e tuttavia il legame costruito fra partigiani e popolazione si rivelò talmente solido e convinto che riuscì a superare le crisi più difficili, e con gli inizi del 1945 “il movimento partigiano non subisce più soste o incertezze, è carico d’energia come un arco che sta per scagliare la freccia” e malgrado i nazifascisti rimangano assai superiori in termini di numero e di mezzi “i loro ultimi scatti irosi divengono slegati e incerti, si esauriscono in colpi vibrati a vuoto, senza più la decisione che porta a fonda l’offesa.” (Battaglia, op. cit., p. 477)


Il Comitato per l’insurrezione (guidato da Luigi Longo e Sandro Pertini) del CLNAI preparò quindi un complesso e articolato programma per sferrare gli attacchi decisivi, basato su piani insurrezionali che dovevano essere attuati nelle principali città in concomitanza con l’avanzare degli alleati ma prima del loro arrivo (un esempio per tutti: l’aristocratico generale Meinhold, al comando dei 30.000 soldati che occupavano Genova e dintorni, si trovò costretto a firmare la resa nelle mani dell’operaio comunista Remo Scappini): l’offensiva dei patrioti riesce ovunque e culmina, il 25 aprile, nell’ordine di insurrezione generale.

Con la liberazione di Milano cadde l’ultimo baluardo nazifascista e le truppe germaniche erano ovunque in fuga, dirette precipitosamente verso il confine: fu proprio a uno di questi convogli che Mussolini si aggregò, ma una formazione partigiana bloccò la colonna, scoprì il duce travestito da soldato tedesco e lo arrestò.
Il CLNAI nel frattempo aveva assunto i pieni poteri in rappresentanza del governo italiano ed emise vari decreti per attuare le misure che si rendevano necessarie in quel difficilissimo frangente. In uno di essi si diceva: “I membri del governo fascista e i gerarchi del fascismo colpevoli di avere contribuito alla soppressione delle garanzie costituzionali, di aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del paese e di averlo condotto all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l’ergastolo.” (Cit. in: Trevisani, op. cit., p. 755. Si è a lungo discusso e polemizzato su questa decisione, ma sull’assoluta legittimità di tale iniziativa - checché ne dica il signor D'Alema - e sullo status giuridico del CLN, cfr. Battaglia, op. cit. pp. 546-550; F. Chabod, L’Italia contemporanea, Einaudi, 1961, pp. 136-139; R. Cadorna, La riscossa, Rizzoli, 1948, p. 260. Il generale Cadorna fu il comandante del Corpo Volontari della Libertà).

Il 28 aprile Mussolini venne fucilato e la stessa sorte subirono i principali gerarchi. Pochi giorni dopo, il 2 maggio, il comandante delle truppe germaniche in Italia firmò la resa senza condizioni.
Una settimana più tardi, con la completa conquista di Berlino da parte dell'Armata Rossa e il suicidio di Hitler, la resa si estenderà su tutti i fronti.

a cura di alberto burgos

v. anche la cronologia e, per la Resistenza in Friuli, le schede curate dall'Anpi di Udine

 

LO AVRAI
CAMERATA KESSELRING
IL MONUMENTO CHE PRETENDI DA NOI ITALIANI
MA CON CHE PIETRA SI COSTRUIRÀ
A DECIDERLO TOCCA A NOI

NON COI SASSI AFFUMICATI
DEI BORGHI INERMI STRAZIATI DAL TUO STERMINIO
NON COLLA TERRA DEI CIMITERI
DOVE I NOSTRI COMPAGNI GIOVINETTI
RIPOSANO IN SERENITÀ
NON COLLA NEVE INVIOLATA DELLE MONTAGNE
CHE PER DUE INVERNI TI SFIDARONO
NON COLLA PRIMAVERA DI QUESTE VALLI
CHE TI VIDE FUGGIRE

MA SOLTANTO COL SILENZIO DEI TORTURATI
PIÙ DURO DI OGNI MACIGNO
SOLTANTO CON LA ROCCIA DI QUESTO PATTO
GIURATO FRA UOMINI LIBERI
CHE VOLONTARI SI ADUNARONO
PER DIGNITÀ NON PER ODIO
DECISI A RISCATTARE
LA VERGOGNA E IL TERRORE DEL MONDO

SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE
AI NOSTRI POSTI CI RITROVERAI
MORTI E VIVI COLLO STESSO IMPEGNO
POPOLO SERRATO INTORNO AL MONUMENTO
CHE SI CHIAMA
ORA E SEMPRE

RESISTENZA

Piero Calamandrei

epigrafe (1952) dedicata al comandante Duccio Galimberti: il testo venne posto sotto una lapide ad ignominia di Kesselring stesso, il quale aveva dichiarato che gli italiani, per il bene che secondo lui aveva loro fatto, avrebbero dovuto erigergli un monumento