Osvaldo Fabian "Elio" (1)

I combattenti

alcuni passi dal libro Affinché resti memoria. Autobiografia di un proletario carnico

per gentile concessione dell'Editore Kappa Vu

 


Alla memoria si affaccia ora una folla di altri amici e compagni di fede e di lotta scomparsi durante quei mesi di fuoco.

MAGRINI, ASO e NEMBO, fratelli miei, voi siete in testa a questa schiera di martiri, siete una luce che durerà per sempre nel mio cuore ed in quello di tutte le genti carniche.
Di essi e di pochi altri nelle pagine che seguiranno saranno ricordate più diffusamente le luminose gesta. Di tanti altri eroi invece, dei più, nulla o poco la mia penna potrà dire, persi essi un po' alla volta nelle nebbie della mia ormai senile memoria.
Ma i loro volti mi sovvengono sempre come radiose meteore, umili, cari e semplici eroi, fratelli troppo presto perduti per la difesa del proletariato, con i quali presto mi ricongiungerò per ritrovarci in un convulso abbraccio, nel ricordo di tanti episodi gloriosi attraverso i quali la nostra terra è rinata alla libertà.

Come non ricordare GRACCO (Pietro Roiatti), uno dei forti combattenti antifascisti fratelli Roiatti di Cussignacco, caduto durante il duro inverno del 1944-45, l'impetuoso, ferreo e valoroso commissario della prima Brigata Garibaldi Carnia, organizzatore della stessa e dell'intera Zona libera, ucciso a Pieria nelle drammatiche circostanze descritte nel capitolo dedicato alle lotte del terribile inverno 1944-45, medaglia d'arg. al V.M.

NEMBO (Augusto Nassivera) di Forni di Sotto, reduce dal confino fascista a Ponza con me ed Aso, animatore della Resistenza Carnica, commissario garibaldino di Brigata, medaglia d'argento al V.M., morto in combattimento nell'inverno stesso.

LEONE (Mansueto Nassivera) cugino di Nembo, medaglia d'argento al V.M., commissario di battaglione garibaldino, caduto in combattimento in Val But nella primavera del 1944, rimasto da solo a proteggere il suo reparto al quale aveva ordinato di sganciarsi dopo l'attacco ed uccisosi con l'ultimo colpo della sua pistola per non cadere in mano al nemico.

GUERRA (Mario Foschiani), già eroico ufficiale combattente nelle Brigate Internazionali in Spagna e colà ferito in combattimento; confinato politico e poi nostro commissario di Brigata, nuovamente ferito dai tedeschi ma tornato al comando ed alla lotta con le ferite ancora aperte, catturato poi nel terribile inverno 44/45 mentre si recava a tenere un corso di addestramento ad altri comandanti, infine fucilato nelle carceri di Udine assieme a Tribuno, Barba, Tom, Bensi ed a tanti altri compagni il 9/4/1945, medaglia d'arg. al V.M.

GRIFO (Andrea Pellizzari) di Socchieve, biondo, bello, intelligente e valoroso, sembrava un eroe dei tempi antichi, Capo di Stato Maggiore della Brigata Garibaldi Carnia, medaglia d'arg. al V.M., ucciso in furioso combattimento dai cosacchi nel terribile inverno 1944-45 al Casolare Tolvis in Val But.

CICCO (Carlo Sciavi) di Pavia, già tenente degli Alpini, comandante del battaglione garibaldino Sozzi, catturato e fucilato dai nazifascisti a Tramonti nei duri giorni delle battaglie autunnali, medaglia d'argento al V.M.

DANIEL (Danil Avdeev), ufficiale russo fuggito dalla prigionia tedesca, poi intrepido comandante del nostro glorioso Battaglione Stalin formato prevalentemente da ex prigionieri russi sfuggiti ai tedeschi, autore di tante eroiche gesta, caduto infine nel corso di un'azione nell'inverno 1944-45 a S. Francesco nelle nostre Prealpi, proposto per le massime ricompense al V.M. italiane e sovietiche, del quale non si può non ricordare la splendida figura di leggendario combattente anche all'arma bianca con i suoi uomini scendendo a valanga contro il nemico avanzante nell'infuriare della tormenta di neve di quel terribile inverno, sul Passo di Monte Rest.

OSOPPO (Renato Fabbro) di Osoppo, valorosissimo comandante di compagnia del btg. Leone - Mansueto Nassivera - in tutti i combattimenti da questo sostenuti, uno dei pochi rimasti in armi con Furore nel duro inverno 1944-45, caduto a Ovaro nell'ultimo combattimento a Liberazione in pratica avvenuta, il 2 maggio 1945 nell'ultimo attacco contro le truppe cosacche.

