Parliamo
con uno dei pochi vecchi comandanti garibaldini sopravvissuti, Giancarlo
Franceschinis "Checo": è una voce politica che rappresenta una parte della Resistenza che restituì al nostro paese
il diritto di annoverarsi tra i paesi civili e democratici, ma riteniamo
sia molto utile che anch'essa venga conosciuta: non solo perchè
era l'asse portante maggioritario di quelle formazioni, ma anche per la
quantità di notizie date sulla lotta partigiana in Carnia, nonchè
per la particolarità dei sentimenti espressi, sia pure in tono
molto vivace.
Quale è la tua origine e la tua formazione?
Sono nato a San Daniele del Friuli il 16/8/1925 da un'antica famiglia
in pratica tutta di avvocati e magistrati.
Mio nonno paterno ha combattuto con Garibaldi nel 1866 a Bezzecca ed è
stato poi Presidente della Corte d'Appello di Venezia. Mio padre era socialista
ed ha sempre fatto l'avvocato.
Anche nella mia famiglia materna c'è stato un mio bisnonno ufficiale
dei Mille con Garibaldi e mio nonno socialista.
Da parte mia ho fatto l'avvocato a Milano per 55 anni, specializzato nelle
controversie del lavoro ed ho sempre difeso soltanto i lavoratori, ovviamente
conseguendo modesti guadagni: ma sono sopravvissuto ed ho l'orgoglio di
dire che anche i miei due figli avvocati hanno seguito le mie orme e faranno
meglio di me perchè li giudico assai più bravi.
Da giovane sei
stato fascista ?
Sì, se ciò vuoI dire essere stato inquadrato d'autorità
sin da bambino, come tutti gli scolari, negli allora Balilla e poi negli
Avanguardisti: ma preciso che appena fui poco più avanti, ho sempre
avuto insofferenza e rapporti conflittuali con quel mondo, sino a che,
verso i miei 14 anni, con un espediente medico ed una mia finta malattia,
mio padre è riuscito a farmi definitivamente esonerare da quelle
odiate presenze obbligatorie.
Comunque è chiaro che noi ragazzi ancora impuberi non potevamo
renderci conto di ciò che era esattamente un regime totalitario
come il fascismo.
Quando e come hai maturato convinzioni diverse?
É stato ad iniziare dai 16-17 anni che, frequentando il Ginnasio
e poi il Liceo Classico Jacopo Stellini a Udine ed anche attraverso
gli insegnamenti scolastici ed extrascolastici, in sede di incontri e
discussioni amichevoli, da ottimi docenti ed amici, ho potuto fortunatamente
raccogliere un mondo di conoscenze e di idee diverse.
Ricordo che ero uno studente assai particolare, per non dire pessimo secondo
i canoni ufficiali: studiavo assai poco per dedicarmi invece a tante altre
letture che mi interessavano maggiormente ed all'insaputa dei miei genitori
bigiavo spesso le mie presenze scolastiche per frequentare con gioia la
Biblioteca Comunale Joppi.
Là per giornate intere studiavo un po' di tutto, soprattutto politica
e storia, partendo dalla Rivoluzione Francese in poi, ma anche letteratura
italiana e friulana, libri d'arte, persino giornali prefascisti e manifesti
politici e di pensiero ancora anteriori, astronomia, spiritismo, araldica
e tante altre cose strane, il che in quei due-tre anni non solo è
servito per gonfiarmi la mente di tante conoscenze, che purtroppo oggi
ad 80 anni stanno sfuggendomi pian piano tra le dita come sabbia al vento,
ma anche di convinzioni politiche assolutamente contrastanti con quelle
del regime fascista allora imperante.
Con quegli interessi e comunanze di idee, ero divenuto anche intimo amico
di vari personaggi di ottimo calibro culturale, tutti di una sfera di
concezioni diverse da quelle ufficiali del fascismo.
Dopo circa tre anni di quella vita e di quegli insegnamenti finii per
ritrovarmi come un convinto socialista, anzi un comunista internazionalista,
sia pure ancora con una cultura politica frazionata e sicuramente incompleta,
ma tale già da consentirmi di avere idee assai precise. Ero divenuto
anche un laico, un agnostico ed un positivista convinto, comunque in possesso
di una gamma culturale forse notevolmente più vasta ed in ogni
caso diversa rispetto a quella dei miei coetanei di allora.
Fu alla fine di quei miei 18 anni o forse 19, nel 1943, che ebbi anche
la ventura di entrare in contatto ed iniziai a collaborare con due vecchi
comunisti carnici, entrambi di Prato Carnico, appena liberati dalle carceri
fasciste alla caduta del regime e cioè con Aldo Fabian
e con Italo Cristofoli, che ebbe poi il nome di battaglia
di Aso e che nel luglio del successivo 1944 sarebbe caduto eroicamente
ad un metro da me nel furioso combattimento contro i nazisti a Sappada.
Cosa è successo poi con l'8 settembre 1943?
Voglio dire anzitutto che nel frattempo avevo conseguito la maturità
classica e mi ero iscritto a Giurisprudenza a Padova, senza peraltro frequentare
le lezioni e fare esami a causa della situazione generale del paese che
era allo sfascio per la guerra che stava perdendo.
Con l'8 settembre 1943, poi, dilagarono i tedeschi a casa nostra e la
monarchia fascista anche in quel drammatico momento diede nuova miserevole
prova di sè.
Da un paio di mesi già facevo attività antifascista con
i compagni Fabian e Cristofoli che venivano a Udine per due-tre giorni
ogni settimana.
Anche per la mia famiglia, come per la stragrande maggioranza nel paese,
quelli erano tempi di vacche assai magre e di difficoltà d'ogni
genere che aumentavano sempre più: oltretutto bisognava stare ben
attenti a ciò che si faceva e diceva perchè con tante spie
fasciste in giro c'era il rischio di finire assai male, e cioè
con i tedeschi in casa, contro un muro o quantomeno nei campi nazisti
di sterminio.
