|
Pier Paolo Pasolini
Cos'è questo golpe? Io so |
Io
so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe"
(e che in realtà è una serie di "golpe"
istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12
dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna
dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque,
sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti
autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti"
autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte,
fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969)
e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della CIA
(e in second'ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno
prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista,
a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione
della CIA, si sono ricostituiti una verginità antifascista,
a tamponare il disastro del "referendum".
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato
le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi
generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione
di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi
neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista)
e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per
sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista).
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro
a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che
operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale
(mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi
e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro
ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità
fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono
messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni
e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che
cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere
tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò
che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani,
che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un
intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica
là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia
e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del
mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto
di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza
con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone
reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali
e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale
e romanziere. Perché la ricostruzione della verità
a proposito di ciò che è successo in Italia dopo
il '68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta
dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici
e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come
è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro
che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale
del "Corriere della Sera", del 1° novembre
1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove
o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici,
pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non
fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non
solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso
nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione,
niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente
quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene
rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi
- proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità
di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale,
e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente
politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con
esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa
alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è
possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare
in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale
coraggio intellettuale a dire la verità: cioè
a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica
sono due cose inconciliabili in Italia.
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato
da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente
alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere
i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore
del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro
che questo) al "tradimento dei chierici" è
un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del
potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al
potere. In Italia questa opposizione è così vasta
e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente
al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande
partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano
è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni
democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un
Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese
intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese
ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In
questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso
in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme"
di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è
aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è
divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed
è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti
stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto,
degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione
a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili,
intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È
possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso",
realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo:
"compromesso" che sarebbe però in realtà
una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due
Stati incastrati uno nell'altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito
comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente
negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo
nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e
non compromesso, non può essere una ragione di pace e
di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo
oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione
si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre
potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono
non comportarsi anch'essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente
ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato
stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo
mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è,
con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione,
se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi,
non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici,
dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È
semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono
- a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità
politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi
mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario:
non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data
l'oggettiva situazione di fatto.
L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli
viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato
di intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare
momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione
di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico,
non è opportuno. Ma queste categorie della politica,
non della verità politica: quella che - quando può
e come può - l'impotente intellettuale è tenuto
a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili
dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto
di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa
contro l'intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi
"formali" della democrazia, credo nel Parlamento e
credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare
ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non
aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non
per opportunità, cioè non perché sia venuto
il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di
tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili
dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa,
come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà
- magari decidendo "diplomaticamente" di concedere
a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana
si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima
o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso
con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori
responsabili (e non è detto, come nel caso americano,
che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo
di Stato.
Corriere della Sera, 14 novembre 1974