FRANCO (cap. Giuseppe Gozzer di Roma), medaglia d'oro al V.M., Capo di Stato Maggiore della Divisione e poi del Raggruppamento Divisioni Garibaldi del Friuli, già capitano paracadutista dell'esercito sceso presso di noi con una Missione Alleata, catturato nell'inverno 1944-45, deportato nei lager in Germania, trucidato mentre tentava di fuggire scavalcando il reticolato nazista, bruciato nei forni crematori.

BARBA (Ennio Radina), intrepido comandante di una Compagnia del Btg. Friuli, caduto prigioniero nell'inverno 1944-45, fucilato nelle carceri di Udine in 29 assieme a Guerra, Tribuno, Tom (Morocutti Antonio), il 9/4/45.

CESCO (Leo Buzzi); LEO (Vittorio Speranza); Fulvio Baracchini; VERO (Luigi De Caneva); KUM (Celso Job); TIGRE (Vittorio Bonora); BORIS (Carlo Betiera); GRILLO e FUOCO del Btg. Leone-Nassivera, uccisi a Casanova sotto i colpi di mortaio dei tedeschi; AKNA; LINDO; CESCO; AMOS (Giuntini), MATTEOTTI, deportati in Germania e morti in campo di concentramento.
Ricorderò ancora brevemente, anche se questa narrazione riguarda i soli avvenimenti della cosiddetta Alta Carnia, i tanti caduti nella zona pedemontana, gli eroici compagni BATTISTI (ten. Giannino Bosi), ufficiale dell'esercito, poi comandante del gruppo Brigate Garibaldi Sud, medaglia d'oro al V.M., caduto nell'inverno 1944-45 con la compagna PAOLA ed un gruppo di suoi prodi dopo avere sparato sino all'ultimo colpo allorché i tedeschi dopo avere sfondato ed occupata la nostra zona si riversarono al di là del Monte Rest.

SERGIO (E. Candon), intrepido commissario di detto Gruppo Brigate, vecchio comunista confinato politico, caduto combattendo in altra vicina località e nelle stesse modalità di Battisti, anch'egli medaglia d'oro al V.M.

TRIBUNO (Mario Modotti), (2) uno dei primissimi resistenti del 1943, uomo di grandissima intelligenza, ardente e trascinatore, postosi immediatamente quale capo naturale dell'intera resistenza friulana e tale destinato ad essere per l'avvenire, proveniente dalla grande fucina-serbatoio del proletariato dei Cantieri di Monfalcone; il primo comandante del primo Battaglione garibaldino d'Italia al confine italo-sloveno; poi a mio parere inesattamente ed ingiustamente utilizzato dal Partito ed inviato con due-tre compagni ad organizzare il movimento armato nella zona ad est del Tagliamento ed in Valcellina ove la lotta non si era ancora sviluppata, ove nell'estate 1944, nonostante fosse dovuto ripartire da zero seppe organizzare e comandare l'efficientissima Brigata Garibaldi-Osoppo Ippolito Nievo dando vita anche ad una nostra larga zona libera, della quale fu commissario RICCARDO (Giulio Contin) anch'egli poi ucciso dai fascisti; catturato per delazione nell'inverno 1944-45, torturato nella Caserma Piave di Palmanova dai fascisti, poi fucilato assieme a Guerra, Bensi, Barba, Tom ed a tanti altri compagni (furono 29) nelle carceri di Udine il 9/4/1945 nell'imminenza della Liberazione; decorato infine con la sola medaglia d'arg. al V.M.. E con essi tanti altri gloriosi compagni, i migliori di noi, il cui nome ora mi sfugge e che andarono alla morte coscienti delle loro idee e della loro scelta, fieri del rosso fazzoletto al collo, sereni per il dovere interamente compiuto.
Ma a questo punto sia lecito, evitando false modestie, che siano ricordati per nome, anche se del tutto sommariamente e con gravi omissioni delle quali sin d'ora mi scuso, alcuni altri compagni, uniti ai primi nella terribile lotta, che ebbero la ventura di sopravvivere: dimenticare e tacere i loro nomi equivarrebbe a mio parere a concorrere nella sistematica colpevole campagna di oblio verso i nostri combattenti e verso tutto il periodo della Resistenza.
La vera, la buona Carnia dei lavoratori, ricorda ed è fiera di questi uomini dei quali oggi ben pochi sono sopravvissuti, totalmente dimenticati o respinti dai pubblici poteri, taluni ridotti anche alla fame ed alla disperazione; travolti come sono stati dalla campagna antipopolare scatenata dai nostri awersari, dalla classe dominante uscita ovviamente indenne dalla guerra e tornata alle leve del potere.

Gente fiera che ha sofferto e soffre ma non chiede; gente umile e riservata che sarebbe pronta a ripetere in qualunque momento l'offerta di tutti loro stessi per la libertà ed il riscatto del popolo lavoratore; gente serena e cosciente, totalmente isolata e respinta nell'oblio quando si pavoneggiano invece e sono glorificati tanti buffoni d'oggi, e tra essi i partigiani dell'ultimo momento, le nuove vergini democratiche di comodo cinte di allori fasulli che saccheggiano talvolta persino il pubblico danaro; gente che nulla ha chiesto per sé ed è stata poi dimenticata quasi da tutti assieme a tutte le parole, le promesse, le speranze di allora; schiera di patrioti e di umili lavoratori che stringo in un commosso abbraccio.