Il mio passaggio alla lotta armata contro i nazifascisti fu immediato
e naturale, date quelle mie ormai radicate convinzioni politiche, perchè
dopo l'8 settembre 1943 la nostra attività antifascista clandestina
si trasformò immediatamente e come un fatto naturale in lotta armata.
Aso ed io giravamo armati in città ed ovunque: con quelle sole
prime due pistole ci dedicammo alla raccolta di armi, vestiario militare
e di ogni altra cosa utile che trasferivamo poi in Carnia con i camion
della ditta Cimenti della Patuscera che collaborava con noi, per preparare
l'uscita in montagna delle nostre formazioni. I primi due mitra li procurai
io: Aso morì imbracciando uno di essi, che poi venne fatto suo
per qualche altro mese dal commissario Nembo e che quando anche lui cadde
in combattimento fu definitivamente preso dai cosacchi nazisti che avevano
interamente occupato e devastato la Carnia.
Avevo anche costituito una mia piccola rete per la raccolta di informazioni
che fu assai utile in vari casi, consentendo, ad esempio, di avvertire
in tempo e far fuggire varie persone che dovevano essere arrestate, grazie
alla preziosa attività del prof. Ivo Forni, rimasto mio amico fraterno,
che si era arruolato nella Milizia repubblichina, ma svolgeva attività
clandestina per noi ed alla fine nell'inverno 1944 fu scoperto dai nazisti
e morì bruciato vivo nei forni crematori di Mauthausen.
Questa fase d'inizio durò qualche mese e fu assai difficile, con
rischi notevoli, perchè allora i tedeschi fucilavano subito chi
veniva trovato in possesso di armi, ma ci andò sempre bene e tengo
a dire che anche quei mesi di attività armata in città mi
vennero poi riconosciuti dall'Esercito Italiano nel dopoguerra come servizio
quale combattente partigiano con il grado di sottotenente e poi di tenente.
A metà aprile 1944, in seguito ad una spiacevole avventura capitatami
quando venni arrestato dai tedeschi e da loro lungamente interrogato ma
fortunosamente non riconosciuto e perciò rilasciato, compresi di
essere bruciato in città, anche perchè non avevo risposto
alla chiamata alle armi dei Repubblichini e quindi ero un loro disertore;
cosicchè mi trasferii dapprima a S. Daniele onde far perdere le
mie tracce e dopo due-tre giorni definitivamente in Carnia a combattere
nelle nostre formazioni garibaldine appena uscite in armi sui nostri bei
monti.
Raccontaci qualche tua esperienza come combattente garibaldino.
Quello iniziale fu un periodo estremamente duro, di infinite fatiche,
fame, pidocchi e sofferenze d'ogni genere, a parte i grandissimi rischi
personali che correvo giornalmente nei continui combattimenti quale semplice
garibaldino nel battaglione Friuli della Brigata Garibaldi Carnia, agli
ordini del Comandante slavo Mirko: egli allora era sì un buon combattente,
tuttavia era spietato e feroce non solo nella lotta e con la gente, ma
anche nei confronti di noi combattenti, e che finì ucciso nell'inverno
successivo per ordine dello stesso Comando Brigata.
Feci combattimenti ed azioni spericolate anche personali, persino in pianura
ove venni inviato in due occasioni, sempre in condizioni di estremo rischio
e posso dire che mi considero vivo per vero miracolo.
Ricordo il riuscito attentato che facemmo Saetta - Aldo Rambaldini ed
io al ponte della Vinadia di Villa Santina: con una mina interrata durante
la notte nella strada statale riuscimmo in un colpo a distruggere un camion
a rimorchio nazista con il suo carico d'armi e di materiali e ad uccidere
16 loro soldati che vidi volare in alto sfracellati almeno per una ventina
di metri prima di ricadere a terra, più altri che morirono poi
nei loro ospedali; ed anche in quell'occasione fui ad un soffio dal perdere
la vita per la feroce reazione a fuoco dei nazisti, mentre mi trovavo
in una posizione scoperta senza potermi allontanare.
Per quell'azione Saetta nel dopoguerra ebbe poi meritatamente la Medaglia
d'Argento al V.M.: io nulla, perchè evidentemente ero troppo politicizzato
e quindi non gradito a certi ambienti superiori.
D'altronde tutta la mia vita partigiana svoltasi poi anche con altri reparti
garibaldini ed in altri luoghi si è compendiata in un tremendo
e continuo rischio che ho sempre corso coscientemente, anche poi alla
testa dei reparti che ebbi a comandare. Era come fossi ebbro per la libertà
e per la nostra causa, sempre il primo ad offrirmi in azione e nei combattimenti
per quanto arrischiati, dato che ero spinto da convinzioni politiche chiare
e radicate che mi imponevano di non fermarmi, qualsiasi fosse il prezzo
da pagare.
Il tuo compagno Furore -
Elio Martinis - ci ha detto che eri il suo Commissario: ci puoi dare qualche
maggiore notizia, anche sui rapporti che avevi con lui?
Dopo aver combattuto quale garibaldino semplice nel btg. Friuli, ho avuto
la fortuna di incontrare ed entrare nel piccolo reparto di Aso, cioè
di Italo Cristofoli, che era il Comandante di un Distaccamento del btg.
Garibaldi Carnia.
Con Aso c'era quale Commissario Nembo - Augusto Nassivera di Forni di
Sotto, anche lui vecchio confinato politico dotato di grandissimo coraggio,
come dimostrò morendo in battaglia nell'inverno successivo - ed
essi, sapendo ciò che avevo fatto con Mirko, subito mi nominarono
vice-commissario del loro piccolo battaglione.
Con quel primo grado ho partecipato anche al furioso combattimento che
abbiamo sostenuto a Sappada il 26/7/1944 quando abbiamo attaccato in difficili
condizioni la Caserma della Feldgendarmerie nazista.
Avevamo appostato i nostri compagni tutto attorno alla villa ed essi avrebbero
dovuto attaccare solo quando Aso ed io fossimo riusciti a sfondare la
porta d'ingresso della casermetta e ad entrare sparando.
