Breve storia della Resistenza | ||||||||||||||||||||||||
Se il 1946 è l’inizio della nuova Italia che, lasciandosi alle spalle la monarchia e scegliendo la repubblica, manifesta un chiaro proposito di rinnovare sé stessa alle radici, vi è però un’altra data che più di ogni altra per il nostro paese segna il confine tra passato e presente: il 25 aprile 1945. Mentre nell’estremo Oriente le ostilità proseguiranno ancora per alcuni mesi e solo dopo il lancio delle bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki, in agosto, il Giappone accettò la resa senza condizioni, in Europa la conclusione della seconda guerra mondiale è imminente: a poco più di 10 mesi dallo sbarco in Normandia (6 giugno 1944) gli angloamericani stanno travolgendo le truppe hitleriane su tutti i fronti e l’Armata Rossa è già a Berlino. Però, così come era avvenuto in tanti altri paesi europei, dalla Grecia alla Polonia, dalla Norvegia alla Jugoslavia, dall’Unione Sovietica alla Francia, anche in Italia le forze di occupazione del Terzo Reich (in tedesco Reich significa letteralmente regno. Il primo fu il Sacro Romano Impero di Ottone I (962-1806), e il secondo il breve impero 1871-1918 formatosi in seguito alla creazione del primo stato unitario federale tedesco) avevano dovuto misurarsi con nemici interni militarmente assai meno consistenti degli eserciti alleati ma comunque insidiosi: quei movimenti di liberazione nazionale che sulle montagne, nei centri urbani, nelle campagne, tenevano continuamente sotto pressione i soldati tedeschi, con sabotaggi, azioni di guerriglia, attentati, distogliendo notevoli forze dal fronte. Naturalmente vi erano notevoli differenze, sul piano dell’azione militare come su quello politico, tra i vari paesi: nell’Unione Sovietica, ad esempio, l’invasione aveva spaccato in due il paese, e mentre a est si combattevano i due eserciti, dietro le linee tedesche venivano svolte le azioni di guerriglia; in Jugoslavia la Resistenza assunse invece le caratteristiche di una vera e propria guerra di popolo, e le forze partigiane guidate da Tito si organizzarono in formazioni strutturate come un esercito regolare; in Francia il governo collaborazionista del maresciallo Pétain, con sede a Vichy, nella parte meridionale del paese, fiancheggiò apertamente i tedeschi, ai quali si opposero le forze della Resistenza (il maquis) che facevano riferimento al governo in esilio presieduto dal generale De Gaulle. Con lo sbarco degli alleati in Sicilia, ai primi di luglio del ‘43, l’impegno militare tedesco nella nostra penisola dovette aumentare considerevolmente e all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, Hitler diede ordine che le truppe di stanza in Italia agissero come vera e propria forza di occupazione in un paese ostile. In realtà la situazione era assai confusa, perché il Re e il Primo Ministro Badoglio non avevano predisposto alcuna linea d’azione rispetto alle inevitabili e drammatiche conseguenze che si sarebbero sicuramente prodotte all’annuncio dell’armistizio. Mentre la famiglia reale e il governo avevano precipitosamente abbandonato Roma, rifugiandosi al Sud, i soldati italiani, e gli stessi Stati maggiori, furono colti del tutto alla sprovvista e rimasero privi di qualsiasi direttiva (all’inizio del film Tutti a casa, di Luigi Comencini, 1960, un bravissimo Alberto Sordi è un ufficiale che l’8 settembre, ignaro di tutto, guida la propria compagnia in una marcia di trasferimento e si vede improvvisamente sparare addosso dai tedeschi: chiama immediatamente il comando del reggimento e annuncia sconvolto: “Colonnello, è successa una cosa incredibile: i tedeschi si sono alleati con gli americani!”): molti si arresero subito o cercarono di tornarsene a casa, ma in tantissimi casi prevalse la decisione di non passare agli ordini dei tedeschi e così si organizzarono spontaneamente i primi momenti di resistenza, dal disperato tentativo di difendere Roma al rifiuto di consegnare le armi da parte delle truppe di stanza a Cefalonia, nelle isole Ionie: qui i nazisti vollero dare un esempio, decisero di non fare prigionieri e massacrarono quasi ottomila fra soldati e ufficiali italiani. Un aspetto poco noto è che il comandante italiano, ben sapendo che la superiorità germanica era schiacciante, prese un'iniziativa senza precedenti: fece votare a tutti i suoi uomini se arrendersi o meno, e la stragrande maggioranza scelse di resistere. Ai militari che scelsero di opporsi ai tedeschi si unirono civili di idee antifasciste, e anche molti che volevano semplicemente sfuggire l’invio ai campi di lavoro in Germania (senza peraltro avere la minima idea della mostruosa tragedia che da anni si andava consumando nei campi di sterminio) o l’arruolamento forzato nelle file dei “repubblichini”: così erano chiamati gli aderenti alla Repubblica Sociale Italiana, l’entità politica costituita da Mussolini (la sede era a Salò, sul lago di Garda) nel tentativo di dare una legittimità e una parvenza di autonomia a un potere che era in effetti completamente subordinato a Hitler. Il duce era stato destituito dal Re subito dopo la seduta del Gran Consiglio del fascismo (25 luglio 1943) in cui la maggioranza dei gerarchi aveva votato una mozione di sfiducia nei suoi confronti; arrestato subito dopo, venne imprigionato in una località “segreta” del Gran Sasso, dove fu facilmente liberato da un commando di paracadutisti tedeschi e quindi portato al Nord. Il comandante di queste SS, Otto Skorzeny, fu poi tra i fondatori della famigerata “Odessa”, un’organizzazione di mutuo soccorso fra ufficiali nazisti. Nell’Italia spaccata in due dal fronte che vedeva i tedeschi impegnati