Il primo, MARCO (prof. Ciro Nigris di Ampezzo), non appartenente ad alcuno schieramento od idea politica ma solo al gran partito degli antifascisti e dei sinceri democratici, già tenente degli alpini, uno dei primi resistenti ed animatori del Movimento armato in Carnia, Capo di Stato Maggiore della Brigata Garibaldi e poi della Divisione, esempio per tutti di serenità e di ardimento anche nei momenti più tragici.

BARBA TONI (prof. Mario Candotti di Ampezzo), già capitano degli Alpini in Albania ed in Russia, comandante dapprima del Btg. Carnico nei tanti duri combattimenti a Cedarchis in Val But, poi comandante della Brigata e della Divisione Garibaldi Carnia.

TREDICI (Angelo Cucito), già capitano dell'esercito, il primo comandante della Brigata Garibaldi Carnia, ottimo stratega in combattimento che assieme a Nitro fu intelligente autore del piano che portò il Btg. Friuli alla vittoria nella famosa battaglia di Pani contro soverchianti truppe cosacche.

FURORE (Elio Martinis di Ampezzo), l'irruento antifascista e ribelle di sempre, uno dei primi resistenti in armi, troppo poco valorizzato dal nostro Comando rispetto al suo leggendario valore ed alla sua nitida percezione tattica in combattimento, comandante del Btg. Leone M. Nassivera che fu forse il più impegnato dei nostri reparti garibaldini nei giornalieri combattimenti in Val But su Tolmezzo, ferito in combattimento da una bomba a mano che gli dilaniò una gamba e tornato alla lotta con le ferite ancora aperte, invalido della Resistenza, medaglia di bronzo al V.M.

CHECO (Giancarlo Franceschinis di S. Daniele del F.), uno dei primi e più audaci resistenti, commissario dapprima con Aso sino alla sua morte, poi del Btg. Leone con Furore, infine commissario di Brigata nella Pedemontana, autore di tanti episodi di valore.

AUGUSTO (Carlo Bellina di Cleulis) ottimo comandante del Btg. Gramsci assieme al commissario GUERRA, poi nell'inverno 1944-45 comandante della Brigata Val But.

CESARE (dr. Cesare Zagolin) medico partigiano, vecchio compagno del PCI, prezioso resistente ed organizzatore poi dell'Ospedale Partigiano di Ampezzo ove tanti compagni con le carni straziate dal fuoco nemico soffersero, morirono o risanarono, amorevolmente curati da lui e dalla dr.ssa XENIA nonché dalla capoinfermiera compagna Elsa Fazzutti (VERA) di Forni di Sotto; compagno prematuramente scomparso in tragiche ingiuste circostanze subito dopo la Liberazione per grave malattia polmonare contratta durante la Lotta.

BENVENUTO (Alessandro Giuliani), ora insigne professore universitario di diritto a Perugia, allora V. comandante di Compagnia del Btg. Friuli, ferito in combattimento, figlio del Presidente del Tribunale del Popolo costituito nella Zona Libera dalla Giunta di Governo ad Ampezzo, tutta una famiglia dotata di alto intelletto, nobili idee e grande coraggio.

NITRO (Azoto Vitale di Enemonzo) tante volte da me ricordato per il suo costante valore, alpino reduce dalla Russia, comandante del Btg. Friuli, alla fine vice comandante di Brigata, compagno di grande percezione e lucidità tattica il quale, quand'era comandante di una compagnia il 3.9.1944 fu attaccato sulle colline di Verzegnis da centinaia di tedeschi con carri armati, restò accerchiato col suo esiguo reparto per l'inaspettato ripiegamento di un reparto osovano schierato al suo fianco e per la fuga del suo stesso commissario e purtuttavia, nonostante fosse stato ferito non abbandonò il campo ed oppose una tenacissima resistenza per oltre 4 ore alla fine volgendo in fuga il nemico con decine di morti. Nitro, come già detto, fu poi con Tredici artefice in prima linea della famosa Battaglia di Pani nel nov. 1944, allorché il Btg. Friuli volse in fuga precipitosa un preponderante mezzo esercito cosacco incalzato alle reni da pochi ma intrepidi nuclei garibaldini.