Aso era a meno di un metro più avanti di me quando noi due ci lanciammo
all'attacco della porta d'ingresso della casermetta ed è morto
all'istante sulla soglia, falciato in petto da una intera scarica di Schmeisser
pistolmachine sparatagli dall'interno della villa, mentre il caso
ha voluto che io invece non ne prendessi una, restando ancora una volta
salvo per vera fortuna.
Poi col reparto abbiamo attaccato ed abbiamo continuato a combattere allo
spasimo sino a che i tedeschi si sono arresi quando di munizioni ce ne
erano rimaste pochissime: sono stato io stesso a dare a Fabian, che poi
lo ha pubblicato integralmente nel suo libro autobiografico, il resoconto
dettagliato di quella dura battaglia.
In considerazione di quel fatto e di tutti i precedenti miei comportamenti,
due giorni dopo sono stato nominato da Gracco e da Marco del Comando Brigata,
quale Commissario del nuovo Btg. Leone, onde affiancassi quale pari grado
il Comandante che era Furore - Elio Martinis.
Anche là in Val But, Furore ed io abbiamo sostenuto tanti duri
combattimenti, fraternamente alla testa di quell'eroico battaglione che
era addestratissimo e fatto da uomini di estrema fede e coraggio, sino
a che noi garibaldini dei battaglioni Leone e Carnico di Grifo e Barba
Toni finimmo per liberare quella vallata tenendo rinserrati ed assediati
i tedeschi nella sola città di Tolmezzo dalla quale facevano giornalmente
sortite per attaccarci e se possibile per dilagare nella Zona Libera che
nel frattempo avevamo costituito.
Ricordo tra quei nostri bravi combattenti il compagno Tempesta - Emilio
D'Agaro, di Ludaria, che prima di essere con noi, era stato allo stretto
fianco di Aulo Magrini quando cadde nel duro scontro
al Ponte di Nojaris.
I nazisti in due dei più duri attacchi contro il nostro battaglione
hanno anche bombardato a lungo il paese di Casanova che difendevamo, indirizzandoci con 4 cannoni almeno 100 proiettili incendiari
ed esplosivi che ci provocarono 3 morti ed una trentina di feriti tra i miei garibaldini e la gente del paese,
oltre al notevole danneggiamento dell'abitato.
Quello fu un combattimento feroce che la storiografia postresistenziale
non ha poi minimamente ricordato, ma fu invece l'unico caso in Carnia
durante l'intera lotta in cui il nemico ricorse anche al bombardamento
indiscriminato di un paese infischiandosi della gente che c'era dentro
e poi attaccando in massa anche con carri armati, ma venendo respinto
dai nostri bravissimi combattenti.
In quell'occasione dovetti anche requisire un intero albergo di Arta per
ricoverarvi e far curare dai medici che subito si erano posti a disposizione,
i tanti feriti tra i quali molti bambini.
Sempre ed ovunque ebbi ad operare in quegli anni di guerra, ho avuto rapporti
di estrema fiducia e fraternità con i miei garibaldini ed anche
con la gente dei luoghi, mai guastati dal benchè minimo malinteso,
tanto che con quei pochi sopravvissuti li conservo tutt'ora: ma occorre
considerare attentamente che quel nostro sodalizio in tempi così
difficili era esaltante per noi volontari della libertà, tutti
fratelli, senza aver mai percepito una lira o qualsivoglia altro compenso,
anzi pronti a spendere la nostra vita per quegli altissimi ideali.
Circa i miei rapporti con Furore posso dire che assieme a lui ho sempre
esercitato le funzioni di comando ed anche tutti i normali rapporti interpersonali,
in perfetta armonia e consonanza di intenti ed azioni, integrandoci alla
perfezione con i nostri difetti e virtù, tant'è che siamo
sempre rimasti, anche successivamente, in ottimi rapporti di amicizia
e fraternità che durano tutt'oggi.
Furore ed io eravamo, come siamo ancor oggi, diversissimi in mille cose,
lui generoso ed estremamente altruista, persino troppo per me in certi
casi quando c'erano delle gravi mancanze da reprimere oppure dei fascisti
o delle spie da giudicare.
lo invece ero l'elemento politicizzato di quel comando. Perciò
mi sentivo in dovere di essere almeno io più severo di lui, anche
se confesso che cercavo di esserlo il meno possibile: tanto per fare un
esempio dico che, quando c'era una spia nazista per la quale prevedevo
che la sentenza sarebbe stata, assai probabilmente, quella della fucilazione,
esperivo tutti gli occorrenti interrogatori ed indagini facendoli anche
firmare dagli accusatori, ma poi non irrogavo la pena come sarebbe stato
mio obbligo, ma con un qualsiasi pretesto o quesito che inventavo, trasmettevo
l'intero incartamento con gli interrogatori, la mia relazione ed ogni
altra cosa al Comando Brigata chiedendo istruzioni: cosicchè poi
erano sempre il Commissario Gracco della Brigata od il suo Capo di Stato
Maggiore che mi rispondevano ordinandomi cosa dovevo fare nel caso.
Furore è sempre stato ed è veramente ancor oggi a 82 anni
una magnifica persona in tutti i sensi, per umanità, bontà,
generosità e coraggio ed ora anche per doti non comuni di eccezionale
intelligenza e sensibilità artistica, quale poeta, pittore, scultore
ed anche profondo conoscitore della paleontologia, conservando nel contempo
una modestia davvero rara, della quale purtroppo accade che talora qualche
furbo o profittatore ne tragga ingiusto vantaggio.
É veramente inaudito che il nostro paese nato dalla Resistenza
e sui suoi principi, quantomeno nominalmente, abbia dimenticato questi
indiscussi eroi ai quali non solo non si è attribuita qualsivoglia
medaglia o riconoscimento, una croce, un cavalierato, che so io, magari
una semplice stretta di mano, o magari anche un'affettuosa pedata ma sincera,
fraterna ed a nome del popolo italiano, ma tante volte addirittura li
si è perseguitati.