a cercare d’impedire l’avanzata degli alleati, ci furono dunque
italiani che decisero di schierarsi con i nazifascisti e altri che invece
che scelsero il campo avverso, e ciò assunse i caratteri di vera
e propria guerra civile. Se è fuori di dubbio
che per molti la scelta non fu facile, o addirittura venne determinata
da circostanze casuali, è altrettanto vero che in gran parte di
coloro che combatterono contro Hitler e Mussolini furono decisivi per
un verso il desiderio di liberarsi dall’invasore germanico e da
un regime che aveva condotto il paese in una guerra disastrosa, e per
l’altro lo spirito di fedeltà alla monarchia, comune ad esempio
ai tanti ufficiali che erano riusciti a passare le linee e si erano uniti
al Corpo dei Volontari della Libertà (CVL) formatosi
al Sud agli ordini del governo Badoglio.
Partito Liberale Italiano: fondato nel 1942 ispirandosi al liberalismo
post-risorgimentale, nel 1956 vide la scissione della sua ala sinistra
che formò il Partito Radicale; guidato per molti
anni da Giovanni Malagodi, si è sciolto nel 1994.
Il Partito Democratico del Lavoro fu una formazione minore di tipo liberal-socialista che ebbe brevissima vita.
Sovente si sottovaluta molto l’efficacia che ebbe la Resistenza, dal punto di vista militare, a confronto delle operazioni di guerra condotte dagli alleati, ma quanto la guerriglia fosse importante e come la strage di civili fosse uno strumento essenziale nella repressione antipartigiana, lo conferma lo stesso maresciallo Kesselring, che non a caso dal maggio ‘44 assunse in prima persona la guida di tali azioni, prima affidata al comando supremo delle SS. “La lotta contro le bande doveva venir posta tatticamente sullo stesso piano della guerra al fronte [...] Costituire una percentuale di ostaggi in quelle località dove risultino essere bande armate e passare per le armi detti ostaggi tutte le volte che nelle località stesse si verificassero atti di sabotaggio [...] Compiere atti di rappresaglia fino a bruciare abitazioni poste nelle zone dove siano sparati colpi d’arma da fuoco contro reparti o singoli militari germanici. Impiccare nelle pubbliche piazze quegli elementi riconosciuti responsabili di omicidi e capi di bande armate.” (Albert Kesselring, Memorie di guerra, Garzanti, 1954, p. 260).
I partigiani caduti furono 70.930 (la
percentuale più alta, circa il 15%, nel Veneto; oltre 20.000
i militanti delle formazioni Garibaldi).
Ma
in qualche modo la Resistenza italiana fu davvero un movimento di popolo
che non ebbe uguali in nessun altro paese, e i consensi che riuscì
a conquistarsi fra la gente le permise non solo di effettuare impotanti
azioni di logoramento nei confronti delle truppe tedesche, ma anche di
svolgere un’intensa attività di informazione e di orientamento
fra i cittadini: di particolare efficacia gli scioperi
del 1944 - che peraltro seguivano quelli realizzati già
durante il regime fascista, nel marzo del ‘43 - e la difesa da parte
degli operai delle fabbriche che i tedeschi in fuga volevano distruggere
(si stavano ricostruendo le organizzazioni
sindacali democratiche sciolte dal fascismo). Nelle aree controllate dai “ribelli” si produsse uno straordinario fenomeno: malgrado gli orrori della guerra, la fame, la paura delle rappresaglie, per la prima volta la gente poteva parlare e agire apertamente, e praticare in concreto la libertà: in questi territori sparsi in ogni parte del Nord Italia si formarono le “Zone libere”, o Repubbliche partigiane, fondate sulla partecipazione popolare. Le principali esperienze furono condotte in Carnia e in Val d’Ossola; altre importanti Zone libere furono in Valsesia, nelle Langhe, nell’Astigiano, nell’Oltrepo pavese, a Torriglia, nel Cansiglio, a Montefiorino e in varie vallate appenniniche tra Parma e Modena. La zona libera della Carnia fu tanto più significativa se si considera che il Friuli divenne a tutti gli effetti territorio germanico, essendo stato annesso al Reich sotto il nome di Adriatisches Küstenland, Litorale Adriatico (analogamente furono annessi col nome di Alpenvorland l'Alto Adige e le province di Trento e Belluno): i comandi tedeschi affidarono il controllo della parte settentrionale del Friuli alla Russkaja Osvoboditelnaja Armja, un’armata composta da circa 22.000 Cosacchi, Circassi, Georgiani e altre etnie, agli ordini di generali “bianchi” antibolscevichi. A queste popolazioni Hitler aveva promesso che tale parte del Friuli sarebbe stata la loro nuova patria, a cui infatti diedero il nome di Kosakenland in Nord Italien.