Eifel (Ubaldo Lazzara) comandante di compagnia, med. bronzo al V.M.; Barba (Bruno D'Agaro) comandante di compagnia del Btg. Leone: LIBERO (Adino Colussi) commissario del Btg. Magrini; Zan Zan (Giulio Delti comandante del Btg. Cossutti, strenuo difensore della zona di Illegio, M. d'arg. al V.M.; Diego (Del Mistro) commissario del Btg. Friuli: Gino (Maurilio Bullian di Ampezzo) V. commissario di Brigata; Ivan (Livio Toniutti) valoroso comandante di Battaglione, autore della vittoria di Passo Siera del 14/9/44; Italo (Cesare Stani) commissario di Brigata; Miss; Athos (Arturo Doglio); Carmò; Libero; Tom (Giovanni De Marchi); Ferruccio D'Agaro (Venuto); Attilio De Crignis (Quaglia); dott. Averardo Buccioli (Celso) medico combattente del Btg. Friuli; Egidio Burba (Odessa); Aldo Rambaldini (Saetta) audacissimo comandante della compagnia volante arditi del Btg. Friuli, medaglia d'arg. al V.M.; Giulio Paolini (Tardo); Sauretto Gortana (Vanni); Sereno Castellani (Sereno); Elio Chialina (Vargas); Federico Chinese (Folgore); Giacomo Da Pozzo (Max); Comunardo Gonano (Zon); Umberto Scrocco (Lupo); Luino Solari (Magnano); Guido Fantoni (Glauco); Mario Zanier (Bolfi); Irvin Di Centa (Pizzi); Remo Colmano (Volpe); Gino Romanin (Sandro); Silvio Bullian di Ampezzo: Elio Fior (Elettro); Luigi De Crignis; Tordo; Libero Agostinis; Elio; Mak e Steni, i due valorosi fratelli Massimo e Mario Argentieri figli del maresciallo dei carabinieri di Tolmezzo che combatterono con grande coraggio a Verzegnis, a Pani ed ovunque col btg. Friuli; le compagne Elsa Fazzutti (Vera) indomita capoinfermiera e poi anche preziosa staffetta del btg. Friuli a rifornirlo anche tra le nevi ed i pericoli del duro inverno; Liduina Tavosanis (Anita); Amelia Bonanni e sua sorella Romana; Italia Ambrosio (Dana); e via via una folla di va compagni che è impossibile qui ricordare tutti, compagni ai quali mando a nome del proletariato e del popolo italiano un commosso saluto, interprete della riconoscenza per essi delle nostre genti.

La Carnia in quei momenti terribili espresse veramente il meglio di sé stessa e diede alla santa causa i suoi figli migliori, quei figli che senza galloni e pennacchi dorati frurono i capi naturali di un popolo in armi.
Il colore politico di alcuni di questi splendidi uomini fu in alcuni casi diverso da quello comunista ispiratore della formazioni garibaldine ma unico fu l'intento che tutti affratellò nella lotta contro il fascismo e contro l'invasore spargendo assieme il loro sangue generoso.
Ma è doveroso che qui vengano ricordate anche altre nobili figure di combattenti che furono espresse dalla Brigata Osoppo nella nostra zona la quale diede alla Causa alcuni caduti: ricorderò RENATO DEL DIN, s. ten. degli alpini allorché attaccò con pochi suoi uomini i tedeschi in piena città di Tolmezzo fortemente presidiata e poi nel ritirarsi imboccò per errore un vicolo senza fondo, tentò di nascondersi, fu raggiunto e venne fulminato, decorato di med. d'oro al V.M.

Ricorderò soprattutto BARBE LIVIO (Romano Zoffo) medaglia d'arg. V.M., già capitano dell'esercito, comandante di Btg. e poi di Brigata della Osoppo a Lauco ed altrove, appartenente al Partito d'Azione, uomo aperto anche a nuovi esperimenti sociali a favore della gente dei luoghi come fu quando a Vinaio di Lauco, redivivo Emiliano Zapata, varò un piano per l'espropriazione e l'assegnazione alla gente di lotti di terreni demaniali incolti da sfruttare e che entrò per questo in gravi contrasti con i comandanti clericali dell'Osoppo venendo per questo rimosso dal comando del reparto e trasferito in altra zona.
Di Barbe Livio, in occasione di quel fatto che gli procurò tante ingiuste amarezze, non posso non ricordare la faccia addolorata e disgustata di quel grande galantuomo che addirittura mi ventilò l'idea di passare nelle formazioni garibaldine ma che poi, solo per rispettare la parola data, accettò il trasferimento ad altro incarico ed in altra zona sempre tra gli osovani, ove diede nuove dimostrazioni della sua rettitudine e del suo grande valore.
Nei giorni dei combattimenti della Liberazione egli venne poi vigliaccamente trucidato a Tarcento dai cosacchi con altri compagni allorché si presentò loro per parlamentare chiedendo la resa onde evitare alla gente altro spargimento di sangue.
Ricorderò infine un altro comandante osovano caduto, il capitano degli alpini Francesco DE GREGORI (Bolla) (3) che avevo conosciuto nella primavera del 1944 agli albori del movimento in Carnia in occasione dei tanti contatti che aveva avuto con personalità antifasciste d'ogni genere. Avevamo anche trascorso assieme alcuni giorni nel casone di montagna di mia proprietà ove l'avevo ospitato e ne avevo apprezzato l'elevato grado di preparazione militare, la pronta intelligenza e la sicura convinzione di dover lottare con le armi contro
[...]