Termino dicendo che, specie nel primo periodo resistenziale, quella non
fu una guerra di popolo: lo divenne solo dopo, in seguito alle nostre
vittorie ed alla formazione della Zona Libera. All'inizio eravamo pochissimi,
male armati ed affamati, raminghi per boschi e valli in disumane condizioni
sotto ogni aspetto logistico per sottrarci a continui e feroci rastrellamenti
nazisti. La gente in quei mesi non sempre ci apriva la porta per darci
una fetta di polenta od altri aiuti per noi indispensabili: fu dopo che
compresero che noi eravamo i loro figli, che lottavamo e morivamo per
loro, quali ideali ci muovevano; ed allora, salvo eccezioni, ci offrì
massimo appoggio e collaborazione che non venne più meno, anche
aiutandoci nell'attività di segnalazione e cattura delle spie fasciste.
Quali altre attività partigiane hai svolto in quel periodo?
Mentre stavo accanitamente combattendo con Furore alla testa del nostro
btg. Leone a Casanova di Terzo, a fine settembre 1944 sono stato improvvisamente
trasferito a Tramonti per ordine del Raggruppamento Div. Garibaldi con
il grado di Commissario di Brigata e là ho preso immediato possesso
della funzione di vice-responsabile del S.I.S., quale stretto collaboratore
e vice responsabile del titolare che era Stanius, alla testa del Servizio
Informazioni e Sicurezza dell'intero Raggruppamento.
Ho svolto a Tramonti quell'incarico assai delicato ed altre incombenze
che mi vennero comandate, per circa un mese e mezzo, poi è sopravvenuto
l'attacco finale dei nazisti a quel residuo di Zona Libera ed allora,
in previsione dello sfascio, Ninci ed Andrea, responsabili del Raggruppamento,
hanno deciso di trasferire il S.I.S. in pianura ove intanto hanno inviato
Stanius.
Sono rimasto a Tramonti ancora per qualche altro giorno, poi improvvisamente
hanno ordinato anche a me di raggiungere Stanius in pianura, cosa che
ho fatto all'istante, abituato com'ero non solo al comando degli uomini,
ma anche personalmente ad obbedire agli ordini senza il minimo indugio.
In pianura Stanius ed io abbiamo riorganizzato quel servizio su tutt'altre
basi: io ho avuto in assegnazione l'intera zona da Udine in su, esclusa
la vera e propria Carnia superiore. Stanius ha invece gestito tutto il
resto del Friuli, oltre ad avere tutti i contatti con una trasmittente
alleata che li trasferiva ai loro Comandi nel sud del paese.
In quei lunghi mesi dell'inverno 1944-45 me ne sono capitate veramente
tante di avventure incredibili e di estremo rischio personale, che qui
sarebbe troppo lungo raccontare, ma mi è andata sempre bene, anche
per il sangue freddo che ho sempre avuto.
Anche Stanius, che era il responsabile del nostro Servizio, era un uomo
di ferro, un coraggioso, un vecchio comunista già confinato politico,
ed anche con lui ho sempre avuto rapporti di grande fraternità
e fiducia, sia durante la lotta, che poi nel dopoguerra in una comune
avventura politica che qui è inutile raccontare.
Ai primi di aprile 1945, mi è stato ordinato da Ninci di abbandonare
l'attività per il S.I.S. e di assumere invece immediatamente la
responsabilità di riorganizzare una brigata garibaldina di pianura,
che esisteva in pratica solo sulla carta e non aveva mai fatto azioni,
e cioè la Brigata S. Pellico di stanza a S. Daniele con 3 battaglioni
a S. Daniele, Maiano e Fagagna.
La necessità di riorganizzare e portare al combattimento quella
Brigata era preminente ed urgentissima perchè la zona di S. Daniele
si trovava sul percorso principale che le armate naziste sconfitte avrebbero
fatto dopo solo quattro settimane per defluire verso l'Austria ed occorreva
quindi difendere quei paesi.
Sono stato perciò nominato Commissario di quella Brigata con la
quale ho poi operato, per tutto quello che ho potuto, sino alla fine della
guerra, prima per armarla ed addestrarla in qualche modo e poi portandola
in alcuni modesti combattimenti per la liberazione dei paesi dai presidi
nemici, nonchè per la loro successiva difesa.
Ho tenuto quel comando sino al 10 maggio 1945 quando, a Liberazione avvenuta,
come al solito su due piedi e nel giro di un'ora, sono stato trasferito
a Udine quale Commissario di P.S. e Capo di Gabinetto della Questura di
Udine, della quale era divenuto Questore Ninci.
Ma il resto non interessa più l'oggetto di questa intervista e
perciò qui mi fermo, anche se le avventure politiche per me sono
continuate dolorosamente per altri due anni.
Vogliamo farti ancora qualche domanda sul periodo combattuto in Carnia:
quali erano i rapporti tra voi garibaldini e gli osovani?
É un argomento molto delicato sul quale risponderò nei limiti
del possibile, anche toccando argomenti e situazioni delicate che credo
pochi abbiano osato affrontare in questi 60 anni, anche per non incrinare
quella falsa rappresentazione della allora dichiarata quasi totale unitarietà
di intenti tra le forze resistenziali, compendiata dai C.L.N., che ha
fatto poi da piedestallo e base anche della nostra attuale democrazia
borghese di netta osservanza cattolica, indirizzandone sulla stessa base
del compromesso anche la funzione informativa della pubblica opinione.
Immagino che molto probabilmente, per quanto ti dirò, verrò
poi duramente contestato dai soliti benpensanti dediti al perpetuo compromesso,
ma questo non mi fermerà nell'esporti il mio pensiero, perchè
è la pura verità storica.
Credo che già ti sia noto che le prime formazioni della Osoppo,
col fazzoletto verde al collo, si sono affacciate sulla scena politico-militare
carnica qualche mese dopo che l'attività resistenziale della Garibaldi
era già iniziata sul terreno.