In realtà tra le varie zone libere vi furono molteplici diversità
dal punto di vista delle forme di autogoverno, ma l’elemento comune
fu la sperimentazione di forme di vita democratica non solo del tutto
nuove per l’Italia, ma spesso anche molto avanzate, anticipando
alcuni dei princìpi fondamentali che saranno alla base della futura
Costituzione: dal diritto di voto esteso anche alle donne, alla riforma
agraria, dall’ordinamento giudiziario al sistema scolastico e a
quello fiscale. Ma le Zone libere erano comunque situate in territori che facevano parte della fascia centrosettentrionale controllata dai tedeschi, e le forze di occupazione riuscirono ogni volta a distruggere queste isole di libertà: ci furono momenti (ad esempio il drammatico inverno del 1944) in cui la Resistenza parve non avere più il vigore per proseguire la lotta, e tuttavia il legame costruito fra partigiani e popolazione si rivelò talmente solido e convinto che riuscì a superare le crisi più difficili, e con gli inizi del 1945 “il movimento partigiano non subisce più soste o incertezze, è carico d’energia come un arco che sta per scagliare la freccia” e malgrado i nazifascisti rimangano assai superiori in termini di numero e di mezzi “i loro ultimi scatti irosi divengono slegati e incerti, si esauriscono in colpi vibrati a vuoto, senza più la decisione che porta a fonda l’offesa.” (Battaglia, op. cit., p. 477)
Con la liberazione di Milano cadde l’ultimo baluardo nazifascista e le truppe germaniche erano ovunque in fuga, dirette precipitosamente verso il confine: fu proprio a uno di questi convogli che Mussolini si aggregò, ma una formazione partigiana bloccò la colonna, scoprì il duce travestito da soldato tedesco e lo arrestò. Il CLNAI nel frattempo aveva assunto i pieni poteri in rappresentanza del governo italiano ed emise vari decreti per attuare le misure che si rendevano necessarie in quel difficilissimo frangente. In uno di essi si diceva: “I membri del governo fascista e i gerarchi del fascismo colpevoli di avere contribuito alla soppressione delle garanzie costituzionali, di aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del paese e di averlo condotto all’attuale catastrofe, sono puniti con la pena di morte e nei casi meno gravi con l’ergastolo.” (Cit. in: Trevisani, op. cit., p. 755. Si è a lungo discusso e polemizzato su questa decisione, ma sull’assoluta legittimità di tale iniziativa - checché ne dica il signor D'Alema - e sullo status giuridico del CLN, cfr. Battaglia, op. cit. pp. 546-550; F. Chabod, L’Italia contemporanea, Einaudi, 1961, pp. 136-139; R. Cadorna, La riscossa, Rizzoli, 1948, p. 260. Il generale Cadorna fu il comandante del Corpo Volontari della Libertà). Il 28 aprile Mussolini venne fucilato e la stessa sorte subirono i principali gerarchi. Pochi giorni dopo, il 2 maggio, il comandante delle truppe germaniche in Italia firmò la resa senza condizioni. Una settimana più tardi, con la completa conquista di Berlino da parte dell'Armata Rossa e il suicidio di Hitler, la resa si estenderà su tutti i fronti. a cura di alberto burgos v. anche la cronologia e, per la Resistenza in Friuli, le schede curate dall'Anpi di Udine |
LO AVRAI MA SOLTANTO COL SILENZIO DEI TORTURATI SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE
RESISTENZA Piero Calamandrei epigrafe (1952) dedicata al comandante Duccio Galimberti: il testo venne posto sotto una lapide ad ignominia di Kesselring stesso, il quale aveva dichiarato che gli italiani, per il bene che secondo lui aveva loro fatto, avrebbero dovuto erigergli un monumento |