I ricordi si affollano confusi nella mia mente e non posso aggiungere altri nomi di personaggi della Resistenza in armi ma posso ben dire che l'eroico spirito di quei tempi aveva pervaso l'intero popolo carnico che non soltanto fu sublime nel suo soffrire, tacere e sperare ma espresse anche una miriade di umili eroi popolari quasi del tutto sconosciuti.
Un esempio di tali sconosciuti eroismi è senz'altro l'episodio del quale fu protagonista un modesto operaio elettricista custode di una cabina della Cooperativa di Tolmezzo, Erminio Petris di Prato, il quale pochi giorni prima della Liberazione mentre i tedeschi scorrazzavano sempre più feroci in Tolmezzo fece irruzione assieme al compagno Grillo in una caserma nazista e qui strappò fulmineamente le armi a due ufficiali nemici mettendoli in condizione di non nuocere, asportando poi una preziosa cassetta contenente una ingente somma, molti milioni di allora in lire e marchi, che essi consegnarono al C.L.N, il quale poi ne fece uso per i bisogni più urgenti della popolazione.
Altro esempio di tale oscuro eroismo fu quello riferito anche altrove in questo libro dell'audace azione di quella donna (4) nostra "compagna del terreno", la quale nel settembre 1944 con abiti dimessi si presentò in un giorno di forte pioggia ad un posto di blocco fascista a Tolmezzo, disse di essersi dimenticata a casa il permesso di entrata e di voler tornare indietro a prenderlo, cosicché lasciò al riparo dalla pioggia sulla soglia del fortino in cemento armato irto di mitragliatrici la sua gerla piena di esplosivo celato da uno strato di patate, e se ne andò dopo aver dato una vigorosa strizzata alla matita esplosiva a tempo innescandola. Dopo pochi minuti quando essa era già lontana ed i fascisti rientrati tutti nel bunker per ripararsi della pioggia, vi fu una terribile esplosione che causò la distruzione totale del bunker e delle mitragliatrici éla morte ed il ferimento di parecchi nemici.
Ricorderò poi la costante audacia dei tanti compagni rimasti normalmente al lavoro, che peraltro espletavano altri difficili ed essenziali compiti a favore del nostro movimento, prelevando e recapitando stampa antifascista, armi e munizioni e tante altre cose con enormi rischi personali perché se fossero stati scoperti in una delle tante continue perquisizioni sicuramente avrebbero pagato con la vita o con la deportazione in Germania.
Infine altrettanti eroismi dovranno essere considerati i comportamenti delle nostre splendide e povere donne carniche che non solo davano ogni possibile aiuto alle nostre formazioni ma che poi andavano e venivano dalla nostra Carnia Libera alle zone ancora occupate dai tedeschi sfidando tutti i posti di blocco, le minacce, la prigionia, la deportazione, trasportando a spalle preziosi carichi di vettovaglie e talora armi ed esplosivi talvolta persino nascosti sotto le vesti od in cento altri romanzeschi e rischiosi sistemi.
Tralasciando ancora, come ho già detto, i cento altri oscuri eroismi di un intero popolo oppresso ed affamato che soffrì in fierezza e dignità angherie ed inauditi patimenti da parte di un brutale invasore, proteggendo col suo costante silenzio ed in tanti altri modi durante l'occupazione i suoi fratelli combattenti quando scendevano a valle; non cedendo, salvo pochissimi, di fronte alle lusinghe nemiche, ai molti danari e chili di sale offerti per una delazione; soffrendo la distruzione di case ed interi paesi; infiniti beni perduti; tanti innocenti, bambini, vecchi trucidati; tante donne, vecchie e bambine barbaramente violate; in una epica e tragica pagina di storia patria tutta tesa alla lotta per la libertà e per un mondo migliore.


NOTE

1 Suo figlio Vero "Anzo", di sedici anni, fu catturato dai nazisti e deportato in Germania, dove morì. Un altro figlio, partigiano, fu ucciso in combattimento.
2 Cfr. Luigi Raimondi Cominesi, Mario Modotti "Tribuno". Storia di un comandante partigiano, Ist. Friulano Storia del Movimento di Liberazione, 2002.
3 redazionale: Bolla fu ucciso a Porzûs dagli uomini di Giacca.
4 Si tratta di Andreina Nazzi "Nina", del Btg. Garibaldi Cossutti: in seguito a una soffiata venne arrestata e rinchiusa nelle carceri di via Spalato a Udine; forse grazie al travestimento che aveva usato durante l'azione, non fu riconosciuta dai testimoni e quindi venne rilasciata; decorata con la Croce al Merito di Guerra.