Inizialmente in Carnia nel maggio-giugno 1944 si sono contati soltanto
due gruppi, ciascuno di tre-quattro persone col fazzoletto verde, comandati
da Renato Del Din e Barbe Livio.
Ucciso Del Din a Tolmezzo in un'azione puramente dimostrativa, è
rimasto il solo Barbe Livio con i suoi uomini e con essi si è stanziato
nella zona di Buttea, di Lauco e di Vinaio.
Personalmente l'ho conosciuto verso metà o fine maggio 1944 ed
ho avuto immediati buoni rapporti di stima ed amicizia con lui, perchè
avevo subito compreso non solo che era un uomo leale e generoso, ma anche
che era di sentimenti socialisti.
Barbe Livio è stato un eroico personaggio della Resistenza e la
sua morte gloriosa lo conferma, massacrato com'è stato dai cosacchi
ai quali, nel giorni della Liberazione, si era presentato generosamente
con la bandiera bianca per indurli ad una resa indolore.
Questo mio personale ricordo non deve però sviarti perchè,
rispondendo alla specifica domanda che mi hai fatto, ti dico subito che
per il resto i rapporti tra noi garibaldini e gli osovani erano senz'altro
non buoni.
In sostanza unanimemente i garibaldini carnici, a mio parere del tutto
fondatamente, li accusavano di tre gravi cose: il primo motivo è
che a noi garibaldini gli Alleati avevano aviolanciato un modestissimo
quantitativo di armi e, ancor peggio munizioni bastevoli sì e no
per un solo giorno di fuoco, mentre agli osovani avevano invece fornito
in più lanci forti quantitativi di migliori armi e più abbondanti
munizioni.
Ma quel che era peggio per noi garibaldini era costituito dal fatto che
gli osovani di queste buone armi se ne servivano assai poco, in quanto
in Carnia erano ovunque stanziati nelle retrovie delle nostre prime linee
di combattimento ed in luoghi più sopraelevati, e le usavano solo
per l'eventuale loro difesa estrema da qualche attacco nemico o per qualche
piccolo ed occasionale sabotaggio o prelevamento: si comprenderà
come questo fosse un amarissimo calice da far bere ai nostri garibaldini
che invece combattevamo giornalmente e duramente in prima linea per costituire
la Zona Libera nonostante fossero scarsissimi di armi e munizioni.
Al riguardo ritengo che questa situazione fosse patita dagli stessi osovani
di base, che erano sicuramente dei valorosi, e fosse assai probabilmente
imposta quantomeno in Carnia dai loro Comandi superiori onde non si impegnassero
in forti attacchi contro il nemico, allo scopo dichiarato di preservare
i paesi da rappresaglie naziste; ma per me ed altri, invece, la vera ragione
sembrava risiedere in impegni stipulati in alto loco con i nazifascisti
onde condurre all'insaputa nostra una guerra, diciamo così, di
rispetto e comodo per entrambi.
Questa situazione logicamente per noi garibaldini era semplicemente assurda
perchè, fitta com'era la Carnia di paesi ed abitati sparsi, in
quel modo si negava addirittura la più naturale delle funzioni
per le quali era nata la Resistenza, fatta propria anche dal C.L.N., che
era quella di combattere ovunque e comunque contro i
nazifascisti, costasse quel che doveva costare e senza compromessi di
sorta, sino alla loro sconfitta.
Questa supposizione è anche sorretta da qualche sia pure debole
prova, ma è difficile che possa essere contestata in tutto, perchè
in sostanza tutti i duri combattimenti portati contro i nazifascisti su
più fronti della Carnia per la costituzione della Zona Libera sicuramente
furono opera del sangue di noi garibaldini e così pure la sua difesa
dall'attacco finale di mesi dopo, salvo un lodevole ed individuale concorso
offertoci da un piccolo reparto osovano in VaI But.
A mia memoria non c'è in tutta la Carnia un solo forte e duro attacco
di reparti osovani contro i nazifascisti e le loro linee nè per
la costituzione della Zona Libera nè poi per la sua difesa, salvo
quell'unico caso che ho ricordato.
Ricordo assai bene il furore dei miei garibaldini che contavano tra le
loro mani in combattimento i pochi proiettili che erano loro rimasti,
come era avvenuto anche a me e compagni nel ricordato combattimento di
Sappada e poi tante altre volte successivamente; o che magari non potevano
affrontare il nemico perchè erano rimasti privi di colpi, sapendo
che invece gli osovani un chilometro più in alto e nel retroterra
erano inattivi od al massimo occupati in piccole azioni di disturbo, nonostante
fossero dotati di splendide armi e munizioni.
Ti rivelo al proposito anche un fatto riservato che probabilmente nessuno
sino ad oggi ha detto, ma che ora a 60 anni di distanza non c'è
più ragione per sottacere: ci fu più di un caso in cui addirittura
gli uomini di qualche piccolo reparto garibaldino, e ciò avvenne
anche nel mio battaglione, erano così inferociti per tale ragione
che ci sono stati tra loro conciliaboli onde andare a disarmare quegli
armatissimi ma inattivi guerrieri osovani ed impadronirsi delle loro armi.
Per fortuna noi responsabili ne siamo venuti subito a conoscenza ed abbiamo
fermato in tempo quei compagni giustamente esacerbati, onde evitare di
far nascere una frattura che allora sarebbe stata gravissima nella Resistenza.
Il secondo motivo è che gli osovani non solo combattevano in quel
modo del tutto anomalo contro i nazifascisti, limitandosi a fare qualche
piccola azione di sabotaggio o sparando qualche colpo se erano attaccati
onde potersi dileguare, ma anche, nelle zone che nel frattempo avevamo
liberato, si ponevano sempre su posizioni fortemente contestative rispetto
a qualsiasi iniziativa politica o militare di noi garibaldini e persino
anche a quelle che concernevano l'amministrazione della zona liberata.