Osvaldo Fabian "Elio"

Mirko

Sul comandante Mirko si sono dette molte sciocchezze: in particolare è stato dipinto come un eroe romantico ucciso da "sicari comunisti", e la sua vicenda, ad esempio, è stata narrata su Wikipedia con dovizia di particolari, peraltro quasi mai suffragati da prove o documenti.
Ci pare che il ritratto che ne fa Fabian (op. cit., pp. 99 - 103) sia assai più rispondente alla realtà dei fatti.

[...] Se vi fu qualche personaggio che non rispose alle aspettative lo si trovò solo nella persona di qualche comandante di dubbia origine o di dubbia personalità politica o morale ma esso fu prima o poi individuato e la ferma giustizia partigiana seppe eliminarlo.

Il caso di Mirko (Arko Mirko), che all'inizio della primavera del 1944 improvvisamente comparì in Carnia, è veramente unico nella storia delle nostre formazioni.

Sono passati ormai vent’anni ed ora si può narrare ciò che appena dopo la Liberazione era prematuro rivelare in quel clima arroventato cosicché riassumerò le notizie che al proposito ho potuto raccogliere da quei tempi ad oggi su quel doloroso caso, vincendo l'intuibile riserbo dei maggiori responsabili del l'allora Comando Divisione Garibaldi e da varie altre fonti.

Mirko era un personaggio del tutto particolare, aveva detto di avere ventitré anni, di essere nato in Jugoslavia a Lubiana; era biondo, non alto, magro, occhi azzurri, viso fine, capelli lunghi sino alle spalle, sguardo freddo e deciso, parlava un italiano abbastanza buono.
Il nome di Arko Mirko da lui dichiarato può essere vero ma può anche non esserlo, tenendosi conto che nessun valore in casi del genere possono avere anche eventuali documenti per la facilità con la quale i servizi segreti tedeschi li predisponevano: la sostanza è che nessun benché minimo riscontro o notizia di lui si sono avuti neppure dopo la guerra, come nessuno per tanti anni ha poi reclamato il suo corpo sepolto lungo le mura esterne del cimitero di Enemonzo.
Di sé narrò di essere stato tenente dell'aviazione jugoslava prima dello sfacelo nel 1941 di quell'esercito, poi di essere stato prigioniero degli italiani per un anno e che all’8 Settembre 1943 si trovava degente nell’ospedale di Padova per curare la tisi di cui era affetto, dal qual ospedale narrò di essere fuggito con l’aiuto di compagni trovando rifugio dapprima in Valcellina e poi in Carnia.

Quando il nostro Comando gli chiese di indicare l’indirizzo di Lubiana della sua famiglia relativamente alla quale intendeva assumere informazioni rifiutò sempre categoricamente, forte del fatto che già egli era a capo del gruppo che poi formò il Btg. Friuli ed aveva iniziato le azioni armate e fruiva dell'autorità del suo mitra.
Appena fu arrivato in Carnia si pose a sostenere la necessità di iniziare immediatamente ed in quel momento prematuramente la lotta armata contro i tedeschi ed i fascisti e si buttò senz'altro nelle prime scorrerie armate adottando metodi violenti ed estremisti contrari alla mentalità dei nostri resistenti ed alla direttive generali emanate dal P.C.I.

Quel che appariva strano anche ai suoi uomini era il fatto che Mirko portasse sì il fazzoletto rosso al collo ma rifiutasse sempre qualsiasi discorso sui suoi sentimenti politici.
Partecipò solo nei primi momenti del movimento armato a qualche azione di modesta importanza ma a nessuno dei successivi grandi e duri combattimenti nel corso dei quali il suo battaglione Friuli, coprendosi di gloria, fu inve ce sempre effettivamente comandato da altri garibaldini suoi comandanti di compagnia, soprattutto da Nitro.

Non è vero ma fa solo parte di una falsa leggenda nata tra la gente nei primi tempi della lotta, quando essa sentiva parlare ed idealizzava le gesta dei partigiani, che Mirko sia stato un "eroico combattente”.
Mirko era piuttosto il re degli episodi violenti estranei ai veri e propri combattimenti; era lo spietato e non equilibrato giudice fucilatore non solo di spie o presunte tali ma anche in un dolorosissimo caso di un suo valoroso garibaldino reo soltanto di aver sottratto dal magazzino una bottiglia di grappa e di essersi ubriacato; era l'implacabile requisitore di beni ai fascisti o non fascisti; era il grande combattente estremista ma solo a parole e non nei fatti.