Ciò è avvenuto ad esempio anche per la costituzione della
Zona Libera che gli osovani dapprima ed a lungo non hanno appoggiato,
salvo poi, quando è stata costituita con il sangue di noi garibaldini,
entrare nella Giunta di Governo di Ampezzo con il loro rappresentante
Romano Marchetti ed anche poi, durante l'inverno 44-45 negando pervicacemente
il loro consenso per la costituzione di un Comando Unico Garibaldi-Osoppo.
La terza ragione poi è la più grave, ma sento oggi il dovere
di esplicitarla con chiarezza prima che anch'io scompaia, e non ho alcun
timore di essere smentito, perchè queste cose un po' alla volta
ed a piccole dosi sono divenute di pubblica ragione, attraverso cronache
giudiziarie ed anche dichiarazioni specifiche documentate ed acquisite,
che nessuno ha potuto smentire, ma che la storiografia ufficiale della
Resistenza ha poi sempre cercato di tenere in ombra quanto più
possibile.
In sostanza i garibaldini si dolevano e protestavano a buona ragione,
perchè troppo spesso i reparti della Osoppo, oltre a restare in
seconda linea del nostro fronte di combattimento, in quelle poche volte
che decidevano di prendere posizione assieme a reparti garibaldini per
far fronte ad un attacco nazifascista, poi abbandonavano le loro posizioni
senza impegnarsi e senza avvertire noi dei reparti vicini, che più
volte abbiamo rischiato di venire accerchiati ed essere distrutti dai
nazifascisti avanzanti e perfettamente informati.
Non so se ci fossero o meno intenzionalità precise da parte loro,
comunque il fatto si è ripetuto alcune volte, cosa questa che dà
fortemente da pensare: immaginarsi poi quel che poteva provare un combattente
come noi, scoprendo che i nazifascisti a un certo momento dello scontro
lo potevano accerchiare e distruggere.
Di queste situazioni per noi estremamente pericolose ci sono alcune parziali
conferme documentali, tutte di quei tempi, che nessuno ha mai potuto contestare,
come fu in occasione sia del combattimento di Verzegnis, che di quelli
di Villa Santina e della battaglia di Pani: ripeto, con documenti ineccepibili
di quei tempi, mai smentiti dagli stessi osovani, che io sappia, ed assolutamente
non sospetti.
Mi spiace dire questo, perchè gli uomini di base della Osoppo erano
invece in larga maggioranza ex alpini magari superstiti di feroci lotte
in Albania e Russia, e sicuramente erano dei valorosi.
Ma purtroppo è facile intuire che in Carnia durante la lotta partigiana,
se essi hanno dovuto comportarsi in quel modo, ciò può essere
stato solo perchè avevano queste disposizioni dai loro Comandi
superiori, ai quali con evidenza non interessava tanto la lotta resistenziale
nei suoi veri scopi ciellenistici, quanto il parteciparvi comunque, con
i minori sacrifici ed impegno possibili, in vista di un inserimento delle
destre che essi rappresentavano negli schemi di quello che sarebbe stato
il futuro istituto democratico a vittoria ottenuta.
Questa mia considerazione è avvalorata da una lodevole eccezione
rispetto a tale complessivo comportamento osovano, ed è quella
costituita dal ricordato episodio di compartecipazione di un loro reparto
a fianco dei garibaldini di Augusto, nel duro combattimento che sostennero
in VaI But quando l'8/10/1944 furono attaccati su linea successiva dai
soverchianti nazifascisti dell'Operazione Waldleufer: questi
osovani combatterono con valore al fianco dei garibaldini, ma fu un caso
isolato, che a mio parere suona a merito dell'iniziativa personale di
quell'ottimo comandante di reparto e dei suoi uomini e non comandato dalle
loro gerarchie superiori.
D'altronde a mio parere ciò traeva anche lontana origine dalle
radicali differenze ideologiche e dagli scopi che muovevano le due formazioni,
in riferimento ai quali quel movimento si era poi mosso nella lotta dopo
il "pronunziamento di Pielungo".
Esistono troppe prove documentali per poter essere suscettibili di smentita,
degli accordi o tentativi di accordo anche in sede vescovile, che era
la longa manus osovana, tra le gerarchie dell'Osoppo ed i nazifascisti
onde la loro guerra venisse contenuta quanto più possibile, assicurando
agli osovani la contropartita di un trattamento, diciamo preferenziale,
se non proprio apertamente collaborativo, ove fossero stati catturati.
Comunque, anche se le gerarchie osovane fossero oggi in grado di porre
postumamente in dubbio o di provare il contrario di tali documenti, personalmente
non vi crederei, perchè esistono due fatti che sono tali da rimuovere
ogni dubbio in proposito: uno è quello che ci sono documenti di
parte nazifascista che attestano come essi da tempo, a fronte di quell'accordo
ipotizzato, assicuravano agli osovani tale trattamento differenziato,
ovviamente e radicalmente opposto rispetto a quello che ricevevano i garibaldini
che venivano immediatamente fucilati; l'altro, che nei giorni della Liberazione
ed a guerra non ancora finita, sempre a fronte di quei precedenti accordi,
interi reparti in armi del Reggimento repubblichino Tagliamento, che fino
al giorno prima si erano distinti in feroci repressioni antipartigiane,
in centinaia di uomini anche con cannoni, misero al collo il fazzoletto
verde schierandosi fianco a fianco con gli osovani; ma non per combattere
contro i tedeschi, bensì, sulla nostra vicina frontiera, in funzione
antislava.
Ripeto che purtroppo la storia resistenziale del dopoguerra queste cose
non le ha evidenziate in alcun modo, perchè è stata fatta
dagli epigoni che non solo non l'hanno vissuta, ma che per di più
sono persone che mai hanno badato troppo alle verità storiche ed
agli obblighi di imparziale informazione pubblica, ma solo a non toccare
i generali compromessi tra destre e sinistre di comodo per la gestione
del nostro paese, a tutela soprattutto delle loro carriere personali,
come tutt'ora tanti continuano impunemente a fare.