Quando Nitro sostenne e vinse con eccezionale coraggio e perseveranza la famosa battaglia di Verzegnis e poi fu uno degli elementi determinanti per la vittoria nell'accanita battaglia di Pani, Mirko nel primo caso fu atteso invano per ore e non intervenne che a combattimenti pressoché esauriti e così per il secondo caso che lo vide inattivo in quanto tale durissima battaglia ebbe come strateghi e reali autori Tredici e Nitro ma sicuramente non Mirko.
Né intervenne, com’era l’accordo, quando Checo (Giancarlo Franceschinis) e Saetta (Aldo Rambaldini) fecero saltare con una mina sotterrata di notte sotto il piano stradale, un grosso camion con rimorchio tedesco al ponte del torrente Vinadia cagionando al nemico 12 morti sul colpo e decine di feriti. Mirko non si vide, come aveva invece promesso per consentir loro di sganciarsi e fu ancora il solo suo comandante di compagnia Nitro che intervenne a titolo personale ed impegnò dall'alto il nemico con qualche buona raffica contro la colonna corazzata che si affrettò a rientrare in Tolmezzo. consentendo così ai due compagni di salvarsi.
Così avvenne per tanti altri duri combattimenti sostenuti dal suo reparto perché per tutta l'estate 1944 Mirko e Katia soggiornarono e non si mossero dai baraccamenti del reparto a Raveo col magazzino a disposizione, mentre il battaglione fu sempre condotto in combattimento dai suoi comandanti di compagnia.

Venuto l’inverno 1944-45 Mirko alla fine si ritirò in alta montagna sopra Pani barricandosi in una caverna assieme alla compagna Katia che ne era divenuta la convivente e con essa si appropriò senza autorizzazione e senza neppure avvertire il Comando Brigata, di un grosso magazzino viveri che era stato predisposto da quest’ultimo per altre occorrenze dei reparti ed era a disposizione del solo Comando Brigata, rifiutando di giustificarsi per quel fatto che in quei momenti era gravissimo in quanto avrebbe potuto pregiudicare l’esistenza di un intero reparto che si fosse colà rifugiato in quel duro inverno d'invasione.

Quando gli si chiese di recarsi con alcuni compagni a prendere contatto, essendo egli slavo, con il IX Corpus del TEPLY (Esercito Popolare Liberazione iugoslavo) per utili rapporti di collaborazione rifiutò sempre, affermando che mai egli si sarebbe mosso dalla Carnia per motivi di sicurezza sua e della sua famiglia.
In presenza di tanti elementi molto strani, del tutto inusuali per un comandante garibaldino, il cui essere universalmente si fondava invece sull'assoluta limpidezza e specchiatela del passato politico e del comportamento militare; valutati tali fatti non spiegabili neppure secondo la logica della più spietata guerra partigiana, il nostro Comando, anche tramite il Partito, esperì una attenta indagine generale sull’operato di Mirko ed all'uopo fece chiedere informazioni ai compagni di Padova per sapere se realmente in quell'ospedale militare come egli sosteneva fosse stato degente come prigioniero prima dell'8 settembre un ufficiale jugoslavo di aviazione con quel nome e con quei connotati.
La risposta fu già di per sé preoccupante in quanto nessuno a Padova od altrove ricordava un prigioniero con quei connotati. Il Comando Divisione ritenne perciò necessario, in presenza di tali e tanti gravi fatti e sospetti, del comportamento assenteista di Mirko rispetto alla Lotta dalla tarda estate 1944 in poi ed anche in riferimento alla certezza del grave episodio da parte di Mirko di appropriazione del Magazzino Viveri, di chiarire una volta per tutte la situazione e gli scrisse un biglietto intimandogli di presentarsi per rispondere ad una seria inchiesta ed offrire le sue giustificazioni a chiarimento delle troppe incognite esistenti.

Il biglietto di contestazione e convocazione del Comando Brigata gli fu personalmente recapitato dallo stesso Nitro ma Mirko rifiutò di rispondere e di presentarsi barricandosi in alta montagna assieme alla Katia, rifiutando ogni altro contatto e precisando che avrebbe risposto col fuoco contro chi si fosse presentato ancora con tali richieste.

Infine allorché il Comando mandò da lui due compagni (Tito e Basetta) incaricati di prelevarlo portandolo con la forza al Comando stesso per una pubblica inchiesta, volesse o non volesse, Mirko e Katia li accolsero imbracciando contro di loro le armi per sparare.
Ciò costrinse i due garibaldini a sparare per primi e Mirko e Katia caddero fulminati.

A seguito di tutto ciò il Comando approfondì poi l'inchiesta in parte già espletata, attraverso la quale già erano stati acquisiti tanti clementi di colpevolezza per codardia verso il nemico e per appropriazione di beni di proprietà della formazioni.
Dal seguito delle indagini risultarono elementi ancora più gravi perché gli informatori di Padova riferirono che non risultava assolutamente che Mirko prima dell’8 Settembre 1945 fosse stato prigioniero di guerra in quell’ospedale e che ivi invece erano stati ricoverati alcuni ufficiali “cetnici” appartenenti cioè ai reparti slavo-collaborazionisti di Mihailovich, i feroci avversari dell'esercito di Tito ricordati nella storia come efferati massacratori di intere popolazioni iugoslave ed aperti collaboratori dei nazisti.
Questa situazione, a livello di ragionevole ipotesi, soprattutto l'inspiegabile costante rifiuto di Mirko ad avere qualsiasi contatto con i compagni iugoslavi del IX Corpus ed a rivelare qualsiasi indizio sulla sua famiglia a Lubiana, costituirono una ragionevole ipotesi o meglio ancora una "quasi certezza" in ordine al fatto che con tutta probabilità ci si trovava in presenza di un individuo altamente sospetto rispetto alla sua origine ed ai suoi veri intenti e comunque sicuramente colpevole quanto meno di gravi abusi sui beni del Comando Brigata con grave pericolo per la sicurezza delle formazioni.