Questa campagna dissacratoria antiresistenziale, o meglio antigaribaldina,
è oggi giunta al parossismo temendo di perdere una briciola di
potere, tanto che in Friuli in un anno sono usciti ben tre libri contro
la Resistenza rossa.
Ciò sarebbe nulla, comunque, se provenisse dai miei avversari politici
di sempre ai cui attacchi sono abituato: quel che mi duole al massimo
è che tali orientamenti a volte sono manifestati da certi personaggi
della cosiddetta sinistra di comodo, che quantomeno si muovono su percorsi
carrieristici ed ideologici totalmente diversi da quelli che invece noi
vecchi combattenti conserviamo in cuore.
Ci puoi spiegare in breve perchè solo oggi, a distanza di più
di 60 anni, rendi noti questi delicati risvolti della lotta resistenziale
e postresistenziale aggiungendovi motivi di critica, scontento e dissenso
anche troppo aspri ed affermando che essa non sarebbe stata unitaria,
come sempre ribadito dalla storiografia ufficiale, bensì frazionata
da condizionamenti, ideologie, metodi ed anche finalità profondamente
diversi?
Nel contempo ci puoi dire come vedi la situazione odierna?
La risposta non può essere breve, come chiedi, se si debbono chiarire,
sia pure sinteticamente, problemi e situazioni così vaste nei loro
aspetti.
In ogni caso dico subito che, se pochi o nessuno sino ad oggi ha voluto
o potuto esplicitare quanto ho ricordato ed osservato e quanto ti dovrò
ancora dire, sono arciconvinto che tantissimi di noi vecchi, che hanno
vissuto direttamente sulla loro pelle quelle esperienze assolutamente
fondanti ed anche tutte le successive delusioni rispetto alle loro aspettative,
sicuramente queste cose le avranno almeno pensate e meditate, ovunque
nel nostro paese ove si sia svolta l'attività resistenziale e sicuramente
credo ne abbiano tratto motivi di profondo dolore e delusione, pur dovendosi
rassegnare all'attuale situazione politica del paese.
Quanto poi al fatto che, in conseguenza di quanto ti ho detto, qualcuno
di parte avversa possa presentarsi a protestare e contestare, dico soltanto
che ben vengano queste contestazioni, perchè finalmente mi daranno
modo non solo di sotterrare quei contestatori fasulli sotto una valanga
di documenti e riferimenti storici a sostegno, ma anche e soprattutto
di rendere quei fatti ancor più di pubblica ragione.
Per il resto dico che quanto è avvenuto con certezza deriva dal
fatto che sin dall'inizio era chiaro ed intuibile che la Lotta Resistenziale
non poteva che essere condotta dalle varie sue componenti sociali se non
attraverso le plurime diversità che tu stesso hai evidenziato nella
domanda rivoltami.
Quando noi giovani appassionati e bisognosi dell'ossigeno della libertà
nel 1943 siamo usciti gradualmente dall'annientamento ideologico imposto
al popolo italiano dalla dittatura ed abbiamo abbracciato certe ideologie
facendoci determinate convinzioni, ed ancor più quando abbiamo
deciso di combattere in armi contro il fascismo ed il nazismo, il problema
che si è posto a tutti non è stato soltanto quello di abbattere
quelle ultime abominevoli e drammatiche convulsioni del nefasto regime
dittatoriale che stava per scomparire e che era stato la configurazione
peggiore della borghesia capitalistica.
A quel punto occorreva anche ed anzitutto chiarire con quali metodi doveva
essere condotta quella lotta feroce.
Se con metodi radicali, talvolta anche di elevati costi di vite e di mezzi,
fatti propri da sempre dai comunisti, metodi che peraltro sono i soli
che possono raggiungere lo scopo in minor tempo ed alla fine consentire
una più rapida ripresa.
Oppure se con metodi, più umanitari e non di effetto immediato,
del semplice dissenso democratico o del voto od al massimo del sabotaggio,
che hanno costi sociali minimi o nulli del tutto, senza ingaggiare battaglia
con il nemico onde non danneggiare in alcun modo la popolazione, cioè
con il metodo proposto e seguito dalla Osoppo in Friuli, che non incide
minimamente sulla durata e sull'esito della lotta che altri debbono condurre.
Al proposito non posso non ricordare che già nel '700, sia pure
in altre situazioni, Saint Just insegnava che le rivoluzioni fatte a metà
è meglio non farle, perchè sono immancabilmente perdute.
Poi, quel che era ancor più importante da chiarire, occorreva stabilire
quali erano gli scopi che ci proponevamo una volta che avessimo abbattuto
quei nefasti regimi totalitari, che, torno a dire, erano e sono sempre
la configurazione più feroce di tutela degli interessi della borghesia
capitalistica.
Questa e non altra essendo l'essenza del problema che nessuno può
dimenticare.
Se perseguire soltanto lo scopo della rimozione di quei regimi totalitari,
limitandoci a sostituirli con democrazie operanti sempre nei vecchi schemi
ed interessi della borghesia capitalistica, con i vecchi strumenti economici,
legislativi ed istituzionali; oppure se operare più in profondità
abbattendo il regime borghese stesso, che è la perpetua matrice
di tutti i totalitarismi e le dittature, ai quali sempre ricorre quando
sente di perdere il benchè minimo terreno, sostituendolo con una
democrazia veramente popolare, come alla fine erano le speranze delle
grandi masse.
A noi garibaldini più politicizzati ed a tutti gli uomini delle
sinistre questi fini erano già allora chiari: quella scelta noi
l'avevamo fatta e perciò combattevamo ed se occorreva morivamo
per un'idea non soltanto di libertà del paese da eserciti stranieri
e da regimi totalitari, ma convinti che fosse necessario raggiungere un
mondo migliore per le larghe masse popolari: un mondo nuovo, di giustizia
sociale, di abbattimento dei privilegi dei pochi a scapito dei più,
come invece continua ad essere oggi; di pace e lavoro assicurati a tutti
i popoli fratelli; di sostanziale democrazia popolare; un quid che già allora per me era chiarissimo e tra l'altro era ben diverso
da quelle concezioni staliniste di molti altri miei compagni che le perseguivano
in assoluta buona fede, tanti di loro spendendo con immenso slancio e
sacrificio anche la loro vita.