La logica concatenazione di tutte le incognite e dei fatti sopra descritti ha portato e porta oggi ad ipotizzare, sia pure non con certezza, che Mirko possa essere stato un cetnico infiltrato nel nostro movimento, quale elemento provocatore e che null’altro perciò potesse fare il Coando Brigata se non agire in questo modo nei confronti di un elemento così sospetto e potenzialmente pericoloso nei momenti tragici del terribile inverno 1944-45.

Mirko e Katia così morirono, non dopo ed in conseguenza di una condanna del Comando Brigata, ma per sottrarsi ad essa.

Su quella che avrebbe potuto essere la decisione del Comando Brigata ove Mirko si fosse presentato per rispondere agli addebiti formulati a suo carico, personalmente non posso dubitare considerando il pervicace rifiuto ed anzi l'impossibilità di Mirko a rispondere sui tanti interrogativi fugando i troppi elementi a suo carico.
È onestà peraltro dire che, come ho letto in un libro, anche nelle decisioni formalmente ed apparentemente più giuste di qualsiasi giudice si annida sempre la possibilità dell’errore in buona fede o l'ipotesi, sempre in buona tede, di diverse interpretazione dei fatti e di diversa decisione rispetto all'attesa talvolta generale.
Ma quale Tribunale di Guerra in presenza di tanti e cosi gravi elementi di colpevolezza di Mirko e del suo rifiuto persistente a presentarsi a discolparsi avrebbe potuto giungere ad un diverso giudizio che non fosse quello della colpevolezza e della irrogazione della massima pena ?
Quel giudizio che avrebbe fatto definitiva luce impedendo le speculazioni politiche del poi imbastite dai nemici della Resistenza, invece purtroppo mancò per gli indicati motivi ma non vi è dubbio che nei confronti di Mirko la giustizia partigiana ebbe un comportamento assolutamente giusto ed in perfetta buona fede.

Né avrebbe potuto difterentemente comportarsi in quei momenti terribili se non venendo meno a imprescindibili doveri di difesa delle formazioni dovendosi ricordare che quelli erano momenti in cui anche per un minimo sospetto e non per un cumulo di colpe od ipotesi di colpa o comunque di certi gravi pericoli. come per Mirko, si sarebbe resa giustificabile l'eliminazione fisica di qualsiasi cosa che potesse ledere ulteriormente la già compromessa sicurezza dei pochi compagni sopravvissuti in armi in alta montagna in quel duro inverno.

Non cosi invece, a mio parere, il giudizio del Comando Brigata avrebbe potuto essere, sempre in ipotesi, verso Katia, se essa non si fosse resa colpevole della massima delle colpe e cioè di imbracciare l’arma contro i suoi compagni costringendoli a sparare, perché essa era stata nei primi tempi una buona compagna garibaldina che solo successivamente era stata traviata dall'amore per un uomo sicuramente interessante com'era Mirko, dotato del magnetico ed inafferrabile fascino slavo, al punto da indurla a tutto dimenticare.
Il suo finale comportamento fu sicuramente ed estremamente colpevole ed a null'altro avrebbe potuto portare ma ove così non fosse avvenuto, a mio personalissimo avviso, se giudicata per il solo suo passato, essa non sarebbe stata meritevole di perdere la sua giovane vita altrimenti improntata a nobili ideali ed a buoni precedenti comportamenti rispetto alla lotta in corso.

Fu un episodio estremamente sofferto da tutti, che fu a lungo taciuto nei suoi reali aspetti, che ora a mio parere si può e si deve rivelare nei suoi esatti connotati anche per sfatare inutili leggende popolari ed inammissibili speculazioni su un individuo del genere.
Va ribadito peraltro con fermezza che nonostante quanto sopra il Btg. Friuli del quale Mirko era comandante, sia prima che dopo questi fatti, dapprima per merito di tanti suoi uomini e comandanti in sottordine che erano tutti di grande valore, poi al comando di Nitro fece autentiche meraviglie di coraggio e di audacia primeggiando alla testa delle nostre formazioni.

Quanto rivelato, credo per la prima volta, conferma inoltre la massima fermezza con la quale i nostri comandi sono sempre intervenuti per tutelare la disciplina, l’ordine, la sicurezza e la morale dei reparti e dei singoli combattenti, allorché qualsiasi necessità del genere si fosse evidenziata.