Altri invece, come sai, combattevano solo per la ricordata liberazione
territoriale del nostro paese dai nazisti e per il puro abbattimento del
regime dittatoriale fascista, ma per mantenere poi il nostro paese nell'ambito
di quelli dominati dai ceti borghesi e capitalistici, attraverso il ripristino
delle vecchie leggi e strutture di quegli stati ed addirittura con gli
stessi vecchi funzionari fascisti rimossi alla Liberazione ma poi prontamente
ricollocati dagli Alleati nei loro vecchi posti di comando.
In quest'ultimo ambito gli osovani, dopo la crisi di Pielungo, dominati
dalle destre cattoliche friulane capitanate da lontano dal Vescovo Nogara
e sul terreno dal suo mandatario Don Moretti, erano sull'unico e notorio
piano dello svolgimento di una preminente funzione politica di contenimento
ed opposizione in tutti i sensi delle politiche garibaldine e popolari,
persino trovando con i fascisti ed i nazisti sia pure nascosti e parziali
compromessi dei quali comunque vi è ampia traccia documentale,
diretti a raggiungere quegli scopi in vista dell'imminente dopoguerra.
Un groviglio, insomma, di intenti e spinte sociali contrastanti ed antitetiche,
specie negli ultimi tempi resistenziali ma già perfettamente delineate
anche prima, che erano la negazione di quella pretesa unitarietà
di intenti gabellata invece sotto l'insegna pluripartitica del C.L.N.
Ecco perchè anche la lotta resistenziale non poteva al momento
essere unitaria, bensì profondamente diversa a seconda di ciascuna
delle sue componenti sul terreno e perchè inoltre in certi casi
ha prodotto episodi inquietanti come quello di Porzûs ed affatto
chiariti dal suo processo che ha peraltro assolto ad una sua precisa ed
essenziale funzione politica nel dopoguerra voluta dalle destre: quella
di emarginare l'intera Resistenza Garibaldina, processo che tutt'oggi
continua a porre domande assolutamente irrisolte.
Tutto ciò spiega perchè la Resistenza, come fenomeno generale,
fosse come tu hai detto così frazionata e diversificata, a seconda
degli scopi politici che voleva perseguire.
Quanto a ciò che è avvenuto dopo ed al mio totale scontento,
bastano poche parole.
Tutti sanno che con la fine della guerra è avvenuta la divisione
del mondo in due zone contrapposte sul piano economico e militare ed è
venuta a determinarsi, piaccia o no, l'appartenenza del nostro paese a
quella metà dominata dal sistema economico, politico e militare
imposto dagli eserciti, dalle destre, dall'imperialismo americano.
In quel modo, appoggiate da quegli eserciti ed alimentate in tanti modi
che qui sarebbe troppo lungo ricordare, le politiche osovane e vescovili,
che erano e sono poi quelle delle destre nell'intero nostro paese, sono
riuscite vincenti e lo hanno dominato; anzi, quell'imperialismo domina
ormai incontrastato l'intero mondo.
Con questo non voglio dire in alcun modo che mi sarebbe invece piaciuto
vivere in un mondo stalinista da me non condiviso: ma neppure in un mondo
come il nostro in cui ogni giorno assistiamo agli sconci più gravi
ed evidenti dei diritti dei cittadini imposti dall'imperialismo borghese,
nel nostro caso da quello americano.
Nel nostro paese è da decenni in corso un'offensiva sempre più
violenta di infamie d'ogni genere rivolte dalla borghesia cattolica ed
imperialista al potere contro la Resistenza rossa popolare, una campagna
diffamatoria che aumenta sempre di più e che trae ossigeno non
solo dal danaro borghese, contro il quale è impossibile o quantomeno
difficilissimo competere, ma anche dalle compiacenze e dai silenzi della
storiografia ufficiale.
Uno sfacelo di tutte le più belle nostre speranze, di tutti i più
genuini valori, un dolore infinito per noi vecchi combattenti, che comprenderai
un giorno se già non lo comprendi ora, pensando al quel mondo nuovo
che credevamo di poter raggiungere e che invece ci è sfuggito.
Il fatto che anche a me, come a tutti, in certi paesi di questa connotazione
politica, possa tornare comodo oggi crogiolarci nelle relative agiatezze
del sistema consumistico borghese, non può farci dimenticare a
quali alti prezzi politici negativi le masse pagano questi comodi ed anche
alla considerazione che gli stessi comodi, od addirittura migliori, potrebbero
essere offerti anche da una diversa struttura sociale fraternamente umana
tra tutte le genti.
Non chiedermi perciò ora cosa si possa fare.
Ci vorranno secoli, ritengo, perchè il cammino dell'umanità
possa riavviarsi verso la liberazione sociale: personalmente non posso
cambiare il mondo, non posso far nulla, anche volendolo, se non protestare
con voce sempre più flebile, fingendo anche di non sentire le tante
grida di dissenso e di dolore che pervengono da ogni angolo di questo
disgraziato pianeta: posso solo imprecare.
Ha 80 anni e personalmente mi resta solo da morire, sperando che i nostri
figli od i figli dei nostri figli possano un giorno tornare a sperare
nella liberazione e nella felicità dell'uomo, in un mondo migliore.
Scusami se ora gli occhi di questo duro combattente quale sono stato,
ora ridotto ad un vegliardo fisicamente tremulo, ma intellettuamente ancora
abbastanza lucido, si inumidiscono a questi pensieri.
Desidero soltanto che nel più nascosto ed umile dei luoghi in cui
presto le mie ceneri saranno riposte, sventoli idealmente un giorno non
solo il tricolore, ma anche la bandiera rossa, quella che un tempo abbiamo
fatto sventolare anche sui monti della nostra bella Carnia; quella internazionalista,
perchè la felicità dell'uomo ritengo stia anche in questo
valore di libertà per il quale ho combattuto.
|